CRITICA DELL'IDEALISMO

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CRITICA DELL'IDEALISMO

Il "prima"

L'idealismo si differenzia dal criticismo kantiano sostanzialmente nel fatto di ritenere impossibile l'esistenza di una cosa (il "noumeno") e poi dichiararla inconoscibile. Viceversa, ciò che è pensato come esistente, deve essere pensato anche come conoscibile, anzi, per l'idealismo assoluto, solo ciò che può essere pensato merita l'esistenza, e solo ciò che il pensiero pensa come "trascendente" lo è realmente.

Come si può notare, l'idealismo -a differenza del criticismo- dà enormi fiducie al soggetto umano, non lo disarma nei confronti dell'oggetto o della realtà con il concetto di "noumeno" (che pure con Kant era servito per dare un "colpo" alla metafisica e alla teologia). L'idealismo ritiene che il soggetto sia creatore infinito della sua propria storia. Tuttavia, il difetto dell'idealismo è che crede in queste potenzialità unicamente nell'ambito del pensiero. Cioè il vero soggetto che fa la storia non sono le masse popolari, le classi sociali, ma la stessa attività conoscente (o comunque l'Idea, la Ragione, l'Io trascendentale, la Natura la cui attività può essere percepita, intuita, dedotta, rivissuta solo nel pensiero, senza il concorso di alcun principio estraneo). L'idealismo è un monismo intellettualistico, eminentemente logico, astratto, razionale, che non riconosce altra "sostanza" che il divenire stesso della conoscenza.

La differenza tra Fichte, Schelling ed Hegel non sta tanto nel valore che si attribuisce alla funzione del pensiero (per quanto anche qui delle differenze sussistano), ma sta piuttosto nella modalità con cui il pensiero si pone e agisce: per Fichte è il pensiero soggettivo, per Schelling ed Hegel è il pensiero oggettivo (riferito alla Natura per Schelling, alla Storia per Hegel).

La libertà che l'idealista afferma e vive è patrimonio teoretico e pratico esclusivo del pensiero (anche quando si arriva alla produzione artistica con Schelling, o alla filosofia del diritto di Hegel). Fichte trova la libertà nel rapporto IO/non-IO, Schelling nel rapporto IO/Natura, Hegel nel rapporto IO/Storia (la libertà è la ragione o l'idea della storia o dello spirito assoluto che si incarna nell'IO, cioè in individui singoli, popoli, nazioni, Stati).

L'idealismo non sbaglia nell'identificare la realtà con la conoscenza, sbaglia nel farlo a partire dalla sola conoscenza. Facendo così, la realtà risulta prodotta dalla conoscenza, ma questa non risulta mai prodotta dalla realtà. Hegel, a dir il vero, ponendo la stretta coincidenza di reale e razionale, lasciò capire che la sua filosofia era anche il prodotto dello Stato prussiano, ma così, proprio mentre pretendeva d'essere più concreta, la filosofia hegeliana diventava più conservatrice. Essa infatti accettava la realtà delle classi egemoni e rifiutava quella delle classi emergenti.

Il concetto di realtà che ha avuto l'idealismo o era astratto (metafisico) o era conservatore. L'idealismo ha colto col pensiero le contraddizioni della realtà, ma non ha mai cercato di condividerle praticamente, cioè di lasciarsi coinvolgere con le cause sociali che le determinavano. L'idealismo è rimasta una filosofia aristocratica.

In questo senso, il momento in cui Fichte, Schelling ed Hegel si sono più avvicinati alla realtà è stato nel loro periodo giovanile, nella fase pre-idealistica, quando sostenevano gli ideali della Rivoluzione francese e mostravano grande insofferenza per la società prussiana. In seguito non hanno fatto altro che cercare dei compromessi con questa società.

L'idealismo infatti come non ha mai condiviso una politica rivoluzionaria che modificasse la realtà della quale pur ammetteva la profonda contraddittorietà, così non ha mai accettato di esprimere con coerenza il proprio ateismo, ma si è limitato ad un astratto panteismo. Non dimentichiamo che gli idealisti furono tutti docenti universitari (nella sinistra hegeliana quasi nessuno).

Dei tre idealisti maggiori l'unico forse che più si è avvicinato alla comprensione di un necessario mutamento politico della realtà in senso antifeudale e che più si impegnato per realizzarlo, è stato Fichte.

e il "dopo"

La filosofia idealistica (quella hegeliana in particolare) riflette un'epoca in cui l'esigenza di mutamenti sostanziali, a livello sociale soprattutto, era fortissima. In alcuni Stati era l'esigenza della borghesia di lottare contro i ceti feudali, in altri Stati era l'esigenza del proletariato e della borghesia insieme di lottare contro questi ceti, ma in questi stessi Stati vi era anche l'esigenza del proletariato di lottare contro la borghesia, che, conclusa la lotta antiaristocratica e anticlericale, veniva sempre meno alle sue promesse di liberazione sociale. La filosofia che meglio seppe interpretare le esigenze più radicali del proletariato non fu certo quella idealistica (laica o religiosa che fosse), bensì quella marxista.

Il timore che la filosofia marxista applicata alla politica rivoluzionaria potesse provocare degli sconvolgimenti sociali, unitamente al fatto che l'idealismo tedesco non era più in grado di spiegare le moderne contraddizioni dello sviluppo capitalistico, ha indotto la borghesia a cercare di riformare la superata filosofia hegeliana: di qui le varie correnti positivistiche, storicistiche, neo-kantiane, neo-idealistiche (Croce e Gentile). Tutte queste correnti però non furono semplicemente un recupero di alcune parti dell'hegelismo (rivedute e corrette), ma anche, allo stesso tempo, un modo di contrapporsi al marxismo (seppur non sempre in maniera cosciente e razionale). Il marxismo, infatti, pur essendo politicamente irrealizzato nell'Europa occidentale, continuava a rappresentare una spina nel fianco della borghesia al potere.

Ma c'è un altro aspetto da considerare. I tempi di un rinnovamento della vita sociale, dei tradizionali valori era così maturo che dopo la filosofia hegeliana, anche a prescindere dagli sviluppi del marxismo, ovvero per un processo interno allo stesso pensiero borghese, non è stato più possibile riproporre una liberazione solo al livello del "pensiero speculativo". La borghesia (quella più consapevole) ha avvertito il bisogno di dimostrare che i propri valori potevano essere vissuti coerentemente nella prassi, anche contro la stessa prassi ufficiale, estremamente contraddittoria, della borghesia al potere. Di qui le varie forme di pensiero e di vita irrazionalistiche: esistenzialismo, superomismo, volontarismo, vitalismo, ecc. In pratica cosa è accaduto? E' accaduto che nel momento stesso in cui gli intellettuali più coscienti dei limiti della società borghese hanno cercato di dimostrare la loro coerenza di teoria e prassi contro la coerenza marxista o comunque contro la critica del capitalismo condotta da varie parti o anche al fine di risolvere le stesse macroscopiche contraddizioni sociali del capitalismo, sono sorte un'infinità di filosofie irrazionali, tutte estremamente individualistiche. Già la filosofia hegeliana aveva cominciato ad apparire irrazionale con la Filosofia del diritto, tanto che l'irrazionalismo soggettivo post-idealistico può anche essere visto come una reazione all'irrazionalismo oggettivo-statuale dell'ultimo Hegel, quello stesso irrazionalismo oggettivo che verrà poi usato dal nazi-fascismo.

La filosofia irrazionalistica non è solo l'espressione della perdita d'identità della società borghese, è anche il tentativo di affermare i valori di questa società in misura estrema, a tout prix, contro ogni evidenza. Kierkegaard, p. es., rappresenta la borghesia legata alla questione religiosa, cioè una borghesia arretrata, tipica dell'arretrata Danimarca, che non sopporta i compromessi dell'alta borghesia con la chiesa ufficiale. Nietzsche è l'affermazione irrazionale di una borghesia che crede di potersi affermare negando la religione in quanto tale. Queste e altre manifestazioni non sono irrazionali solo perché estremamente individualistiche ma anche e soprattutto perché caratterizzate dal dualismo borghese di metodo e contenuto: da un lato infatti si afferma l'esigenza di una maggiore coerenza tra teoria e prassi, dall'altro se ne è totalmente incapaci.

In questo senso il concetto marxiano di "alienazione" non va dimenticato, poiché esso caratterizza sul piano sovrastrutturale la contraddizione più profonda della società borghese. Gli uomini sono alienati perché divisi tra la proprietà dei mezzi produttivi e il lavoro, tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e manuale, tra sfera pubblica e privata, tra società civile e Stato, tra coscienza ed esperienza, tra natura e civiltà, tra scuola e mondo del lavoro, tra il maschile e il femminile... La filosofia neoidealistica (incluse tutte le sue varianti esistenziali o irrazionali) si manifesta sempre più come una filosofia nichilista, che ha perso ogni fiducia nel futuro. E' una filosofia che pensa solo a conservare se stessa e la classe che rappresenta. E' una filosofia della mera sopravvivenza, ed è anche una filosofia bellicosa, che rifiuta di ammettere il limite che la caratterizza. E' una filosofia che sa di essere al tramonto. Lo sa non solo perché è il proletariato che glielo fa capire, ma anche perché il tipo di vita ch'essa legittima presenta delle contraddizioni insanabili, sempre più macroscopiche. La contestazione al sistema borghese viene portata avanti dalle sue stesse contraddizioni, le quali però vanno utilizzate in maniera creativa, responsabile, al fine di scongiurare soluzioni avventuristiche.

FINE DELLA FILOSOFIA

La filosofia è un modo di pensare astratto, tipico della personalità borghese alle prese coi problemi del superamento della religione.

Uno studio della filosofia moderna ha senso solo come studio della progressiva laicizzazione della religione, ovvero come studio dell'evoluzione del pensiero ateistico.

Qualunque altro esame della filosofia è necessariamente dipendente da qualche altra disciplina. P.es. la filosofia politica è dipendente dalla scienza della politica, che, a sua volta, nell'Europa della borghesia, è sempre stata dipendente dall'economia politica.

La parabola della filosofia borghese va da Cartesio ad Hegel: prima di Cartesio vi è stata la preparazione all'ateismo da parte della Scolastica (in forme ovviamente implicite, in quanto non si usciva dai presupposti della teologia).

Dopo Hegel si è avuta la svolta critica, poiché detta filosofia borghese non è riuscita a risolvere le contraddizioni della società capitalistica. La funzione progressiva della filosofia è praticamente terminata con Hegel; anzi, già con la sua Filosofia del diritto essa si era caratterizzata per la sua funzione regressiva, che porterà poi alla nascita del nazismo.

La filosofia è stata rivoluzionaria nelle intenzioni, non nel metodo, cioè nei principi della dialettica, non nello svolgimento pratico, coerente, di questi principi. E quando ha preteso di esserlo, con la rivoluzione francese e soprattutto con quella russa, i disastri sono stati non meno grandi dei suoi insuccessi.

Complessivamente anzi si può dire che la filosofia borghese, non volendo mai mettere in discussione il dominio del capitale sul lavoro, ha finito col tollerare distruzioni e genocidi d'ogni tipo.

L'alternativa alla filosofia borghese non è una nuova filosofia (p.es. il Diamat), ma un diverso modello di società.

L'esigenza di elaborare un pensiero più coerente e rigoroso rischia soltanto d'essere una fatica sprecata. Occorre invece creare un tipo di società in cui non si avverta l'esigenza di elaborare un pensiero astratto come quello filosofico.

Un pensiero totalmente astratto riflette un tipo di vita alienato. Esattamente come l'assenza di qualunque pensiero.

DIALETTICA E INDIVIDUALISMO

Noi occidentali, a comprendere i principi della dialettica siamo arrivati per necessità, anzi per disperazione, in quanto stavamo rischiando di distruggerci a vicenda.

L'individualismo è nato in Mesopotamia e nell'Egitto dei faraoni, ma è stato in Europa occidentale che ha trovato l'espressione più compiuta, almeno fino a quando, per non rischiare ancora una volta di autodistruggerci, non abbiamo fatto nascere gli Stati Uniti, una potente valvola di sfogo per i nostri irriducibili antagonismi.

Noi siamo arrivati a capire i principi della dialettica quando abbiamo capito il valore della "mediazione" nei rapporti umani e politici. Fino a quando s'è contrapposta ideologicamente la tesi all'antitesi, fin quando abbiamo voluto considerare insuperabile il principio di non-contraddizione, non ci è stato possibile capire la negazione della negazione, il passaggio dalla quantità alla qualità, la coincidenza degli opposti, l'approssimarsi relativo alla verità, la differenza tra verità soggettiva, oggettiva e assoluta, il reciproco condizionamento tra libertà e necessità ecc.

Solo che tutte queste scoperte non sono state sufficienti per realizzare un adeguato socialismo democratico e quindi un adeguato umanesimo laico.

Sull'idealismo

Bibliografia


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018