LA FILOSOFIA BORGHESE TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO

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LA FILOSOFIA BORGHESE TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO

Il pesatore d'oro, 1664, Parigi, Louvre

In Grecia, o meglio, nelle colonie ioniche, nella Magna Grecia e in Sicilia, la filosofia è nata, in un certo senso, come la teologia scolastica, cioè cercando di esprimere gli interessi di una classe sociale emergente: la borghesia. Una classe che 500 anni prima di Cristo e poi, di nuovo, 1000 anni dopo Cristo, ambiva a porsi in antagonismo a quella aristocratica. Era una contrapposizione tra monopolio della terra e traffici marittimi. Era un'accanita lotta fra tradizione, sapientemente manipolata a favore dei ceti agrari, militari e schiavili, e innovazione culturale, etica e politica che nasceva in ceti mercantili, artigianali e professionistici favorevoli, virtualmente, alla democrazia e all'uguaglianza dei cittadini.

Era un'illusione contro un'altra illusione. Si distrusse una tradizione mistificata con una innovazione non meno mistificata. Fu soltanto il tentativo di far emergere una classe sociale senza scrupoli, ridimensionando le pretese di un altro ceto che, a causa delle proprie interne contraddizioni, non aveva da dire più nulla di positivo alla società nel suo insieme. L'eroismo degli antichi guerrieri nobili (così evidente nell'Iliade) era diventato una caricatura, il pretesto per affermare privilegi ingiustificati.

La filosofia, la logica, la scienza... sono sostanzialmente nate contro il mito, che era l'ideologia dominante dell'aristocrazia: un mito che si poteva soltanto accettare così com'era, senza discutere. E in questa contrapposizione non s'è recuperato ciò che quel mito aveva mistificato, ma s'è buttata via l'acqua sporca col bambino dentro. Si è giustamente voluti passare dalla religione all'agnosticismo e persino all'ateismo, ma per fare gli interessi esclusivi di una classe dedita ai traffici mercantili. Cioè non si è recuperato lo stile di vita pre-schiavistico, la dimensione dell'uguaglianza sociale e sessuale. Si è soltanto affermato culturalmente l'ateismo, senza sapere ch'esso già esisteva nelle società pre-schiavili. E, proprio per questa ragione, lo si è affermato, inevitabilmente, in maniera ambigua, mescolandolo ad affermazioni dal sapore mistico o metafisico.

L'ateismo borghese è sempre incoerente, non importa se di 500 anni prima di Cristo o di 1000 anni dopo. Si è pensato di fare una rivoluzione del pensiero, ma nella realtà non s'è fatto altro che estendere la corruzione del ceto aristocratico a tutta la società borghese. Due cose infatti non sono mai state poste in discussione: l'esistenza della schiavitù e la discriminazione della donna. Queste due contraddizioni ne hanno inevitabilmente alimentate altre due: il razzismo culturale nei confronti delle popolazioni "diverse" e il primato delle esigenze produttive dell'uomo su quelle riproduttive della natura.

Tutte queste anomalie, a loro volta, dipendevano da un'altra ancora, la più importante di tutte: l'individualismo esistenziale, cioè la concezione che l'individuo, per potersi realizzare, deve perseguire degli obiettivi di tipo personale, basati sulla logica dell'interesse. L'appartenenza a ceti o classi (alla polis o al Comune) è sempre stata vista in maniera strumentale all'obiettivo che ci si prefiggeva.

La differenza tra i ceti mercantili di 500 anni prima di Cristo e quelli di 1000 anni dopo Cristo non sta soltanto nella diversa estensione geografica del dominio economico e politico, ma anche e soprattutto nel fatto che la cultura degli uni era pagana, mentre quella degli altri era cristiana. Questa differenza ha comportato una diversità di una certa importanza, poiché, sulla base di essa, nascerà l'odierno capitalismo: la borghesia comunale non sfruttava più uno schiavo vero e proprio, ma un operaio giuridicamente libero.

Ecco perché dobbiamo dire che la borghesia cristiana ha creato una cultura molto più sofisticata di quella della borghesia pagana, una cultura che, a tutt'oggi, nonostante lo smascheramento compiuto dal socialismo, domina incontrastata a livello mondiale.

I LIMITI INSUPERABILI DELLA FILOSOFIA BORGHESE

Tutto questo parlare di "dio" nella filosofia moderna dell'Europa occidentale era una conseguenza del carattere "borghese" di quella filosofia, cioè del suo carattere "classista", non democratico, anche se indubbiamente quella filosofia appariva più democratica della teologia medievale, che, per sua natura, era legata all'aristocrazia (laica ed ecclesiastica) e quindi a forme assolutistiche della monarchia.

I filosofi borghesi, non avendo l'appoggio delle masse popolari, poiché volevano assolutamente emanciparsi anche dalla vita contadina, che quella volta era prevalente, erano in un certo senso costretti a parlare di dio per non subire spiacevoli conseguenze da parte dei poteri costituiti. Tuttavia, se avessero potuto parlare liberamente, avrebbero usato soltanto la parola "io".

L'io borghese vuole indubbiamente liberarsi del peso di una comunità religiosa i cui valori non sente più come propri. In particolare il borghese non sopporta più l'incoerenza, tipica del cattolicesimo-romano, tra alti valori affermati in sede teorica, e grande corruzione vissuta sul piano pratico da parte delle gerarchie ecclesiastiche, che ambiscono sempre ad avere privilegi economici e poteri politici.

Il filosofo borghese ha però questa caratteristica che lo rende umanamente poco credibile: non lotta per abolire tutti i privilegi, per affermare una piena democrazia sociale, ma vuole affermare un proprio diritto esclusivo, capace di farsi strada nel mare magnum dei privilegi feudali.

Il borghese non è che un ecclesiastico laicizzato, è un "prete dentro", nella sua coscienza. Ha avuto bisogno di non pochi secoli per affermarsi proprio perché la sua filosofia non era "popolare" ma "classista". Ha dovuto cercare un'infinità di compromessi, di sotterfugi, di ambiguità semantiche prima d'imporsi in maniera definitiva.

Viceversa in Europa orientale si poté passare dalla religione ortodossa all'ateismo scientifico proprio perché gli intellettuali vollero fare una rivoluzione popolare, che eliminasse non solo il feudalesimo ma che non permettesse neppure al capitalismo di svilupparsi. Che poi le cose siano finite tragicamente, con un ritorno ai valori dell'ortodossia religiosa, non significa che, in quella fase iniziale, le intenzioni non fossero giuste.

In particolare i comunisti affermarono subito, per ottenere il consenso delle masse rurali, che, a rivoluzione avvenuta, avrebbero provveduto a fare la riforma agraria, spezzando il latifondo e concedendo in proprietà gratuita dei lotti di terra sufficienti per vivere.

Questa cosa non è mai stata fatta dalla borghesia. I borghesi non avevano proprietà terriere, ma solo abilità personali per fare affari commerciali. Volevano arricchirsi a titolo individuale, per poter accedere alle leve del potere politico. Nei confronti dei contadini potevano soltanto avere un atteggiamento strumentale, quello di servirsene per fare una rivoluzione anti-feudale. A rivoluzione avvenuta, venivano immancabilmente traditi, in quanto la borghesia, temendo che le idee democratiche diventassero "socialiste", provvedeva subito a cercare un compromesso con l'aristocrazia. Nel contempo venivano illusi prospettando loro una vita "libera" se si fossero trasferiti nelle città a svolgere il mestiere dell'operaio o dell'artigiano. Li s'illudeva di potersi arricchire partendo anche da precarie condizioni sociali, totalmente prive di proprietà.

Tutte le rivoluzioni borghesi, nessuna esclusa, hanno subìto questa involuzione. Nel momento in cui venivano fatte, si poteva anche aver chiaro fin dove si sarebbe potuti arrivare, ma nel momento in cui venivano concluse, le forze borghesi provvedevano subito a ridimensionare gli obiettivi, a ridurre le pretese "popolari" in direzione della democrazia. Al massimo - si diceva - ci si può emancipare nell'ambito del capitalismo.

Questo spiega il motivo per cui l'esperienza borghese dell'economia è destinata ad essere superata da un'esperienza più democratica. Il momento in cui ciò avverrà dipenderà da due fattori: consapevolezza e determinazione rivoluzionarie. Un qualunque peggioramento dei conflitti sociali non farà che rendere più evidente questa esigenza.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018