Idealismo e Materialismo

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PERCHE' L'IDEALISMO VINCE SEMPRE SUL MATERIALISMO?

E' impressionante vedere con quanta forza i filosofi presocratici riuscirono, col loro materialismo, naturalismo e, in fondo, ateismo, a superare le concezioni religiose della mitologia di Esiodo e Omero, e con quanta debolezza dovettero soccombere agli attacchi delle metafisiche platoniche e aristoteliche, così astratte, idealistiche e imbevute di misticismo.

Molte delle cose scoperte dai filosofi naturalisti verranno riprese solo duemila anni dopo, al tempo dell'Umanesimo e del Rinascimento; altre verranno recuperate ancora più tardi, come p.es. l'atomismo di Democrito. E di tutti i loro innumerevoli testi ci restano solo pochi frammenti: li conosciamo solo indirettamente, solo perché altri (spesso gli avversari) ne hanno parlato.

Come si spiega questo fenomeno? In una maniera molto semplice: chi professa il materialismo o l'ateismo finisce, in genere, coll'avere scarsa propensione per gli argomenti etici, preferendo di gran lunga quelli di carattere scientifico.

Ora, il potere politico dominante trova sempre una certa difficoltà a utilizzare questo atteggiamento da intellettuali per rabbonire le masse. Quest'ultime, infatti, per essere meglio ingannate, hanno bisogno di sognare ad occhi aperti, di provare sentimenti, emozioni... E il materialismo, in tal senso, appare troppo freddo, troppo sicuro di sé.

I materialisti non si rendono conto che ai comuni mortali, abituati alle vessazioni dei potenti, non piace tanto la verità quanto piuttosto la finzione: la verità presumono già di saperla, ed è la loro sofferenza (che ritengono secolare, irrisolvibile), per cui preferiscono fantasticare.

I materialisti che vorrebbero essere onesti dicendo la verità, escono sempre sconfitti dal confronto con gli idealisti, proprio perché questi sanno vivere meglio il loro "volgare materialismo" dietro la facciata delle belle parole, dei buoni sentimenti (quelli lacrimevoli), dei valori patriottici (che affratellano tanto) e così via.

Gli idealisti sono così abili che fanno passare i materialisti per gente senza scrupoli, sempre litigiosa, supponente, fanatica, fondamentalmente egoista, in quanto priva di valori sociali condivisibili.

E i materialisti, ad un certo punto, si rassegnano a questo ruolo trasmesso dai mass-media, e cominciano a discutere solo tra loro, si vantano di avere la verità in tasca, nutrono sentimenti rancorosi, ostentando un distacco fittizio, e soprattutto attendono passivamente che le contraddizioni esplodano da sole, proprio per avere la soddisfazione di dire: "Era da un pezzo che ve lo dicevamo".

Insomma, prima i metafisici greci, poi i teologi medievali, poi ancora i filosofi borghesi e ora infine i politici di ispirazione cristiana: tutti mostrano di saper perfettamente comunicare alle classi marginali il modo migliore per uscire dall'oppressione: sperare contro ogni speranza.

E queste masse, sempre più vaste, sempre più sofferenti, continuano a illudersi che qualcuno, prima o poi, saprà alleviare i loro mali, magari farle anche uscire dalla miseria; e questo qualcuno dovrà per forza essere un idealista, perché solo un idealista ha il senso dell'umanità, è misteriosamente ispirato da dio.

I veri nemici da combattere sono i disfattisti, quelli che vogliono sostituire dio con la natura, lo spirito con la materia, la fede con la ragione, cioè quelli che vogliono dire la verità, senza sapere che la verità è relativa e che nessuno la conosce.

SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA

Quando si finisce sulle Ande, perché l'aereo vi si è schiantato contro, e i soccorsi non arrivano e i viveri sono molto scarsi e non c'è alcun modo di comunicare con l'esterno, perché la radio non funziona, e i passeggeri, chi per le ferite riportate, chi per inedia, finiscono, uno dopo l'altro, per morire, e la disperazione comincia a farsi strada nei sopravvissuti, che, guardandosi attorno, avevano per un momento pensato d'essere stati "fortunati" - si vede subito la differenza tra l'ateo e il credente.

Uno prega, l'altro no; uno è passivo, rassegnato, l'altro no; uno dice di aspettare i soccorsi, l'altro invece li vuole andare a cercare tra quelle montagne impervie e innevate. Uno si affida a dio, l'altro al proprio io e cerca di convincere altri io a rischiare il tutto per tutto. Preso dalla terribile fame l'ateo propone di mangiare i cadaveri degli altri passeggeri; il credente, invece, si oppone per motivi di coscienza: ne fa una questione ideologica.

Dov'è dunque la vera differenza tra i due atteggiamenti? Dobbiamo forse pensare che l'ateo faccia di tutto per sopravvivere perché ritiene che non esista alcun aldilà? E che il credente faccia bene ad essere indifferente nei confronti della morte, perché sa che comunque tornerà a vivere? Dei due quindi dobbiamo ritenere più immaturo, più sprovveduto l'ateo, che non sa come stanno davvero le cose nell'universo?

No, la differenza non può stare in queste cose, poiché anche l'ateo può pensare che la vita continui dopo la morte. Se ritiene che l'universo sia infinito e che tutto quanto vi è contenuto si trasforma perennemente, niente gli impedisce di crederlo.

In fondo il credente non può avere alcuna certezza del suo "paradiso": è solo una sua convinzione personale, in cui chiunque può credere, senza per questo dover scomodare l'esistenza di un fantomatico dio. La differenza, tra i due, non può essere così banale: deve per forza essere un'altra.

Il credente pensa di poter esibire ciò che lo distingue dall'ateo, per far vedere che è migliore, che il suo atteggiamento rassegnato e autoconsolatorio è quello giusto. Lui attende fiducioso un intervento miracoloso e si sente autorizzato a pensare che, se questo non arriva, la loro o la sua sia soltanto una prova da superare, magari per misurare la fede o per punire, lui o qualcun altro, di qualche peccato compiuto. Lui è lì, tutto pronto a fare delle supposizioni metafisiche.

No, l'ateo non farebbe mai ragionamenti del genere, così paralizzanti: tanto meno accetterebbe l'idea che quella tragica avventura deve servirgli per mutare opinione sulle questioni della fede. Anzi, troverebbe il modo di organizzarsi per cercare di salvare tutti, perché per lui la vita va vissuta sino in fondo, è tutto quello che è in suo potere di fare, deve farlo.

In questo sta la sua diversità: se deve morire, vuol farlo camminando, non stando a sedere, chiuso in quel rottame abbandonato da dio. Cercherà un modo per comunicare, anche a costo di attraversare a piedi quell'enorme catena montuosa. Si attrezzerà, pensando di dover sopravvivere a 40 gradi sotto zero e in un sacchetto metterà una scorta di carne umana. Non darà per scontato, senza prima provarci, che non ci sia più nulla da fare.

E una volta che avrà trovato i soccorsi, farà capire al credente cosa vuol dire l'espressione "sperare contro ogni speranza". Sì, farà capire proprio a lui cosa vuol dire "aver fede".

IN CHE SENSO ESSERE MATERIALISTI?

Perché il materialismo dà così tanta importanza alla materia? A volte sembra che la materia sia più importante dell'uomo stesso.

Spesso non ci rendiamo conto che, nell'ambito del capitalismo, la vera classe materialistica è la borghesia. Il socialismo scientifico non parla affatto di "materialismo" allo stesso modo degli ideologi borghesi. Non solo perché quest'ultimi infarciscono sempre le loro idee con considerazioni di tipo mistico, ma anche perché i socialisti, con la parola "materialismo", intendono qualcosa che riguarda, nello stesso tempo, la natura e la storia. Gli stessi socialisti usano la parola "materialismo" per indicare quello "volgare" della borghesia, unicamente interessata ai propri profitti.

Viceversa la borghesia, quando usa la parola "materialismo", riferendosi ai socialisti, intende dire che sono atei, privi di valori umani, senza princìpi morali. Come noto, la borghesia evita di dichiararsi atea, perché, sapendo di non essere una classe "popolare" (anche se oggi la piccola-borghesia è molto diffusa), teme di perdere il consenso da parte dei credenti. In ogni caso è difficile incontrare degli ideologi borghesi che usino correttamente la parola "materialismo".

Con essa, infatti, s'intende qualcosa che non dipende dalla volontà umana, qualcosa che precede nel tempo lo stesso genere umano e che gli si pone di fronte come qualcosa di "dato". Essere materialisti significa riconoscere l'eternità e l'infinità della materia, totalmente indipendente dall'uomo.

Gli ideologi borghesi e quelli credenti rifiutano nettamente il materialismo proprio perché con esso si deve escludere qualunque riferimento mistico a una possibile divinità. Il materialismo scientifico è ateo per definizione. E' un materialismo, tuttavia, che considera la natura, la materia, presente nell'universo, come autosussistente, come qualcosa di autogenerato e destinato a rimanere nel tempo, pur essendo soggetta a continue modificazioni.

I materialisti scientifici sostengono che questa materia o natura possiede delle leggi fondamentali che non possono essere violate, senza che ciò non abbia delle ricadute negative sulla vita degli esseri umani.

L'uomo quindi, per i materiasti, è un ente di natura, che dovrebbe fare la storia in maniera conforme alle leggi dell'universo: cosa che però non avviene sin da quando sono nate le società schiavistiche. In questi ultimi 6000 anni non si è fatto che violare le leggi della natura, al punto che oggi non siamo più in grado di distinguere il naturale dall'artificiale.

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Se il mondo fosse soltanto una rappresentazione soggettiva, cioè se non esistessero leggi oggettive storico-naturali cui bisogna necessariamente conformarsi, diventerebbe inevitabile, a un certo punto, dare del mondo un'interpretazione irrazionalistica.

In effetti, è il fatto stesso di far prevalere la rappresentazione soggettiva sulle leggi oggettive che, di per sé, è indice di estraniazione, per cui, se anche in una prima fase questa forma di alienazione non presenta caratteri marcatamente irrazionali, lo sbocco verso questa soluzione diventa inevitabile. Qualunque pensiero scientifico, filosofico, ideologico, artistico, etico... neghi il valore delle leggi oggettive della natura e dell'umana convivenza, è un pensiero socialmente pericoloso.

Con questo ovviamente non si vuol dire che sia vero il contrario, cioè che non vi siano aspetti irrazionalistici nelle rappresentazioni della realtà che presumono d'essere oggettive. Semplicemente si vuol dire che il confronto deve avvenire su quali leggi obiettive della natura e della storia deve regolarsi la convivenza umana. E non può certo essere una "legge obiettiva" (valida per tutti) quella che pone a fondamento della conoscenza e dell'azione una rappresentazione meramente soggettiva della realtà.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018