MACCHINISMO, NATURA E GUERRE

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MACCHINISMO, NATURA E GUERRE

Se ci sono soltanto macchine avanzate che possono sostituirsi agli operai, che possono cioè fare a meno di molti operai manuali, pur non potendo fare a meno di operai intellettuali, in grado di far lavorare queste macchine attraverso un computer, il capitalismo non funziona. Un capitalismo del genere produce merci che costano di più rispetto a quel capitalismo che ha macchine meno avanzate ma più operai da sfruttare.

Marx aveva già individuato che esiste una caduta tendenziale del saggio di profitto dovuta al rinnovo periodico del capitale fisso. L'impresa guadagna all'inizio, appena ha introdotto le nuove macchine, e a condizione di poter vendere in maniera costante, ma poi le macchine vengono acquisite da altre aziende concorrenti e le stesse macchine diventano col tempo obsolete, proprio perché la produzione ha ritmi frenetici nel sistema capitalistico.

Gli investimenti per ristrutturare (resi sempre più necessari dalla competizione globale) non sortiscono gli effetti sperati, anche perché: 1. gli operai dei paesi occidentali non possono essere pagati come quelli dei paesi che iniziano adesso a industrializzarsi; 2. se, in forza dell'innovazione tecnologica, vi sono meno operai che producono e che quindi acquistano meno merci, queste rischiano di restare invendute.

La conseguenza inevitabile è, paradossalmente, che quanto più si rinnova il capitale fisso, tanto più si rischia la sovrapproduzione. Alla faccia della cosiddetta "qualità totale". Se non fosse crollato il socialismo reale, sarebbe crollato il capitalismo, ovvero sarebbe scoppiata una nuova guerra mondiale per ripristinare le regole dell'imperialismo delle due guerre precedenti.

Tuttavia è impossibile, in presenza di una competizione mondiale, non innovare il macchinario. Se il capitale non si autovalorizza costantemente, s'impoverisce: non riesce a rimanere invariato, proprio perché esiste competizione. L'alternativa, se non si vuole delocalizzare l'impresa, è quella di chiuderla, investendo finanziariamente i propri capitali.

Volendo crescere a tutti i costi, il capitale preferisce il settore finanziario, che è meno esposto ai rischi della competizione, meno stressato dall'esigenze di rinnovare gli impianti e di collocare le merci, di contrattare con la forza-lavoro. Nei paesi avanzati la ricchezza tende a smaterializzarsi completamente.

I paesi che una volta definivamo del "Terzo Mondo" ci stanno facendo capire, a nostre spese, che, sotto il capitalismo, la capacità di fare profitto non dipende affatto dal grado di perfezione delle macchine. Quando gli imprenditori occidentali dicono che, per competere sulla scena mondiale, dobbiamo produrre cose di più alta qualità, lo dicono solo perché in questa maniera possono ricattare i loro lavoratori, ma essi sanno bene che lo sviluppo ineguale del capitalismo permette loro di ottenere più alti profitti anche con macchinari obsoleti, a condizione che la manodopera sia molto meno costosa.

Al capitale interessa vendere, non tanto produrre cose di alta qualità, e per vendere ci vogliono ampi mercati. Quelli occidentali sono mercati saturi, anche se con la pubblicità si fa di tutto per indurre l'acquirente a cambiare elettrodomestici, mezzi di trasporto e mezzi di comunicazione con molta frequenza.

Quando si delocalizza in un paese che fino a ieri era povero perché colonizzato o perché comunista, dove i salari mensili sono, rispetto ai nostri, incredibilmente bassi, non ha senso produrre cose di alta qualità, che nessuno, peraltro, sarebbe in grado di acquistare. E' sufficiente produrre cose di media qualità, alla portata di un mercato significativo, che escluda soprattutto il rischio della sovrapproduzione, vera bestia nera del capitale.

E' noto che l'imprenditore usa la macchina contro l'operaio, per poter avere meno operai possibili, ma poi la macchina si rivolta contro lo stesso imprenditore, poiché lo obbliga a vendere più di quanto vendeva prima. Per poter sopravvivere sfruttandola al massimo, il capitalista deve porre condizioni ricattatorie ai propri operai o minacciare di delocalizzare gli impianti in aree geografiche dove sicuramente non avrebbe problemi sindacali con la manodopera, anzi, avrebbe incentivi fiscali da parte degli Stati che vogliono modernizzarsi in senso borghese.

In occidente il capitalismo è destinato a morire, a meno che i lavoratori non vengano ridotti in schiavitù (pur conservando le formali libertà giuridiche), non venga smantellato lo Stato sociale (e quindi privatizzata la scuola, la sanità, la previdenza ecc.) e non vi sia concorrenza tra imprenditori. Tutte condizioni che non hanno senso sotto il capitalismo cosiddetto "avanzato", che è quello delle società uscite dalla seconda guerra mondiale.

Condizioni del genere potrebbero verificarsi se invece di società "democratiche" avessimo società "autoritarie", dittatoriali, che facessero esclusivamente gli interessi degli imprenditori, i quali non avrebbero bisogno di competere tra loro, in quanto sarebbero protetti dalle istituzioni. Ma uno Stato del genere non può esistere in un paese occidentale (Europa, Usa, Canada...), dove una qualunque istituzione viene sempre vista in funzione dell'interesse privato dell'imprenditore.

Da noi gli Stati sono in funzione dei singoli imprenditori privati, materialmente (nel senso che ricevono benefit da parte degli Stati) e anche come logica di sistema (nel senso che lo Stato, pur vigendo l'idea formale dell'equidistanza delle istituzioni rispetto agli interessi in gioco, non si pone mai contro gli imprenditori). Sono semmai i lavoratori che cercano di strappare diritti sia allo Stato che all'imprenditoria privata.

Il capitalismo euroamericano deve per forza lasciare il testimone ad altre nazioni, dove la politica abbia un peso maggiore rispetto a quello che ha da noi, e dove l'economia produttiva abbia la sua ragion d'essere e la ricchezza non sia solo finanziaria.

I grandi Stati in grado di ereditare il testimone sono la Russia, per l'enorme quantità delle sue risorse, la Cina e l'India, per l'enorme quantità di manodopera disponibile a basso costo. Di questi Stati l'unico in grado di ereditare velocemente la formale democrazia borghese è la Russia, che ha radici cristiane e che già nel passato si lasciava influenzare dalla cultura europea.

Il problema è che la Russia ha un territorio assolutamente sproporzionato rispetto all'entità della propria popolazione. Quindi inevitabilmente il futuro, nell'ambito del capitalismo, non è russo ma cinese: sarà la Cina ad appropriarsi delle immense ricchezze della Siberia. Solo che la Cina deve ancora imparare l'abc della democrazia formale borghese. Anzi, sotto questo aspetto, tra i paesi asiatici è molto più avanti l'India, che però ancora non ha risolto il problema delle caste e che resta ancora troppo "religiosa" per poter diventare pienamente "borghese".

Il capitalismo, così com'è, può solo peggiorare, può soltanto trasformarsi in una dittatura poliziesca, in cui il ruolo di un partito di governo molto disciplinato, di uno Stato centralizzato, di un numero spropositato di militari, di un vasto consenso sociale faccia la differenza tra un vecchio Stato capitalista e uno nuovo. Difficile pensare che un ruolo del genere possa essere giocato, nei secoli a venire, dall'Europa, dalla Russia o dagli Stati Uniti. Nessuno di loro possiede tutte queste cose messe insieme.

L'alternativa a tutto ciò è la costruzione di una nuova civiltà, che potrebbe mettere radici adesso, ipotizzando il proprio sviluppo nell'arco dei prossimi cinquecento anni. Una civiltà che anzitutto deve superare il concetto di "macchinismo". L'uomo infatti nasce "artigiano" non "operaio", anche perché se la macchina lavora per lui, lui perde interesse al lavoro, anche nel caso in cui la macchina sia di sua proprietà.

L'operaio non è "alienato" solo perché il suo lavoro è "separato" dai suoi mezzi di produzione e quindi dai beni che produce, che giuridicamente non gli appartengono, ma è "alienato" anche perché ha a che fare con una macchina che lo disumanizza, che rende il lavoro monotono e ripetitivo.

Un qualunque oggetto prodotto deve poter essere ristrutturato per scopi diversi. Oggi questo è impossibile. Gli oggetti sono così complessi che per essere riutilizzati vanno prima completamente smontati, dopodiché si riutilizzano pochissimi singoli pezzi per lo stesso scopo per cui erano nati. Di un'auto si fa un cubo pressato: non la si manda neppure in fonderia per recuperare il metallo usato. Spesso non conviene neppure disassemblare, in quanto il costo del lavoro è superiore al valore dei pezzi da riciclare.

Oggi, quando un oggetto non serve più (si pensi p.es. a una semplice penna a sfera), perché usato da molto tempo, perché ha finito il suo ciclo produttivo, perché superato dal progresso, perché non più funzionante come all'inizio, ecc., noi non cerchiamo di ripararlo, di sostituire quel pezzo che gli permette ancora all'oggetto di funzionare, ma semplicemente lo buttiamo, inquinando irreparabilmente l'ambiente. Così ci è stato insegnato: noi anzitutto dobbiamo essere "consumatori". Un qualunque elettrodomestico non può durare più di dieci anni: lo sappiamo sin dal momento in cui lo acquistiamo.

La nostra civiltà della produzione illimitata di oggetti tecnologici sta diventando un'enorme civiltà di rifiuti, i cui costi di smaltimento o di riciclaggio sono superiori al loro stesso valore.

Ecco perché una civiltà davvero democratica dovrà limitarsi a produrre soltanto quegli oggetti che abbiamo un impatto minimo, irrisorio, sulla natura. La trasformazione delle risorse naturali ha un limite oltre il quale non è possibile andare, ed è appunto quello della riproducibilità della stessa natura, che va garantita sopra ogni cosa.

Senza inversione di rotta ci attende solo la desertificazione, anche in assenza di guerre mondiali. E in ogni caso le guerre diventano inevitabili quando nei periodi di pace non s'intravvedono i modi per risolvere i problemi sociali e ambientali. Le guerre vengono fatte proprio quando si pensa ch'esse possano costituire una soluzione estrema.

QUALE NUOVA TECNOLOGIA PER IL SOCIALISMO DEMOCRATICO?

Non è possibile capire i passaggi da una civiltà a un'altra limitandosi ad esaminare l'evoluzione della tecnologia. Un'analisi del genere, benché strettamente connessa alla relativa formazione socio-economica, diventerebbe di tipo sovrastrutturale, in quanto non terrebbe conto delle motivazioni culturali che portano a fare determinate scelte.

Senza cultura è impossibile spiegarsi perché una civiltà avanzata come quella romana (specie sul piano ingegneristico), rimase ferma, in ambito rurale, alla zappa e alla vanga, e non riuscì a inventare la staffa, la ferratura e il collare da spalla per il cavallo, il giogo frontale per i buoi da traino, la rotazione triennale delle colture, il vomere dell'aratro, l'erpice, il mulino ad acqua, il carro a quattro ruote... La ruota idraulica venne prodotta solo per far fronte alla penuria di schiavi. Resta incredibile come la lavorazione della terra, in una civiltà di tipo mercantile, che sul piano militare aveva le legioni migliori del mondo, sia rimasta praticamente identica per oltre un millennio.

Questa cosa non si può spiegare se non facendo riferimento al fatto che l'economia romana si basava sulla schiavitù. Lo schiavo doveva essere continuamente sorvegliato e costretto a lavorare, poiché non aveva alcun interesse a farlo. Non aveva mai la percezione che, aumentando o migliorando il proprio lavoro, avrebbe di sicuro ottenuto un beneficio a favore della propria emancipazione umana, sociale e civile.

Certo uno schiavo poteva diventare semi-libero (o liberto), ma questo dipendeva esclusivamente dalla magnanimità o generosità del suo padrone. Un proprietario terriero poteva anche trasformare i suoi schiavi in coloni, ma questo dipendeva dai suoi personali interessi e in genere poteva valere solo per le periferie colonizzate, dove i controlli erano più difficili.

Se si pensa che Roma divenne una grande potenza schiavista durante le guerre bisecolari con Cartagine, si è in grado facilmente di spiegare il motivo per cui i ceti benestanti e le stesse autorità politiche non vedevano di buon occhio i miglioramenti tecnologici in ambito lavorativo. Là dove la disponibilità di manodopera schiavile è molto alta e questa manodopera viene acquistata su un mercato del lavoro, lo schiavista ha intenzione di sfruttarla il più possibile e non a sostituirla con la tecnologia.

Questo atteggiamento, semplice e diretto, è del tutto normale in una civiltà basata su rapporti di forza, in cui col concetto di "forza" s'intende proprio quella "militare". Quando una popolazione veniva sconfitta sul piano militare, il suo destino era quello di subire rapporti schiavili, in forme più o meno gravi. Anche quando un cittadino romano veniva rovinato dai debiti, non c'era pietà che gli risparmiasse un destino da schiavo.

La sottomissione integrale a un padrone rende lo schiavo un semplice oggetto, senza personalità, senza diritti, su cui si può aver potere di vita e di morte. Non ci può essere progresso tecnologico in presenza di schiavismo, proprio perché si ritiene che lo schiavo sia già lo strumento più sofisticato, quello che permette, insieme alle terre che si possiedono, di vivere senza lavorare.

Prima di vedere un progresso tecnologico bisogna aspettare che lo schiavo venga considerato un "essere umano", ma ciò sarà possibile, seppure parzialmente, solo nel Medioevo, quando gli schiavisti verranno sconfitti dai cosiddetti "barbari", che non praticavano lo schiavismo come sistema di vita, e che incontreranno una cultura, quella cristiana, disposta a considerare tutti gli uomini "uguali" davanti a dio.

Per il cristianesimo la schiavitù è un titolo di merito, sia perché il "figlio di dio" s'è fatto schiavo per liberare l'umanità dall'"ira divina", conseguente a quel peccato originale che impedisce agli uomini di compiere il bene, sia perché lo schiavo, una volta resosi cristiano, ha molte più possibilità di salvezza nell'aldilà di quante ne abbia il suo padrone pagano. Ecco perché, se è vero che il cristianesimo non chiede allo schiavo di emanciparsi, se non appunto "cristianamente", chiede però al suo padrone di trattarlo umanamente e anzi di diventare "cristiano" come lui.

E' la trasformazione dello schiavo in servo, cioè in persona semi-libera, che porta a fare delle migliorie significative in ambito rurale.

Tuttavia, poiché anche il servo continua a restare un lavoratore giuridicamente sottoposto al feudatario, queste migliorie restano un nulla rispetto a quelle che si verificheranno quando, nella civiltà borghese, si sancirà l'uguaglianza giuridica (davanti alla legge) di tutti gli uomini. Quando si è tutti formalmente uguali, l'unico modo per poter sfruttare un'altra persona è quello di utilizzare qualcosa che faccia da "tramite" o da "ponte", ed è appunto la tecnologia. Non basta avere capitali o terre, bisogna anche fare investimenti sulle macchine, le quali devono riempire, in un certo senso, il vuoto che il lavoratore crea quando non sta lavorando, essendo un cittadino libero.

Finché lavora sotto padrone, resta schiavo, ma siccome è giuridicamente libero, il tempo del suo lavoro è determinato, è limitato; le macchine vengono proprio a rimpiazzare il tempo mancante, quello che il diritto sottrae al rapporto schiavile. Ecco perché si parla di "schiavitù salariata".

Poiché lo schiavo moderno è giuridicamente libero, il suo indice di sfruttamento è per così dire super-concentrato nel momento in cui resta schiavo di una macchina il cui uso deve essere massimo. Quando lavora come schiavo, l'operaio è parte integrante delle macchine, che ovviamente determinano la sua produttività. E' la macchina che gli impone un determinato tasso di rendimento, calcolato scientificamente. A parità di tassi di rendimento, per il capitalista resta più vantaggioso un rapporto di lavoro meno costoso, per cui quanto più un lavoratore si lascia schiavizzare, tante meno possibilità vi sono di trovare una transizione al capitalismo.

La tecnologia quindi è strettamente correlata al sistema produttivo. E' stato un errore colossale ritenere che nella transizione dal capitalismo al socialismo fosse sufficiente socializzare i mezzi produttivi, conservando inalterata la tecnologia della borghesia, che ha subito uno sviluppo impetuoso proprio perché la finalità era quella di sfruttare al massimo dei lavoratori giuridicamente liberi.

In realtà il socialismo può anche svilupparsi sulla base di una tecnologia di livello inferiore. La tecnologia da sviluppare, una volta realizzato politicamente il socialismo, dovrà essere in rapporto a un lavoratore non solo giuridicamente ma anche socialmente libero. Cioè dovrà essere lui stesso a decidere la tecnologia con cui lavorare.

I criteri per poter stabilire quale tecnologia usare, saranno determinati non dal profitto o dai mercati, ma dalla stessa autosussistenza e non senza trascurare le esigenze riproduttive della natura, che sono vitali per la sopravvivenza del genere umano. La tecnologia dovrà essere molto diversa da quella attuale, in quanto più facilmente realizzabile e riproducibile, utilizzabile, riparabile e reintegrabile nell'ambiente. In una parola dovrà essere eco-compatibile. L'ecologia dovrà avere la preminenza sull'economia: questa sarà solo un aspetto di quella.

Ecco, questa idea di socialismo democratico è ancora tutta da costruire.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018