LA FINE DELLA MATEMATICA

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LA FINE DELLA MATEMATICA

La regina delle scienze europee e oggi, se vogliamo, del mondo intero è indubbiamente la matematica, che in origine includeva la geometria e l'aritmetica.

Pur non essendo nata in Europa, ma in Mesopotamia e in Egitto, non senza significativi apporti da Cina, India e civiltà mesoamericane, essa ha trovato in Europa e quindi nel Nordamerica il suo compimento, obbligando l'intero genere umano ad adeguarvisi.

Grazie alla capacità di fare calcoli complessi, gli europei hanno saputo sviluppare enormemente tre scienze fondamentali per la loro esistenza: fisica, economia e astronomia.

La matematica, più la fisica, ha reso possibili l'ingegneria e l'astronomia, cioè il controllo della natura su questo pianeta e nei cieli.

La matematica, più i mercati e la produzione manifatturiera e industriale, ha creato una serie di scienze economiche e finanziarie su cui si regge l'intera civiltà capitalistica.

Oggi la matematica sembra aver trovato la sua apoteosi unificando, in un'unica scienza - l'informatica - un complesso di scienze, come la logica formale, la fisica, la chimica e la stessa ingegneria. L'informatica siamo soliti distinguerla in due grandi campi: software e hardware. Grazie al fenomeno delle reti digitali, è infine sorta la telematica, che ci fa sembrare il mondo il giardino di casa nostra.

Tutte scienze che l'Occidente ha sempre usato in maniera pacifica e violenta, per costruire rapporti sociali e per distruggerli.

Il motivo di questa schizofrenia sta soprattutto nel tipo di civiltà in cui queste scienze vengono sviluppate. Una civiltà caratterizzata da due contraddizioni fondamentali: l'antagonismo sociale che oppone in maniera irriducibile il possidente al nullatenente; la netta subordinazione della natura agli interessi di uomini abituati alla violenza.

Sulla base della matematica abbiamo sviluppato una civiltà malata, e con la matematica ci illudiamo di poterla sanare. La coscienza è stata messa sotto i piedi della scienza, nella convinzione che, così facendo, sia l'una che l'altra siano davvero oggettive, imparziali, al servizio del benessere e del progresso.

Ci hanno voluto far credere che a ogni problema vi fosse una soluzione, senza dover per forza affrontare le cause ultime della generale sofferenza. Noi pensiamo che tutto rientri in una questione meramente quantitativa, senza dover chiamare in causa alcuna qualità.

Persino chi dice di voler difendere i lavoratori, non fa che pretendere un diritto astratto al lavoro, un diritto al lavoro in sé, a prescindere dal suo impatto sulla natura. Il socialismo riformista chiede di ridistribuire il reddito, senza chiedersi se il tipo di rapporto di lavoro che lo produce abbia un senso.

Siamo schiacciati dai ricatti della quantità. Continuamente ci dicono che i conti devono tornare (loro che non li sanno fare), che i debiti vanno pagati (loro che li hanno accumulati), che le variazioni alle richieste di sacrifici possono essere fatte solo a saldi invariati (loro che sono privilegiati e che vivono di rendita).

Ci terrorizzano quando perdiamo punti percentuali del prodotto interno lordo, che è però un indice meramente quantitativo, non in grado di dire alcunché sull'effettiva qualità della vita.

Come i pitagorici abbiamo ridotto l'essere al numero e ci siamo lasciati trasformare da persone pensanti a produttori automatizzati, a consumatori di beni, e per questi beni siamo addirittura disposti a trasformare la nostra esistenza in un mero contenitore di oggetti, in virtù dei quali dovremmo sentirci migliori o più moderni.

La pubblicità ci fa desiderare cose che, per essere, non ci servono a nulla: servono solo per apparire e per arricchire chi produce quelle cose e chi le rivende, come se il valore d'uso di un qualunque oggetto fosse solo il suo valore di scambio, cioè il suo prezzo di mercato: tutti numeri che intaccano la nostra esigenza d'essere umani e naturali.

Contro questa vita insensata noi dovremmo fare resistenza, come l'hanno fatta i nostri padri nei confronti delle dittature politiche. Dobbiamo convincerci che la dittatura può essere più subdola di quella del passato, più economica che politica, più parlamentare che militare. E' la dittatura della democrazia borghese che dobbiamo superare.

Dobbiamo spegnere i televisori, i cellulari e i computer mandando in tilt il sistema. Non dobbiamo aspettare di vederlo saltare quando non avremo più energia da usare: dovremmo farlo saltare subito usandone troppo poca, giusto per disabituarli a credere che il mondo giri intorno a loro.

E l'energia che avremo tolto al sistema, la useremo per tornare a vederci di persona, chiedendoci cosa possiamo fare, lì dove siamo, per uscire definitivamente da questo incubo, da questo sogno pazzesco che, come nei miraggi, ci fa vedere l'acqua là dove c'è solo sabbia.

ABOLIAMO LO ZERO E RELATIVIZZIAMO L'UNO

In matematica lo zero andrebbe abolito, poiché non è un numero, ma un concetto filosofico o metafisico, equivalente al nulla o al vuoto. Non si possono fare delle operazioni di calcolo matematico usando qualcosa che non esiste. Siamo stati senza lo zero per milioni di anni: non si capisce perché non si possa più tornare indietro. Sarebbe sufficiente chiedersi se tutti questi numeri sono davvero necessari per la nostra esistenza. È forse "umano" il nostro attuale stile di vita? È sensato pensare, grazie ai calcoli, di andare su Marte quando sul nostro pianeta non riusciamo a risolvere neanche problemi elementari come la fame e la sete?

Quanto all'uno, se c'è un numero virtuale e assolutamente relativo, è proprio questo. L'uno non è in grado di rispecchiare adeguatamente alcuna realtà. Se io dico "un lampadario", devo metterlo in rapporto a un soffitto per poterlo contestualizzare e comprendere, altrimenti non mi dice nulla; invece è sufficiente che dica "due lampadari" per capire che la stanza che li contiene è più grande delle solite. Una rotaia fa venire in mente un'altra rotaia, poiché insieme fanno un binario, ma anche nel caso in cui ve ne fosse solo una, la assoceremmo immediatamente a un treno o a un mezzo di trasporto. Questo per dire che là dove c'è l'uno, c'è anche il due che lo spiega, che gli dà un senso. E ogni volta che s'incontrano due cose, è del tutto naturale vederle come coppie organiche, interdipendenti, e non come elementi singoli che vanno sommati.

I numeri dispari, in tal senso, dovrebbero essere considerati tutti relativi: il tre, p. es., è un po' più del due è un po' meno del quattro. Non ha alcun senso contare le cose utilizzando l'uno, quando si può farlo molto più velocemente col due. E non si dica che saremmo ancora più veloci usando il tre, poiché non c'è nessuno che considera naturale contare le cose usando il tre.

In origine c'è il due, cioè un elemento doppio o sdoppiato o duale, o comunque composto di elementi complementari e opposti, che si attraggono e si respingono. Persino nella particella più piccola, l'atomo, si trovano elementi opposti come l'elettrone e il positrone. L'uno non esiste, se non in maniera relativa, convenzionale, in rapporto ad altro. È giustissimo il titolo del libro La solitudine dei numeri primi. Nessuno nasce solo, nessuno vive solo, nessuno muore solo: anche se ci fosse una sola persona attorno a noi, saremmo già in due.

E poi i numeri, in astratto, non hanno alcun significato vitale. Si può vivere anche senza numeri. Si può contare usando il metodo dell'analogia: poco, abbastanza, molto, moltissimo potremmo equipararli a qualcosa di reale, senza star lì a definire le quantità in maniera precisa, cioè matematica. E quando manca un riferimento alla realtà, dovremmo soltanto dire "niente", che è sempre qualcosa in rapporto a qualcos'altro, poiché se l'uno è un numero relativo, lo zero in sé è un numero inesistente.

È incredibile, in tal senso, che si sia riusciti a creare una realtà del tutto artificiale, priva di rapporti umani con la vita, quale quella informatica, usando soltanto lo zero e l'uno, cioè il linguaggio binario. È indicativo però il fatto che abbiamo avuto bisogno di una coppia di numeri, per quanto in sé privi di senso, per far nascere questa gigantesca scienza virtuale, in grado di creare potentissime illusioni. Al limite avremmo anche potuto usare un unico numero, facendogli assumere posizioni differenti: in piedi, sdraiato, obliquo o inclinato di 30, 60, 90 gradi. ecc. Non abbiamo forse creato l'alfabeto Morse usando soltanto un punto e una linea? E la comunicazione non era lo stesso perfetta, pur senza l'uso dei numeri?

Dovrebbe essere l'esperienza a spiegarci la differenza tra "poca pasta" e "molta pasta". Nella vita quotidiana lo facciamo tranquillamente, senza stare a usare ogni volta la bilancia. Non abbiamo bisogno di metterci su una bilancia per vedere che stiamo ingrassando: ce lo dice chi ci guarda, se proprio non riusciamo a capirlo da soli.

L'uomo ha inventato i numeri per un difetto di esperienza, per il venir meno del senso di appartenenza a un collettivo: in una parola, perché si sentiva solo e aveva bisogno di darsi delle certezze, le quali però, quando si è soli, sono sempre fittizie. È inutile considerarsi "unici e irripetibili": siamo comunque figli di una coppia. L'uno è un numero che non può sussistere da solo e, se lo pretende, porta alla follia.

Non a caso Pitagora, fanatico dei numeri, conduceva una vita da alienato, tra il misticismo e l'esoterismo. Era così ideologico nei confronti dei numeri che arrivò a odiare tutti i numeri pari, senza rendersi conto che sono proprio questi numeri a indicare armonia, equilibrio. Invece per lui indicavano soltanto una insopportabile divisibilità all'infinito. Era così abbacinato dall'idea di perfezione che non sopportava neppure i numeri strani, quelli frazionari, negativi, irrazionali... Andò letteralmente in crisi quando scoprì quello straordinario numero chiamato "pi greco". Chiedeva ai numeri, e solo a quelli dispari, di dargli quelle sicurezze che non aveva potuto ottenere dalla vita, e quando non riusciva ad accontentarsi dei numeri, andava a cercare una consolazione nella religione, in quell'orfismo che considera l'anima pura prigioniera di un corpo impuro, il quale rischia sempre di reincarnarsi se non si purifica a dovere. Non è curioso che Pitagora avesse abbracciato una religione del genere, con cui non è mai stato capace di purificarsi dall'idea di fare del numero il suo idolo da adorare?

Insomma i numeri non solo discendono da una coppia, ma sono infiniti anche per insegnarci che non possiamo usarli per fare dei calcoli precisi. Quando c'è di mezzo l'infinito e quindi l'indefinito, l'indicibile, dobbiamo essere approssimativi, poiché è proprio l'infinità che meglio ci caratterizza e noi non possiamo mai dire - per il nostro stesso bene - di conoscerci perfettamente.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018