Lo spirito della materia è la coscienza

TEORIA
Etica Filosofia Antropologia Pedagogia Psicologia Sociologia Ecologia Logica Ateismo...


LO SPIRITO DELLA MATERIA E' LA COSCIENZA

E' assurdo negare l'esistenza dell'anima per timore di dover ammettere l'esistenza di un dio. I materialisti non possono lasciarsi condizionare dalla terminologia dei credenti. Infatti, se si accetta l'idea della materia increata, non si vede perché da questa materia debba essere escluso l'essere umano. Se siamo parte di una materia eterna, in perenne trasformazione, allora noi non siamo mai nati e mai moriremo. L'essenza umana è eterna e infinita non meno dell'essenza materiale. All'origine della materia non vi è alcun dio, ma la materia stessa, che si è autogenerata, e di essa l'essenza umana è parte organica.

Non esiste alcuno "spirito" o "divinità" antecedente alla materia, come non esiste una coscienza separata dal corpo. La fine del corpo è la fine della coscienza in quel corpo. Chiedersi quale forma possa assumere il nostro corpo dopo la sua fine, è una domanda senza senso, perché o la risposta si presume già di conoscerla, oppure non si è "materialmente" in grado di rispondervi.

Detto questo, la stessa parola "morte" acquista semplicemente il significato di "trasformazione". Essendo destinati a vivere in eterno, la morte è semplicemente il passaggio da una condizione di vita a un'altra. Una materia eterna e infinita ha infinite forme di esistenza, come infinite sono le forme della coscienza umana. La coscienza non è altro che la forma più spirituale della materia. Le leggi della coscienza sono le stesse della materia, in forma immateriale.

Non si può usare il concetto di materia per negare quello di essenza umana universale, solo perché si teme di fare il gioco dei clericali col loro concetto di dio. L'unico dio dell'universo è l'uomo, diviso in maschio e femmina: non esistono entità esterne all'uomo se non appunto la materia, di cui però l'uomo è parte organica, strutturale.

Il che vuol dire che va rivisto anche il concetto di "evoluzione". Il fatto che il genere umano abbia preso forma sulla Terra, non sta a significare che, come "essenza", non fosse già presente nell'universo. Tutte le immaginifiche costruzioni di idee divine dipendono proprio dalla dimenticanza di questo presupposto. Quando nel Genesi si parla di "creazione umana", la si deve intendere come "terrena", ma il fatto che si aggiunga l'espressione "a immagine e somiglianza della divinità" lascia capire che tra umanità e divinità non vi sia alcuna differenza, tant'è che l'autore di quel racconto poetico s'immaginava un dio che camminava nell'eden insieme ai nostri progenitori, cioè come una sorta di "capo tribù" dedito all'agricoltura (2,8ss; 3,8).

Anche Gesù Cristo, nel vangelo di Giovanni, si meraviglia che gli ebrei siano finiti col considerare dio un'entità esterna e obietta loro che gli stessi uomini sono divinità (10,34ss). Infatti non ci può essere vera identità umana finché la si considera in tutto dipendente da una divinità (cosa che avevano già capito i filosofi greci della natura cinque secoli prima). Questo è il principio fondamentale di qualunque ateismo.

Se noi ci pensassimo come "eterni" e non come "creati", non avremmo bisogno di credere in un'entità assoluta a noi esterna. Se esistesse un'entità del genere, la nostra libertà sarebbe eternamente condizionata. Non che essa non lo sia o che non debba esserlo, ma può esserlo solo dalle leggi che la costituiscono, che sono appunto quelle della materia, che da sempre coesiste con l'essenza umana.

Se l'uomo è "creato" non è libero sino in fondo. Noi possiamo essere "creati" solo nell'ambito della Terra e in una condizione materiale specifica, ma non lo siamo certo come "essenza umana". Lo dimostra il fatto che non esiste alcuna garanzia che i figli diventino come i padri. L'essenza umana va ben al di là della trasmissione genetica e persino di quella culturale. Ogni essere umano è assolutamente un unicum irriducibile e irripetibile.

I LIMITI UMANI E NATURALI

Apparentemente sembra assurdo sostenere che la materia sia pensante, poiché l'unica vera prova che lo sia è data dall'uomo, il cui giudizio, che implica poi determinati comportamenti, potrebbe essere considerato molto soggettivo o relativo.

In natura infatti tutti si comportano sulla base di leggi da cui non si può prescindere. Queste leggi vengono vissute in due maniere: secondo l'istinto e secondo ragione, e questa implica la libertà di coscienza. Nel senso che l'essere umano è l'unica specie vivente che è libera di violare le leggi della natura, pagandone poi il relativo prezzo, proprio perché non è possibile andare oltre un certo livello di violazione.

Ora, è evidente che animali e piante vivono solo d'istinto, anche se dispongono della possibilità di utilizzare un certo margine di adattamento all'ambiente, per cui gli istinti possono anche parzialmente mutare. Sicuramente un animale selvatico, se viene addomesticato, perde una parte dei propri istinti naturali e ne acquisisce altri di tipo indotto. A maggior ragione questo vale per le piante.

Ci si chiede: l'uomo è forse libero d'indurre o di costringere animali e piante a vivere in maniera difforme dai propri comportamenti naturali? Diciamo che se non lo facesse sarebbe meglio, poiché, addomesticando piante e animali, si corre più facilmente il rischio di violare delle leggi di natura. Un animale bisognerebbe sempre lasciarlo libero di tornare selvatico, o comunque non bisognerebbe mai metterlo in condizioni da dover considerare l'uomo il suo peggior nemico.

Quanto più la natura viene salvaguardata, tante meno possibilità ci sono di violarne le leggi. Il fatto che l'uomo sia dotato di ragione, libertà e coscienza, di per sé non garantisce una sua sicura sopravvivenza nei millenni futuri. I dinosauri sono durati 160-180 milioni di anni: non è detto che l'uomo, abituato a distruggere se stesso e l'ambiente (come ha fatto, con molta sistematicità, negli ultimi seimila anni), riuscirà a far di meglio.

L'uomo è l'espressione della materia cosciente di sé, ma può esserlo solo a condizione di rispettarne le leggi, altrimenti diventa solo un fardello insopportabile. Se non esistesse l'uomo "civilizzato", all'animale sarebbe facilissimo rispettare le leggi della natura. Invece, a causa di un uso sbagliato della libertà, tutto diventa incredibilmente difficile, e non solo per la specie umana, ma anche per tutte le specie della terra.

Il fatto di essere autoconsapevoli, di per sé non offre garanzie di nulla. Non dimentichiamo che negli ultimi 500 anni l'uomo ha potuto rinviare la soluzione definitiva dei suoi conflitti sociali soltanto a motivo della scoperta di una grande estensione di territorio che, sul piano dello sfruttamento delle risorse, era ancora vergine, essendo stato abitato da popolazioni indigene (da noi sterminate o sottomesse) che coltivavano un certo rispetto per la natura.

L'uomo non può aggiungere alla materia ciò che essa non ha; anzi, in genere, quando la trasforma, la priva sempre di qualcosa, al punto che se questa sottrazione supera un certo livello di guardia, la natura non è più in grado di riprodursi e inevitabilmente si desertificata. Per noi è diventato del tutto naturale produrre strumenti che lavorino per noi e non ci rendiamo conto che un atteggiamento del genere è quanto di più innaturale vi sia, tant'è che ha conseguenze molto nocive sull'ambiente.

L'uomo è solo l'espressione dell'autoconsapevolezza della natura, la quale ha proprie leggi indipendenti, di cui la principale, che include tutte le altre, è quella della perenne trasformazione delle cose, sulla base degli opposti che si attraggono per completarsi e si respingono per tutelarsi nella reciproca diversità. L'esigenza riproduttiva della materia, che appartiene alla legge della perenne trasformazione, è superiore all'esigenza produttiva dell'essere umano.

Noi non possiamo esercitare la nostra libertà al di fuori dei limiti che le permettono d'essere libera. Questo principio dovrebbe valere per qualunque cosa. Esistono sempre dei limiti di tollerabilità al di là dei quali una cosa non è più la stessa, incluso l'essere umano. Il fatto che dobbiamo continuamente dircelo, tramite leggi e regolamenti, sta appunto a indicare che noi non abbiamo più coscienza, in maniera naturale, dell'esistenza di questi limiti.

Abbiamo talmente sostituito l'artificiale col naturale che ci rendiamo conto d'aver oltrepassato i limiti solo dopo averlo fatto. In questa maniera gli svantaggi che otteniamo da un uso sbagliato della libertà sono infinitamente superiori ai vantaggi che potremmo avere da un uso conforme a natura.

IL PRIMATO DELLA LIBERTA' DI COSCIENZA

Noi non ci rendiamo ben conto di una cosa molto semplice: l'essere umano è un genere, una specie molto particolare non solo sul nostro pianeta, ma nell'intero universo. Abbiamo un passato che, se anche mentalmente non possiamo ricordare nella sua integrità, ce lo portiamo dentro, nell'inconscio, o comunque abbiamo dentro di noi tutte le condizioni per affrontare il futuro che ci attende in assoluta sicurezza.

Siamo tutti figli di un unico ventre, che è l'universo. Siamo fatti di una materia eterna, infinita, che ci costituisce completamente, persino nei nostri aspetti più emotivi e spirituali. Non c'è differenza sostanziale tra essenza materiale e umana, se non nel fatto che noi siamo materia cosciente di sé.

Lo diciamo con sicurezza, mettendoci a confronto con gli animali, che vivono d'istinto, secondo medesime leggi naturali, con la differenza che noi possiamo percepire leggi molto più complesse di quelle p. es. della riproduzione, che implica la difesa della prole e di un certo spazio territoriale, o della consapevolezza della propria fine e altre ancora, la cui percezione è piuttosto elementare.

La psicologia è piena di leggi totalmente sconosciute al mondo animale: una di queste ci ha messo in grado di agire liberamente, per cui noi siamo la materia consapevole della propria libertà. Anche gli animali in verità hanno un senso della libertà, altrimenti non diventerebbero stressati o apatici quando gli umani gliela negano. C'è sempre una significativa differenza tra animale selvatico e addomesticato. Ma certamente non hanno la libertà di coscienza.

Siamo consapevoli, come individui, di appartenere a un genere che, a sua volta, è parte organica di un universo, che è composto di materia vivente e pensante. Se la materia fosse solo viva, creerebbe situazioni tra loro inconciliabili: sarebbe puro caos. Invece è anche pensante, avendo delle leggi da far valere, come p. es. quella della gravitazione universale o quella della velocità della luce o quella dell'attrazione-repulsione degli opposti o quella della scissione simmetrica delle cellule fecondate, o quella della perenne trasformazione della materia, ecc. Se non ci fossero delle leggi da rispettare, probabilmente non esisterebbe neanche la vita o almeno non esisterebbe una sua costante riproduzione.

Se oggi individualmente ci piacciono p. es. gli animali preistorici e non possiamo vederli da vicino; se ci piace esplorare le profondità degli spazi cosmici, senza però poterli vedere da vicino, significa che come "genere" abbiamo già potuto farlo o sappiamo potenzialmente di poterlo fare, nel senso che o ci è rimasto il ricordo nell'inconscio, oppure percepiamo che il desiderio potrebbe realizzarsi, se solo venissero modificate le coordinate di spazio e tempo: cosa che sappiamo possibile nell'universo.

In caso contrario ci comporteremmo come gli animali, cioè saremmo del tutto indifferenti a cose che riguardano passati remoti o futuri anteriori. Gli animali vivono solo nel presente, anche se si trasmettono inconsapevolmente delle informazioni utili alla sopravvivenza sin dalla notte dei tempi. Ecco perché non pensano neanche per un momento di poter sfidare le leggi della natura, come invece piace a noi, salvo poi pentirci d'averlo fatto.

Noi siamo parte integrante dell'universo, non siamo soltanto gli abitanti di un pianeta. Questo vuol dire che la nostra origine è eterna, e quindi come essenza umana universale noi abbiamo già visto da vicino gli animali preistorici e abbiamo già sondato le profondità cosmiche, o comunque sappiamo che, poste determinate condizioni, potremmo farlo. Sono facoltà che abbiamo dentro di noi, che abbiamo già vissuto in qualche forma e modo prima ancora di mettere piede sulla terra.

Il fatto di voler rivivere queste stesse esperienze in maniera consapevole e di non poterlo fare su questo pianeta ci induce a comportamenti superficiali. Infatti noi pensiamo che sia un limite e spendiamo enormi risorse intellettuali e materiali per cercare di superarlo, senza renderci conto che il genere umano sta vivendo sulla terra una fase della propria esistenza universale, basata su determinate condizioni spazio-temporali da cui non può e non deve prescindere. Sono proprio questi limiti che ci rendono liberi, per cui qualunque riflessione astratta che non voglia tener conto della loro importanza, va vista con sospetto.

Noi siamo in evoluzione, in movimento, nel senso che si sta sviluppando in noi la consapevolezza delle cose. Purtroppo in questi ultimi seimila anni abbiamo perso un'enorme quantità di tempo. In questo lungo periodo infatti non vi è stata alcuna evoluzione, ma semmai un'involuzione, a causa della nascita di formazioni sociali individualistiche o autoritarie (schiavismo, servaggio, capitalismo, statalismo...). Tutte esperienze negative che hanno impedito alla coscienza di evolvere, di approfondire se stessa. L'unica evoluzione, per così dire, è consistita in quei tentativi di opporsi all'antagonismo sociale al fine di ripristinare l'identità originaria, che non era affatto divisa.

Ciò che dovrebbe svilupparsi è quindi solo la coscienza: in tal senso non ci è di alcun aiuto la scienza e la tecnologia. Dobbiamo concentrarci sugli esseri umani: dobbiamo farli sviluppare nella loro umanità. Dobbiamo essere più socratici e meno filosofi della natura. Dobbiamo uscire dal sistema che ci impedisce di essere noi stessi.

Siamo su questa terra per prendere consapevolezza che tra noi e l'universo non c'è alcuna differenza sostanziale è che non c'è alcuna entità esterna oltre a noi. Una qualunque entità esterna, che avesse più poteri di noi, ci impedirebbe di essere liberi.

La materia esiste da sempre e noi con essa. Propriamente parlando noi non siamo mai nati e mai finiremo. La responsabilità che dobbiamo assumere su questa terra è proprio quella di affermare l'umanità che è in noi, cioè l'essere in sé e per sé. E questo non è assolutamente possibile là dove regna l'antagonismo sociale. Noi non dobbiamo eliminare le contraddizioni, essendo queste il motore della storia, ma quanto impedisce loro di evolvere verso forme superiori di consapevolezza e di umanizzazione.

MATERIA E MATERIALISMO

Lenin non amava la parola "simbolo", preferiva le parole "immagine", "figura", "riflesso". Per timore che in virtù di quella parola si facessero concessioni al clericalismo, ha finito con l'assumere una posizione forzatamente illuministica o positivistica, senza rendersi conto che i simboli servono a rappresentare un modo diverso di accedere a medesime verità obiettive.

Il suo principale testo di riferimento era l'Antidhüring di Engels, il quale diceva che i principi non vengono creati dal cervello né dedotti da esso, ma vengono "astratti" dalla natura e dalla storia dell'uomo. I principi sono "giusti" se si "accordano" o "conformano" alla natura e alla storia dell'uomo.

Una frase di questo genere - a ben guardare - sembra non avere alcun significato, poiché, in virtù di essa, si può arrivare a sostenere qualunque cosa. Per Engels e Lenin il "contenuto sensibile" è la realtà obiettiva, esistente indipendentemente da noi; dunque l'oggettività è data non dagli uomini, bensì dalla materia (?), ovvero dalla natura (?), come se uomo e materia fossero due cose molto diverse.

Che cosa vuol dire realtà esterna? Dire che l'obiettività è data dalla materia, in sé non ha alcun senso, poiché la materia va sempre interpretata, e alla fine la sua oggettività viene decisa dagli uomini, i quali certamente possono anche sbagliare, ma non lo faranno in eterno, per quanto, in tal senso, l'esperienza collettiva non dia di per sé maggiori garanzie di quella individuale. Nelle dittature infatti i collettivi sono anche più irrazionali dei singoli individui, che senza dubbio in sé sono un'astrazione: nessuno nasce Robinson.

L'irrazionalità viene individuata o compresa soltanto quando esiste qualcosa che le si oppone. Il problema, a questo punto, è che noi scopriamo l'obiettività delle cose solo a posteriori, dopo aver sperimentato il peggio di certe scelte negative.

Noi dovremmo piuttosto chiederci come vivere l'obiettività a priori, onde evitare scelte irrazionali. L'unico modo per ottenere questa obiettività - che era quello degli uomini antecedenti alla nascita delle civiltà - è di vivere in maniera conforme a natura, secondo i ritmi della natura, rispettandone le esigenze riproduttive, che sono quelle che ci permettono di esistere.

Il rispetto rigoroso dell'identità della natura comporta l'accumulo di un sapere che va poi trasmesso alle generazioni successive. Ecco perché diciamo che l'obiettività non viene garantita solo dalle leggi della natura, ma anche dal sapere che le assimila e le trasmette (un sapere che può essere anche "simbolico").

L'assimilazione deve essere diretta, cioè a diretto contatto con la natura, e la trasmissione non può che essere immediata, sensibile, esperienziale, orale e magari anche "simbolica". Di sicuro in tutto ciò la scrittura non serve a nulla. Noi scriviamo soltanto "su" qualcosa (l'obiettività della verità), proprio perché non abbiamo alcun vero contatto con la natura, che è l'unica in grado di renderci obiettivi.

La verità non la si scopre sui libri, né in maniera individuale e neppure in maniera collettiva, ma in un'esperienza diretta della natura, che ovviamente non può essere vissuta dal singolo individuo in sé e per sé. Tutto quanto viene usato in maniera surrogata o sostitutiva a tale esperienza, andrebbe abolito o considerato molto pericoloso, come se fosse una sorta di contaminazione.

Se non riusciamo a capire l'importanza di queste cose, ora che viviamo in una situazione mondiale relativamente pacifica, non le capiremmo di certo in una situazione bellica. Ma è non meno certo che ad ogni ritardo accumulato, diventerà sempre più difficile trovare l'obiettività delle cose. Si arriverà a un punto tale in cui la distinzione tra bene e male diverrà del tutto impossibile.

Dobbiamo metterci in testa che qualunque progresso scientifico, la cui realizzazione tecnologica voglia imporsi per i propri automatismi e dipendere sempre meno da decisioni umane, va considerato un regresso, anche quando pensiamo di sostituire una tecnologia, ritenuta obsoleta, con un'altra. Le macchine elettriche o a idrogeno, con cui vogliamo sostituire quelle a benzina, non sono riciclabili dalla natura. Neppure i pannelli solari o le pale eoliche lo sono. Non c'è nulla di riciclabile dalla natura se non quelle cose che essa stessa mette a disposizione.

Per capire un concetto di questo genere, noi dobbiamo immaginarci di vivere in un contesto molto piccolo, praticando l'autoconsumo. Se non ci abituiamo a costruire piccole comunità autosufficienti sul piano economico e in grado di autogestirsi sotto ogni punto di vista, noi soccomberemo sotto il peso delle nostre contraddizioni, che ci appariranno sempre più irrisolvibili. Il peggio che ci aspetta non riguarda soltanto i disastri ambientali, ma anche economici, come p. es. l'impossibilità di pagare i debiti accumulati dagli Stati.

PRODUZIONE E RIPRODUZIONE

Il materialismo storico-dialettico sostiene che la materia è il dato primordiale, mentre la coscienza è il dato secondario. Lo dice in senso cronologico.

In realtà sarebbe stato meglio sostenere, in senso ontologico, che la materia è cosciente da sempre, anche se la coscienza ci appare storicamente in via di sviluppo. Questo perché non esiste un vero e proprio "sviluppo della coscienza". Anzi, da circa seimila anni, con la nascita delle civiltà, abbiamo assistito a una involuzione della coscienza.

La coscienza rappresenta uno "sviluppo" solo quando cerca di recuperare la propria identità originaria, e questo avviene sempre con molta fatica, con grandi traumi, con passi in avanti e indietro, proprio perché non siamo più abituati a vivere "secondo natura".

La coscienza più sviluppata è stata quella che, come esperienza collettiva, viveva conformemente alle esigenze della natura, cioè è stata quella che avvertiva la natura al di fuori e, nel contempo, dentro di sé.

Oggi la natura viene percepita come un elemento soltanto al di fuori di noi, che noi possiamo e anzi dobbiamo "dominare", se vogliamo sopravvivere. Al massimo la percepiamo come un elemento in cui rifugiarsi transitoriamente, per sopportare meglio l'alienazione delle città e del macchinismo; ma questa forma di evasione (così tipica quando non si lavora) è solo una forma d'illusione.

Nessun collettivo dovrebbe mai sovrapporre, facendole prevalere, le proprie esigenze produttive e riproduttive a quelle della natura. L'unico modo per essere conformi a natura è quello di chiedersi, ogni volta che si compie un'azione, se i suoi effetti potranno ostacolare o ritardare o addirittura impedire i processi autoriproduttivi della natura.

La riproduzione, in natura, e quindi anche nell'uomo, è più importante della produzione umana, proprio perché una qualunque produzione, senza riproduzione, non vale nulla, non viene trasmessa alla specie, cioè finisce con la morte del produttore.

Se i processi autoriproduttivi della natura vengono ostacolati o ritardati o impediti, i nostri processi produttivi non garantiranno nulla, scientificamente non varranno nulla, risulteranno anzi ecologici, pericolosi non solo per l'ambiente, ma anche per noi stessi. L'unica cosa o azione che possa aspirare a durare in eterno è quella che permette alla natura di riprodursi agevolmente. E se la natura può farlo, potremmo farlo anche noi, che dipendiamo totalmente da essa.

SENSAZIONE E FORZA INTERIORE

Scrive Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo (ed. Lotta comunista, Milano 2004): "La sensazione è una delle proprietà della materia in movimento" (p. 59), "è il legame diretto della coscienza col mondo esterno" (p. 63), "è la trasformazione dell'energia dello stimolo esterno in un fatto della coscienza" (p. 63).

E' vero, infatti si dice: "ho la sensazione che qualcosa non vada per il verso giusto". Si ha una "sensazione" indeterminata e non proprio una consapevolezza certa. La sensazione è epidermica.

Una cosa comunque è dire che l'uomo senza la natura è un controsenso; un'altra che la sua sensazione possa provenire solo dall'esterno, come se l'uomo, in ultima istanza, fosse qualcosa di radicalmente diverso dalla natura. In realtà l'essere umano rappresenta la coscienza esplicita di una materia che ha già in sé tutte le caratteristiche per diventare autocosciente.

La materia non è divenuta "cosciente" nell'uomo: lo era già; nell'uomo semplicemente s'è resa manifesta. La coscienza umana è coscienza di una materia che aveva già in sé i fattori della propria autoconsapevolezza. Se si sostiene che la materia è del tutto indipendente dall'uomo, si finisce involontariamente, contro le proprie intenzioni, col favorire l'idea ch'essa possa essere stata creata da un'entità esterna sia alla materia che all'uomo. Si finisce cioè col fare della metafisica: una materia troppo indipendente può essere stata "creata" da qualcuno che ha poi creato l'uomo.

Se infatti si sostiene che la materia non è mai stata creata, essendo eterna, si entra inevitabilmente in contraddizione quando si vuole considerare l'aspetto più elevato di tale materia, cioè la coscienza, come un suo prodotto derivato, sorto in un dato momento. Invece, se vogliamo dare per scontato che non esiste alcuna "entità esterna" alla materia e all'uomo, bisogna che questi due elementi coincidano, nel senso che l'uomo, proprio come la materia, è increato, è parte organica della materia da sempre.

Non ha alcun senso far vedere che il prodotto più alto della materia, la coscienza umana, non è destinata ad alcuna eternità, non ha le specifiche eterne e universali della materia. Come essenza umana, l'uomo in realtà non è mai nato, è sempre esistito. La coscienza umana non è altro che coscienza della materia, eterna e universale come la materia stessa, nel senso che tale coscienza non è nata con la nascita dell'uomo, ma nell'uomo si è semplicemente manifestata, essendo in realtà increata.

I credenti ritengono che esista un dio increato che ha creato tutto; gli atei devono sostenere che la natura e l'uomo sono entrambi eterni e tutto l'universo dipende da loro, ha senso solo per loro, non essendoci nulla al di fuori di loro.

L'uomo non può essere il prodotto di un processo evolutivo, ma anzi è alla fonte di tale processo, al pari della materia. Come la materia non è un prodotto dell'uomo, così l'uomo non è un mero prodotto della materia, proprio perché l'uomo è un unicum, è l'unica vera autoconsapevolezza della materia.

Se in questi ultimi seimila anni non avessimo perso tempo nel cercare di sviluppare una coscienza in maniera individualistica e quindi innaturale (una maniera che fa soltanto regredire il livello di consapevolezza), noi a quest'ora saremmo già in grado di uscire dal nostro pianeta e di abitare altri pianeti.

Ci siamo infatti illusi che lo sviluppo della coscienza potesse avvenire soprattutto in base alla scienza e alla tecnica. Invece la coscienza può svilupparsi con strumenti tutti interni a se stessa. Quello che può fare l'uomo, con la sua forza interiore, era già noto prima della nascita delle civiltà; con la nascita di queste civiltà abbiamo sperimentato quella medesima forza in maniera parziale, individuale, tecnologica, spesso in forme alienate, tipiche p. es. di quelli che dicono di vedere cose che non esistono.

In queste civiltà antagonistiche la forza interiore, quando ha voluto concentrarsi su di sé e non al di fuori di sé, cioè quando ha scelto l'interiorità emotiva, spirituale e non lo studio scientifico e la realizzazione tecnica, s'è trasformata in allucinazioni e fissazioni, in disturbi mentali o psicologici: ci siamo fatti venire le stigmate, le trafitture, le fustigazioni, abbiamo visto santi e madonne e di ogni cosa abbiamo creato una sorta di religione, dedicandovi il nostro tempo con grande fanatismo.

Ci svuotiamo per riempirci di cose inutili o banali o addirittura nocive alla vera forza interiore. Viviamo in uno stato di perenne agitazione e allucinazione, come fossimo drogati in continua crisi di astinenza, soltanto per mostrare che siamo diversi o migliori. Abbiamo ingenuamente creduto che il mistico o il visionario (che non è solo una persona di fede, ma chiunque investa la propria "fede" in un'esperienza ritenuta sovrannaturale) fosse moralmente irreprensibile, fosse un prescelto da parte della divinità o del destino. In realtà queste forme espressive della forza interiore sono tutte caratterizzate da un'alienazione più o meno forte.

La vera forza interiore (o dynamis) è la consapevolezza olistica di appartenere a un tutto organico, che non potrebbe farci nulla di male. L'unica negatività esistente nell'universo è quella stessa che l'uomo pone usando male la propria libertà. Il peggior nemico dell'uomo è l'uomo stesso. In sé la natura non è mai nemica di se stessa, ma lo può diventare quando è consapevole della propria libertà, cioè quando si esprime in forma umana.

La materia ha le sue proprie leggi universali. L'uomo invece, con la propria libertà, può illudersi di poterle infrangere senza dover pagare alcun prezzo. Ecco, forse siamo giunti oggi alla consapevolezza (o comunque, prima o poi, dovremmo arrivarci) che il prezzo da pagare è diventato troppo alto e che è ora di fermarsi e di tornare indietro. Dobbiamo sostituire parole fondamentali come "crescita" con "decrescita", sviluppo con "inviluppo"...

*

Tutto quello che c'è di vero in una dimensione terrena, non può essere falso nell'universo. La terra appartiene all'universo, è un suo prodotto. E se sulla terra esiste una cosa vera, certamente questa è la libertà, cioè il fatto che nessuno può essere obbligato né al bene né al male.

L'unica possibile differenza tra l'esistenza terrena e quella universale è che quando sulla terra si afferma una libertà al negativo, le conseguenze vengono fatte pagare ad altri. Sulla terra chi sbaglia vuole imporsi con la forza, togliendo agli altri la possibilità di scelta.

Ecco, in tal senso l'universo deve porre le condizioni del ripristino della libertà di scelta. Se uno vuol vivere l'inferno, deve poterlo vivere da solo, senza obbligare nessuno a imitarlo, senza neppure sentirsi obbligato a viverlo, quasi fosse una condanna eterna.

Questa cosa dovremmo cercare di realizzarla anche sulla terra: nessuno deve essere costretto a fare cose contro la propria volontà. Ognuno va lasciato libero di credere o di non credere in una determinata proposta di vita. E non è certamente possibile realizzare questa cosa là dove i mezzi produttivi sono concentrati nelle mani di poche persone, ovvero là dove le leve del potere vengono usate solo dai "rappresentanti del popolo", ma non dal popolo stesso.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018