ODIARE FA MALE

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ODIARE FA MALE

Che cos'è l'ideologia? Non è semplicemente una filosofia o una concezione di vita, una Weltanschauung, perché, in genere i filosofi non arrivano, in nome di un'idea, a compiere crimini efferati. E' vero che con le loro idee possono a volte agevolare, anche senza volerlo, dei regimi dittatoriali, ma è raro vederli passare dalla filosofia alla politica per necessità di una maggiore coerenza. In genere, quando lo fanno, non sono mai dei buoni politici, perché non sono abituati a confrontarsi con persone che la pensano assai diversamente da loro. I filosofi hanno gli studenti come target di riferimento, i quali, ovviamente, hanno tutto da imparare. Un grande filosofo della Grecia classica, Platone, non riuscì mai a diventare un buon politico, pur avendolo fortemente desiderato.

Quando un filosofo vede che, quasi in nome delle sue idee, si compiono orrendi crimini, generalmente tende a pentirsi: Nietzsche l'avrebbe sicuramente fatto se avesse potuto campare abbastanza per vedere la nascita del nazismo. Lo stesso Heidegger, sebbene il nazismo non fosse nato dalle sue idee, si pentì d'averlo sostenuto, così come Croce con Mussolini.

Quindi l'ideologia non è esattamente una filosofia di vita, anche perché, in genere, i filosofi provengono dai ceti benestanti, sono idealisti (nel senso che non vedono i problemi reali, quotidiani), e anche tendenzialmente individualisti, in quanto non amano la disciplina di partito, e vogliono salvaguardare una certa coerenza tra le loro teorie e la loro pratica, mentre l'incoerenza, in campo politico, è, come noto, solo una forma del confronto dialettico, quasi un valore.

Che cos'è dunque l'ideologia? Marx la definiva una falsa rappresentazione della realtà. E in quel termine lui includeva tutti, dai filosofi tedeschi, convinti di poter realizzare la democrazia in nome dell'ateismo, ai politici francesi, convinti che per realizzare il socialismo bastasse la democrazia, sino agli economisti inglesi, che tra capitale e lavoro non vedevano rapporti storici da superare ma solo rapporti naturali da difendere. L'ideologia è una mistificazione - diceva -, poiché con essa non si vuole capire la natura di classe dell'economia borghese, anzi, si cerca di edulcorarla con ogni mezzo e modo.

In nome di un'ideologia, che naturalmente viene ritenuta, da chi la professa, l'unica vera, si possono compiere orrendi crimini: l'abbiamo visto sotto l'inquisizione cattolica, ma anche durante lo stalinismo, il maoismo, il colonialismo europeo e in tanti altri casi. Dunque l'ideologia è una mistificazione che tutela determinati interessi. La natura di questi interessi in genere è economica, ma può essere anche solo politica o un intreccio di entrambe le cose. Generalmente l'economia prevale sulla politica in Europa occidentale, negli Usa, ecc.; invece la politica prevaleva sull'economia nell'Europa orientale al tempo del cosiddetto "socialismo reale", ma anche nella Cina di Mao, nell'India di Gandhi, ecc. Oggi invece l'economia sembra dominare su ogni cosa e in tutto il pianeta.

L'ideologia sembra essere ben visibile nei vertici della chiesa romana, nei fondamentalismi ebraici e islamici, ma anche in tutte le forme di terrorismo. Ecco, in queste ultime forme non appare tanto legata a interessi economici e forse neppure politici, in quanto i terroristi spesso vivono come spartani, accontentandosi dell'essenziale, obbedendo a ordini superiori... La loro ideologia pare essere legata a un'idea di fondo, il riscatto personale da una condizione di oppressione insopportabile; e questa condizione - essi lo sanno bene - non è solo la loro, ma di tantissime persone come loro.

Ora, per quale motivo, di fronte a queste ingiustizie sociali così evidenti, si formano delle concezioni ideologiche dell'esistenza, cioè delle concezioni che sembrano essere ancorate ad argomentazioni che, alla resa dei conti, risultano inefficaci a risolvere quelle stesse ingiustizie? A ben guardare tale fissazione, che sembra avere una natura psicologica, non appare solo nei terroristi, ma anche in tante altre categorie di persone politicamente o socialmente impegnate, appartenenti a diversi ceti, a diverse condizioni di vita.

L'ideologia infatti non è solo una mistificazione della realtà (che a volte può anche esprimersi in maniera inconsapevole); è piuttosto una fissazione che nasce da un'esperienza negativa della realtà, talmente negativa da diventare come una seconda natura. Le persone ideologiche sono quelle che vedono le cose sempre in maniera deformata. Sono quelle che, dopo aver fissato la propria attenzione su un'esperienza indubbiamente negativa, vissuta nel passato (anche molto remoto), permettono a questa d'incidere in maniera decisiva su qualunque altra esperienza.

Le persone ideologiche sono, in un certo senso, delle persone infantili, incapaci di metabolizzare il proprio pregresso negativo, trasformandolo in un'esperienza positiva, cioè in un arricchimento personale, il quale non dovrebbe suscitare sentimenti di odio verso il prossimo o di indifferenza nei confronti dei valori della vita.

Chi ha patito qualcosa a motivo di un'ingiustizia, dovrebbe relativizzare il proprio dolore, nella considerazione che la sofferenza appartiene a tante altre persone. Se si è capaci di trasfigurare la propria sofferenza, si diventa migliori, infinitamente migliori di chi ha vissuto al riparo da ogni contraddizione.

Dunque, se l'ideologia è una fissazione quasi inconsapevole, può riguardare tutti, ricchi e poveri, intellettuali e ignoranti. Ora, per potersi liberare da questi incubi, che impediscono sicuramente d'essere se stessi, bisogna essere disponibili a vivere quelle forme di esperienza in cui si viene messi alla prova, cioè quei rapporti umani che rimettono in discussione le nostre certezze. Bisogna essere disposti a fare cose che, per motivi ideologici, non si farebbero mai, come p. es. mangiare carne se si è vegetariani. E' inutile star qui a fare esempi, poiché ognuno deve cercarseli per conto proprio.

Superare l'ideologia significa liberarsi di una dipendenza mentale da idee fisse. Il che non vuole affatto dire che bisogna rinunciare a lottare contro le ingiustizie, ma semplicemente che quelle ingiustizie non possono essere vissute come occasione per odiare il mondo.

GUADAGNARE LA PACE

I battiti del mio cuore sono contati? Ma da chi? Ogni cosa che ha un inizio ha anche una fine? E perché? Perché avverto allo stesso tempo il desiderio di finirla e di ricominciare? Il desiderio di uscire per poter entrare da un'altra parte?

Atteggiamenti del genere non si riscontrano negli animali. Certo, si riproducono per continuare a esistere come specie, ma non fanno riflessioni di questo tipo. Temono la morte, noi invece a volte la desideriamo; oppure vi si rassegnano, mentre noi completamente non riusciamo mai a farlo. L'idea di morte come fine di tutto ci atterrisce: preferiremmo che si trattasse di una semplice transizione da una forma a un'altra, ma solo per stare meglio.

Quel che più fa rabbia è che ogni volta che si pensa a queste cose, si rischia sempre di sconfinare nel mistico. Siamo talmente condizionati da un passato dominato dalla religione che quasi ci vergogniamo di considerarci eterni. Quando si parla di "eternità", vien spontaneo farla coincidere con la "divinità". E quando proviamo a dire che l'unico essere divino è l'uomo, ci ridono in faccia, mostrandoci tutti i grandi limiti di questo "dio in terra".

E come possiamo dar loro torto? Ma perché, per dar loro torto, dobbiamo interessarci unicamente di come risolvere i problemi terreni, e non possiamo parlare di ciò che va oltre la stessa dimensione terrena? Perché non possiamo parlare tranquillamente dell'universo senza rischiare di fare del misticismo? Perché dobbiamo parlare dell'universo soltanto in maniera fisica o astronomica, senza poter vedere in quegli spazi infiniti noi stessi? Per quale motivo non riusciamo a vedere la terra dal punto di vista dell'universo? Perché puntiamo i nostri telescopi verso il cielo stellato, quando in realtà è l'universo che ci tiene sotto osservazione?

Noi siamo un prodotto molto particolare del cosmo, che questo ha sicuramente creato, ma che attende anche che si sviluppi, per potergli assegnare nuove dimore, con nuovi compiti. Ci sta guardando crescere per vedere fino a che punto siamo idonei per assumerci nuove responsabilità. La terra è un banco di prova, un esperimento da laboratorio, in cui viene verificato il livello di umanità e di naturalezza dei nostri rapporti.

Noi siamo destinati a popolare l'universo, che è infinito nello spazio e nel tempo, ma se dobbiamo farlo nello stesso modo in cui viviamo su questo pianeta, allora i problemi rischiano davvero di diventare insolubili.

Infatti, quando siamo passati dal mondo greco a quello romano, abbiamo soltanto trasferito gli antagonismi sociali delle autonome città-stato a un livello imperiale centralizzato. E la stessa cosa è stata fatta quando abbiamo scoperto l'America: l'Europa aveva trasferito là i conflitti rimasti irrisolti in casa propria. La grande estensione geografica delle nuove terre da conquistare ci ha illuso, per un po' di tempo, che i nostri problemi avrebbero trovato una facile soluzione. Il "sogno americano" non è forse stato questo? Invece i nodi, prima o poi, vengono al pettine. L'estensione geografica non ha risolto la profondità della crisi.

Insomma non possiamo continuare a sterminare milioni di persone e a devastare impunemente l'ambiente, prima di capire che non abbiamo il diritto di scaricare all'esterno di noi il peso delle nostre contraddizioni. Non ha alcun senso che un atteggiamento del genere si continui a ripeterlo anche nell'universo. Uno ha il diritto di vivere in pace. E se per guadagnare questa pace, si sarà costretti a impugnare le armi, lo faremo. In fondo, se l'essere umano è eterno, ha delle responsabilità anche nei confronti di quell'universo che un giorno andrà a popolare.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018