La Rosa di Ghiaccio: Pezzettini, aforismi, stralci, brandelli… di Pier Paolo Vaccari

TEORIA
Etica Filosofia Antropologia Pedagogia Psicologia Sociologia Ecologia Logica Ateismo...


La Rosa di Ghiaccio

Pezzettini, aforismi, stralci, brandelli…

Pier Paolo Vaccari

[FAI DELLE RICERCHE MIRATE IN QUESTO TESTO DIGITANDO CTRL+F]

Parlando un giorno con MM, quando le parole appaiono e scompaiono, tu le credi momentanee e vibrano invece in eterno quasi fossero di cristallo perdio tu affermasti che avevo ragione… e non potesti però concludere il tuo dire.

Dicevamo che l’individuo in alcun modo e in alcun caso può essere considerato un punto di partenza, un postulato esistenziale, insomma un dato acquisito.

Ma piuttosto un punto di arrivo problematico, una conquista faticosa, un obiettivo continuamente riproposto, in definitiva una speranza.

La sua conclamata “unità” è difatti costantemente minacciata.


La vita è sì la più grande realtà, ma solo mentre viene vissuta.

I ricordi, cioè tutto quel che rimane, dalle architetture ai libri a ogni altra opera, valgono in quanto rivissuti, cioè entranti a far parte viva di nuove vite. Al di fuori di questo sono niente.

E se l’umanità finirà, andrà tutto perso per sempre? Forse questo tutto, che a noi sembra così essenziale, non è poi granché.


Soli nel cosmo?

Il pessimismo di Jaques Monod, scientifico e filosofico, ostinatamente esorcizzato, non ha tuttavia perso dopo decenni il suo carattere inquietante.

La valanga di messaggi riversata ogni giorno nello spazio non ottiene cenno di riscontro.

E’ la fantascienza la mitologia dei nostri giorni.

Gli alieni esistono, eccome, li fabbrichiamo noi. Sono il nostro rovescio, il nostro alter ego.

Per questo stanno nascosti.


Conosciamo bene e apprezziamo quei “cavalieri erranti”! Sotto ogni aspetto lodevoli per il grande impegno profuso contro teosofismi e teocrazie.

Peccato la loro fede esclusiva nella scienza, frutto tardivo di un clima culturale modernista, tanto superato, quanto facile obbiettivo di calunnia.


Se potessi traguardare il passato con un “cannocchiale del tempo” risalirei alla mia infanzia e poi su su fino a riconoscere l’embrione iniziale, sopprimendo il quale certamente io non esisterei.

Ma se collocassi il cannocchiale presso quell’embrione, in modo da traguardare il futuro, non vi scorgerei affatto, come si potrebbe pensare, il me stesso di oggi.

Mi troverei di fronte invece al buio più completo.

Dal quale innumerevoli individui diversi potrebbero emergere per ogni ipotetica ripetizione della prova.

Vedi i gemelli monozigoti, che hanno uguale DNA (dato iniziale) e diverse impronte digitali (dato finale).


Dice il Papa: “occorre tutelare la persona fino dal suo concepimento”.

Ma una persona non viene mai concepita: essa è il frutto di un faticoso processo di formazione e non di un concepimento.


Nella storia non ci sono eventi iniziali, ma solo eventi finali.


Molti con stupore hanno assistito alla nascita, nella chiesa e nel mondo, di velleità antievoluzioniste.

Come un vecchio film che venga contrabbandato per nuovo.

Le tesi più assurde, proposte con l’impudenza o meglio l’impunità di chi è abituato a sostenere l’insostenibile tanto il potere è dalla sua parte, trovano comunque ascolto.

Anche se basterebbe guardarle bene queste facce mentre parlano.


La modernità ha obiettivamente costretto la chiesa sulla difensiva per quattro secoli, cosa mai vista prima.

L’ha cacciata nell’angolo, evocando gli straordinari ideali di progresso, giustizia, benessere per tutti, illuministicamente ispirati al mondo “quale dovrebbe essere”, in antitesi metafisica al mondo “com’è”.

Ridotti in cenere ormai, non solo metaforica, tali archetipi metafisici, la religione si ritrova da sola in campo a far leva sull’universale, in un mondo privo di paradigmi forti, finalmente libera e quasi autorizzata a riesumare per intero la propria voglia di rivalsa.

Ma ora la chiesa deve pensare a se stessa; e alla propria vecchiezza.


Ecco: il cielo è un po’ più azzurro, le case un po’ più rosse, le nuvole piccole pennellate bastarde.

La prima cosa da mettere in programma per oggi è: respirare.


La poesia è quanto di più vicino e al tempo stesso quanto di più lontano dal mondo della natura.


Chissà perché Papa Benedetto ci riporta alla mente quel re ingenuo e vanitoso, che compariva nelle figure di un libro di fiabe, da ragazzi, con tutta la gente intorno a dire: ma è nudo!


La famiglia non si tocca, la famiglia è la cellula della società! (mons. Grillo interrogato da Giuliano Ferrara).

Ma quale organismo ha un solo tipo di cellule?

Molte cose non esistono finché non hanno un nome; ora il nome c’è ed è bellissimo: famiglie arcobaleno.


La funzione sacerdotale è in sé asessuata; tuttavia è esercitata da uomini, che però si vestono da donna, e non di rado inclinano anche la voce al femminile.


“Rifiuto sdegnosamente la qualifica di omosessuale, per non dire di quella di gay: sono un uomo, un vero uomo, perché un uomo si misura nella civiltà e maturità dei rapporti sociali.”

“Finiamola poi di dare tutta questa importanza al sesso! In definitiva è solo un residuo di barbarie… può essere divertente, certo, anche molto divertente, ma nulla più.”

Parole pronunciate in televisione da un noto omosessuale.

“Residuo divertente di barbarie”: la più bella definizione mai data; dove barbarie sta per età dell’oro.


La vera fobia dell’ebreo e del cristiano (nonché del mussulmano) non è il sesso, ma il nudo.

E’ una cosa che li fa impazzire.


Una verità forte e spregiudicata può anche indossare le vesti leggere di una canzone: “non c’è sesso senza amore”…; parole non per questo leggere.

Non sembra davvero l’amore aver bisogno di timbri di garanzia o certificati di autenticità: “in questo caso sì, si tratta di vero amore; in quest’altro caso no, non è vero amore”.

Perché non volerlo riconoscere comunque nella celebrazione di un rapporto sessuale?

Più o meno coinvolgente, più o meno partecipato, più o meno esclusivo, ma comunque agito fra persone, individui, con tutto il loro carico di specificità, immaginazione, violenza.


La morte fisica è solo l’ultima di tante morti già avvenute; spesso neppure la più significativa.

Ritornare a luoghi, immagini, situazioni del nostro passato lontano non differisce poi molto dalla lettura di un libro di storia, nel quale altri, piuttosto che noi stessi, furono protagonisti.


Si parla spesso di perdita di valori.

Ma una perdita di valori non è tale se non include anche la perdita di quel valore speciale che è rappresentato dalla negazione di ogni valore.

In definitiva è forse più corretto parlare di perdita di valori quando ce n’è una quantità in giro, del tutto relativi e personali: a ognuno il suo, per così dire.

(C’è perfino chi ha riscoperto il valore della verginità!)


La differenza più forte fra un credente e un non credente attiene alla responsabilità nei confronti della storia.

Non gliene potrebbe importare di meno a un credente dell’umanità del passato: meno che mai sentirsi in qualche modo responsabile nei suoi confronti.

Il rapporto personale fra Dio e l’uomo è la storia; esso riguarda individualmente tanto gli uomini del passato, quanto quelli del presente e del futuro.

La fine stessa dell’umanità in tale ottica non può essere considerata un evento irreparabile; anzi è stata annunciata e attesa (fino a un certo punto).

Ben diversa la posizione del non credente.

Egli sa di portare il testimone di una staffetta che viene da lontano.

La storia non è per lui morte e resurrezione, bensì un continuum di cui si trova a far parte, e che, se dovesse interrompersi anche solo per un attimo, non potrebbe più ripartire.

Egli sa di interpretare nel bene e nel male lo stato attuale di quel processo, la condizione cioè perché esso possa avere un futuro e perché tutto il lavoro svolto da innumerevoli generazioni non venga vanificato.

La sua responsabilità nei confronti della storia ha il carattere di una responsabilità oggettiva, inerente cioè all’essere, prima ancora che al fare.


Come è possibile che abbiano la stessa natura due eventi, preghiera e religione, dei quali uno, la preghiera, è capace di mettere insieme senza difficoltà uomini di ogni fede (v. Assisi), mentre l’altro è sempre stato all’origine di divisioni mortali? Infatti non l’hanno.

L’identificazione preghiera–religione da un lato è comoda a chi se ne è sempre avvalso (la religione), dall’altro a chi se ne tira fuori senza troppo distinguere.

Ma in realtà la preghiera, comunque si esprima e si manifesti nelle più diverse culture, scaturisce primariamente, in modo spesso incontenibile, dai dolori e dalle angosce dell’esistenza; ed è un dato universale.

Questa supremazia del dolore, nella generazione della preghiera, è esplicitamente riconosciuta anche da S. Paolo, allorché dice che il mondo geme come donna nelle doglie del parto.

Se provi a convincere una persona amica credente delle incongruenze della sua fede, dietro alle sue resistenze scopri subito l’eco della preghiera, cioè di una pratica intima e personale, spesso gratificante (pregare è un po’ parlare a se stessi); qualcosa cioè di molto stabile e sicuro, anche di fronte ai tentennamenti della fede.


A chi rivolgi dunque la tua preghiera, chi preghi?

Ecco una vera e propria trappola della ragione.

Come se il pianto e il lamento non possano manifestarsi altro che a fronte dell’esistenza di qualcuno.

Ma la preghiera, inesprimibile lamento, si pone a monte di ogni giustificazione surrettizia: scaturisce dai dolori dell’esistenza e trova in se stessa la propria giustificazione.

Essa si può attribuire come istanza a tutti gli esseri viventi, animali e piante compresi, ciascuno secondo la propria natura, poiché per tutti la vita è intrisa di fatica e sofferenza.

La religione elabora dunque un’istanza naturale primaria.

Con la religione tale istanza diviene rito, devozione, celebrazione, preghiera nel senso comunemente inteso.

La ritualizzazione della preghiera, cioè l’evocazione collettiva del bisogno di pregare, prende appunto il nome di religione, in quanto lega i partecipanti al rito.


Può la ragione essere considerata un tramite autentico di conoscenza della realtà?

La ragione analizza, divide: come si può analizzare, dividere ciò che ancora non si conosce?

Come ci ha mostrato Zenone di Elea una volta e per sempre, essa non può in alcun modo rappresentare di per sé (lo sanno anche i bambini che Achille raggiunge la tartaruga) uno strumento di conoscenza della realtà.

Tutti quelli che non l’hanno capito e hanno cercato nei secoli di dribblare sul piano logico chi ha inventato la logica, hanno fatto poca strada.

Il paradosso attiene alla logica, non alla realtà.

La ragione può essere soltanto uno strumento, peraltro insostituibile, di verifica.

Ma l’impiego della ragione come strumento di conoscenza, e pertanto di decisione, ha trovato e trova sostenitori in ogni campo, perfino teologico, laddove non soccorrono le “verità” della fede.

Le conseguenze di tali scelte si rivelano in generale non solo sbagliate, ma anche estremamente inique e dolorose.


L’uomo dimezzato. Un uomo può essere intero o dimezzato. Anche un uomo dimezzato ha facoltà di esistere, e il suo sguardo è spesso più penetrante.


Si può intravedere la conclusione di un lungo cammino.

Solo all’apparenza un libro è oggi un libro; molto spesso è qualcosa di destinato al macero appena stampato.

Chi decide sono i lettori, gli utenti, anzi i clienti, o meglio i consumatori.

Ben lontani i tempi quando la scrittura veniva fissata nel bronzo o nel marmo.

La facilità stessa del supporto elettronico ha finito per toglierle ogni stabilità e fermezza.

La sua produzione si è inflazionata, con una profonda svalutazione del ruolo e la sua definitiva sottomissione alle superiori esigenze della pubblicità e del mercato.


Ma la scrittura ha anche rappresentato, per un gran tratto della storia umana, uno dei più potenti ed esclusivi strumenti di selezione e identificazione.

Sarebbe esistito l’ebraismo (e il cristianesimo), senza la Scrittura?


L’alfabeto, si sa, nasce maiuscolo e tale rimane per secoli. Anzi non era né maiuscolo, né minuscolo: era quello che era.

Riuscirebbe oggi Platone a leggere le sue opere?

Un numero crescente di ragazzi sembra voler scrivere solo in stampatello ( grazie alle tastiere ).

Non ce ne dispiace affatto.


Nota su “I:Ching”:

  1. I:Ching proviene da un’epoca “preletteraria” dell’umanità, senza precisi confini spaziali e temporali. Un’epoca “della sapienza”, che ci riporta per analogia alla grande fucina del pensiero greco, quando Eraclito affermava: “La trama nascosta è più forte di quella manifesta”.
  2. La storia dei cinesi, racchiusa per millenni nella propria peculiare dimensione imperiale, ha tenuto ben lontane da quel popolo le straordinarie avventure del razionalismo in occidente, facendo sì che si conservasse presso di loro una più acuta sensibilità per l’antico mondo, di cui appunto I:Ching è espressione.
  3. Giunto ormai alla conclusione, come sembra, il ciclo maestro del pensiero in occidente, dove conclusione non può significare certo denegazione, ma piuttosto archiviazione, tale da consentire di guardare più liberamente in avanti, si constata l’avvicinarsi e il prossimo confluire del mondo occidentale col mondo cinese, giunto forse anch’esso al termine del proprio ciclo millenario. Coincidenza straordinaria, che appartiene a un ordine di eventi ben oltre la consapevolezza e le scelte dell’uomo.
  4. In tale prospettiva sembrano acquisire singolare rilievo tutte le riflessioni sul “prima” - quindi anche su I:Ching - in quanto possibile contenitore di preziose indicazioni sul “dopo”.

Disse Confucio, con luminosa semplicità: “Se non sai nulla della vita, come puoi pensare di saper qualcosa della morte?

L’unico grande popolo, quello cinese, a non aver mai coltivato una vera e propria religione nella quale identificarsi; testimone non da poco della evitabilità storica di quel passaggio.

Nonostante che tutti, laici compresi, abbiano sempre data per scontata l’universalità del fenomeno.


Nella poesia cinese di ogni tempo si affaccia e prende corpo la forma della quartina.

In una quartina cinese il primo verso descrive, il secondo amplia la descrizione, il terzo dirige altrove lo sguardo, il quarto cortocircuita e dà senso conclusivo al discorso.

Un vero e proprio modello para-logico dalle vaste implicazioni; riedito da Edward De Bono con l’etichetta glamour di “Pensiero laterale”.


Questo rispondi, sono più numerose sugli alberi

le foglie o i pensieri nella tua mente?

Il cinese stava ancora pensando quando gli alberi

persero le foglie e lui i suoi pensieri.


Nel vasto dramma della natura

il lago è un’oasi profonda.

Gli uomini muoiono ogni giorno,

ma ogni giorno ha i suoi laghi.


Un uomo scende per la strada assolata

parlando con la sua ombra, che lo precede.

I suoi figli non hanno per lui abbastanza rispetto;

ma questo l’ombra non lo sa.


Tante gocce fanno una pioggia,

tante lacrime fanno un fiume,

tante illusioni fanno un arcobaleno;

‘na tazzulella ‘e caffè fa il resto.


Alcuni dei libri per me più importanti in realtà non sono mai riuscito a leggerli per intero.


Siamo proprio sicuri che la libertà rappresenti un valore primario, cioè qualcosa che si giustifichi di per sé?

E’ un’idea questa, che ha preso campo solo di recente.


A Fiesole una strada che appena si nota segna un percorso millenario, testimone di fatiche e sofferenze umane, quasi una sottile ruga sulla faccia del pianeta.

E’ la Via degli Scalpellini, attraverso la quale circolò il sudore che fece di pietra Fiesole prima, e Firenze dopo.

Siena non ce la fece: la civiltà del mattone e del travertino non poteva reggere il confronto con quella della pietra.


Un monumento non può prescindere dai luoghi e delle cave stesse da cui fu estratto il materiale per realizzarlo. Firenze - Monte Ceceri.

Le cave sono il negativo di un’opera, il vuoto lasciato nel terreno dalla sua realizzazione.

Un’eco profonda e sotterranea unisce i due momenti di un unico atto.

A Selinunte appena sbozzato il rocchio di una colonna nella vicina cava dà consistenza visiva a tale eco.

Il colore stesso, la consistenza, l’odore, la fisicità di un’opera, rimandano al luogo dal quale provengono i materiali.

Quando non è la cava medesima a diventare monumento (Petra dei Nabatei, ecc. ).


Le porte della città di Firenze sono state tutte ribassate nel Rinascimento, ad eccezione di quella di S. Niccolò, forse per la prossimità della collina che ne maschera la spropositata inutile altezza.

Le altre porte invece hanno tutte ripreso in quell’occasione le proporzioni normali di una porta.

E la città turrita si è così liberata della sua corona di spine.


La vita sovrappone e cancella immagini, situazioni, conflitti.

L’importanza dei ricordi sta nel fissare momenti preziosi che altrimenti verrebbero spazzati via.

Ma accade purtroppo che un luogo, un paese, una città, finiscano a volte per uscire dalla storia vissuta, e divenire solo luogo di ricordi, esibizione, industria, stucchevolezza e falsità dei ricordi.


La fotografia vera è in bianco e nero.

Il colore è finzione.

Non ho mai visto cieli più azzurri e prati più verdi di quelli della brughiera in certi film di C. Th. Dreyer.

Quando Cezanne, come altri, indicava col nome, sui suoi schizzi a matita, i colori che aveva in testa, ecco, quello è il colore.

Federico Zeri eseguiva le sue expertise sulla base di una sterminata libreria di immagini rigorosamente in bianco e nero.

L’architettura e la scultura furono in passato per lo più colorate; fortunatamente il tempo ce ne ha restituito l’immagine autentica.

I colori naturali sono discreti, mutevoli, inessenziali; quelli delle immagini colorate invece fissi, prevaricanti; essi ci restituiscono un mondo finto e imbellettato.

Mi sono affezionato ai toni profondi di un vecchio televisore in bianco e nero.

Una sorta di televisione–verità, scabra, rude, scomoda, ma decisamente più autentica di quella edulcorata e sterile dei televisori normali.


La grande odalisque” (Dominique Ingres). Non appartengo alla schiera di quelli che un capolavoro se non vai a vedere l’originale poveretto non puoi saperne nulla. Non per pigrizia, ma in generale credo basti e avanzi una mediocre stampa in bianco e nero.

Diverse esperienze me ne hanno convinto; di casi cioè nei quali l’originale nulla ha aggiunto, anzi, ai sentimenti e alle idee emerse nel segreto di osservazioni furtive, occasionali e impreviste, effettuate appunto su mediocri o malridotte riproduzioni. Vorrei insomma azzardare una difesa del mal riprodotto, come estensione del non finito e dell’incompleto.

Di una condizione cioè suscettibile di fare emergere valenze in fieri, suggestioni nascoste e pregnanti, che nell’opera vera possono anche risultare oscurate dalla stessa finitezza formale, nonché dai mille inciampi del reale.

In un solo caso l’originale è insostituibile: nel possesso.


Può esistere nel mondo degli animali un sentimento autenticamente umano come la gioia?

Pare proprio di si, se ci soffermiamo a osservare le folli rincorse dei rondoni nel cielo di primavera, e prestiamo orecchio alle loro stridule grida.


La malattia è una condizione naturale così come la salute.


Ci sono malattie mortali e malattie “vitali”.

Malattie che paiono mortali conferiscono a volte la vita.


Cohousing. Ci potremmo anche sentire attratti - le declinazioni della vita sono tante - da un simile disegno, come da qualcosa che ci sottragga in parte a noi stessi, per farci essere nuovi insieme ad altri.


L’amicizia ci si presenta in effetti come un rapporto tipicamente omosessuale.

Anzi funziona solo se è omosessuale.

Ci domandiamo se non raccolga in parte il retaggio di pregressi più espliciti costumi.

Come interpretare ad esempio il frequente scambio di baci e abbracci fra amiche? Se non come l’eco di antiche consuetudini familiari, molto ben accette un tempo e praticate, nelle quali Saffo era maestra?

Spontanee, genuine manifestazioni di intimità, ben al riparo dai più ingombranti, impegnativi, conflittuali, nonché frequentemente imposti, coinvolgimenti etero?

Forse le donne coltivano un po’ tutte in segreto una preziosa nota lesbica.


La democrazia è sempre stata vista come una questione di giustizia.

E’ invece anzitutto una questione di complessità: è la complessità che conferisce alla democrazia le sue carte vincenti.

Ma la complessità è dura da digerire.

Così accade che ci si innamori pazzamente di una qualche semplificazione; e nasce la dittatura.


Se lasci la casa dove hai sempre abitato, essa conserverà per te qualcosa di speciale, ma non più di unico. Lo stesso se cambi città. Se poi ti decidi a lasciare il partito, esso d’ora in poi sarà per te solo un partito.

E se uscirai infine dalla religione quella sarà divenuta per te una religione.

Insomma l’attraversamento dei confini (e il successivo sguardo alle spalle) ha la proprietà generale di trasformare la qualità in quantità.

Il che corrisponde storicamente alla scoperta della matematica.


Due vere e proprie falsificazioni ideologiche:

- L’incirconcisione del David (Donato, Michelangelo)

- Gli occhi socchiusi della Gorgona (Cellini).

La mitologia è falsificabile; dunque scientifica.


Un museo in buona sostanza non è che un cimitero. (L’ha già detto Marinetti, ma con altro animo)

Vi si esercita la devozione e la memoria.

In certi casi poi la cimiterialità è esplicita: sarcofagi, mummie, scheletri…


Un rudere invece è cosa viva, fenomeno in corso.

Protagonista di due processi sovrapposti, ma diversi.

Il primo avente a che fare con il vero e proprio disfacimento materiale, nel quale emerge ciò che era celato.

Energia di informazione essenzialmente.

E’ questa che si libera poco a poco. Ciò che vi era stato immesso, a partire dal concepimento progettuale fino all’esecuzione materiale; compreso tutto il carico di fisicità di chi ha costruito l’opera, la sua professionalità, abilità, sapienza, il suo sudore.

Il rudere diviene una sorta di trasmettitore dolente, spesso inascoltato.

L’atto conclusivo e finale lo si scopre sul terreno, in mezzo all’erba, prima della sparizione definitiva: il disegno primitivo, l’icnographia, il concepimento iniziale.

Il secondo processo concerne invece il rudere in quanto protagonista attuale del paesaggio.

Il decadimento diviene allora creativo.

Il rudere partecipa cioè delle modificazioni ambientali naturali e contribuisce all’apparire di configurazioni nuove e impreviste, non di rado di grande impatto emotivo e scenografico.

Elemento di composizioni ignote ai lontani ideatori; che pure da quelli derivano il loro fascino; come le grandi scenografie tombali dove gli etruschi non hanno ancora finito di morire.

Entrambi i processi bloccati e sterilizzati al momento stesso in cui si decide per il “salvataggio” del reperto.


Ianus sta sul limitare, con una faccia rivolta all’interno e l’altra all’esterno.

Temporalmente configura il presente, con una faccia al passato e l’altra al futuro.

In ogni caso border line, marginale, nel senso di chi vive ai margini, là dove prende forma e dimensione il reale.

Contemporaneamente interno ed esterno alle cose, ne costituisce il divenire, il differenziale.

Egli è per questo il padre degli Dei, Deus Deorum.


Tinscvil. Se c’è una città che, con la sua specifica cultura, civiltà, tradizioni, si pone agli antipodi del mondo etrusco, questa è Firenze, la capitale dell’Etruria. Firenze romana, medievale, cristiana, rinascimentale; culla della ragione, del calcolo, dell’interesse.

E’ di tutta evidenza: il mondo etrusco, traguardato coi filtri della fiorentinità, sembra appartenere a una lontananza abissale, ignota, estranea; rifiutata come matrice culturale.

Firenze perciò non è abilitata alla conservazione delle memorie etrusche; stridente e riduttiva è la presenza in città di simulacri che troverebbero la loro collocazione naturale nei luoghi dove furono immaginati e realizzati, nonché rinvenuti; e dove forse ancora sussistono le tracce di un discorso interrotto, di un dialogo furtivo e ammiccante.

Vengano pertanto riportate la Chimera e la Minerva fra le mura di Arezzo; e Aulo Meteli in quel Sanguineto che ancora conserva nel nome la memoria della battaglia del Trasimeno.


Non poche chiese gotiche (da noi l’Abbazia di S. Galgano) hanno perso del tutto la copertura e gli ornamenti, lasciando le proprie arcate nude contro l’azzurro del cielo e il verde dei prati.

Sono per questo più suggestive ai nostri occhi e quasi sembrano essere state progettate così come le vediamo; anche perché il loro valore è ormai solo simbolico e ornamentale.

Ma la copertura di un edificio ha un significato e un valore profondo.

Rappresenta il suo aspetto più propriamente umano, che evoca la capanna, la casa, il raccoglimento, la condivisione dei sentimenti e della preghiera.

Forse proprio per questo motivo la copertura risulta in effetti del tutto secondaria e inessenziale all’arte cosiddetta gotica, cioè barbarica e “inumana”.

Come esplicitamente riconobbero gli esegeti rinascimentali.


Un francese “birichino” ha scritto in un libro che il Rinascimento italiano è stato solo decadenza e che il gotico francese rappresenta invece la massima espressione dell’arte.

Accusava in quel libro gli italiani di aver coniato la dizione arte gotica proprio per imputare di barbarie quest’arte (il che può esser vero).

Il termine corretto sarebbe invece secondo lui “argotico”, cioè “proprio dell’Argot”: il linguaggio che da tempo immemorabile esprime e rappresenta la cultura sotterranea e ermetica di Parigi.


Quest’idea delle cattedrali che nascono come funghi giganteschi dal terriccio dei bassifondi parigini sembra tutto sommato non priva di suggestione.

Essa pare svelare la natura del rapporto fra l’humus miserabile sottostante e le strutture gigantesche e oscure che lo sovrastano. Non amore e partecipazione, ma piuttosto rispetto, ammirazione, timore, erano destinate a suscitare quelle fabbriche.

Singolare che il gigantismo delle chiese gotiche sia un dato pienamente acquisito e in definitiva apprezzato anche oggi.

Colpa del romanticismo?

Il loro vero animo si coglie pienamente in quelle suggestive acqueforti d’epoca che le rappresentano, loro stesse materia incisa, frastagliata, caricata di simboli e sigilli.


La madre di tutte le riflessioni: quella che ebbe come specchio lo scudo di Athena.

Perseo a caccia delle Gorgone, nella estrema lontananza e profondità del luogo ove giacciono le tristi sorelle, immagine dei recessi più oscuri e inguardabili dell’animo umano.

Quand’egli vi fu giunto trovò un paesaggio popolato da esseri pietrificati: a metà di un gesto, di uno sguardo, di una parola; la vita bloccata, il respiro, le idee, tutto ciò che è un uomo.

Solo la mediazione operata dalla riflessione può salvare l’uomo dalla minaccia di quello sguardo; che non cessa neppure quando la testa è tagliata, rendendo necessaria una gestione estremamente rischiosa, ed eroica.

E’ a questo punto che Perseo dovette apprezzare la borsa che gli aveva donato Hermes il ladro.


Ma il mito ci sembra poter gettare una luce ambigua e suggestiva su un fenomeno storico: la nascita della scultura.

Vale a dire la possibile interpretazione di tale nascita come istanza primaria di pietrificazione.

Che solo in un secondo tempo sarebbe divenuta rappresentazione.

Kouroi: esseri pietrificati nella valle delle Gorgone, con valenza di idoli.

Energia bloccata, rappresa, consegnata all’ammirazione e al culto. Quando ti ci imbatti ne sei afferrato, coinvolto, non hai scampo, divieni parte integrante ed essenziale dell’evento.

Solo allorquando l’immagine scolpita comincia a liberarsi da quella sua fissità, solo allora comincia a fluire e circolare nelle membra l’energia che vi era prima rappresa, e che non esige ora più di scaricarsi su di te che osservi.

Quella che hai di fronte è divenuta a questo punto una rappresentazione.

Tu ne sei fuori; soltanto più uno spettatore.


Il passato ci sostiene e ci giustifica.

Per questo un laico è tenuto a studiare le religioni; cosa a rigore non necessaria per un credente.


I forti, non i deboli, hanno bisogno della protezione del cielo.


Il passato vive nella memoria.

La memoria è struttura.

Il passato è struttura.

La struttura è passato.


L’eternità non è un tempo senza fine, ma un tempo senza inizio.


Decontestualizzati e asimmetrici, i pizzini possono apparire a volte ambigui od oscuri.

Giova ricordare ancora una volta l’antico detto: “armonìe aphànes phanerèes krèsson”.


Guardarsi allo specchio... o in fotografia… chi vi si riconosce appieno, senza esitazioni, in modo soddisfacente? Solo per gli altri questo compito è facile: comodo per loro ridurvi a immagine.

Ma questo vostro incompleto autoriconoscimento, che vale un parziale disconoscimento, è una percezione sovrana, che suscita sopite facoltà.

Forse, solo che lo vogliamo, possiamo riconoscere di essere altri da noi stessi.


Il viso è un velo, dietro al quale può scorrere a volte silenzioso un fiume di angoscia.


In un vecchio film di Gerard Philippe (chi ricorda oggi l’invidiabile charme di quell’eterno ragazzo?) egli, nelle vesti di Faust, durante una scorribanda notturna, attraversando una siepe, ne esce con un profondo graffio nel palmo di una mano.

Ma Mephisto, che l’accompagna, gli dice “apri la mano” e quando Gerard l'apre vede che il graffio è in realtà un rametto secco; sollevato, si affretta a soffiarlo via.

Nel corso del film quel rametto secco ricompare altre volte inopinatamente nel palmo della mano, e quando infine il racconto volge al termine torna ad essere, definitivamente, una ferita sanguinante.


Chi indossa una maschera intende celare le proprie mistificabili fattezze dietro un’immagine inequivoca e fuorviante, sì che tutti quelli che guardano siano trascinati in uno stesso vortice di sensazioni.

Per così dire la maschera “compatta” gli osservatori.

Anche tante “mascherate” collettive hanno la stessa funzione, dalle parate militari ai matrimoni di rango.

La “commozione” tipica di questi eventi non nasce dall’evento, ma dalla percezione di un sentimento comune.


La natura è anche profondamente innaturale.


L’educazione, comunemente vista come una funzione implementale, deve essere più correttamente intesa come una operazione di selezione, nel mare magnum delle percezioni originarie del fanciullo, di quelle sole atte a consentire una comunicazione convenzionale, escludendo le altre.

Del resto ciò è in linea anche col significato della parola (educazione = estrazione).


La vita ci appare a volte come il bisogno di diradare nubi che si addensano da ogni parte.

Tuttavia anche nelle nubi può esserci… dell’intimità.


Il Sole alimenta la Terra, ma anche parla ogni giorno alle sue creature.

La luce del Sole intreccia un continuo pressante dialogo: sia che filtrata riveli le infinite declinazioni del cielo, sia che senza veli manifesti la sua forza e il suo calore, solo scandita dalla nascita e dal tramonto.

Nessuno può sapere quale sarà la sorte dell’umanità; ma è nota quella del pianeta: essere inghiottito da un Sole ingigantito, che cancellerà per sempre la Terra, le sue memorie e i suoi dei.

(Chissà cosa ne direbbe Bellarmino).


Disse la formicuzza al mucchio di grano: “io ti porto via un chicco alla volta”

“Ma io cresco dal centro” rispose il mucchio.


La vita è qualcosa che può essere riprodotto.


E’ inutile desiderare la morte: viene da sé.

Ogni cosa ha il suo compimento.


Il presente è dei giovani; il futuro dei vecchi.

L’uomo del futuro è infinitamente vecchio (pur essendo fanciullo).


Le grandi mutazioni che hanno impresso di sé la storia dell’uomo siamo tutti portati a considerarle, nel bene come nel male, dei passaggi necessari e ineludibili.

Laddove esse furono per lo più al loro manifestarsi interamente occasionali e fortuite.


E’ del tutto assente ed estraneo al mondo dei sogni il caso; ed è appunto ciò che li distingue dalla realtà.


L’infanzia di un uomo contiene l’infanzia dell’umanità.


La Storia è originata da grandi squilibri: un’umanità sempre più interconnessa tende a non avere più squilibri, cioè a non avere più storia.

E’ il suo destino?

Ma allora la nostra storia, con i suoi miti e i suoi eroi, rimarrà per sempre la vera e unica Storia dell’umanità?


Se affermi: questa è la verità, ti accorgi poi subito che non è così.

Ma se dici: questo è un aspetto, una componente della verità, ecco che la vedrai luccicare a lungo di luce propria.


Il concetto di creazione apparentemente ha carattere ascendente.

Si parte cioè dal nulla per arrivare a qualcosa che prima non c’era: un’opera d’arte, un vestito, una pettinatura…

Ma il processo ha in verità carattere opposto, discendente.

In ogni caso è frutto di una degradazione energetica.

Almeno in ambito umano.


Quis non admiretur le mutevoli forme che un filo di fumo disegna nell’aria? Uno spettacolo del tutto consueto, ma dei più meravigliosi della natura.

Le particelle azzurrine sembrano dotate della vista e di una volontà comune nel dar luogo a eleganti e sempre nuove configurazioni.

La curvatura continua è il dato saliente di quelle traiettorie, mai rettilinee, mai spezzate; idonee quindi a definire porzioni chiuse di spazio, cioè vere e proprie forme del mondo reale.

Neppure tanto effimere, se si mantengono anche nell’attraversamento di una rete abbastanza fitta.


La comparsa di forme, cioè di realtà che prima non esistevano, attiene tradizionalmente al concetto di creazione, che a sua volta postula un creatore, secondo il bagaglio culturale dell’esperienza umana.

Oggi si preferisce comprensibilmente parlare di emergenze, nel senso di realtà che emergono dal nulla.

In alcun modo riferibili a una qualche volontà creatrice, esse riempiono lo spazio intorno a noi “con carattere di necessità”.


Ecco gli storni all’imbrunire… non certo per un disegno preordinato… mossi sembra da una sorta di pressione alare… essi assumono al branco forme improvvise e grandiose, rapidamente mutevoli, sopra le grandi città.


E l’artista?

La sua opera è davvero spontanea, libera, volontaria?

O partecipa anch’essa di un certo carattere di necessità? Forse egli si limita a produrre le condizioni perché il fenomeno abbia luogo; anzi rappresenta egli stesso quelle condizioni, al di là delle proprie intenzioni.

Non potrebbe farne a meno: anche se non volesse, la creazione per così dire gli scappa. (Piero Manzoni)


Per molto tempo l’arte è stata vista e giustificata principalmente come imitazione della natura.

Addirittura nel secolo d’oro, quando l’arte parve concentrare su di sé il recupero di ogni più gloriosa tradizione umana, la natura, disse il Vasari, “volle esser vinta” da artisti come Michelangelo e Raffaello.

Una coniugazione arte-natura che rappresenta il più grande sforzo compiuto dall’umanità in tal senso.

Tuttavia alla base di un siffatto edificio sembra di poter riconoscere un difetto d’origine, per così dire, un equivoco, che solo ora ci è consentito di decifrare con sufficiente chiarezza.

La natura “imitata” dagli artisti del Rinascimento era a tutti gli effetti una natura creata, nelle cui forme si delineava in modo compiuto una volontà creatrice; alla quale doveva assimilarsi, e con la quale al limite trovarsi a competere, la volontà dell’artista.

Cioè una natura data, perciò fittizia, artificiale, priva di ogni contenuto morfogenetico naturale.

Tutta l’attenzione concentrata sull’apparenza finale, in uno sforzo mostruoso di inveramento, tendente a produrre una descrizione ultima e completa; e che ha generato di fatto un edificio colossale, il cui progressivo smantellamento ha alimentato la storia dell’arte nei secoli successivi.

E’ piuttosto da riconoscere proprio in quelle successive decomposizioni una ricerca più aderente alla natura profonda della realtà.

In conclusione è del tutto illusoria l’idea di imitare la natura.

La natura è inimitabile.


Quali le ragioni dell’interesse, anzitutto laico, per le origini del cristianesimo?

Perché nella rivisitazione delle origini è spesso possibile cogliere tutta la fortunosità di eventi che si sono così radicati nella coscienza storica, che nessuno oserebbe dubitare della loro reale “necessità”.

Mentre si è trattato di eventi che hanno avuto uno sviluppo per molti aspetti occasionale e fortuito.

Ma anche per un umile riconoscimento di noi stessi in quell’umanità sapiente e ignara.


La vita pubblica è ricca di commemorazioni, liete o tristi che siano.

Nessuno però che abbia mai pensato di dedicare una giornata, una sola, alla memoria delle vittime innocenti del cristianesimo!


… la sua nudità la rende trasparente, cioè invisibile.


La scrittura viene naturalmente dopo la parola; tuttavia è vero anche il contrario.


La verosimiglianza è certo più congeniale all’arte della verità.


I pensieri, così come si aggravano, si sgravano.


Omero morì per le parole di un giovane pescatore.

Vien facile ai ragazzi uccidere i vecchi.


Accanto alla storia degli eventi accaduti, si colloca a pieno titolo la storia degli eventi possibili.

Cioè degli eventi compatibili con le condizioni generali e il livello culturale dell’umanità nel momento storico considerato.

Per una tale più ampia rappresentazione fonte storica autentica è sempre stata ritenuta la poesia.

(C’è chi vede tale ruolo riferibile oggi alla televisione.

Nessun commento.)


Nulla è più ambito dagli uomini dell’esercizio del potere; che di norma viene riferito alla capacità di fare quel che di norma ad altri non è consentito o gradito.

Ma c’è una percezione più sottile e illuminante del potere, ed è quella che si manifesta al compimento delle cosiddette buone azioni.


Se mi esprimo in modo incomprensibile e oscuro non avrai mai la possibilità di confutarmi.

Se solo in piccola parte mi rendo intelligibile, non farò che aumentare la tua frustrazione.

Hai una sola possibilità: mostrarti più oscuro di me.


Che tutto il male non venga per nuocere è una vera e propria legge fisica: più stabile di quella di Newton.


Emergono talora concetti fascinosi, che una volta editi paiono acquisire autonomia e consistenza propria, tale da farli assurgere a supporto e riferimento per ogni argomentare.

Così è della ben nota omologazione, da contrapporre sempre e comunque alla libertà, esclusiva e superiore prerogativa del vero artista, anzi del vero uomo.

Concetto invero troppo e troppo acriticamente frequentato.

E poiché a me dà fastidio tutto quel che sa di minestra metafisica, mi scopro incline ad avvertire anche qui tracce acute di quell’odore, con buona pace di Pasolini.


E’ così buono che ora me lo mangio”.

Riflessione della mantide dopo essersi accoppiata col mantide.


Nessun evento è a sé stante, ma ogni cosa avviene a scapito di altre.

(Principio della conservazione della quantità di moto.)


La principale forma di strutturazione della aggressività è quella funzione che prende il nome di Logica.


Quale il rapporto fra sapienza e logica?

La sapienza ha la sua vera misura nei fatti, nei comportamenti.

La logica è invece profondamente ostile ai fatti.

Fino al punto di provare, con Zenone, a negarne l’esistenza.


Può esser definita laica una credenza che, rovesciata nel suo contrario, non dia adito a sconvolgimenti rivoluzionari.

La rivoluzione non è mai laica.


La croce è anzitutto un simbolo gravitazionale.

In un ambiente privo di gravità non si tratta più della croce; ma di un incrocio.


Nulla di più effimero dell’anima.


Chi ha paura di Ipazia alessandrina?


Se il grembo dell’Europa fu Alessandria, come può Alessandria restarne fuori?


Non ci sono due nuvole uguali, anche se tutte hanno la forma di nuvole; così come non ci sono due uomini uguali, pur avendo tutti la forma di uomini.

Un libro sapienziale rappresenta la forma dell’uomo.

Nessuno stupore se riconosco i miei casi in un punto qualunque del libro; ma non in due punti contemporaneamente.


Quando uno si alza la mattina deve rendersi conto anzitutto se l’aria viene da nord o da sud: in modo da scegliere la finestra presso cui fumare un po’ il sigaro.

Vere autostrade del cielo, i venti hanno spesso accompagnato le vicende degli uomini; a cominciare da quel misterioso e fatale “euroaquilone” che investì la nave di Paolo duemila anni fa.


Con l’uomo la natura ha conseguito lo scopo di produrre miracoli subito e non in milioni di anni.

L’uomo rappresenta pertanto l’impazienza della natura.


Mercificazione del corpo femminile?

O non piuttosto intramontabile culto della bellezza?

La Dea è insieme vicina e lontana.

Essa amava e ama le frivolezze.


La bellezza implica il desiderio, un sentimento molto intimo.

L’ebreo e il cristiano l’hanno sempre osteggiata, cercando in ogni modo di mortificarla e scacciarla dalle coscienze, ma hanno infine perso la partita.

La Dea trova tuttora spazio e maniera per gratificare ogni giorno i propri adepti!


I dieci comandamenti del Sinai non avevano in origine né numerazione, né punteggiatura, né divisione in versetti.

Queste sono venute successivamente, separando i diversi argomenti; ma la struttura originale è stata pesantemente manipolata in particolare da parte della chiesa cristiana.

E’ stato infatti cancellato tout court il testo che costituisce naturalmente il secondo comandamento; cioè il più importante dopo il primo.

Esso concerne l’idolatria, e i cristiani, si sa, non sono idolatri, a differenza degli ebrei, e pertanto questo comandamento, che non li riguarda, andava tolto.

Così facendo però i comandamenti si sarebbero ridotti a nove; per ovviare alla qualcosa è stato diviso in due l’ultimo, che accorpava la proibizione di desiderare tutto ciò che era di altri, donna e roba comprese.

Il fatto è avvenuto non saprei in quale occasione e per iniziativa di chi, ed è stato tenuto accuratamente celato.

In realtà quel comandamento non era accettabile; esso conteneva anzitutto la proibizione, molto articolata e insistita, di realizzare ogni genere di immagini, e naturalmente di adorarle.

Il cristianesimo non avrebbe avuto manifestamente alcuna chance di affermarsi nella cultura occidentale, se avesse proibito le immagini, cioè l’arte.


S. Paolo scrisse, dopo essere stato ad Atene, di non aver mai visto una città così piena di idoli!

Aveva pienamente ragione, perché per un buon fariseo come lui, cresciuto alla scuola di Gamaliele, Fidia, Prassitele, Policleto non potevano fare che idoli.

Altri si accorse che la cosa non era compatibile, e andava rimediata.


Da notare che il decimo comandamento biblico esplicitava la proibizione di desiderare la moglie, la casa, il bue, l’asino, nonché lo schiavo e la schiava di altri. Nella versione cristiana i comandamenti sono diventati due, uno per la donna e uno per “la roba” d’altri senza distinzioni.

In ogni caso nessuna condanna della schiavitù, pienamente accettata e validata.


La parola è azione storica; esiste solo nel momento in cui viene pronunciata, e naturalmente nella memoria.

Le parole scritte invece coesistono, si stratificano, si ammucchiano, invadono l’ambiente.

A ogni effetto costituiscono un territorio, ove l’uomo può ritrovarsi, ma più facilmente smarrirsi.


E’ con Platone che nasce la filosofia, come fenomeno eminentemente letterario.

Nel V-IV secolo la scrittura esisteva già da un bel po’ in Grecia; ma i veri sapienti, Socrate l’ultimo della serie, l’avevano snobbata e tenuta lontana come la peste; solo le avevano concesso stralci di pensiero, indizi, allusioni.

Infinitamente lontani dal diluvio di parole che nei secoli successivi avrebbe inondato e sommerso il pianeta.


L’Arte è una forma di comunicazione che ha a che fare con la bellezza.

Ma la bellezza è mitica.

L’Arte è mito.


La prima “Cena in Emmaus” (1602) è una composizione articolata ed equilibrata, autoreferenziale, compiaciuta (noiosa).

Quatt’anni dopo (1606) la rifà, dipingendo a sinistra una grande finestra con albero frondoso, come pendant delle due figure sulla destra.

Poi ci ripensa e cancella la finestra e l’albero, sotto un fondale nero. Una dichiarazione di guerra all’equilibrio e alla simmetria: anche i personaggi sembrano ora meno annoiati.

E’ cominciata la pittura moderna.


La vita è così cara… dimmi: quanto paghi perché il sole si alzi da dietro ai monti ogni mattina?


La vita ci presenta a volte obiettivi banali, che si rivelano irraggiungibili; ma può anche farci conoscere mete impreviste incredibilmente facili.


Non è giusto punire i ricordi.

Un genere particolare dei quali è legato ad ambienti, luoghi, contesti, dai quali ti sei separato da gran tempo e che hanno naturalmente continuato a vivere per proprio conto.

Come se altre persone rimaste o pervenute o nate in quei luoghi li abbiano gestiti al tuo posto, un po’ usurpatrici un po’ benemerite.

Quando le incontri capisci che la tua vita in parte è rimasta là con loro, e che quelli sono un po’ tuoi parenti.

Io sono ascianese.


L’aspirazione al prolungamento della vita non è una istanza individuale ma specifica.


La fragilità dell’uomo ci è davanti agli occhi ogni giorno. Una particolare fragilità e vorremmo dire inconsistenza, tale da rendere necessario il continuo ricorso a schemi di riferimento condivisi.

Potrebbe tale défaillance essere attribuita all’avere proiettato al di fuori di sé le proprie certezze, intendendo trasformarle in istituzioni?

In definitiva separandosene, e pretendendo da quelle le prestazioni ch’egli non è più ormai in grado di assumere direttamente?

Per gli altri animali il problema non si pone, recando essi sempre seco tutta intera la propria natura.

Non hanno infatti bisogno alcuno di leggi o di regolamenti.


La caccia rappresenta ormai soltanto più un’attività commemorativa.


“L’uomo è ciò che mangia”. Un assunto filosofico certamente non sgradito all’universo nutrizionista.

Al centro dell’interesse, e degli interessi, i cibi, attori unici della nutrizione. Come se la digestione fosse di per sé null’altro che un’attività ripetitiva e automatica, priva di discernimento.

E’ invece chiaramente una funzione complessa, di carattere conoscitivo, cioè cerebrale, che si esprime nella elaborazione di immagini, e che dialoga col mondo esterno con l’analisi delle sostanze che lo compongono.

Un processo conoscitivo intimo e profondo, attraverso il quale il mondo esterno viene introdotto al nostro interno. La nausea ne è il rifiuto, l’esclusione, il ripiegamento su sé stessi.

Il verbo capire, nella sua accezione etimologica è qui realizzato pienamente.

Un’interazione a ben vedere molto più intima di quella degli altri sensi, che lasciano il mondo fisico là dov’è!


Di straordinario supporto a questa tesi è la scoperta, risalente ad alcuni anni or sono ma non ancora entrata evidentemente nella coscienza collettiva, dell’esistenza di un secondo cervello nell’uomo, dedicato specificamente alla digestione.

Un vero e proprio secondo cervello, con la propria massa neuronale, autonomo dal primo, al quale risulta collegato per il tramite del sistema vagale, e situato materialmente, quasi fosse una calza, lungo tutto il percorso del tubo digerente.

Ad esso è manifestamente riservata l’elaborazione delle strategie necessarie, punto per punto e momento per momento, ad affrontare nel modo migliore scenari diversificati e imprevisti, nonché potenzialmente mortali.

Una funzione propriamente conoscitiva, altro che passiva come la si ritiene normalmente, allorché le si riconosce al massimo una capacità di adattamento!

Mitridate aveva reso il suo organismo insensibile a una cinquantina di veleni mortali, tanto che quando decise di morire dovette farsi pugnalare.

Del resto anche gli uccelli si nutrono di bacche per noi decisamente mortali.

Altro che cibi sconsigliati!


Il razzismo, come la fenice, non muore mai, ed è un sentimento devastante.

Improponibile, ormai, sotto il profilo bio-genetico, rinasce sotto quello culturale. In ogni caso fa leva sulla percezione del diverso.

La diversità come colpa anzi come ricettacolo di tutte le (nostre) colpe (F. Fornari).

Certamente un frutto malato della modernità e delle sue perversioni metafisiche.


La solitudine vera è quando si disseccano i sogni.


Si può affermare che l’insieme delle reti formi un territorio della comunicazione?

Cioè un “ambiente” nel quale vivono e dal quale traggono alimento gli innumerevoli centri o nodi della comunicazione medesima, gli uomini?

Una cosa balza subito agli occhi, che i centri sono diversi uno dall’altro, mentre il territorio è indipendente e unico. Esso costituisce una sorta di entità, che si incrementa in continuazione.

Ora, nel momento stesso in cui la conoscenza acquisisce consistenza autonoma, essa tende a sottomettere gli individui. La cosa è cominciata con la scrittura.

L’accesso al patrimonio della conoscenza comincia con lo stabilire differenze e rapporti di dipendenza fra i singoli individui; ma quando tale patrimonio diviene un territorio aperto e autonomo totalmente interconnesso,

 la dipendenza vera si genera ora nei suoi confronti e coinvolge la totalità degli utilizzatori.


Problema energetico: la paura che venga a mancare l’Energia, l’entità a cui abbiamo conferito tutto il potere.

A CAUSA DELL’AUMENTO SMISURATO DEI POTENZIALI FRUITORI!

Al quale non sappiamo porre un argine, un freno, un indirizzo. Ancora di più sgomenta il conseguente dilagare dell’inquinamento.

Una prospettiva apocalittica. Tanto che da più parti si vagheggia in qualche modo un’inversione, un recupero. In altre parole una “decrescita felice”!

Ma non c’è nulla di felice, e soprattutto di facile, nell’affermazione di una volontà, pure necessaria, di recupero e salvaguardia della dimensione umana individuale di fronte al prevalere di logiche alienanti.


E se la realtà, scavalcando l’immaginazione, imponesse invece una decrescita forzata, per una diminuzione spontanea e incontrollabile della popolazione?

Perché mai in effetti la popolazione dovrebbe aumentare all’infinito? Tutti i fenomeni naturali hanno un carattere ciclico.

Crollo disastroso dei mercati immobiliari, abbandono di interi quartieri e città in mano a bande selvagge, di cui un cinema tristemente presago ci ha spesso fornito immagini sconvolgenti, sarebbero forse i primi prevedibili effetti.


Non “spe salvi”, come è stato scritto, ma piuttosto spe vivi.

L’unica speranza salvifica è la speranza di vita.

La sola atta a sorreggere, animare, indirizzare gli sforzi di tutti gli esseri viventi.


Se la nostra esistenza rispondesse a un modello creazionista che senso avrebbe la morte?

Si osserverà che in natura è questo il modello vincente; ma allora chi è più forte, dio o la natura?


“L’uomo, si sa, rinasce in continuazione” (P. Adorno)


La storia è un tornare indietro per andare avanti.


Se Odisseo, cedendo all’amore di Calipso, la ninfa, ne avesse ricevuto in dono l’immortalità, sarebbe ancor’oggi in mezzo a noi.

Possiamo onestamente pensare che ne sarebbe felice?

A dire il vero l’immortalità che gli veniva offerta era quella senza tempo del piacere.

Come dice Verdone: “l’amore è eterno finché dura”.


Bando alle ambiguità, la Divina Commedia è a tutti gli effetti un’architettura gotica, una vera cattedrale gotica, la maggiore e la più autentica, in Italia.

Gli altri hanno Chartres, Reims, ecc., noi abbiamo la Divina Commedia.

Non si vede perché tante esitazioni al riguardo.

Del resto, per giudicare del goticismo di Dante (v. anche Voltaire), basta pensare a quale incredibile tour egli abbia costretto il povero Virgilio, in verità molto più buon amico nostro, che suo.


Oggi, 8 aprile, sono arrivati i rondoni; domenica scorsa, 6 aprile, erano arrivate due rondini.


Quando Dioniso diventò fanciullo amava giocare con le cose dei fanciulli: il cerchio, la palla, lo specchio.

Anch’io da ragazzo ho giocato col cerchio.

Da Dioniso a me si è sempre giocato col cerchio, da ragazzi. Ora non più.

Un altro degli eventi terribili del XX secolo.


Sandro Filipepi fece, come disse il Vasari “femmine ignude assai”.

Ma le sue donne nude altro non erano che madonne gotiche (finalmente) svestite.

Per questo non potevano essere, come non furono, adeguatamente apprezzate nel Rinascimento.

E invece a noi piacciono più di tante altre Veneri rinascimentali!

Per questo nostro residuo, tenace, assodato medievalismo, frutto sicuramente della sbandata romantica; che ci fa riscoprire quel fascino perfino nelle linee flessuose e nella magrezza debordante delle ragazze di passerella.


A Botticelli la città di Firenze ha dedicato un pezzetto di strada talmente insignificante e anonimo da fare schifo. Certamente Sandro se tornasse in vita andrebbe a sputare su Palazzo Vecchio. Anch’io mi offenderei se mi dedicassero una tale bruttura.

Meglio nulla!


I giochi di Olimpia non furono in buona sostanza che una forma di esaltazione del maschilismo omosessuale.

Erano infatti giocati da atleti maschi nudi, e le donne non venivano ammesse nemmeno come spettatrici, pena la morte.

Può significare una cosa sola: paura folle della donna, vera regina del mondo.


L’Uva e il Sole collimano; possiamo aggiungere il mare, e di conseguenza il sale.

Sui greti a picco sul mare, vero crogiuolo ardente, stanno i vigneti sospesi, le foglie accartocciate, gementi.

Chi beve vino beve anche sole, mare, sale.


Tipica dei fenomeni complessi è la facoltà di produrre morfologie semplici.

Si tratta di un vero e proprio illusionismo della natura, che si fa beffe di noi, nascondendoci i suoi veri panni dietro apparenze tranquillizzanti.

E l’uomo, così illuso, ne ricava la convinzione di potere sempre e comunque dare risposte facili alle proprie domande: Dio, la scienza, la medicina, l’intelligenza artificiale, ecc.

Proprio tutto quello che al buon Nietzsche sembrava insopportabilmente grossolano!

Egli aveva anche scritto: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.”


L’Amore non è tendenzialmente un sentimento democratico.


Veramente una grande conquista per l’uomo sarebbe non usare mai più parole col suffisso ismo.

Cadrebbe così anche la possibilità di esser tacciati di relativismo.


Ieri abbiamo conosciuto un merlo, con Serena, che gli ha dato il nome di Fiorino Mangiabruchi.

Le ho parlato allora di Penna Bianca, un altro merlo, che da parecchi anni frequenta i dintorni di casa, e che, a cominciare da una penna ha oggi quasi tutte le remiganti della coda completamente bianche.


La sapienza è dei vecchi, non la saggezza, che gioca piuttosto sul piano pratico; i vecchi anzi sono spesso un po’ folli.

Ma la sapienza attiene al conoscere, e non è necessariamente consapevole:

Essi non sanno di sapere (anti Socrate).


Se non fossi un uomo amerei essere una rondine; oppure il mio amico merlo che dopo tutti questi anni continua ancora beato lui a saltellare la mattina con immutato interesse sui tetti delle case vicine.


La sacralità della vita, umana beninteso, si identifica comunemente con la religione e la fede; ma poi si scopre che è una novità molto recente del pensiero religioso.

La pena di morte è stata infatti tranquillamente ammessa, e anche praticata fino a non molto tempo fa nello stato del Vaticano.

Come ci ha serenamente spiegato in TV un eminente prelato spagnolo, anche il pensiero religioso evolve.

Viene da chiedersi se la vita è sacra solo da quando l’ha scoperto il pensiero religioso, oppure lo era anche prima…


L’essenza del Cristianesimo non è tanto Dio che si fa Uomo, quanto l’Uomo che si fa Dio…

Come ha detto Eraclito: “la via che scende e la via che sale sono un’unica via”.


La vita è un inviluppo di esistenze; nel senso proprio di una curva inviluppo di altre.


Ma davvero tu pensi che il creatore e signore dell’Universo, miliardi di stelle, galassie, pianeti, sia quel medesimo cui ti rivolgi la sera prima di andare a letto?


Anche gli Dei sono figli di Dio.


Finalmente ho capito l’Amore: è la volontà di andare avanti!


Cos’è un pioppo? L’idea del pioppo è quella che cogli per esempio in certe acqueforti della pianura padana con i lunghi filari, oppure con la coda dell’occhio dal dentista nel giardino di fronte.

Ma anche in un piccolo semino, che non sembra, c’è proprio tutta dentro quell’idea del pioppo.

Ma se il pioppo è un’idea, che cos’è un’idea?

Beh, un’idea è un pioppo.


A chi si proclama persona di principi mi permetto di suggerire caldamente la lettura del buon maestro Pellegrino Artusi.

Vi troverà tutto sui principi, nonché sui tramezzi e gli umidi.


Cosa sarebbe l’uomo senza l’animalità?


Dire che la prostituzione è il più antico mestiere del mondo è solo una banalità.

La prostituzione è molto più di un mestiere; è anzitutto una funzione rituale.

In quanto tale intrinsecamente disposta a una sacralità ancestrale e spontanea.

E’ alla prostituta sacra che fu affidata dagli Dei l’educazione di Enkidu, cioè la sua trasformazione da essere selvaggio in essere umano.

Anche altrove leggiamo: “molto ti sarà perdonato perché molto hai amato”, e ciò si può anche supporre non sia avulso dallo specifico “mestiere” della peccatrice.


L’architettura, con le grandi costruzioni che invadono il territorio e ridisegnano il paesaggio, ha la propria reale dimensione nei piccoli pensieri notturni.


La spiritualità sembra in qualche modo avere carattere circolare.

Lo spirito non conosce i propri confini: quindi non può attraversarli.

Ne è per così dire avviluppato, come in una bolla.

Una bolla quando cerchi di attraversarla svanisce.

Come lo spirito, quando prova a uscire da se stesso.

La sfera ne è il simbolo e la rappresentazione.

Parmenide; ma anche la spiritualità indiana con le sue cupole a forma di bolla, dal Taj Mahal alla piccola cupola dorata di Auroville.

Più che veri e propri elementi architettonici, espressioni simboliche, fine a se stesse.

Anche noi abbiamo le nostre cupole, a partire dall’arco romano; ma hanno valore di copertura, raccordo, condivisione: tutt’altra faccenda.

Espressioni non dello spirito, ma dell’intelligenza, che si realizza nel superamento degli ostacoli e nella conquista di nuovi approdi.

“… una struttura così grande, erta nel cielo, ampia da coprire con la sua ombra tutti i popoli della Toscana…” (L. B. Alberti di S. Maria del Fiore)


Che cosa dire a questo punto delle “vocazioni”? C’è chi si abbandona a una vocazione e la segue per tutta la vita. Credo farebbe meglio a inchiodarla al muro.

E AVERE ALLA FINE UN BEL MURO PIENO DI VOCAZIONI!


… quella che ci attraeva un tempo era la tua vivacità, la tua capacità di fiorire…

Te ne andasti, e non sei più tornata.


Il mondo è davvero una gran pattumiera, qualsiasi cosa ci butti dentro, sparisce.


Oggi 10 agosto la Carla ha visto prima delle sette due branchi di rondoni infilare silenziosi uno dopo l’altro a volo radente sui tetti la strada del ritorno, lasciando il cielo terso deserto e attonito.


Ci domandiamo: quale arte infine è da considerarsi superiore, la pittura o la scultura?

Leonardo da Vinci non sembrava avere dubbi in proposito, quando esigeva che i suoi allievi imparassero a modellare prima ancora di prendere il pennello in mano.

La profondità e vivacità dello sguardo, tanto per fare un esempio, ben difficilmente può esser resa in scultura.

Tutta la scultura antica, così celebrata e osannata, non raggiunge l’intensità espressiva dello sguardo, che possiedono i piccoli ritratti del Fayyum!


Questi ritratti, insieme a tanta altra pittura romana, quella meno celebrativa, appaiono così “moderni”, cioè liberi da vincoli formali, da sorprenderci vivamente e suscitare interrogativi a cui stentiamo a dare risposte convincenti.

Sembrano contigui alla ritrattistica otto-novecentesca, come non ci fosse stato di mezzo il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco ecc.; tanto che qualcuno si è divertito a proporre sorprendenti accostamenti quadro per quadro con altrettanti autori moderni; creando l’illusione di un Degas, un Modigliani, un Campigli, ecc. che si siano ispirati a quei ritratti!

Come se in quell’epoca lontana e sepolta si fossero in breve tempo bruciate tutte le tappe che verranno poi ripercorse con tanta fatica nei secoli avvenire!


La memoria è qualcosa che si coltiva, come il grano.


Non è per scongiurarne la ripetizione, come si afferma, che certi eventi dolorosi vengono consacrati alla memoria.

Ma piuttosto per una forma di espiazione, rivivendoli.


L’omosessualità rientra fra i comportamenti spontanei e naturali dell’uomo, fino dai tempi più antichi, per quel che sappiamo.

Ma anche l’avversione alla omosessualità fin dai tempi più antichi trova espressioni spontanee e naturali.

La natura non ha difficoltà alcuna a mostrarsi contraddittoria.


In ogni caso è la sessualità che costituisce un ambito critico per l’uomo, a causa delle sue valenze fisiologiche, cioè animalesche, inconciliabili con la nostra pretesa superiorità e unicità.

Ma quest’ancoraggio al mondo animale, e alla sua stabilità, non è forse in definitiva la nostra vera ancora di salvezza?


Due film straordinari, rivisti a distanza di tempo, sembrano uniti da un filo sottile, nel restituire dell’America, al di là delle loro possibili carenze e forse anche per quelle, una visione senza scampo, inquietante e irrisolta, senza più passato e priva di futuro, incapace perfino di reggere con un minimo di dignità il presente.

Si tratta del film “Tempesta di ghiaccio” del 1997, e di “American beauty” del 1999, premio Oscar.

Quest’ultimo titolo, che vorremmo liberamente tradurre “Il bello dell’America”, si riferisce invece al nome di una qualità di rose dai petali purpurei, che coprono il corpo nudo di una fanciulla nei sogni del protagonista.

Insieme i due titoli fanno la “Rosa di ghiaccio”.


Il calcio è, come tutti vedono, dilagante nella nostra cultura di matrice parrocchiale.

Non ci sarà da stupirsi se a un certo momento qualcuno affermerà che la civiltà è fondata sul pallone.

Perfino le donne, un tempo piene di saggezza, sembrano esserne coinvolte senza riserve.

Ci aspettiamo che anche il filosofo spieghi “perché non possiamo non dirci tifosi”.


La tolleranza, a cui tutti sembrano aspirare, più che frutto di scelte e buoni propositi, si presenta come una vera necessità storica, in funzione dell’integrazione.

Ma esige un tributo speciale, che molti disconoscono e pochi sembrano disposti a concederle: una sostanziale e condivisa riduzione dei picchi ideologici.

Solo tagliando quei picchi è possibile un incontro reale e non fasullo fra culture diverse. Chi suppone di poter conservare inalterato il proprio patrimonio ideologico è quanto meno un ingenuo, se in buona fede.


Tale è il passaggio che si profila all’orizzonte prossimo della storia; e in molti dovranno rassegnarsi a subirlo, magari sotto l’egida del consumismo.

Già vediamo il Natale festeggiato con grande sfarzo in Cina, e perfino in paesi musulmani, dove la gente non ne conosce, e non ha alcun interesse a conoscerne, l’interpretazione cristiana. Del resto anche da noi gli innumerevoli film e spettacoli natalizi parlano senza eccezione solo di regali, luminarie e babbi natale.

Mentre anche il Ramadam si approssima, sotto quell’egida, a un felice “sdoganamento” presso gli usi e i costumi del mondo occidentale.


E’ a dir poco singolare che il grande Goethe abbia scritto una volta a proposito della tolleranza che “tollerare è offendere”, e che “la tolleranza deve tendere al rispetto”.

Quale rigurgito di elucubrazioni post-illuministe, insieme al gusto della battuta, possano averlo indotto a scrivere una cosa simile, non è facile intendere.

La tolleranza vale ben più del rispetto, poiché, a differenza di quello, comporta partecipazione e coinvolgimento.


Il velo islamico rimane comunque urtante per un europeo, in quanto esprime ai suoi occhi una persistente chiusura, una fasciatura, di idee oltre che di membra.

Le nostre donne portavano in testa il velo andando in chiesa la domenica, ma se ne sono liberate una settantina di anni fa.

Le monache lo portano ancora, ma sono appunto delle “teste fasciate”, come diceva don Caramelli, prevosto di Asciano.


“Senti le campane! Da quale chiesa provengono?”

“Ma sono le campane del duomo! Non riconosci il campanone ?”

“E’ vero… si sente molto bene da qui.”

“Si, quando tira lo scirocco.”


E’ opportuno in ogni caso che la religione duri per quanto possibile: chi potrebbe altrimenti evitare che le chiese diventino ricettacolo di topi e di immondizie?

Oppure nel migliore dei casi spettrali aule museali?


Cento anni fa una città era un mondo (v. Firenze a cavallo dei due secoli).

Oggi il mondo è una città (piccola).


Ciò che si può dire con una parola, perché non dirlo con mille?


Nessuno si arrischia a immaginarsi l’uomo preistorico pienamente realizzato e felice; categorie riservate a noi stessi e alle nostre speranze.

Eppure, come avrebbe potuto vivere tanto a lungo, se non lo fosse stato?

Riportate le migliaia d’anni in metri, i poemi omerici si collocano a circa tre metri di distanza, contro i tre chilometri e mezzo di Lucy.

Un mistero profondo avvolge la nostra storia, sepolta nell’oblio, cancellata, ignorata, sostanzialmente rifiutata.

Come non si trattasse affatto di noi stessi, ma di un animale con cui nulla abbiamo a spartire… se davvero siamo convinti di essere stati rapiti da un vortice virtuoso


“Per l’uomo è in realtà assai difficile comprendere gli animali.” (D. Mainardi)


Quest’ambigua attualità, così facile a suggestioni tanto comuni quanto oscure e sfuggenti, nella quale nulla ci stupisce perché ben poco capiamo, non riecheggia paradossalmente quel mondo immerso nel soprannaturale e nel mistero nel quale vivevano i nostri antichi padri?


Molte qualità sono divenute oggi appannaggio della donna non meno che dell’uomo: non la violenza, che resta all’uomo più fedele.


Un pullulare di scarafaggi

Diamanti in una vetrina…

Nei primi la prepotenza della vita… nel diamante l’espressione perfetta della non vita.

Quasi che la vita sublimandosi tenda a identificarsi con la non vita…

Forse è più corretto dire che tutto ciò che è forma, in qualche modo è vita.

Sì che l’aspirazione suprema (degli scarafaggi) è la purezza del diamante.


Fondamento dello stress è la faticosa creazione del tempo.


Chi non ha mai desiderato di scolare con un vecchio amico delle bottigliette di birra sui gradini della sua casa di legno?

Meglio con un’amica, sorridendo

e cercando un’armonia,

“anche se siamo diversi

come due gocce d’acqua.”

(W. Szemborska)


E’ morta Alda Merini, ne possiamo

quindi parlare, come di una Pizia

priva di santuario, perciò indifesa

perciò impossibile da uccidere;

l’abbiamo dunque chiamata poetessa

la più grande poetessa vivente punto e

basta: un altro modo per uccidere.


I giorni di novembre sono i più oscuri dell’anno; ma anche i più luminosi, quando la morte si congiunge alla vita.


Il ventesimo secolo, nel quale abbiamo avuto la chance di vivere, è stato davvero uno dei più pesanti della storia, nel male come nel bene.

Impensabile seppellirlo.

Il 2000 ne è al momento soltanto la coda.


Il sentimento antico e possente della tragedia sembra ormai aver preso le distanze dalla storia.

Non per mancanza di eventi idonei a suscitarlo, anzi la loro sovrabbondanza può aver reso l’uomo insensibile; ma è poco convincente come spiegazione.

Né voglio darne una; ma solo osservare questa sorta di ritirata, questa progressiva assenza dell’uomo dal ruolo di protagonista; che, insieme al coro, è la chiave di volta della tragedia.


Svanita oramai definitivamente ogni speranza di entrare in contatto con altri mondi, la solitudine rischia alla lunga di divenire intollerabile.

Finché era territorio di conquista il problema non si poneva; ma una volta che la Terra è divenuta piccola e senza sbocchi, la solitudine minaccia di assumere contorni sempre più netti e inquietanti.

Tali da far temere il progressivo annebbiamento di attrattori forti fino ad oggi, come la passione per la verità.

A meno che, dopo l’era del “progresso”, non si affacci una sorta di era del “regresso”, che allontani i confini della Terra, e dia nuovo senso alla vita.


Un tale scenario si attaglia all’uomo, l’esploratore per eccellenza; non forse alla donna, che si affaccia su un mondo nuovo per lei.

A questa donna tributiamo tutto il nostro affetto, il nostro encomio, il nostro incoraggiamento.


I vecchi a tutti gli effetti rappresentano una categoria storica a sé stante: solo limitatamente partecipi del presente, contigui invece ai vecchi del passato e, perché no, del futuro.

La stessa cosa vale per i bambini: sicché si può dire che le due condizioni rappresentino i punti fermi dell’umanità.


”Ecco gli storni, vieni a vedere, che ora è?… le sei e mezzo… un altro gruppo…

come vanno veloci… dalla città alla campagna per cercar da mangiare…

“…come gli stornei ne portan l’ale, col freddo tempo, a schiera larga e piena...”

macché anime di dannati!

un altro gruppo… veloci come il vento!

oh no, quello è il signor corvo… che vola contromano, e misura il territorio…

un attimo prima della stupida invadenza dei piccioni.


Aggiornato a dicembre 2011


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018