TEORIA
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IL MESTIERE DELLO SCRITTORE
S'arriva a un punto della propria vita in cui non s'ha quasi più alcun interesse per quel che s'è fatto, essendo troppo grande quel che non s'è riusciti a fare. Per non diventare cinici o indifferenti ai valori, si cerca di relativizzare la propria importanza, chiedendosi se quel che s'è detto o pensato o scritto meritasse davvero una qualche realizzazione. A volte infatti, anzi spesso, volgendo lo sguardo a come eravamo 20, 30, 40 anni fa, ci prende una certa tristezza, in quanto possiamo facilmente constatare che tante nostre idee non siamo stati capaci di tradurle in alcuna vera realtà. Ma, per quanto ciò possa apparire strano, ci piace fare l'occhiolino alla nostra incoerenza, che ci ha fatto, in fondo, risparmiare cocenti delusioni, figuracce, critiche spietate da parte degli avversari. L'unica cosa di cui ci possiamo vergognare è appunto la nostra incoerenza, che però, rispetto alle cose assurde che avremmo potuto realizzare, ci diventa quasi simpatica. Di fronte alle utopie o ai progetti del nostro passato, che abbiamo tenuto nei cassetti o in cartelle impilate da qualche parte, ci sovvengono due atteggiamenti opposti: bruciare tutto o lasciare che siano i posteri a decidere. La scelta è relativa al tasso di amor proprio che si prova. Se è molto alto e si vuol lasciare di sé la parte migliore, si butta via tutto quello che non condividiamo più. Se invece non si ha questa preoccupazione, si lascia stare tutto così com'è. Se fosse dipeso da Virgilio, giusto per fare un esempio, noi oggi non leggeremmo alcuna Eneide. Ma questa seconda cosa, prima di rinunciare a vivere, la si fa anche per un'altra ragione: si spera sempre di riscrivere in forma migliore le idee del passato. E' come se non ci si volesse rassegnare al fatto che lo scorrere del tempo inevitabilmente ci obbliga a non essere mai uguali. Lo scrittore è generalmente una persona disturbata, malinconica, profondamente sola, incapace di vivere una vita senza troppi pensieri. Vede le inezie troppo da vicino e non riesce a ridimensionarle di fronte ai grandi problemi dell'umanità: per lui ogni cosa può costituire un oggetto d'interesse, un problema, una sfaccettatura della realtà, un qualcosa di simbolico, che merita d'essere valorizzato o addirittura trasfigurato. Le cose piccole diventano come quelle grandi, ma solo perché quelle grandi vengono viste in maniera astratta, col solo pensiero. Se davvero uno s'impegnasse in qualcosa d'importante e, insieme, di concreto, saprebbe vedere nella giusta misura tutte le cose che lo circondano. In questo le donne sono infinitamente migliori degli uomini. Invece gli scrittori (poeti, romanzieri o critici) amano non tanto le cose concrete, ma le parole in quanto tali, amano fare degli incastri, produrre delle belle frasi, senza preoccuparsi più di tanto degli effetti che suscitano. A meno che, ovviamente, uno non faccia il giornalista o il politico o l'avvocato o il professore che sforna manuali: ecco, allora sì che si ha la pretesa di vedere le proprie parole raggiungere determinati risultati. Proprio perché da quelle parole dipende il proprio destino, la propria professione. In tal caso non si scrive per il gusto di scrivere, per fare riflessioni in tutta libertà: ogni singola parola è legata a uno scopo preciso, per cui si cerca di pesarla, di renderla efficace, di limarla quanto più possibile. Oggi gli scrittori che dettano legge sono quelli che si lasciano vincolare da una stringente motivazione, che in genere è quella di acquisire un certo prestigio, una certa rinomanza, un certo potere. Chi scrive quel che gli passa per la mente, non ha futuro, non ha audience. E' molto difficile incontrare uno scrittore che voglia dire cose importanti, che sia capace materialmente di farlo e che non sia sul libro-paga di qualcuno. La scrittura, in Italia, è diventata l'arte di chi ti mette un fagiolo non in un piatto bianco, ma in uno dai mille colori, e poi chi chiede di mangiarlo, nella convinzione che lo farai con maggior gusto e, se non stai attento, ti convinci che sia proprio così. VALORI UNIVERSALI E DEFINIZIONI ASTRATTE Definizioni astratte del bene o della virtù o del valore umano, universalmente valide, a prescindere dal contesto spazio-temporale di riferimento, non vogliono dire nulla, anche se appaiono emotivamente toccanti. Infatti una qualunque definizione astratta viene sempre, in genere, messa per iscritto. Sarebbe davvero singolare vedere uno comportarsi come un filosofo, cioè come una persona astratta, e non mettere nulla per iscritto. Certo, uno può essere filosofo senza scrivere una riga, ma, in tal caso, non dirà mai nulla di astratto: sarà un discepolo di Socrate. Questo perché la scrittura è, di per sé, la negazione della libertà umana, che è fondata esclusivamente sul dialogo intorno alla soluzione di problemi comuni, che mutano di continuo, come è giusto che sia. Chi nega il movimento, nega la dialettica, e viceversa. Chi nega l'attrazione e la repulsione degli opposti, nega il movimento e, insieme, la dialettica. Tutto quanto abbiamo scritto, in questi ultimi 2500 anni, in Europa, ha un valore prossimo allo zero, in quanto in nessuna maniera siamo riusciti a risolvere, attraverso lo strumento della scrittura, il problema fondamentale che ci attanaglia: l'antagonismo sociale, cui oggi va aggiungendosi, in maniera molto grave, a causa della rivoluzione tecnico-scientifica, quello dell'antagonismo tra uomo e natura, che è sempre stato correlato all'altro, come vasi comunicanti. Espressioni di altissima spiritualità, rinvenibili in varie religioni, come p. es. "ama il prossimo tuo come te stesso", o "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te", o "nessuno ha amore più grande di chi offre la sua vita per i propri amici", sono frasi che, estrapolate da un contesto significativo di riferimento, vogliono dire tutto e niente. Non c'è alcuna espressione astratta che ci possa indicare con sicurezza quale atteggiamento tenere in una data circostanza, proprio perché la verità non è un'evidenza, tanto meno se messa per iscritto. Infatti, non solo ogni frase, ma anche ogni singola parola può significare cose opposte, ed essere interpretata in maniera opposta. L'unica assolutezza, di cui possiamo esser certi, è il fatto che il bene più prezioso in noi è la libertà di coscienza, che si sente realizzata soltanto quando ogni volta può mettersi in gioco. Solo quando ci si sente liberi, si può davvero credere nel valore di qualcosa. Ogni imposizione l'avvertiamo come un peso, che, ad un certo punto, può anche diventare insopportabile. Quando arriveremo a capire che per capire queste cose non c'è bisogno di scriverle, saremo davvero liberi. Fino a quel giorno non riusciremo a sottrarci all'illusione di credere d'aver detto qualcosa di decisivo con la scrittura. La scrittura infatti è una delle principali espressioni dell'alienazione umana, cioè della separazione dell'individuo dal collettivo, o di un piccolo clan dalla grande tribù. Ma è anche dissociazione dell'uomo dalla natura, che è l'unico vero libro che dovremmo leggere. Se questo è vero, il valore di un filosofo come persona dovrebbe essere considerato inversamente proporzionale alla mole dei suoi scritti. Infatti se uno occupa tutto il proprio tempo a leggere e a scrivere, non può arricchirsi umanamente, per cui è abbastanza dubbio che possa dire qualcosa di veramente interessante nei suoi scritti. La vita è infinitamente più grande delle parole con cui la si dice, anche perché, alla fine, limitandosi a leggere e a scrivere, si parla soltanto della vita degli altri. Due strade dunque si prospettano davanti a noi per poter capire l'importanza del dialogo: la distruzione causata dai conflitti sociali (così tipica p.es. nelle guerre mondiali e regionali); la devastazione causata dai disastri ambientali (che, dai tempi di Chernobyl, risultano essere sempre più gravi). Per come siamo messi attualmente i due fattori di crisi non sono tra loro in alternativa, bensì concomitanti. Evidentemente dobbiamo sperimentare il peggio del nostro individualismo prima di poter capire quanto esso sia inutile ai fini della realizzazione della libertà. Dunque esistono dei valori umani universali? Certo, esistono, ma non è dando di essi una definizione astratta, universalmente valida, che si può comprendere come realizzarli. Il diritto alla vita è un valore universale? Certo, lo è, ma solo perché con esso si può tutelare un valore più grande, quello della libertà di coscienza, che non la si può pienamente rispettare né con definizioni astratte né con provvedimenti legislativi. La libertà va rispettata con la libertà, esattamente come la verità con la verità, la giustizia con la giustizia, l'amore con l'amore e la vita con la vita. |