TEMPO E UNIVERSO

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TEMPO E UNIVERSO

Per risolvere al meglio la questione delle relazioni sociali, l'ideale sarebbe che nell'universo vigesse il principio di equivalenza tra passato e presente, così come prospettava Einstein. Cioè avremmo assolutamente necessità che il tempo non fosse una linea ma un punto, in maniera tale che fosse possibile incontrarsi con chiunque.

Certo, per chi è stato un dittatore feroce può essere un problema incontrare di nuovo le sue vittime, ma poiché nell'universo vige la libertà di coscienza, niente e nessuno potrà obbligarvelo. L'importante è che il carnefice sappia dell'esistenza di questa possibilità: in fondo riconciliarsi con le proprie vittime è un modo di riconciliarsi con se stessi.

Questa modalità dovrebbero adottarla anche nelle carceri di tutto il mondo, come forma di recupero del condannato, e anche, se vogliamo, come forma di relativizzazione dell'innocenza della vittima, in quanto nessuno può mai aver la pretesa di dirsi "totalmente innocente", come nessuno è mai "totalmente colpevole". Se il genere umano fosse divisibile in maniera così manichea, il crimine non potrebbe neppure essere giudicato, in quanto le sue cause dovrebbero essere ritenute imponderabili.

Forse una problematica del genere può apparire astrusa a una coscienza che professa l'ateismo, ma se c'è un mito che dobbiamo sfatare è proprio quello dell'equivalenza di ateismo e nulla eterno. Il nulla è solo una componente dell'universo; l'altra è l'essere, e questo, come quello, è eterno.

Ateismo vuol semplicemente dire che a capo di tutto non c'è un dio ma l'uomo, o meglio, l'essenza umana, di cui l'essere umano, così come lo possiamo constatare su questo pianeta, è solo una delle sue forme. Peraltro la forma umana che ci appartiene è incredibilmente variabile, non solo nella sua conformazione fisica, ma anche nella sua caratterizzazione spirituale. Il che ci lascia pensare che l'identità ci sia più data dall'essenza umana che non dall'essere umano.

Noi non siamo mai uguali a noi stessi, neppure nell'ambito di una stessa giornata: quando siamo sul lavoro ci comportiamo in una determinata maniera; in casa nostra in un'altra; con gli amici in un'altra ancora, e così via. Sono mille le situazioni in cui siamo diversi. Se guardiamo l'intera nostra vita sono praticamente illimitate, così come lo sono i mutamenti fisici del nostro corpo, che avvengono, seppur in maniera impercettibile, con costanza quotidiana, finché ad un certo punto ci rendiamo conto (come se improvvisamente decidessimo di fare un bilancio della nostra vita) che, sotto vari aspetti, non siamo più quelli di prima: i capelli bianchi, le rughe, la stanchezza, l'affanno, la perdita della memoria ecc.

Per tutta la nostra vita assistiamo a mutamenti incredibili del nostro fisico e del nostro spirito (o della nostra mente, come preferiscono dire gli anglosassoni). Dunque per quale motivo dovremmo credere che la morte debba por fine a questo processo di trasformazione, indipendente dalla nostra volontà e che ci caratterizza nella nostra umanità?

In natura, in genere, è proprio la morte che inaugura una nuova vita. Se il seme non muore, non porta frutto. Questa massima evangelica (che così tanto somiglia alla dialettica hegeliana) può essere applicata a qualunque cosa, persino agli imperi della storia: quando morì quello romano nacquero i regni barbarici in Europa, che non praticavano lo schiavismo.

Se l'ateismo non fa propria la legge della trasformazione della materia, prolungando l'esistenza terrena a livello cosmico, non riuscirà mai a superare la religione, che vuole incatenarci alle sue idee non solo su questa terra ma anche nell'aldilà. I credenti infatti non vedono l'ora di dimostrarci, in maniera evidente, che avevano ragione; non vedono l'ora di prendersi la rivincita nei confronti dello scetticismo e del materialismo, e non sanno che sarà proprio la dimensione dell'universo a smentirli clamorosamente.

Non esiste alcun dio onnipotente e onnisciente, ma solo l'essenza umana con la sua libertà di coscienza. Qualunque discorso su "dio", fatto su questa terra, andrebbe considerato come un non-senso o quanto meno come una stravaganza dovuta alla limitatezza del pensiero. L'ateo non deve fare ragionamenti su ciò che non esiste (perderebbe il suo tempo), ma solo sull'uomo.

Noi dovremmo convincerci di una cosa, che se lo spazio e il tempo sono eterni e infiniti (e per noi percepirli come tali non costituisce una difficoltà insormontabile, anche se su questa terra spesso siamo portati a ritenere il contrario), allora vuol dire che anche l'essenza umana è eterna, per cui noi, in un certo senso, non siamo mai nati, almeno non lo siamo così come lo intendiamo su questa terra.

Le parole assumono un significato molto diverso a seconda del contesto spazio-temporale cui fanno riferimento. La polisemia del linguaggio umano non è un limite che c'impedisce d'essere chiari e distinti, ma un'incredibile ricchezza, che ci permette moltissime sfumature. Noi dovremmo sfruttare massimamente le ambiguità del nostro linguaggio (che per fortuna non ha nulla a che fare col linguaggio-macchina), perché solo in tal modo riusciremo a tenerlo sempre vivo, nonostante il passare del tempo lo porti inevitabilmente a invecchiare.

Una linea infinita è composta da punti infiniti, che messi tutti insieme producono qualcosa che dobbiamo chiamare col termine "linea", ma che avremmo potuto chiamare "puntinsieme" (insieme di punti). Se l'avessimo fatto, avremmo dato l'impressione che nell'universo esistono solo infiniti punti, i quali, messi insieme, producono linee di tutti i tipi, e queste linee generano figure geometriche di tutti i tipi, e così via.

Tutto dipende da un punto, che contiene in sé gli elementi opposti che si attraggono e si respingono. Ogni cosa che dipende da questo punto è come il punto, avendo le sue stesse caratteristiche. Dal punto di vista dell'essenza umana c'è forse differenza tra un padre e un figlio? Noi non possiamo dire che il padre ha qualcosa di qualitativamente superiore al figlio. L'unica differenza sta nella generazione, ma anche il padre è stato, a sua volta, figlio, e anche il figlio può essere diventato padre, per cui dovremmo parlare di infinita successione generazionale, che ci impedisce di credere che in origine sia esistito qualcuno assolutamente diverso da noi, dalla nostra essenza umana.

Noi non siamo stati creati da nessun dio, ma non proveniamo neppure dalle scimmie. Noi semplicemente ci siamo autocreati. Questo è così vero che quando p.es. parliamo di "era dei dinosauri", dovremmo parlarne come di una sorta di "infanzia dell'umanità". Nel senso cioè che l'essenza umana esisteva già al tempo dei dinosauri, ma non aveva ancora raggiunto la piena maturità per poter vivere sulla terra.

La terra è un prodotto dell'universo e siccome sulla terra il prodotto più significativo è l'uomo, allora vuol dire che lo eravamo già anche nell'universo, prima dell'esperienza terrena, e che l'evoluzione si applica a qualunque cosa, escluso l'uomo, e se vogliamo applicarla anche all'uomo, possiamo farlo solo in rapporto alle nostre forme esteriori, non alla nostra essenza.

Quando ci si convincerà di questo, si smetterà di dire che esistono degli extraterrestri totalmente diversi da noi, assolutamente nemici del genere umano, per i quali occorre sottomettersi alla potenza terrestre in grado di eliminarli. Si diranno le stesse cose dicendo che gli extraterrestri sono come noi. Pur di sopravvivere nell'antagonismo ci s'inventerà un nemico cosmico.

Non è da escludere che se non esiste "passato" e "presente", non esistono neppure, nell'universo, concetti come alto e basso, destra e sinistra, e così via. Tutto dev'essere possibile nei limiti della libertà di coscienza, che in sé non ne ha, avendone solo in rapporto a quella altrui.

Qualunque rapporto umano non può essere escluso a priori, a meno che appunto non vi si opponga la coscienza. Dovrà esser questa la legge fondamentale dell'universo: rispondere spontaneamente alla chiamata di qualcuno che vuole incontrarci. Come i lupi di notte, con la luna piena, che si parlano ululando, a grandi distanze, senza che nessuno ve li obblighi. Dobbiamo in un certo senso saper riconoscere il "richiamo della foresta", perché è da qui che siamo usciti, per poi perderci senza speranza, smarrendo la "diritta via".

La selva non è oscura, ma luminosa, ci illumina dentro, ci mette a contatto con l'essenzialità, con noi stessi. Non è come il deserto, dove le condizioni di vita sono così dure che facilmente nascono visioni mistiche, fanatismi religiosi, orgogli interiori... La foresta è ciò che rende l'uomo se stesso: non è una prova da superare per poter vivere meglio altrove, come nelle antiche fiabe.

Noi non siamo fatti né per i deserti né per le città, ma per la terra, per una terra libera, non recintata, dove il rapporto con la foresta sia organico e non di mero sfruttamento. In origine l'uomo era "custode di un bosco", cioè di una foresta, e ciò che lo tradì fu qualcosa di artificioso, che gli appariva migliore dei frutti naturali, migliore di una vita basata sulla sobrietà, sulle cose essenziali, sul lavoro di gruppo, sulla condivisione di mezzi e strumenti di lavoro, di conoscenze abilità competenze da trasmettersi di padre in figlio, di madre in figlia, su una distinzione di ruoli nient'affatto imposta da qualcuno.

Nell'universo non c'è solo l'essenza umana ma anche quella naturale, poiché siamo fatti di spirito e materia, e chi non è capace di vivere su questa terra, non vi riuscirà da nessuna altra parte, se non recupera lo stile di vita dell'uomo primordiale o ancestrale, chiamato con disprezzo, dagli storici, col termine di "uomo primitivo" o "preistorico": da quegli storici che assurdamente fanno iniziare la storia con la scrittura, la proprietà, la stanzialità, la città, i metalli, la moneta, i commerci ecc.

Noi abbiamo il compito di ricostruire nell'universo le condizioni per cui sia possibile ritornare a vivere come sulla terra al tempo delle foreste, la cui pericolosità era infinitamente minore rispetto a quella delle nostre jungle d'asfalto e di cemento.

Il nostro pianeta non è uno dei tanti pianeti in cui sia possibile vivere l'essenza umana: al momento è l'unico in tutto l'universo. Se in futuro ve ne saranno altri, dovranno essere come la terra, poiché essa rispecchia adeguatamente tutte le condizioni in cui noi possiamo vivere.

Non ha alcun senso pensare a un'esistenza cosmica priva di materia e di natura. Se noi dovessimo distruggere il nostro pianeta, nell'universo avremmo comunque il compito di costruirne un altro analogo, e il nostro resterà disabitato a testimonianza della nostra insipienza, come già oggi sulla terra i tanti deserti ci indicano il male che arrechiamo all'ambiente.

L'universo è fatto per essere abitato dall'uomo. Einstein si meravigliava ch'esso fosse così "comprensibile", ma lo è proprio perché noi lo si possa abitare ovunque vi siano le condizioni adatte alla nostra riproduzione. Gli esseri umani possono vivere solo in un universo "comprensibile", e quello che abbiamo lo è, sempre di più, per cui prepariamoci a uscire dal nostro pianeta per popolarne tanti altri adatti alla nostra sopravvivenza.

UNA NUOVA CONCEZIONE DEL TEMPO

Quello che uno scrive in sette anni, noi lo comprendiamo in sette settimane, o addirittura in sette giorni, se ne siamo capaci. Non è offensivo? No, perché rispetto a chi era prima di noi, abbiamo un vantaggio che lui non poteva avere e che proprio lui ci ha dato.

Questo però è ingiusto. Non tanto perché lui non potrà giungere alle nostre stesse conclusioni (o guardarsi retrospettivamente), quanto perché non gli è stata data la possibilità di discutere con noi. C'è qualcosa che non va nello scorrere del tempo. Non può essere sempre così irreversibile. Nell'universo deve per forza esistere qualcosa che allinea, in un unico punto, le successioni cronologiche. Quel mostro di Einstein l'aveva già capito e non staremo qui a ripeterlo.

Ci vuole cioè qualcosa che faccia coincidere in uno stesso momento le fasi del passato, in modo tale che uno veda il proprio passato come il proprio presente e possa discutere (intorno ai propri ragionamenti o alle proprie scoperte) con chi è venuto dopo di lui, confrontandosi, per così dire, alla pari, cercando, p. es., di capire quali erano gli elementi che gli impedivano di progredire, di svolgere il pensiero, le azioni, così come è stato fatto successivamente. Ognuno deve poter sapere che cosa gli mancava per essere diverso da come era e... abbracciare il futuro.

Certo, ognuno di noi guarda gli altri come il proprio passato, e ne rivede, inevitabilmente, i difetti, anche se non è detto che il passato abbia, in tutti i suoi aspetti, costituito un limite nei confronti del presente. Non sta scritto da nessuna parte che lo scorrere del tempo indichi necessariamente una linea progressiva di miglioramento. La barbarie è sempre possibile, anche se, per poter andare avanti, dobbiamo per forza superarla.

È del tutto naturale, benché poco logico, che nella storia si migliori in una cosa e si peggiori in un'altra. Non è vero che dal passato prendiamo solo le cose buone: prendiamo anche quelle che ci fanno male, anzi, il più delle volte preferiamo queste, e solo dopo averne pagato caramente il prezzo, ci convinciamo d'aver sbagliato e provvediamo a recuperare il tempo perduto. La storia ci diventa maestra di vita solo quando non è più cattiva consigliera.

Tuttavia guardare gli altri, che ci hanno preceduto, come il nostro passato, e non poter fare con loro una discussione face to face, non poter avere uno scambio di idee nel presente, su ciò che si è pensato, rispettivamente, è un limite troppo insopportabile per non desiderare di vederlo superato.

Qui il misticismo non c'entra proprio niente. Ci mancherebbe altro che lasciassimo alla religione il monopolio interpretativo di cosa ci accadrà nell'universo. L'esigenza che abbiamo di una vita diversa nello spazio cosmico non ha nulla a che fare con la sensibilità religiosa, anche perché diamo per scontato che non esista alcun dio diverso dall'essere umano.

Di sicuro noi non possiamo accettare che il tempo ci condizioni così pesantemente. La consapevolezza delle cose non può sottostare a una regola così ferrea: quella che il passato è morto e sepolto e che la vita nell'universo riguarderà soltanto le generazioni future. Nell'universo non va perduto proprio nulla. L'irreversibilità del tempo possiamo accettarla solo in via transitoria, per l'esperienza terrena (che, prima o poi, avrà sicuramente un termine), ma non possiamo accettarla in un'esperienza definitiva che avremmo nell'universo. Il fine della nostra esistenza non coincide certo con la sua fine. Tutto è in uno stato di perenne trasformazione. Non c'è nulla di statico. L'unica cosa certa che sappiamo è che l'essenza umana è UNA SOLA: non ve ne sono due o mille.

Quindi ci deve essere data la possibilità di confrontarci alla pari con chi ci ha preceduto, proprio allo scopo di chiarirci reciprocamente le idee, anche perché insieme potremmo aver bisogno di fare qualcosa in futuro, nello spazio cosmico, utilizzando, insieme, il meglio che abbiamo prodotto. "Dio è gratuito, ma non superfluo", ci dicevano quando eravamo adolescenti. Però anche la natura lo è, anche l'intelligenza e la sensibilità umana lo sono. Ogni cosa buona lo è: ecco perché non abbiamo bisogno di alcun dio. Ecco perché ci deve essere data la possibilità di non sprecare le nostre risorse, soprattutto quelle che ci sono costate immense fatiche.

Abbiamo bisogno di rivederci, per fare, per così dire, il punto della situazione, come se ognuno di noi potesse dire: "Ecco, io ho dato il mio contributo, che altri hanno ereditato. Ma adesso, insieme, cosa facciamo? Dobbiamo andare avanti".

Bibliografia

Il tempo nella storia della filosofia occidentale

Spazio Tempo Movimento della Materia


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018