La verità delle cose e le canne al vento

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LA VERITA' DELLE COSE E LE CANNE AL VENTO

C'è modo di stabilire a priori la verità delle cose? No, non c'è. Non esistono idee assolute o divinità al di fuori dell'essere umano. E non si può neanche sostenere, come fanno gli agnostici, una loro esistenza ipotetica. Qualunque cosa assoluta esistesse al di fuori di noi, sarebbe una limitazione della nostra libertà, soprattutto della libertà di coscienza. Inevitabilmente, infatti, chiunque possedesse l'assoluto finirebbe col ritenere gli altri dei sottosviluppati o dei "popoli senza storia". Gli esseri umani, invece, devono considerarsi tutti uguali, tutti alla ricerca del percorso che porta alla verità delle cose.

E' vero che la natura ha proprie leggi, indipendenti dalla volontà dell'uomo, ma queste leggi dobbiamo scoprirle e le stiamo progressivamente scoprendo, anche se forse quella fondamentale ci è ancora ignota, altrimenti eviteremmo di esercitare su di essa una violenza quotidiana.

Se fossimo convinti che la verità delle cose risiede nella natura, noi dovremmo ridurre al minimo il nostro impatto su di essa. Dovremmo compiere solo quelle cose che la natura è in grado di sopportare abbastanza facilmente. Ma per poter agire così, di fronte a noi non dovremmo avere una natura sconfinata, le cui risorse ci appaiono come inesauribili. Dovremmo anzi essere costretti a muoverci in uno spazio molto limitato, così vedremmo subito gli effetti della nostra presenza sul pianeta.

Da questo punto di vista, se ci pensiamo, gli esseri umani più "conformi a natura" sono stati quelli che, al loro passaggio, non hanno lasciato nulla ai posteri, se non appunto il loro assoluto rispetto delle leggi naturali, che si trasmettevano oralmente, all'interno delle loro comunità.

Viceversa, da quando esistono le civiltà ci si comporta sempre in maniera opposta: affermiamo l'individuo contro la comunità, ci costruiamo comunità artificiali con cui vogliamo dominare la natura, edifichiamo splendidi monumenti per dimostrare la nostra grandezza e ci piace persino mettere per iscritto la nostra magnificenza, nella convinzione che i posteri crederanno in noi per filo e per segno.

Certo, qualcuno potrebbe dire che se anche vivessimo in uno spazio ristretto, avremmo sempre a che fare con una natura che non è esattamente identica all'essere umano. Quando gli uomini hanno dei problemi da risolvere, possono rivolgersi tranquillamente alla natura? Non sempre riusciamo a trarre dagli stili di vita delle piante o degli animali un utile modello per noi.

Gli uomini hanno bisogno di qualcosa di più complicato, soprattutto se i problemi che devono affrontare sono loro stessi ad averli creati. In casi del genere, inevitabilmente, gli uomini hanno bisogno di loro stessi, maschi o femmine che siano. Non esiste una verità a priori, però esiste l'alterità, la differenza che ci induce a cercare, insieme agli altri, la soluzione dei nostri problemi.

Nell'universo esistono solo due esseri: umani e naturali. Se la natura non basta a risolvere i nostri problemi, gli esseri umani devono provvedere a se stessi. In tal caso, tuttavia, è assai dubbio che quando troveranno una soluzione, essa non avrà agganci con la natura. Questa infatti si determina in ogni nostra azione, in ogni nostro pensiero, quanto meno per dirci che senza di essa siamo solo canne al vento.

LA VERITA' FA MALE A CHI NON SA MENTIRE

Quando uno pone una domanda del genere: "Che cos'è la verità?", vien da chiedersi se stia scherzando o se sia cinico. Neanche i bambini se la pongono, perché, nella loro beata innocenza, sanno istintivamente che cosa sia, relativamente al loro "piccolo mondo antico", così tanto amato dal Pascoli "fanciullino".

Possibile che un adulto debba essere così diverso da aver completamente dimenticato ciò che in lui era naturale? Uno che avesse coscienza di questa grave rimozione, assai peggiore di tutte quelle freudiane, dovrebbe preoccuparsene seriamente, chiedendosene quanto meno la ragione. E cercare di capire se vi sia qualche possibilità di rimedio.

La verità rende liberi, in coscienza naturalmente, avendo la vita bisogno anche della giustizia: lo sappiamo da millenni. Dunque perché viviamo come schiavi? Potremmo fare a meno di queste catene o vi siamo costretti? Possibile che la falsità sia diventata la regola e la verità l'eccezione?

Qui infatti non è neanche il caso di parlare di bugie dette a fin di bene; non è in discussione l'esigenza di non poter dire tutta la verità: cosa inevitabile quando, chi ci ascolta, non è sufficientemente maturo per reggerla. Qui non stiamo parlando di quelle mezze verità o mezze bugie che si dicono per non offendere qualcuno, per non apparire scortesi, per non creare incidenti diplomatici, per non mettere in imbarazzo o tradire un amico, per non sfigurare di fronte al proprio partner o per non farlo sentire in colpa.

Qui stiamo parlando del fatto che come apriamo bocca, mentiamo. Dire falsità ci è diventata una seconda natura, quasi un istinto insopprimibile. Siamo così bravi a farlo che anche la macchina della verità ci fa un baffo. Tant'è che nei processi americani non la considerano minimamente. In un paese dove gli attori diventano presidenti e i presidenti recitano come attori, farebbe ridere il contrario.

Insomma, ogni giorno che passa diamo sempre più per scontato che la verità non esiste, e quando qualcuno fa delle affermazioni probanti o persuasive, le consideriamo mere opinioni e siamo disposti a credervi solo se vi siamo indotti da qualcosa che è più forte di noi: p. es. un desiderio di rivalsa dopo anni e anni di frustrazioni o di promesse che altri non hanno mantenuto, in cui abbiamo creduto inutilmente. Non ci fidiamo di qualcuno perché pensiamo dica la verità o perché conduce una vita esemplare, ma perché gli altri ci disgustano.

Sapere che qualcuno dice la verità c'interessa fino a un certo punto. Quel che più ci preme, infatti, è sapere se da ciò che si è ascoltato, possiamo ricavarci qualcosa. Crediamo in certe affermazioni non perché le riteniamo vere, ma perché possono servirci: la verità sta nell'interesse o nell'utilità. Non esiste la verità in sé o, se esiste, non possiamo dirla, anzi, neppure vi riusciamo. Dobbiamo vivere come se non ci fosse. E non è sufficiente togliere l'interesse o l'utilità per farla emergere, perché in una società, anzi, in una civiltà individualistica e materialistica come la nostra, è impossibile farlo.

Quando si è reciprocamente nemici, bisogna anzitutto difendersi, e il primo modo di farlo è quello di mentire. La prima regola fondamentale per sopravvivere è quella di non dire mai quello che si pensa, anzi, possibilmente è meglio dire il contrario, e di farlo ripetutamente, affinché chi ci ascolta non abbia l'impressione che qualche volta mentiamo e qualche volta no. Dobbiamo essere coerenti nel male che facciamo, proprio per essere più credibili.

Dobbiamo far credere di dire la verità mentendo: questa è un'arte che si acquisisce solo con un certo addestramento. E se qualcuno ci scopre incoerenti, subito dobbiamo accusare qualcun altro o di averci frainteso o di averci impedito con la forza di realizzare i nostri sogni. Un capro espiatorio cui far scontare il peso delle nostre menzogne, si può sempre trovare.

A questo punto ci si può chiedere: si può continuare ad andare avanti così? Non stiamo forse rischiando di arrivare a un punto in cui qualunque cosa si dica, a prescindere dal ruolo che si ricopre, non verrà mai creduta? Pensiamo davvero che per credere nella verità sia sufficiente che qualcuno giuri sulla testa dei propri figli o, se ci crede, sulla Bibbia? È difficile pensare che uno, da sempre abituato a mentire, si possa spaventare davanti al giudizio di dio o a quello dei propri figli. Troverà sicuramente delle buone motivazioni per giustificarsi, e allora dovranno essere i figli o lo stesso padreterno ad ammettere di non averlo capito. Nessuna pena può impensierire il bugiardo incallito, a meno che noi, invece d'imitarlo, smettessimo di credergli.

In Italia, peraltro, quando mai qualcuno viene scoperto a mentire o si pente per le menzogne che ha detto? Nel migliore dei casi si patteggia, ma a porte chiuse, quelle del tribunale o della propria coscienza. Nei tribunali non esiste la verità, ma solo una posizione di comodo, in linea col rispetto puramente formale delle regole. Agli avvocati non interessa neppure "sapere la verità", quanto di vincere la causa e intascare la parcella: il cliente viene tanto più difeso quanto più paga.

Ai processi dovrebbero chiedere agli imputati di pronunciare una formula di rito molto semplice: "Provi in coscienza a dire la verità e la Corte s'impegna a tenerne conto il più possibile".

CHE COS'E' L'ERESIA?

Per capire astrattamente che cos'è l'eresia, a prescindere dai contesti di spazio e tempo in cui si forma, che pur sono fondamentali per cogliere oggettivamente il senso di qualunque fenomeno storico, è sufficiente mettere in relazione quattro tipi di verità, che ci si presentano in una qualunque storia del pensiero umano.

Le quattro verità sono le seguenti: assoluta, relativa, oggettiva e soggettiva.

Le verità assolute in genere sono quelle che vengono messe per iscritto, come i dieci comandamenti ebraici, nei cui confronti si deve avere un atteggiamento ossequioso, categorico. Le verità assolute non possono essere messe in discussione. Chi lo fa rischia una gravissima sanzione: l'esilio, la punizione fisica, la riduzione in schiavitù e persino la condanna capitale. Credere in verità assolute significa credere in una dittatura del pensiero, sostenuta spesso da una vera e propria dittatura politica, anche se ai nostri tempi questa non è indispensabile, essendo noi più che altro dominati da una dittatura economica.

Con questo si vuol forse dire che non esistono verità assolute? No, una esiste: quella della libertà di coscienza, che non può essere coartata da nulla. Gli uomini sono fatti per essere liberi e devono avere tutte le condizioni per poterlo essere: solo una non possono riceverla dall'esterno, quella appunto che hanno dalla nascita.

La libertà è il loro bene più prezioso, anche perché è l'unico che permette loro di capire come vadano interpretati i fenomeni, i valori, le istanze. In nome della libertà di coscienza noi diciamo che tutte le verità sono relative, poiché la loro fondatezza o legittimità dipende da come vengono messe in pratica.

Non uccidere è forse una verità assoluta? Anche di fronte ai nemici della patria? Perché siamo autorizzati a uccidere qualcuno quando è in gioco la nostra vita? Per salvarci, non facciamo forse valere il principio della legittima difesa? Obiezioni del genere si potrebbero fare nei confronti di qualunque verità assoluta.

Scopo dell'eresia è sempre stato quello di relativizzare delle verità ritenute assolute, incontrovertibili, delle verità che, in nome della loro assolutezza, producevano forme di esistenza disumane. Il Novecento è stato uno dei secoli più barbari della storia, eppure nulla è stato fatto senza rispettare formalmente la democrazia.

Ma possiamo dire con sicurezza che tutte le eresie sono state un progresso per lo sviluppo della libertà di coscienza? È qui che ci vengono in soccorso, quando dobbiamo interpretare i fatti, le altre due verità: soggettiva e oggettiva.

L'eresia relativizza, l'abbiamo capito: ma con quale fine? Vuol forse distruggere le verità assolute per affermare soltanto delle verità soggettive, connesse a interessi particolari, individualistici o di piccoli gruppi, disinteressandosi delle esigenze generali delle grandi collettività o della grande maggioranza delle persone coinvolte in determinati processi storici? Oppure l'eresia vuol fare della propria verità soggettiva, particolare, che all'inizio si stenta persino a comprendere, in quanto i poteri costituiti hanno abituato la società ad ascoltare solo un certo tipo di verità: vuol fare di questa verità soggettiva un qualcosa di condivisibile dalle masse?

Quand'è che una verità soggettiva può diventare oggettiva? La risposta è semplice, anche se difficile da realizzare: quando trova ampi consensi. Quando la gente vi aderisce perché ne è personalmente convinta. La verità diventa oggettiva quando è condivisa dai più. Ecco che allora le parti si rovesciano: l'eresia si trasforma in ortodossia e la precedente ortodossia diventa un'eresia. Non si può forse leggere così la transizione dall'ebraismo al cristianesimo?

La storia però c'insegna che, finite le rivoluzioni, una tragedia incombe sempre sulla nuova ortodossia: la sua verità oggettiva viene trasformata dai poteri costituiti in verità assoluta, non modificabile. Spesso anzi queste verità vengono sbandierate come assolute per il popolo sottomesso, mentre i potenti perseguono proprie verità soggettive, come quando p.es. la Democrazia cristiana diceva d'essere un partito "cattolico" e però, sottobanco, faceva patti scellerati con la mafia. O come quando il fascismo e il nazismo dimostravano d'avere, nei loro programmi iniziali, degli ideali socialisti, che poi, ottenuto il potere, tradirono clamorosamente.

Le rivoluzioni sembrano essere delle inutili fatiche di Sisifo. Che siano di destra o di sinistra non fa molta differenza. Stalin creò una dittatura mostruosa proprio mentre diceva di voler combattere l'egoismo dei contadini più ricchi.

Nessuna eresia, fino ad oggi, è riuscita a spezzare questa perversa catena che ci obbliga a diventare il contrario di ciò per cui abbiamo lottato. Nessuna eresia ha ancora capito quale sia il criterio per non trasformare una verità oggettiva in una verità assoluta.

Molti sostengono che l'essere umano sia bacato dentro, e che non ha nessuna possibilità di vivere un'esistenza davvero felice su questa Terra. Spesso però sono proprio queste persone che impediscono alle altre di uscire dal labirinto.

Di sicuro sappiamo che nessuno può venire in soccorso all'essere umano: se non comprende gli errori che fa e come porvi rimedio, sarà destinato a ripeterli, e il fatto di ripeterli in forme e modi diversi contribuirà soltanto ad aumentare le sue illusioni e, insieme, le sue frustrazioni.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018