GIORDANO BRUNO: UOMINI O OMUNCOLI

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GIORDANO BRUNO: UOMINI O OMUNCOLI?

Giordano Bruno

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Giuseppe Bailone

Subito dopo la scoperta di Colombo, Spagna e Portogallo si fanno legittimare dal papa Alessandro VI la loro spartizione del Nuovo Mondo.

Nel 1537 il papa Paolo III, con la bolla Sublimis Deus, prescrive che l’evangelizzazione degli indios, ragione fondamentale della legittimazione della conquista, non sia violenta e proibisce la loro riduzione in schiavitù.

Al concilio di Trento (1545-63) l’America non c’è: i suoi vescovi non sono invitati e i problemi della sua conquista non si sfiorano neppure.

L’America non è, dunque, un problema? Tutto bene?

No: nel Nuovo Mondo le cose vanno in senso opposto a quello prescritto da Paolo III e il Concilio di Trento, già così difficile da convocare e avviare, non si pone un problema che introdurrebbe nuovi elementi di divisione in una cristianità già tanto lacerata dagli sviluppi della Riforma.

Se a Trento si tace, però, in Spagna, dove l’eco della ferocia e della voracità dei conquistatori arriva con più forza, la quaestio de Indiis, si fa sempre più accesa e, nel 1550 a Valladolid, alla presenza di Carlo V si discute sulla natura degli indigeni del nuovo mondo: sono uomini?

Si confrontano Juan Ginés de Sepùlveda, storiografo di Carlo V e precettore dell’infante Filippo (il futuro Filippo II), e Bartolomé de Las Casas, missionario domenicano, detto l’Apostolo delle Indie.

Las Casas ricorre alla teoria tomista del diritto naturale, aggiornata da Francisco de Vitoria, ma si serve anche della teoria dell’influenza climatica per contestare la naturale schiavitù degli indios: il loro clima è temperato come quello in cui, per Aristotele, nascono uomini intelligenti e coraggiosi come i greci. Gli indios sono uomini e non possono essere ridotti in schiavitù.

Sepùlveda esprime la sua convinzione chiamando omuncoli gli indios.

In essi, sostiene, si riscontra “a stento qualche traccia di umanità”.

Infatti, si abbandonano a ogni genere d’intemperanza e di nefanda libidine”; molti di loro sono cannibali; prima della conquista spagnola non vivevano in pace ma “si facevano guerra quasi in continuazione, con tanta rabbia da non considerarsi vittoriosi se non riuscivano a saziare con le carni dei loro nemici la loro fame portentosa”; di fronte agli Spagnoli sono “ignavi e timidi”, “spesso sono dispersi a migliaia e fuggono come donnette”; infatti, Hernàn Cortés ha realizzato la conquista del Messico con pochi uomini; “Il fatto che alcuni di loro sembrino avere dell’ingegno, per via di certe opere di costruzione, non è prova di una più umana perizia, dal momento che vediamo certi animaletti, come le api e i ragni, costruire opere che nessuna attività umana saprebbe imitare … la maggior prova della rozzezza, barbarie e innata servitù è costituita dalle loro istituzioni pubbliche, che sono per la maggior parte servili e barbare”. Però, “dopo aver ricevuto col nostro dominio le nostre lettere, le nostre leggi e la nostra morale ed essersi impregnati della religione cristiana, coloro – e sono molti – che si sono mostrati docili ai maestri e ai sacerdoti che abbiamo loro procurato, si discostano tanto dalla loro primitiva condizione quanto i civilizzati dai barbari, i dotati di vista dai ciechi, i mansueti dagli aggressivi, i pii dagli empi, e, per dirla con una sola espressione, quasi quanto gli uomini dalle bestie”.[1]

Insomma, schiavi per natura, ma educabili alla civiltà se conquistati e schiavizzati dagli Spagnoli. L’apologia della conquista porta lo schiavista Sepùlveda a vedere negli omuncoli tracce di umanità sufficienti a rendere possibile la loro redenzione ad opera dei conquistatori schiavisti.

Schiavi per natura, omuncoli, ma pur sempre uomini. Gli omuncoli stanno molto in basso nella gerarchia umana, ma anch’essi discendono da Adamo.

Ma, come sono arrivati in America i discendenti d’Adamo?

La difficoltà di concepire una trasmigrazione originaria dei discendenti di Adamo nel Nuovo Mondo incrina l’idea biblica. In ambienti non legati al testo biblico si prospettano il poligenismo e la tesi della generazione spontanea dell’uomo.

La tesi poligenetica, fatta propria dai libertini, riprende una tradizione che trae origine dalle opere mediche di Avicenna ed è condivisa da Pomponazzi e dai naturalisti rinascimentali, tra i quali Paracelso, Cardano e Cesalpino.[2]

Il medico-filosofo svizzero Paracelso, formatosi in Italia e tipico esponente della cultura rinascimentale, nel 1520, nel Liber de generatione, sottolinea le difficoltà del monogenismo, e nel 1537, nell’Astronomia Magna, ipotizza la creazione di un secondo Adamo in America.[3]

Nel 1584, Giordano Bruno, nello Spaccio della bestia trionfante, fa del sarcasmo sul racconto biblico del diluvio e sulla cronologia ebraica, incompatibile con quelle ben più antiche degli Americani e dei Greci, e sostiene che gli uomini, come gli altri animali sono nati “dal grembo materno della natura” per generazione spontanea. Nel De immenso et innumerabilibus del 1591, nel contesto della sua teoria dell’animazione universale, sostiene che gli uomini possono nascere dalla terra per generazione spontanea come gli altri animali. “Accanto a questa teoria naturalistica Bruno – in omaggio al significato magico-ermetico del numero tre – sostiene che tre e non uno furono i capostipiti dell’umanità; conformemente alla tradizione giudaica (riscontrabile per esempio nell’apocrifo IV libro di Esdra) prima di Adamo sarebbero stati creati i patriarchi Ennoc e Leviathan”.[4]

Questa tesi compare tra le censure che l’Inquisizione elabora nel 1597 sulla base dell’esame delle opere di Bruno. Ecco come la riassume Luigi Firpo:

“La seconda censura cui allude lo Scioppio riguardava l’adesione del Bruno alla credenza preadamitica, coll’asserire che gli Ebrei soltanto discendevano da Adamo ed Eva, gli altri uomini invece da due progenitori “biduo ante” creati da Dio, Ennoc e Leviathan, “maxima Iudaeae ut credebat portio gentis” e come Giordano aveva appreso “ex Ebraeorum monumentis” e dichiarava di credere fermamente. Si tratta d’una tradizione rabbinica, che già aveva destato un eco nelle pagine di Giuliano l’Apostata”.[5]

Alla fine del geocentrismo, alla perdita di un centro e di confini dell’universo si aggiunge la messa in discussione della discendenza di tutti gli uomini da Adamo ed Eva. La crisi dell’autorità della Bibbia si aggrava.

La teoria poligenetica circola negli ambienti più radicali dell’eresia religiosa e nelle correnti libertine, e provoca clamore nel 1655, con I preadamiti, un’opera anonima uscita senza indicazioni di luogo né di tipografo.

L’autore è Isaac La Peyrère. Uomo di fede protestante, ugonotto, quindi molto legato all’autorità delle Sacre Scritture, ha cercato nella Bibbia stessa la conferma del poligenismo e pensa di averla trovata nella Genesi. Essa, infatti, racconta, nel primo capitolo, la creazione dell’uomo e, nel secondo capitolo, la creazione di Adamo, da cui discenderebbe il solo popolo ebraico.

La tesi fa molto scandalo. Anche il parlamento di Parigi la condanna.

La Peyrère deve firmare una ritrattazione e abiurare il protestantesimo.

Torino 25 aprile 2011


[1] Citato da Giuliano Gliozzi, in Le teorie della razza in età moderna, Loescher 1986, pp. 253-6.

[2] Prendo questi dati dalla nota n. 131 di Maria Pia Ellero al passo dello Spaccio de la bestia trionfante, in cui Giordano Bruno fa del sarcasmo sul racconto biblico del diluvio universale e della conseguente discendenza di tutti gli uomini da Noè, a pag. 375 delle Opere italiane 2, UTET 2002.

[3] Giuliano Gliozzi, Le teorie della razza in età moderna, Loescher 1986, pp. 114.

[4] Ibidem, p. 115.

[5] Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice 1993, p. 85.


Fonte

Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

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Aggiornamento: 26-04-2015