DIONIGI L'AREOPAGITA

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DIONIGI L'AREOPAGITA

I - II

Giuseppe Bailone

Benedetto XVI, il 14 maggio 2008 in piazza San Pietro, nel corso delle catechesi sui Padri della Chiesa, parla di “una figura assai misteriosa”, di “un teologo del sesto secolo, il cui nome è sconosciuto, che ha scritto sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita”.

“Con questo pseudonimo – spiega il papa – egli alludeva … alla vicenda raccontata da San Luca nel XVII capitolo degli Atti degli Apostoli, dove viene riferito che Paolo predicò in Atene sull'Areopago, per una élite del grande mondo intellettuale greco, ma alla fine la maggior parte degli ascoltatori si dimostrò disinteressata, e si allontanò deridendolo; tuttavia alcuni, pochi ci dice San Luca, si avvicinarono a Paolo aprendosi alla fede. L’evangelista ci dona due nomi: Dionigi, membro dell'Areopago, e una certa donna, Damaris.

Se l'autore di questi libri ha scelto cinque secoli dopo lo pseudonimo di Dionigi Areopagita vuol dire che sua intenzione era di mettere la saggezza greca al servizio del Vangelo, aiutare l'incontro tra la cultura e l'intelligenza greca e l'annuncio di Cristo; voleva fare quanto intendeva questo Dionigi, che cioè il pensiero greco si incontrasse con l'annuncio di San Paolo; essendo greco, farsi discepolo di San Paolo e così discepolo di Cristo.

Perché egli nascose il suo nome e scelse questo pseudonimo? Una parte di risposta è già stata detta: voleva proprio esprimere questa intenzione fondamentale del suo pensiero. Ma ci sono due ipotesi circa questo anonimato e pseudonimato. Una prima ipotesi dice: era una voluta falsificazione, con la quale, ridatando le sue opere al primo secolo, al tempo di San Paolo, egli voleva dare alla sua produzione letteraria un'autorità quasi apostolica. Ma migliore di questa ipotesi — che mi sembra poco credibile — è l'altra: che cioè egli volesse proprio fare un atto di umiltà. Non dare gloria al proprio nome, non creare un monumento per se stesso con le sue opere, ma realmente servire il Vangelo, creare una teologia ecclesiale, non individuale, basata su se stesso. In realtà riuscì a costruire una teologia che, certo, possiamo datare al sesto secolo, ma non attribuire a una delle figure di quel tempo: è una teologia un po' disindividualizzata, cioè una teologia che esprime un pensiero e un linguaggio comune. Era un tempo di acerrime polemiche dopo il Concilio di Calcedonia 1; lui invece, nella sua Settima Epistola, dice: "Non vorrei fare delle polemiche; parlo semplicemente della verità, cerco la verità". E la luce della verità da se stessa fa cadere gli errori e fa splendere quanto è buono. E con questo principio egli purificò il pensiero greco e lo mise in rapporto con il Vangelo. Questo principio, che egli afferma nella sua settima lettera, è anche espressione di un vero spirito di dialogo: cercare non le cose che separano, cercare la verità nella Verità stessa; essa poi riluce e fa cadere gli errori.”

Che la “voluta falsificazione” del proprio nome sia stata fatta per dare “un’autorità quasi apostolica” ai propri scritti al papa appare “poco credibile”, ma ha funzionato in tal senso per un millennio: molti filosofi e teologi, a cominciare da Giovanni Scoto Eriugena che l’ha tradotto in latino2 e fatto conoscere ai medievali, hanno creduto che lui fosse il greco Dionigi convertito da Paolo di Tarso. Per tutto il medioevo l’autorità “quasi apostolica” di questo falso Dionigi è stata indiscussa. Soltanto con Lorenzo Valla, il filologo umanista che ha smascherato la falsa donazione di Costantino, e con Erasmo da Rotterdam vengono avanzati dei dubbi, poi ampiamente confermati dalla storiografia del XIX secolo.

In questa falsificazione il papa vede un “atto di umiltà” e l’omaggio alla verità! Si potrebbe, però, vederci scarsa coscienza dei propri limiti e tendenza abituale a presentare le proprie opinioni come Verità, le proprie parole come parole di Dio, a farsi portavoce della “verità nella Verità” che fa cadere gli errori e porta al riparo dai tanti conflitti teologici.

L’influenza di questo falso Dionigi, che ha tradotto le gerarchie politeiste di Proclo in gerarchie angeliche cristiane, nel mondo medievale è enorme. Il Paradiso dantesco, ad esempio, ne risente profondamente.

Ma chi si nascondeva sotto questo falso nome? Lo spiega, di seguito, il papa.

“Quindi, pur essendo la teologia di questo autore, per così dire "soprapersonale", realmente ecclesiale, noi possiamo collocarla nel VI secolo. Perché? Lo spirito greco, che egli mise al servizio del Vangelo, lo incontrò nei libri di un certo Proclo3, morto nel 485 ad Atene: questo autore apparteneva al tardo platonismo, una corrente di pensiero che aveva trasformato la filosofia di Platone in una sorta di religione, il cui scopo alla fine era di creare una grande apologia del politeismo greco e ritornare, dopo il successo del cristianesimo, all’antica religione greca. Voleva dimostrare che, in realtà, le divinità erano le forze operanti nel cosmo. La conseguenza era che doveva ritenersi più vero il politeismo che il monoteismo, con un unico Dio creatore. Era un grande sistema cosmico di divinità, di forze misteriose, quello che mostrava Proclo, per il quale in questo cosmo deificato l'uomo poteva trovare l'accesso alla divinità. Egli però distingueva le strade per i semplici, i quali non erano in grado di elevarsi ai vertici della verità — per loro certi riti potevano anche essere sufficienti — e le strade per i saggi, che invece dovevano purificarsi per arrivare alla pura luce.

Questo pensiero, come si vede, è profondamente anticristiano. È una reazione tarda contro la vittoria del cristianesimo. Un uso anticristiano di Platone, mentre era già in corso un uso cristiano del grande filosofo.”

Il papa sembra stupirsi che un greco del quinto secolo, Proclo, si accosti a Platone con lo spirito di un greco e con la sua concezione politeistica. Come se, dopo l’appropriazione cristiana di Platone, il vero Platone fosse quello cristiano e non fosse più possibile un suo “uso” greco, non cristiano.

Il papa ammira, quindi, il falso Dionigi che s’appropria del pensiero di Proclo e lo piega al proprio monoteismo:

“E' interessante che questo Pseudo-Dionigi abbia osato servirsi proprio di questo pensiero per mostrare la verità di Cristo; trasformare questo universo politeistico in un cosmo creato da Dio, nell'armonia del cosmo di Dio dove tutte le forze sono lode di Dio, e mostrare questa grande armonia, questa sinfonia del cosmo che va dai serafini, agli angeli e arcangeli, all'uomo e a tutte le creature che insieme riflettono la bellezza di Dio e sono lode a Dio. Trasformava così l'immagine politeista in un elogio del Creatore e della sua creatura.”

Da Proclo il falso Dionigi ricava anche la distinzione tra una teologia affermativa o positiva, che, procedendo da Dio verso il finito, determina gli attributi o i nomi di Dio, e una teologia negativa, che, procedendo in senso inverso dal finito a Dio, lo considera al di sopra di tutti i nomi e i predicati possibili.

La teologia positiva ritiene possibile conoscere gli attributi di Dio, ricavandoli dalle proprietà degli enti finiti. Essendo, infatti, Dio causa e principio di tutte le cose include in sé tutti i nomi. Ma Dio non si riduce a nessuna delle cose finite e nemmeno alla loro totalità, perché trascendente. I nomi che si attribuiscono a Dio vanno, perciò, presi solo come metafore, essendo Dio al di sopra di tutto e di quanto l’uomo può conoscere.

La teologia negativa, fondandosi sull’assoluta trascendenza di Dio, riconosce che l’uomo non può conoscere né dire alcunché di Dio, se non dicendo ciò che Dio non è.

E’ vero, infatti, che il falso Dionigi ha impiantato profondamente nella cultura medievale l’idea di un ordine gerarchico della realtà, che dal piano metafisico si trasmette al mondo ecclesiastico e al mondo politico. Ma è anche vero che, per lui, Dio, più che al vertice della gerarchia degli enti, è al di sopra della gerarchia.

L’uso metaforico della teologia positiva e la sua integrazione con la teologia negativa aprono, pertanto, alla teologia mistica, un’esperienza molto personale del mistero divino, avvicinato come luce che abbaglia e che riduce al silenzio.

Spiega il papa: “La parola "mistica" acquisisce con lui un nuovo significato. Fino a quel tempo per i cristiani tale parola era equivalente alla parola "sacramentale", cioè quanto appartiene al "mysterion", al sacramento. Con lui la parola "mistica" diventa più personale, più intima: esprime il cammino dell'anima verso Dio. E come trovare Dio? Qui osserviamo di nuovo un elemento importante nel suo dialogo tra la filosofia greca e il cristianesimo, in particolare la fede biblica. Apparentemente quanto dice Platone e quanto dice la grande filosofia su Dio è molto più alto, è molto più vero; la Bibbia appare abbastanza "barbara", semplice, precritica si direbbe oggi; ma lui osserva che proprio questo è necessario, perché così possiamo capire che i più alti concetti su Dio non arrivano mai fino alla sua vera grandezza; sono sempre impropri. Queste immagini ci fanno, in realtà, capire che Dio è sopra tutti i concetti; nella semplicità delle immagini, noi troviamo più verità che nei grandi concetti. Il volto di Dio è la nostra incapacità di esprimere realmente che cosa Egli è. Così si parla — è lo stesso Pseudo-Dionigi a farlo — di una "teologia negativa". Possiamo più facilmente dire che cosa Dio non è, che non esprimere che cosa Egli è veramente”.

Questa teologia negativa e mistica torna oggi attuale, dice il papa.

“Oggi esiste una nuova attualità di Dionigi Areopagita: egli appare come un grande mediatore nel dialogo moderno tra il cristianesimo e le teologie mistiche dell'Asia, la cui nota caratteristica sta nella convinzione che non si può dire chi sia Dio; di Lui si può parlare solo in forme negative; di Dio si può parlare solo col "non", e solo entrando in questa esperienza del "non" Lo si raggiunge. E qui si vede una vicinanza tra il pensiero dell'Areopagita e quello delle religioni asiatiche: egli può essere oggi un mediatore come lo fu tra lo spirito greco e il Vangelo.”


1 Nel 451 condanna il monofisismo, che attribuisce a Cristo la sola natura divina.

2 Il papa, presentando Scoto Eriugena, il 10 giugno 2009 in piazza S. Pietro, dice che egli “convinto di questa apostolicità degli scritti di Dionigi, lo qualificava ‘autore divino’ per eccellenza”.

3 Di Proclo egli, nei suoi scritti, “in qualche punto include estratti testuali” dice N. Abbagnano a pag. 336 del primo volume delle sua Storia delle filosofia, UTET Torino 1963. La stesura degli scritti di questo falso Dionigi viene dagli storici collocata tra la morte di Proclo, avvenuta nel 485, e il 532, l’anno in cui a Bisanzio essi cominciano a circolare.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 27 marzo 2010

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


Testi


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015