VINCENZO GIOBERTI

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GALLUPPI, ROSMINI E GIOBERTI

Gioberti nasce a Torino nel 1801 da un commerciante di seta che lo rende orfano a quattro anni, per cui trascorre un'infanzia piuttosto modesta. Sarà la madre, dama di compagnia e guardarobiera, a crescerlo e a garantirgli la possibilità di studiare, prima presso i padri dell'Oratorio e poi al Collegio teologico dell'Università di Torino.

Diventa dottore di teologia nel 1823, poi viene ordinato sacerdote e diviene cappellano di corte.

Nel 1833 viene arrestato dal governo piemontese e incarcerato in quanto sospettato di appartenere alla mazziniana Giovine Italia. Viene esiliato, svolgendo la propria attività letteraria e d'insegnamento a Parigi e soprattutto a Bruxelles (1835-45).

Nel 1846 diventa famoso nell'Europa risorgimentale a causa dell'opera Del primato morale e civile degli italiani, edita nel 1843. Gioberti vi auspica una soluzione federativa del problema italiano con a capo il papa (neoguelfismo).

Nel 1848, dopo le vittorie della I guerra d'indipendenza, rientra a Torino dove viene eletto al Parlamento subalpino; assume la carica di presidente della Camera e di ministro della Pubblica istruzione. Compie viaggi a Milano e a Roma, intrattendosi più volte col papa Pio IX.

Dopo le dimissioni del ministero Casati, passa all'opposizione, sostenendo la necessità di riprendere immediatamente le ostilità contro gli austriaci, che avevano sconfitto le truppe piemontesi.

Caduto il ministero Alfieri di Sostegno, diviene primo ministro, ma sostiene l'impossibilità di proseguire la guerra contro l'Austria. Si dimette agli inizi del 1849.

Dopo la sconfitta militare di Novara viene nominato ministro plenipotenziario del re di Sardegna a Parigi, ma lascia presto anche questo incarico e si ritira a vita privata, per dedicarsi alla stesura del Rinnovamento civile d'Italia, in cui rivede criticamente le proprie posizioni, orientandosi a favore di uno Stato liberale e unitario, indipendente dal papato. Il rinnovamento lo concepisce ora in stretta connessione col movimento democratico europeo e sostiene la necessità di aiutare le masse popolari con una serie di riforme politiche e sociali (suffragio universale, istruzione obbligatoria ecc.).

Avanza l'ipotesi che l'unificazione possa essere fatta sotto la guida del Piemonte in una soluzione monarchico-unitaria. Il papato deve restare circoscritto nell'ambito meramente spirituale.

Forte è la sua polemica contro i gesuiti, accusati di sabotare l'unificazione. Egli tende in parte ad opporsi anche allo spiritualismo cattolico di Rosmini.

Muore a Parigi nel 1852: sul comodino aveva una Bibbia protestante.

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Dei tre filosofi risorgimentali dell'Italia religiosa: Galluppi, Rosmini e Gioberti, il primo pare il più concreto, il più essenziale.

In fondo è stato Galluppi il primo a sostenere, in ambito religioso, l'esigenza di una conoscenza oggettiva che prescindesse, in un certo senso, dalla dogmatica tradizionale, ed è stato anche il primo a capire che non solo il sensismo illuministico francese (alla Condillac), ma anche il criticismo kantiano nascevano dal soggettivismo e portavano allo scetticismo.

Solo che il Galluppi non ha saputo approfondire la sua filosofia dell'esperienza declinandola nella realtà sociale. Egli si è fermato al livello della logica metafisica.

Rosmini, pur condividendo l'esigenza di una conoscenza oggettiva, e non avendo come punto di riferimento un'analisi laica "oggettiva", riguardante -in maniera razionale e scientifica- la realtà sociale concreta, è caduto, suo malgrado, nell'idealismo. Con quella sua innata idea dell'essere, in virtù della quale l'uomo contempla non Dio ma l'immagine astratta della sua esistenza, Rosmini non ha fatto che riunificare la tradizione platonico-agostiniana con il kantismo. Egli infatti sosteneva che l'idea dell'essere è stata data da Dio e che essa permette ad ogni uomo di conoscere la realtà per quello che è.

Tuttavia, se il Rosmini aveva saputo tener separata l'idea di essere da quella di Dio, evitando di cadere negli eccessi dell'integralismo religioso (Sciacca e Battaglia, p.es., rosminiani puro sangue, si sono sempre distinti per il loro grande equilibrio), Gioberti invece preferisce il misticismo logico a tutto campo.

Il "suo" uomo non intuisce l'idea dell'essere, troppo vaga e imprecisa, ma direttamente e immediatamente l'essere, cioè Dio. Gioberti in un certo senso può essere considerato come il fondatore del moderno integralismo politico-religioso italiano. Singolare il fatto ch'egli fosse approdato a una soluzione così univoca dopo aver abbracciato in gioventù la filosofia di Bruno e di Spinoza.

Rosmini ebbe buon gioco nell'accusarlo di panteismo. In effetti, se il soggetto può intuire direttamente Dio, non c'è molta differenza fra l'uno e l'altro. Dio è nell'universo e all'uomo basta alzare gli occhi per vederlo...

L'ontologismo di Gioberti non ha nulla dell'ontologismo di Heidegger: era troppo neotomista perché potesse avere sulla cultura italiana l'influenza della filosofia spiritualista (più moderata o, se si vuole, più democratica) di Rosmini.

In ogni caso l'accusa di Rosmini servì a Gioberti per precisare la differenza tra Dio e universo: il primo è l'alfa che crea (alla maniera dell'Uno di Plotino); il secondo è l'esistente che ritorna all'ente per chiudere il cerchio.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015