Gianni Grana: apoteosi dell'umanesimo ateo

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GIANNI GRANA

DIOMORTO (1949-1979) apoteosi della "morte di dio"

UOMOVIVO/UOMOSOLO (1980-1992) apoteosi dell'umanesimo ateo

A distanza di 15 anni l’ "Introduzione" a DIOMORTO, del tutto insolita ma obbligata per la "unicità" di questo libro apoetico, e che oggi formulerei diversamente fuori degli stimoli e degli eventi politico-culturali dei tardi anni 70, ritengo valga ugualmente nelle sue "ragioni" sostanziali, che permangono oltre la occasionalità degli stati d’animo e dei riferimenti contingenti.

Riguardo alla immediata accoglienza di diomorto, sulla stampa o (perfino) in libri di quegli anni, qui in fondo al volume alcuni riporti rilevanti, per laicità d’intelligenza critica, proprio perciò danno un’idea parziale della "fortuna" immediata di questo libro, a cominciare dall’ottimo saggio di Zagarrio, che nel suo spesso libro Febbre, furore e fiele (Milano 1983) sulla produzione "poetica" degli anni 70, aveva presentato il mio libro nero come un "libro bomba".

In genere sulla stampa è prevalsa, anche da parte di colleghi critici laico-cristiani – come prevedibile – o la rimozione della prospettiva ateistica, per carenza di lenti o per autocensura, o una "obiettività" descrittiva staccata, cioè impartecipe e non coinvolta, che rispecchia quasi sempre interni tumulti, fra stupore incertezza e cautela massima.

Solo in qualche caso, si è avuta una ritorsione "cristiana" dissimulata, di cui ho qui registrato brani essenziali, confutandone le false suggestioni e le reali preclusioni di cultura. Anticipo al momento come reazione globale, una sensazione di "sgomento" e "avversione" acristiana per l’atonia etico-esistenziale di tanti minori intellettuali cristiano-borghesi, anche e specialmente "laici" e "laicisti" più o meno militanti, soddisfatti di sé e delle proprie "visioni del mondo", mai elaborate con acume sofferente ma sempre "ricevute" per eredità irrinunziata, tra curia e accademia provinciali (anche se urbanizzate), in vista del mondo redento o della redenzione sopramondana. "Cristiani" retoricamente ossessi di una ventosa irreale "destinazione" elettiva dell’uomo nel mondo assistito da santi numi e fantasmi protettivi; "cristiani" invece sordi e indifferenti alla gelida condizione reale (assoluta ma non metafisica) dell’uomo-natura nel buio universale, quindi all’angoscia vissuta e all’orrore operoso della sua brevissima stagione, dell’uomo tragicamente solo col suo piccolo "mondo" rovinoso, nel grande universo cosmico dove mai sarà dato di imbattersi in risibili ectoplasmi "divini" come il dio uno e trino dell’antica fiaba cristiana.

Ciò che questi intellettuali "cristiani", cattolici professi o "laici" orgogliosi, sono complessivamente inattrezzati per cultura a capire, a tradurre quindi in strutture concettuali di corretta valutazione critica, è la Weltanschauung della negazione (neg-azione) areligiosa, dell’ateismo come visione totalizzante esclusiva dell’universo, come ardua conquista filosofica e scientifica di un "mondo"-natura oggettivo, smisuratamente oltre i limiti terrestri del piccolo pianeta dove allignano stancamente piccoli arcaici dèi antropomorfi, foggiati da "profeti"-stregoni per soccorso e consolazione "umana". Però in quell’oltre non transitano vaganti "spiriti" sopra-naturali, là sconfina soltanto l’illìmite dell’universo astro-cosmico, non metafisico, ma puramente fisico, dilagante trionfante immisurabile materia, di cui la Vita intera è parte inscindibile ma solo infima parte, con l’eccelso Uomo al suo centro, con il suo ascendere coscienziale alla conquista cognitiva del mondo naturale, e la sua capacità tecnologica di trasformazione del proprio habitat planetario, indebitamente chiamato "mondo" come se davvero potesse inchiudere insé l’universo mondo.

Inevitabile poi che alla superstizione teista-antropomorfa di questi intellettuali, salda o insidiata o residua o del tutto rimossa, non possa che sfuggire per incapacità culturale di intendere e consentire la percezione del dramma che consegue a questa "rivoluzione copernicana", il tragico etico-esistenziale derivante dalla perdita del falso "regno di dio", dalla lacerazione del cielo cristiano gremito di fantasmi infantili, dal rovinio del sistema mitico-favoloso chiamato "religione", dalla revisione ribaltante della Vita e dell’Uomo terrestri in quell’irrinunziabile - il solo oggettivamente reale – contesto cosmo-naturalistico.

E’ l’alto dramma qui fedelmente "rappresentato", non per ipotesi progettuale epico-drammaturgica, ma in atto come vissuto quotidiano dei momenti sparsi di un quarantennio, momenti non di liberazione ma di verità nella perdita definitiva quasi mortale, nella transizione dalla illusoria consolazione della "fede" infantile alla severa agghiacciante responsabile cognizione adulta, momenti innumerevoli quindi di angoscia, di frana e di dolore disperante, con la seduzione ossessiva della sottrazione suicida e l’opposta ripugnanza della mortalità "naturale".

Diomorto (col suo prolungarsi ulteriore di scienza-coscienza in uomovivo/uomosolo) è la rappresentazione in atto, linguisticamente elaborata, di questo lancinante dramma aperto nei momenti del suo apparente "caos" e "désordre" etico-esistenziale, dramma emozionale eppure lucidamente conscio, risolto in "apoesi" cioè neg-azione in una dell’assoluto fanta-teistico e del "poetico" come assoluto religioso del verbo, parola sacralizzata che si fa metafisica carne-spirito, sempre di eredità "spiritualistica" cristiana. (E’ un tema che mi occuperà, prima o poi, questo della millenaria tradizione della Poesia-tabernacolo nell’Europa cristiana survivente).

Perciò mi pare siano improprie pure le interpretazioni – difficilmente resistibili, ne convengo – proposte da colleghi più attenti e coinvolti, che si rifanno alla tradizione anche moderna ("pre-romantica" ecc.) del "demoniaco". Sarebbe difficile sottrarvisi, e si potrebbe quindi consentirvi, solo richiamandosi all’originario ruolo biblico del "diavolo" (satan), nell’accezione radicale di "avversario" e "accusatore", oggi si direbbe "contestatore" e io direi "confutatore": senza dubbio un ruolo per me il più congeniale perfino assunto a sistema teorico-critico (di "confutazione" critica appunto), auspice Popper nella tradizione socratica.

Ma è noto che ben altra figurazione diabolica è quella introdotta nello scenario cristiano neo-testamentario e nella sua tradizione millenaria, come potenza ugualmente sovrumana, o, incarnazione immaginaria del male e del peccato, della dannazione eterna e del suo sistema penale, che nella sua contrapposizione mitica al Dio-Signore presuppone sempre i "misteri" del teismo cristiano, e anzi sussiste solo nel mitico teatro teo-antropomorfo del cristianesimo di ogni confessione.

Questo è un orizzonte remoto dal drammatico rigetto laico moderno, sorretto da sapere scientifico e da coscienza sofferta ma intemerata, dell’oppositore che dà voce all’ateismo in questo libro: difficile immaginare il demiurgo Grana ossesso di grandezza "demoniaca" in antagonismo col sontuoso Dio di Wojtyla, qui semmai dilaniato e vanificato come fantasia primitiva. La tradizione letteraria del "diabolismo" e "demonismo" poi, tutta di matrice "cristiana" e neocristiana, dai numerosi patti col diavolo ai malefìci del "progresso" e della scienza promotrice, è in perfetta antitesi con la cultura modernista progressista e scientista comunque sottostante a tutti i miei libri, vivificante (come io credo) ogni mia espressione letteraria.

Non potrebbe invece escludersi un certo atteggiarsi "prometeico" del negatore (il contraddittore antagonista), attribuito anche a Marinetti, nella tradizione del "titanismo" romantico; ma sempre fuori delle ipotesi "cristiane" di Carrouges e altri (l’uomo moderno che esautora il dio teizzando se stesso), in una prospettiva radicalmente secolarizzata, che si professa anarco-ateistica, di globale opposizione anti-istituzionale, nella società e nella cultura "cristiane" perduranti, in crisi perpetua ma irremovibili. Profilo che dovrebbe precisarsi, con impegno critico doveroso (io dico "deontologico") a intendere l’opera nuova secondo i suoi propri valori ideo-formali, non già per figurazioni estranee e schemi pregiudiziali, con o senza l’imprimatur del vigile e santo vicario Wojtyla.

www.giannigrana.it

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015