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Riflessioni atee

di Mattia Fabbri

 

CRITICA HUMIANA DELLE PROVE DELL’ESISTENZA DI DIO

 

Confutazione della prova a priori: La prova, per Hume, non ha alcuna legittimità epistemologica:

 

“C’è una evidente assurdità nella pretesa di dimostrare una materia di fatto, o provarla con un argomento a priori. Nulla è dimostrabile, a meno che il contrario non implichi contraddizione. Nulla che sia distintamente rappresentabile implica contraddizione. Qualunque cosa concepiamo esistente possiamo anche concepirla come non esistente. Non c’è essere, quindi, la cui non esistenza implichi contraddizione. Di conseguenza, non c’è un essere la cui esistenza sia dimostrabile.”(Dialoghi, 173)

 

C’è un divieto ‘metodologico’ nella ‘dimostrazione’ di una materia di fatto. L’esistenza o la non-esistenza sono materia di fatto, non di dimostrazione. L’esistenza non è suscettibile di dimostrazione: il ragionamento dimostrativo riguarda solo le scienze logiche e matematiche. Scrive Hume nel Trattato sull’intelletto umano:

 

“Quando penso a dio, quando penso a lui come esistente, quando credo a lui come esistente, la mia idea di lui non aumenta né diminuisce.”

 

L’esistenza di dio è una rappresentazione privata, la credenza nella sua esistenza non aggiunge nulla alle altre qualità attribuite a dio. ‘Dio’ e ‘dio esiste’ hanno lo stesso contenuto rappresentativo: sono una tautologia. Come dirà B. Russell: ‘Un soggetto nominato non può propriamente dirsi un soggetto esistente, bensì solo un soggetto descritto: l’esistenza non è un predicato’.

L’idea di dio, poi, cade irrimediabilmente sotto la scure del criterio (humiano) di significato empirico di un’idea: qual è l’impressione corrispondente che legittimerebbe quella idea? L’impressione di un monoteista maomettano, cristiano, ebraico, o invece le impressioni multiple del politeista pagano, induista, scintoista?

 

Come ogni elemento di una operazione logica o matematica dio ha la stessa ‘esistenza nominale’ dei simboli logici e dei segni matematici: ‘numeri’, ‘simboli’, ‘entità logiche’, ‘entità matematiche’, ‘entità metafisiche’, ‘entità divine’, tutte con il medesimo statuto d’esistenza: esistenza nominale, mera definizione.

Il razionalista tuttavia pretende di attribuire a dio non solo l’esistenza, ma anche l’esistenza ‘necessaria’. Ma, obietta Hume:

“Le parole esistenza necessaria non hanno senso, o, ciò che è la stessa cosa, non ne hanno uno coerente.” (Dialoghi, 173).

L’epistemologia di Hume, infatti, aveva negato non solo la dimostrabilità dell’esistenza ma anche la ‘necessità’ d’esistenza:

“La necessità è qualcosa che esiste nella mente, non negli oggetti” (Trattato sull’intelletto umano, XIV, 165-166).

La necessità, per Hume, è un ‘atto della mente’, ma non di ragione, è infatti semplice impressione della mente. E d’altronde sarebbe molto pericoloso introdurre la necessità nell’esistenza perché sarebbe applicabile anche ai rapporti di aggregazione della materia. L’ipotesi della necessità non ci porterebbe allora verso la ‘sublime trascendenza’, bensì verso la ‘rozza immanenza’ della materia. Una struttura materiale necessaria sarebbe infatti una ipotesi ‘direttamente opposta all’ipotesi religiosa!’(Dialoghi, 179)

Quindi l’esistenza di dio è nominale, la sua necessità è semplice impressione della mente.

 

Come dirà in termini moderni B. Russell: “Necessario è una parola vana, a meno che non sia applicata a proposizioni analitiche, non alle cose.”

Da Hume a Russell l’essere necessariamente esistente è logicamente impossibile, privo di senso, virtuale: convenzione vuota, riempibile a piacimento.

Jonathan Barnes (The Ontological Argument, MacMillan, London 1972, p. 33) obietta a Hume che “è certamente possibile credere a proposizioni impossibili” quali gli errori matematici. Tuttavia Barnes dà un significato diverso al termine ‘conceivable’, che in Hume significa ‘rappresentazione appropriata’, ‘idea non contraddittoria’. Ed è per questo che Hume può dire che una non-contraddizione è creduta, mentre una contraddizione non lo è.

 

Confutazione della ‘catena finita’ di cause: L’argomento del credente afferma: se tutto ciò che esiste ha una causa, allora la catena è ‘finita’, ha un ‘inizio’, ha una ‘prima causa’.

Hume ribatte che la premessa del teista pecca di illogicità: se la catena è eterna non può avere una causa. Se si vuole comunque ammettere una causa (il primo autore), allora questa causa rientra nell’ambito di modalità temporali ed esistenziali, perché la causa deve avere una priorità rispetto alla catena causata e deve avere un inizio (come ogni cosa temporale).

 

Inoltre, che le sequenze causali dell’universo debbano essere causate da qualcosa, dice Hume, è tutto da dimostrare.

La proposizione ‘tutto ciò che esiste deve avere una causa’ non può infatti essere provata né per via intuitiva, né per via dimostrativa. E’ impossibile dimostrare la necessità di una causa senza dimostrare l’impossibilità di eventi non-causati.

Afferma Hume nel Trattato sull’intelletto umano:

 

“Il vero problema è se ogni oggetto che cominci ad esistere debba avere la sua esistenza da una causa: affermo che questo non è certo, né intuitivamente, né dimostrativamente.” (T. 81,82)

 

Infine, il concetto di causa deriva dalla osservazione di eventi particolari e pertanto la causa non è applicabile alla totalità.

Con tali argomentazioni Hume pone uno statuto logico di equipollenza tra l’ipotesi di un mondo derivato da una causa prima (dio), e l’ipotesi di un mondo non causato (senza dio).

Nessuna impossibilità logica di una origine cosmica senza tempo e senza spazio, o derivata da un tempo e da uno spazio infiniti. Spazio e tempo infiniti fanno cadere ogni trascendenza, metafisica o religiosa: le divinità non sono necessarie alla spiegazione del mondo. La possibilità logica, e la preferenza pratica, che Hume dà ad un universo senza limiti spaziali e temporali rende ‘priva di significato’ e ‘senza senso’ la domanda cosmica su una causa ultima dell’universo.

 

Neppure una causa a-temporale (tanto cara ai teologi neotomisti sostenitori della creatio continua) può essere utilizzata per rendere conto del divenire e delle continue trasformazioni del mondo; il concetto di causa, infatti, non può prescindere dal tempo, in quanto essa – per definirsi come causa – deve necessariamente antecedere il/i suo/suoi effetto/i. Interessante tema di approfondimento sono le discussioni sulla posizione di Hume ‘contro’ la coesistenza della causazione (causa ed effetto contemporanei) perché porterebbe alla “distruzione di quella successione di cause che osserviamo nel mondo e addirittura al totale annientamento del tempo” (Trattato sull’intelletto umano III. II, 76).

 

Secondo Hume, infine, anche se l’argomento cosmologico fosse valido non stabilirebbe comunque ciò che sostengono i suoi assertori. Se anche ci fosse una causa prima, perché quest’ultima non potrebbe essere il mondo fisico e materiale (o una sua parte, oppure il suo evento iniziale) invece che dio? Se si rispondesse che deve esserci una qualche spiegazione dell’origine del mondo o delle sue qualità Hume risponderebbe che si possono dire esattamente le stesse cose di dio. Se si è disposti ad accettare, come spiegazione finale dell’universo, l’idea che la sua causa prima sia dio, allora dovrebbe essere altrettanto accettabile l’idea che il mondo materiale sia causa di se stesso (ossia, non richieda una spiegazione in base a principi ad esso esterni).

 

Confutazione dell’argomento del disegno: Nei Dialoghi l’argomento del disegno viene esaminato e dissezionato da quasi ogni angolatura possibile. Hume dà inizio al suo attacco criticando l’analogia tra i prodotti umani e quelli di natura. Le opere dell’uomo e quelle della natura non si assomigliano fino al punto da darci forti ragioni di credere che abbiano cause simili.

Abbiamo esperienza della relazione tra la pianificazione o la progettualità umana e i risultati che ne derivano. Nel caso della natura, non abbiamo esperienza alcuna della causa, ma solo dell’effetto. L’effetto naturale non assomiglia a quello prodotto dall’uomo al punto tale da renderci sicuri che nei due casi debbano funzionare tipi analoghi di fattori causali. Per quel che ne sappiamo, potrebbero esserci molte cause dell’ordine e del progetto, diverse dal pensiero:

 

“Infatti, per quanto siamo in condizione di saperlo a priori, la materia può contenere la fonte dell’ordine originariamente, in sé stessa, così come la mente; e non c’è maggiore difficoltà a concepire che i diversi elementi, in forza di una causa interna sconosciuta, si possano disporre secondo l’ordine più perfetto, che a concepire che le loro idee nella grande mente universale in forza d’una causa egualmente interna e sconosciuta si dispongano secondo quest’ordine.”(Dialoghi, pag. 26)

 

Di fatto, è la vanità umana al massimo della sua vanagloria che si lancia a testa bassa verso la seguente conclusione: poiché nella piccolissima parte del cosmo abitata dall’uomo gli stessi fattori presenti nella produzione degli oggetti progettati dagli esseri umani compaiono similmente negli effetti naturali che ci circondano, allora questi stessi fattori sono i principi dominanti nella direzione dell’intero universo, su gran parte del quale non possediamo informazione alcuna. Hume portò a termine la sua prima critica generale del tipo di ragionamento analogico presente nell’argomento dell’architetto mettendo queste domande in bocca al suo personaggio scettico (Filone):

 

“Qualcuno mi dirà forse con viso serio che un universo ordinato deve provenire da qualche pensiero e da qualche arte simili a quelli dell’uomo perché noi ne abbiamo l’esperienza. Per verificare questo ragionamento si richiederebbe che noi avessimo esperienza dell’origine dei mondi e non è certo sufficiente che noi abbiamo visto dei battelli e delle città provenire dall’arte e dall’industria degli uomini(…)

Potete pretendere di mostrare qualche somiglianza di questo genere fra la costruzione di una casa e la generazione di un universo?

(…) E avete avuto il piacere di osservare lo sviluppo intero del fenomeno dalla prima apparizione al fino alla sua consumazione finale? Se è così, allora invocate la vostra esperienza e proponete la vostra teoria.” (Dialoghi, pag. 31,33)

 

Fin qui, dunque, la critica di Hume all’argomento del disegno è che la sua tesi fondamentale (ovvero che vi è una grande somiglianza tra gli effetti della pianificazione umana e gli effetti naturali, e che quindi la causa dei manufatti umani, cioè il pensiero, è analoga all’agente causale universale) non è convincente.

Abbiamo imparato dall’esperienza che gli effetti umani derivano dal progetto, ma non abbiamo alcuna esperienza simile riguardo agli effetti naturali ed al modo in cui essi nascono.

 

Il difensore dell’argomento nei Dialoghi, Cleante, replica che “non è in alcun modo necessario che i teisti provino la somiglianza delle opere della natura con quelle dell’arte poiché questa somiglianza è per sé stessa evidente ed innegabile” (pag.34). Per amor di discussione Hume accetta temporaneamente questa affermazione, allo scopo di dimostrare che, se anche la somiglianza tra le opere umane e quelle naturali fosse maggiore, nell’argomentazione tendente a provare l’esistenza di un essere divino rimarrebbero comunque difetti o debolezze.

Ad esempio: chi crede all’argomento dell’architetto si serve del principio base secondo cui effetti simili implicano cause simili. Più simili sono gli effetti, più simili sono le cause. Ma anche se pensiamo che vi sia davvero una stretta similarità tra gli effetti naturali e quelli umani, Hume ha comunque dimostrato che ciò non sarebbe base sufficiente per giungere alle conclusioni religiose tradizionali sulla natura di dio:

 

“In primo luogo, con questo metodo di ragionamento voi rinunciate a ogni pretesa all’infinità per uno qualsiasi degli attributi della divinità. Infatti, poiché la causa deve soltanto essere proporzionata all’effetto e l’effetto per quanto cade nella nostra conoscenza non è infinito, quale diritto abbiamo, secondo le vostre supposizioni, di riferire questo attributo all’essere divino?” (pag.52)

 

L’argomento dell’architetto, inoltre, se fosse valido, non ci proibirebbe solo di dire che dio è infinito, ma ci impedirebbe anche di dire che è perfetto:

 

“In secondo luogo, non avete alcuna ragione nella vostra teoria per attribuire la perfezione alla divinità, anche nella sua capacità finita, o per supporla esente da ogni errore, inganno o incoerenza in ciò che essa intraprende (…). Almeno dovete riconoscere che a noi è impossibile dire, in base alle nostre vedute limitate, se questo sistema contiene in qualche modo dei grossi errori o merita considerevoli lodi in paragone ad alcuni sistemi possibili o anche reali. Un contadino che non ha visto alcuna delle produzioni del genio umano potrebbe forse, se gli si leggesse l’Eneide, affermare che questo poema è del tutto senza difetto o anche assegnargli il suo posto preciso fra le produzioni del genere umano?”

 

Neppure le più recenti scoperte astronomiche di ammassi di galassie a milioni e miliardi di anni- luce dalla Terra permettono di rispondere alla domanda se tali creazioni siano perfette, pessime, mediocri, accidentali o altro.

Filone-Hume continua dunque a sviluppare il suo ragionamento:

 

“Ma ammettiamo pure che questo nostro mondo sia un’opera perfetta; deve rimanere ancora incerto se tutti i meriti dell’opera possono a buon diritto essere attribuiti al suo autore. Se esaminiamo una nave ci formiamo un’idea sublime dell’ingegnosità del carpentiere che ha costruito una macchina così complicata, così utile e bella. Quale sorpresa poi quando scopriamo in lui uno stupido artigiano che non ha fatto altro che imitare altri e copiare un’arte che, attraverso una lunga successione di secoli, dopo moltiplicati tentativi, errori, correzioni, deliberazioni e controversie, è stata gradualmente perfezionata! Può darsi che altri mondi  siano stati rabberciati e impastati nel corso di un’eternità prima che questo nostro sistema sia stato messo in luce; molto lavoro perduto, molti tentativi infruttuosi e un progresso lento ma continuo, compiuto durante età infinite nell’arte di fare i mondi. In simili questioni, chi può decidere dov’è la verità? Che dico? Chi può congetturare dov’è la probabilità, in mezzo a un gran numero di ipotesi che possono essere proposte e a un numero anche più grande di ipotesi che possono essere immaginate?” (pagg.52-53)

 

Oggi gli astrofisici più eminenti ci dicono che il nostro universo ha avuto origine circa 15 miliardi di anni fa dal big bang. E, come suggerisce Hume, quel big bang potrebbe essere stato, a quel che sappiamo, il ventesimo, il quarantesimo, il quattrocentesimo o l’ennesimo tentativo di creare un universo funzionante in modo decente. Noi continuiamo a udire di ogni sorta di eventi violenti che hanno luogo, o hanno avuto luogo, in varie lontane plaghe di quest’universo. Anche questo, quindi, potrebbe essere un universo rabberciato.

Neppure un mondo perfetto, dunque, è garanzia d’esistenza di una divinità perfetta. Se però cadono gli attributi dell’infinità e della perfezione, cadono quegli attributi che fanno della causa universale, per l’appunto, una divinità.

Inoltre, prosegue Hume:

 

“Questo mondo, per quel tanto che chi segue la vostra ipotesi lo conosce, è molto difettoso e imperfetto paragonato a un modello superiore; non fu che il primo e informe saggio di qualche divinità giovane che poi l’abbandonò vergognosa della sua opera così manchevole; non è che l’opera di una divinità dipendente ed inferiore (una specie di sottodivinità, come il demiurgo platonico, aggiunta mia), oggetto di derisione per le divinità di più alto rango; è la produzione della vecchiaia e del vaneggiamento di qualche divinità sovraccarica di anni…” (pag.55).

 

Si può andare avanti all’infinito a inventare spiegazioni possibili che sostengano la tesi di base dell’argomento dell’architetto, ovvero che vi è somiglianza tra l’ordine della natura e l’ordine dei prodotti umani. Se si ritiene che l’argomento dell’architetto permetta di stabilire che una qualche specie di progettista (o di progettisti) esista, allora ogni resoconto, ipotesi, teoria fantastica che spieghi la misura di ordine che ritroviamo nella natura risulta altrettanto convincente.

Inoltre, sempre sulla base di tale argomento, è ugualmente plausibile supporre più menti, con la conseguenza di avere più divinità. Una molteplicità di ordini co-operanti che regolano l’universo debbono avere molteplici cause co-operanti.

 

In sintesi: Sulla base dell’argomento del disegno (che afferma la somiglianza tra effetti naturali ed effetti umani) e delle regole dell’analogia (per le quali effetti simili provano cause simili) non è possibile arrivare a dio, inteso come causa universale perfetta, unica, e infinita.

Infatti: da effetti imperfetti si inferiscono solo cause imperfette; da effetti molteplici cause molteplici; da effetti finiti cause finite.

E anche ammettendo, per amor di discussione, che l’universo sia perfetto, vi sono comunque valide ragioni (sempre in base all’argomento del disegno) per ipotizzare che possa essere stato costruito da una o più divinità imperfette; potrebbe essere, infatti, il risultato finale di una serie interminabile di faticosi tentativi, di prove ed errori protrattisi fin dall’eternità.

 

Sempre partendo da tale argomento, inoltre, è possibile costruire in modo altrettanto soddisfacente tipi di analogia totalmente differenti, che portano a tipi di conclusione totalmente differenti. Infatti, gli effetti delle attività umane non sono i soli ad assomigliare ad alcuni aspetti del mondo naturale: questi aspetti assomigliano anche agli effetti delle attività biologiche di animali e piante. Si vedono molte somiglianze tra lo sviluppo di organismi viventi e gli eventi naturali. Accettando tale criterio di somiglianza, però, dovremmo inferire che la causa dell’universo sia analoga a quelle degli esseri viventi, ovvero qualcosa come generazione o vegetazione. Il che appare, a dir poco, bizzarro ed inverosimile.

Il punto cruciale è che, osserva Hume:

 

“Non abbiamo dati per stabilire un sistema qualunque di cosmogonia, ovvero una teoria sulle origini dell’universo. La nostra esperienza così imperfetta in se stessa e così limitata sia in estensione che in durata non può fornirci alcuna congettura probabile riguardo all’insieme delle cose” (pag.67)

 

Infine, se l’unica informazione di cui dobbiamo servirci per giudicare è il carattere degli eventi cui assistiamo, se ne potrebbe anche proporre un’interpretazione integralmente materialistica e meccanicistica. Si potrebbe sviluppare un’ipotesi per la quale la causa degli eventi naturali è null’altro se non la materia stessa, regolata dalle sue leggi immanenti senza alcun piano o finalità (c.f.r. Spinoza).

Se si lanciassero in aria parecchie migliaia di pezzettini d’acciaio, una volta caduti essi assumerebbero una qualche forma di configurazione o disegno; noi però non diremmo che ciò sia dovuto ad un qualche principio ordinatore, ma piuttosto al caso o all’accidentalità.

Allo stesso modo, secondo Hume non si può essere sicuri che il cosiddetto universo organizzato non sia il risultato di un cieco incidente cosmico.

 

Come elemento finale della sua critica dell’argomento del disegno, Hume sottolinea che il ragionamento analogico su cui è imperniato non fornisce una base per alcuna conclusione sugli attributi morali dell’architetto della natura, nemmeno se si è convinti che tale architetto esista. L’idea di una divinità buona e moralmente giusta non segue in alcun modo dall’accostamento tra gli oggetti fatti dall’uomo e quelli naturali. Se si suppone che l’architetto cosmico sia simile all’architetto umano, non abbiamo alcuna ragione per pensare che l’autore della natura possegga una qualche speciale qualità morale.

Quando si esamina il prodotto (cioè la natura) e si prendono in considerazione tutti i suoi aspetti sgradevoli (gli uragani, i terremoti, le guerre di una parte della natura contro un’altra sua parte) possiamo forse trarne la conclusione che la sua pianificazione sia il frutto di un’intelligenza giusta e buona?

 

“Il mondo (dice Hume) considerato in generale e quale ci appare in questa vita, differisce da ciò che un uomo o qualche essere egualmente limitato si attenderebbe in anticipo da una divinità potentissima, sapientissima, e buonissima? Solo uno strano pregiudizio può indurci ad affermare il contrario”. (pag.100)

 

Quindi, dati gli eventi infelici, spiacevoli, e indesiderabili cui dobbiamo assistere, non siamo in grado di inferire che il progetto del cosmo sia benevolo, giusto o buono.

Di fatto, secondo Hume, sono più plausibili altre ipotesi: per esempio, che la forza o l’agente supremo nel mondo non abbia carattere morale, né immorale, o che non si curi delle faccende umane, ecc.

 

Conclusioni: Hume dimostrò che l’argomento del disegno è basato su un’analogia erronea; che, quand’anche fosse corretto, condurrebbe a concludere che la divinità è strutturalmente imperfetta, limitata, e molto simile ad un essere umano; che, se ci si basa soltanto sull’esperienza, molte altre teorie appaiono altrettanto valide; e che l’evidenza dei fatti è insufficiente per permetterci di inferire che il motore o signore dell’universo è giusto e morale.

 

Interessante la critica che Hume, per bocca di Cleante, oppone al misticismo di Demea:

 

“I mistici…sono, in una parola, atei senza saperlo….una mente, i cui atti, sentimenti e idee non siano distinti e successivi, pienamente semplice e totalmente immutabile, è una mente che non ha pensiero, né ragione, né volontà, né sentimento, né amore, né odio”. (pag.91)

 

Hume comunque, come già detto, non concede il ricorso ad alcun tipo di mente: né la mente fatta di atti successivi, “con pensiero, ragione, sentimento”, né la mente immutabile, senza pensiero, ragione, sentimento”. Come si può ammettere che “una parte piccolissima della natura”, l’uomo, debba costituire la regola dell’ordine di quella piccola parte di materia che conosciamo? E perché scegliere la mente, questa piccolissima parte dell’uomo, come modello analogico di dio? “Quale particolare privilegio ha questa piccola agitazione del cervello che chiamiamo pensiero, perché debba essere preso a modello dell’intero universo?” (pag.59)

La scelta è del tutto arbitraria.

 

Inoltre, l’ipotesi della mente quale causa ordinante e fondamento dell’universo pecca per di più di regressus in infinitum:  dovremmo infatti spiegare ‘quel mondo ideale’ con un altro mondo ideale, come nella storia del filosofo indiano e del suo elefante (su cosa poggia il mondo? Su un elefante. Su cosa poggia l’elefante? Ecc.ecc.). Ma allora perché andare oltre, perché non fermarsi al ‘mondo materiale’ che ha il vantaggio di essere esperibile e presente davanti ai nostri occhi? Perché dovremmo pensare che l’ordine è più essenziale al pensiero che alla materia? Può una delle opinioni essere intelligibile mentre l’altra non lo è? Su quali prove sarebbe basata la supremazia dell’ordine mentale su quello materiale? E come potrebbe essere accettata una spiegazione del mondo materiale in termini di ordine mentale, mentre viene rifiutata la spiegazione del mondo mentale in termini di ordine materiale? Sulla base dell’esperienza la preferenza dovrebbe cadere sulla seconda ipotesi, perché ogni giorno vediamo la ragione derivare da generazione, ma mai la generazione dalla ragione (c.f.r. la teoria darwiniana dell’evoluzione, elaborata circa un secolo dopo la morte di Hume, per la quale i processi mentali non sono altro che il frutto recentissimo di una lenta e tortuosa evoluzione biologica, avvenuta unicamente in virtù di fortuite mutazioni degli organismi e di necessarie selezioni dei più adatti a corrispondere ad un dato ambiente).

Alla luce dell’esperienza, dunque, sarebbe saggio fermare questo regresso infinito.

 

La critica humiana all’argomento del disegno viene, forse inconsapevolmente, ripresa dallo scrittore-scienziato Isaac Asimov in In principio:

 

Un orologio implica un orologiaio, si argomenta di solito; o qualcosa del genere. E’ inconcepibile che un oggetto complicato come un orologio nasca spontaneamente: bisogna che qualcuno lo fabbrichi. Un oggetto infinitamente più complesso come l’universo ha molte più ragioni per far pensare di essere stato fabbricato.

Nei tempi antichi il procedimento analogico era molto più ingenuo. Gli esseri umani possono  produrre, soffiando, un minuscolo venticello che esce dalle narici e dalla bocca; il vento della natura deve essere, per analogia, generato da un essere potentissimo, che soffia anch’egli dalle narici e dalla bocca.

Se in Terra per viaggiare si usa un carro trainato da un cavallo, un cocchio splendente sarà il mezzo con cui il sole viaggia attraverso il cielo.

I miti attribuiscono generalmente ogni fenomeno naturale ad una creatura di sembianze umane, che agisce in modo analogo a noi, sicchè nulla, in natura, avviene spontaneamente”.

 

L’analogia natura/attività umana su cui si regge l’argomento del disegno è, quindi, la stessa su cui si fondavano le mitologie degli antichi. Perché allora dovrebbero essere considerate meno credibili dell’attuale mitologia giudaico-cristiana?

Inoltre, secondo Asimov:

 

“Gli scienziati, negli ultimi quattro secoli, hanno costruito un’immagine alternativa dell’universo. Il sole non si muove attraverso il cielo: il suo moto apparente è dovuto alla rotazione terrestre. Il vento non ha bisogno di polmoni giganteschi: è dovuto all’azione spontanea dell’aria sottoposta a diverso riscaldamento dal sole. In altre parole, un sole in moto non implica dopotutto la presenza di un cocchio tirato da un cavallo; e il vento non implica l’esistenza della bocca di qualcuno che soffia.

I fenomeni della Terra e dell’universo si sono configurati a poco a poco come comportamenti casuali, spontanei, involontari, e vincolati dalle ‘leggi naturali’.

Gli scienziati sono diventati sempre più restii ad ammettere che nell’azione delle leggi naturali possano esserci interferenze (qualcosa a cui spetterebbe il nome di ‘miracolo’). Certo interferenze del genere non sono mai state osservate, e i racconti di quelle avvenute in tempi passati hanno finito per apparire sempre meno credibili.

Agli occhi della scienza, insomma, l’universo segue ciecamente le proprie regole, senza interferenze né direttive”.

 

Da quanto detto emerge con chiarezza che l’argomento del disegno, oltre ad essere fallace e scientificamente inutile, è sotteso a qualsiasi mitologia (sia antica che moderna, politeista o monoteista). E questo le bòn David l’aveva capito molto prima di Asimov , e disponendo di un bagaglio di conoscenze scientifiche decisamente più limitato.

To be continue