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Hume: passioni, ragione e virtù, volontà e libertà

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Giuseppe Bailone

La Ricerca sui principi della morale di Hume si apre sulla disputa tra chi riconosce il fondamento della morale soltanto nella ragione e chi, invece, lo riconosce soltanto nel sentimento. Hume non si schiera né da una parte né dall’altra: pensa che l’azione morale impegni entrambe le facoltà umane, con funzioni diverse. Il comportamento umano è determinato dalle passioni, sulle quali la ragione può agire indirettamente, nella sua funzione puramente conoscitiva.

Le passioni sono impressioni di riflessione, ossia esperienze interiori che derivano da precedenti impressioni di sensazione. Le sensazioni possono, infatti, accendere desideri, paure o altre passioni. La ragione, però, organizzando i dati dell’esperienza e riflettendoci sopra, può modificare la conoscenza della realtà che ha dato origine a certe passioni e provocarne, in tal modo, la trasformazione o la nascita di nuove. Il desiderio di una cosa può, infatti, essere spento o profondamente modificato, dopo l’intervento conoscitivo della ragione, se l’oggetto del desiderio si rivela diverso dalla sua prima sensazione o se i mezzi scelti per raggiungere il fine di una passione non risultano adeguati.“È evidente che dei fini ultimi delle azioni umane non si può mai, in alcun caso, render conto per mezzo della ragione; essi si raccomandano interamente ai sentimenti e agli affetti dell’umanità, senza dipendenza alcuna dalle facoltà intellettive. Domandate a una persona perché è solita fare esercizi fisici; essa vi risponderà di farlo, perché desidera mantenersi in salute. Se voi allora domandate perché desidera la salute, vi risponderà prontamente: perché la malattia è dolorosa. Se voi spingete più in là le vostre ricerche e desiderate conoscere la ragione per cui la persona in questione odia il dolore, è impossibile che essa vi dia mai qualche risposta. Questo è un fine ultimo che non si riferisce mai ad alcun oggetto.

Forse alla vostra seconda domanda: perché desidera la salute, vi risponderà che essa è necessaria per l’esercizio della professione. Se le domandate perché si preoccupa di questo punto, vi risponderà che lo fa perché desidera guadagnare. Se domandate ancora perché, essa vi risponderà che il danaro è lo strumento del piacere. Al di là di questo, è assurdo chiedere una ragione. È impossibile che vi possa essere un progresso in infinitum e che vi debba sempre essere una cosa come ragione del perché un’altra viene desiderata. Qualche cosa si deve desiderare per se stessa ed in ragione del suo immediato accordo col sentimento e con l’affetto degli uomini”.1

Come non agisce direttamente sulle passioni, di cui non può che prendere atto come dati di fatto, la ragione non agisce direttamente neppure sulla volontà. Anch’essa, infatti, è un’impressione.

“Con volontà – scrive Hume – non intendo nient’altro che quell’impressione interna che noi avvertiamo e di cui diventiamo consapevoli quando coscientemente diamo origine a qualche nuovo movimento del nostro corpo o a qualche nuova percezione della nostra mente”.2

Per Hume il libero arbitrio non esiste. La ragione non ha il controllo diretto della volontà e delle passioni. La libertà è, per lui, da intendersi come assenza di costrizioni esterne.

Come si può, allora, distinguere il bene dal male, la virtù dal vizio, se il libero arbitrio non esiste e la ragione non ha il controllo diretto delle passioni e della volontà? Qual è il fondamento della morale?

Nella ricerca di questo fondamento nella natura umana, Hume si muove secondo la sua concezione della scienza e dei suoi limiti.

Egli ritiene “inutile” la ricerca del fondamento ultimo della morale e scrive:

“Infatti, se saremo così fortunati, nel corso di questa ricerca, da scoprire la vera origine della morale, si vedrà allora agevolmente per qual parte sia il sentimento che la ragione entrino in tutte le determinazioni di tale natura. Per conseguire questo risultato, cercheremo di seguire un metodo molto semplice; analizzeremo quel complesso di qualità mentali che costituisce ciò che, nella vita comune, chiamiamo merito personale; considereremo ogni qualità della mente che possa rendere un uomo sia oggetto di stima e di affetto che di odio e di disprezzo, ogni abitudine o sentimento o facoltà che, se attribuiti a qualcuno, implica o lode o biasimo, e possono rientrare o in un panegirico o in una satira del suo carattere e del suo comportamento. La viva sensibilità che, su questo punto, si trova così ampiamente distribuita fra gli uomini dà ad un filosofo sufficiente sicurezza di potersi mai sbagliare di molto nel formulare il catalogo delle qualità in questione o di non disporre malamente gli oggetti della sua contemplazione; occorre soltanto che egli entri nel suo cuore per un momento e consideri se desidererebbe o no che gli fosse attribuita questa o quella qualità e se tale o tale altra imputazione deriverebbe da un amico o da un nemico. […] Poiché questa è una questione di fatto e non di scienza astratta, noi possiamo attenderci qualche risultato soltanto se seguiremo il metodo sperimentale, deducendo massime generali dal raffronto di casi particolari. L’altro metodo scientifico, con cui prima si stabilisce un principio generale che poi ramifica in una varietà d’inferenze e conclusioni, può essere in se stesso più perfetto, ma si adatta meno all’imperfezione della natura umana ed è una fonte abituale d’illusione e di errore in questa come in altre materie”.3

Hume comincia, pertanto, la sua ricerca “con l’esame delle virtù sociali, la benevolenza e la giustizia”, nella convinzione di aprirsi così una strada per “render ragione delle altre virtù”.

Come si vede, Hume non intende dire come dovrebbe essere la moralità, bensì capire com’essa è. Per lui la filosofia deve occuparsi della morale come di una questione di fatto, non come di un dover essere. Vuole rendersi conto di come sono gli uomini moralmente meritevoli, non come dovrebbero essere.

La sua è una morale descrittiva, non normativa.

Hume è molto lontano dallo spirito dei giusnaturalisti contemporanei e del passato, convinti dell’esistenza di leggi morali eterne, divine e/o razionali.

La virtù si realizza nel rapporto con gli altri ed è, quindi, l’utilità per la vita sociale che costituisce il fondamento delle valutazioni morali.

La moralità si fonda sul sentimento morale.

Il filosofo della natura umana pensa che l’uomo provi un sentimento di piacere e di soddisfazione davanti a un’azione virtuosa e che provi invece dispiacere e si senta a disagio davanti a un’azione moralmente cattiva. Hume individua nella simpatia, cioè nella facoltà di far propri i sentimenti e le passioni degli altri, la base del sentimento morale di piacere. A sua volta la simpatia si basa sulla tendenza della natura umana alla socialità, della quale l’impulso sessuale è la prima vistosa manifestazione. Hume si colloca, su questo punto, agli antipodi di Hobbes, anche se questa naturale tendenza a vivere con gli altri non è senza limiti: l’uomo tende ad amare e a provare piacere del benessere e della felicità delle persone più vicine, mentre manifesta diffidenza e, anche ostilità, per quelle lontane.

Non a caso la prima delle virtù prese in esame da Hume è la benevolenza.

“Gli epiteti di socievole, di buon carattere, umano, pietoso, riconoscente, amichevole, generoso, benefico, o i loro equivalenti, sono noti in tutte le lingue ed esprimono universalmente i meriti più elevati che la natura umana sia in grado di conseguire. Quando queste qualità che si fanno amare sono accompagnate dalla nascita e dal potere e da abilità eccezionali e si esprimono in atti di buon governo o in un’utile istruzione degli uomini, sembra perfino che elevino coloro che le possiedono al di sopra del livello della natura umana, e che li avvicinino in qualche misura al divino. Capacità fuori dell’ordinario, coraggio indomito, successo e fortuna, sono qualità che, da sole, possono esporre un eroe o un uomo politico all’invidia e alla malevolenza del pubblico; ma quando a tali qualità si aggiungono le lodi di umanità e di generosità, quando si può far riferimento a casi di indulgenza, di mitezza o di amicizia, anche l’invidia tace o si unisce alla voce generale di approvazione e di plauso”.4

L’universale apprezzamento della benevolenza di una persona si fonda su “la felicità e la soddisfazione che la società ricava dalle sue relazioni con quella persona e dai buoni uffici che essa le arreca”.5

È l’utilità sociale il criterio di fondo nelle valutazioni morali.

“In tutte le determinazioni della moralità, questa circostanza della pubblica utilità è sempre quella che si considera come principale; e dovunque sorga una controversia, sia in filosofia che nella vita d’ogni giorno, riguardo ai confini del dovere, non si può in alcun modo risolvere la questione con sicurezza maggiore che accertandosi da quale parte stiano i veri interessi dell’umanità. […] Nulla può conferir maggior merito ad un uomo del sentimento di benevolenza; e una parte, quanto meno, di tale merito deriva dalla tendenza che la benevolenza ha a promuovere gli interessi umani e a recar felicità alla società. Noi volgiamo l’attenzione alle conseguenze salutari di tale carattere e disposizione […]. Non si pensa mai alle virtù sociali senza tener conto delle loro tendenze benefiche […]. La felicità degli uomini, l’ordine della società, l’armonia delle famiglie, l’aiuto reciproco fra amici, si considerano sempre come il risultato del benigno dominio delle virtù sociali sul cuore dell’uomo”.6

L’importanza dell’utilità sociale risulta altrettanto evidente nel discorso sulla giustizia, di cui è la ragion d’essere. Se, infatti, l’umanità avesse abbondantemente a disposizione tutto ciò di cui potrebbe aver bisogno, la giustizia sarebbe del tutto inutile e non nascerebbe mai. Infatti, non esiste proprietà dell’aria che respiriamo e non c’è alcun bisogno di regolarne l’uso, perché essa è illimitatamente a disposizione. Neppure ci sarebbe il bisogno di giustizia se la benevolenza fosse presente pienamente in tutti gli uomini, o, nel caso opposto, di un’umanità del tutto malvagia. Hume, pertanto, respinge sia la “finzione poetica dell’età dell’oro” sia la “finzione filosofica dello stato di natura”, proposta (non però per la prima volta, spiega in nota)7 da Hobbes.

Hume respinge anche l’egualitarismo che si era presentato in Inghilterra durante le guerre civili del secolo precedente.

“Ma gli storici, ed anche il senso comune – scrive – possono informarci che per quanto belle possano sembrare queste idee di perfetta uguaglianza, è in fondo impossibile tradurle in pratica; ed anche se fosse possibile, esse sarebbero del pari estremamente pericolose per la società. Anche se si rendessero eguali le proprietà, i gradi diversi di arte, di attività e di sollecitudine spiegati dagli uomini tornerebbero immediatamente a rompere tale eguaglianza. Se poi poneste un freno a tali virtù e iniziative, ridurreste la società alla più nera indigenza; ed anziché prevenire la miseria e l’estrema povertà di pochi, la rendereste inevitabile a tutti. La più rigorosa inquisizione sarebbe necessaria per spiare il formarsi di qualsiasi disuguaglianza fin dal suo apparire; e ci vorrebbero delle leggi severissime, per punirla e soffocarla. Ma, oltre al fatto che così grande autorità finirebbe presto per degenerare in tirannia e per essere esercitata con grande parzialità, chi ne dovrebbe essere investito, in una situazione come quella che qui si suppone? Un’uguaglianza perfetta di proprietà, distruggendo ogni subordinazione, indebolisce in massimo grado l’autorità della magistratura e deve ridurre anche il potere, come la proprietà, ad un solo livello.

Possiamo dunque concludere che, per stabilire delle leggi che regolino la proprietà, bisogna conoscere la natura umana e la situazione dell’uomo, bisogna respingere le apparenze che possono essere false, anche se speciose; e bisogna cercare quelle regole che sono, nell’insieme, le più utili e benefiche. Il senso comune e un po’ d’esperienza bastano per questo scopo, se gli uomini non si abbandonano a un’avidità troppo egoistica o a un entusiasmo eccessivo”.8

La giustizia è una virtù umana per il mondo degli uomini.

Non si può parlare, invece, di giustizia nei rapporti umani con gli animali. È vero, come abbiamo visto, che Hume ritiene gli animali dotati di capacità inferiori solo di grado, non di natura, ma essi, pur vivendo mescolati agli uomini, non sono parte della società umana.

Anche l’obbedienza, intesa come rispetto delle leggi e delle istituzioni, e che Hume considera la massima virtù politica, ha il suo fondamento nell’utilità sociale. Essa, infatti, mantiene solida la società politica e difende gli stessi individui, che non sempre vedono gli interessi che li legano agli altri membri della società o non hanno forza morale sufficiente a renderli fedeli all’interesse comune.

Che l’obbligo morale sia proporzionale all’utilità sociale risulta evidente anche dal confronto dei rapporti tra i membri di una società e quelli fra le società politiche: “La natura umana non può in alcun modo sussistere, senza che gli individui si uniscano in società; e questa associazione non si avrebbe mai, se non si tenesse conto delle leggi di equità e di giustizia. Disordine, confusione, guerra di tutti contro tutti, sono le conseguenze necessarie di una condotta così sfrenata. Le nazioni invece possono sussistere senza relazioni fra loro. Entro certi limiti possono sussistere anche in uno stato di guerra generale. L’osservanza della giustizia, sebbene sia utile nei rapporti tra le nazioni, non è in essi salvaguardata da una necessità così impellente come quella che la fa valere nei rapporti tra gli individui”.9

Anche la virtù della fedeltà coniugale trae il suo valore dall’utilità sociale, in quanto agevola l’allevamento della prole in famiglia.

“Il fatto che la caratteristica dell’utilità, in ogni caso, sia fonte di lode e di approvazione, sembra che sia una questione di fatto; del pari sembra che sia questione di fatto che costantemente ci si appella all’utilità in tutte le decisioni morali che riguardano il merito o il demerito delle azioni, che l’utilità è la sola fonte dell’alta considerazione che si ha per la giustizia, la fedeltà, l’onore, l’obbedienza e la castità; che l’utilità è inseparabile da tutte le altre virtù sociali, dal senso di umanità, dalla carità, dall’affabilità, dall’indulgenza, dalla misericordia e dalla moderazione; in una parola, che l’utilità è il fondamento della parte principale della morale, che ha riferimento all’umanità e ai nostri simili”.10

Con la trattazione che ne fa Hume, la morale perde “l’abito malinconico del quale l’hanno rivestita molti teologi e alcuni filosofi; e non viene alla luce se non gentilezza, umanità, beneficenza e affabilità; anzi perfino, a dati intervalli, gioco, allegria e gaiezza. Essa non parla di austerità e di rigori inutili, di sofferenze e di abnegazioni. Essa dichiara che il suo unico scopo è di rendere i suoi seguaci e tutti gli uomini, in ciascun istante della loro esistenza, per quanto è possibile felici e contenti; né sacrifica di buon grado mai qualche piacere se non colla speranza di un ampio compenso in qualche altro periodo della vita. La sola fatica che richiede è quella di un giusto calcolo e di una costante preferenza da accordarsi alla felicità più grande. Se le si avvicinano dei pretendenti austeri, nemici della gioia e del piacere, essa o li respinge come ipocriti e ingannatori, oppure, se li ammette al suo seguito, li dispone fra i meno favoriti dei suoi seguaci”.11


1David Hume, Ricerca sui principi della morale, Appendice I, in Opere filosofiche II, ed. Laterza 1996, pp. 309-10.

2 David Hume, Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche I, ed. Laterza 1996, p. 419.

3 David Hume, Ricerca sui principi della morale, in Opere filosofiche II, Laterza 1996, pp. 184-5.

4 Ib. pp. 186-7.

5 Ib. p.188.

6 Ib. pp. 190-2.

7 Ib. p. 199.

8 Ib. pp. 204-5.

9 Ib. p. 218.

10 Ib. pp. 243-4.

11 Ib. p. 296.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2013-14 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 20 gennaio 2014

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

Critica

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015