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Hume: la ragione negli animali

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Giuseppe Bailone

Hume, non solo individua alla base del pensiero più elevato e astratto un istinto, e considera la stessa ragione una specie di istinto, ma, come Montaigne, avvicina l’uomo agli animali. Ecco che cosa scrive nella sedicesima sezione della terza parte del suo capolavoro, il Trattato sulla natura umana.

“È ridicolo negare una verità evidente, così come affaticarsi tanto a difenderla. Nessuna verità sembra a me più evidente di quella che le bestie siano dotate di pensiero e di ragione al pari degli uomini: gli argomenti sono a questo proposito così chiari, che non sfuggono neppure agli stupidi e agli ignoranti.

Noi siamo coscienti, nell’adattare i mezzi al fine, di essere guidati dalla ragione e da uno scopo: sì che non è né ciecamente né per caso che compiamo quelle azioni le quali tendono alla nostra conservazione, al conseguimento del piacere e ad evitare il dolore. Allorché, quindi, vediamo altre creature compiere in milioni di casi azioni simili e dirigerle a simili fini, tutti i nostri principi di ragione e di probabilità ci portano con invincibile forza a credere all’esistenza d’una causa anch’essa somigliante. Non è necessario illustrare ciò con l’enumerazione di casi particolari: di questi, la minima attenzione ne fornisce in abbondanza. La somiglianza tra le azioni degli animali e quelle degli uomini è così completa sotto questo rispetto, che la prima azione del primo animale che ci piacerà di scegliere, ce ne porgerà un argomento incontestabile.

Questa dottrina è non meno utile che chiara, perché ci offre una specie di pietra di paragone per provare qualsiasi sistema in questo genere di filosofia. Se, infatti, dalla somiglianza tra le azioni esterne degli animali e le nostre giudichiamo che anche le loro azioni interne sono simili alle nostre, lo stesso ragionamento, portato un passo innanzi, c’indurrà a concludere che, se le azioni interne sono somiglianti debbono somigliare anche le cause da cui esse derivano. Se, dunque, vien messa innanzi un’ipotesi per spiegare un’operazione mentale comune agli uomini e alle bestie, dobbiamo applicarla agli uni e alle altre insieme: se l’ipotesi è giusta, sopporterà la prova; se non la sopporta io sostengo che è falsa. Il difetto comune ai sistemi dei filosofi che hanno fin qui voluto rendersi ragione delle azioni della mente è stato quello di supporre nel pensiero una sottigliezza e una raffinatezza, che non soltanto eccede la capacità degli animali, ma anche quella dei bambini e della gente comune, i quali, ciò non di meno, sono suscettibili delle stesse emozioni e delle stesse affezioni delle persone di genio e di scienza. Tale sottigliezza è la prova evidente della falsità di un sistema, così come la semplicità ne prova la verità.

Sottoponiamo, quindi, il nostro sistema sulla natura dell’intelletto a questa prova decisiva, e vediamo se sa render conto dei ragionamenti delle bestie come di quelli della specie umana.

Qui dobbiamo distinguere le azioni di natura volgare, che sembrano al livello delle capacità comuni degli animali, da quegli esempi più straordinari di capacità che qualche volta dimostrano per la loro propria conservazione e per la propagazione della specie. Un cane che evita il fuoco e i precipizi, sfugge gli estranei e accarezza il padrone, ci fornisce un esempio del primo tipo di azioni. Un uccello che sceglie con tanta cura e delicatezza il posto e il materiale per il suo nido, e cova per un dato tempo e in una stagione appropriata, con tutte le precauzioni di cui un chimico è capace nelle più delicate preparazioni, ci fornisce un esempio luminoso del secondo tipo.

Considerando le azioni del primo tipo, affermo che esse derivano da un ragionamento che non è in se stesso differente, né fondato su differenti principi, di quello degli uomini. In primo luogo, infatti, ci vogliono impressioni immediatamente presenti ai sensi e alla memoria, che servano di base al giudizio: dal tono della voce il cane giudica che il suo padrone è in collera e prevede la punizione; da una certa sensazione che colpisce il suo odorato, giudica che la selvaggina è vicina.

In secondo luogo, l’inferenza che trae dalle impressioni presenti, egli la fonda sull’esperienza e osservazione dell’unione di certi oggetti nei casi precedenti. Secondo che voi variate questa esperienza, egli varia i suoi ragionamenti: fate seguire una bastonata a un dato segno o movimento, e dopo un certo tempo ad un altro, ed egli ne trarrà successivamente conclusioni differenti conformemente alla sua più recente esperienza.

Si provi ora un filosofo a spiegare quest’atto della mente che noi abbiamo chiamato credenza, e ci dia conto dei principi dai quali deriva, indipendentemente dall’influenza dell’abitudine sull’immaginazione, e applichi la sua ipotesi ugualmente alle bestie come agli uomini: se ci riesce, vi prometto di accettare la sua tesi; ma intanto chiedo, come equa condizione, che se il mio sistema fosse il solo che risponda a questi punti, sia accettato come completamente convincente. Che sia il solo, non c’è bisogno di ragionamenti per vederlo. Le bestie certamente non percepiscono nessuna connessione reale tra gli oggetti: è per esperienza che inferiscono l’uno dall’altro. Esse non possono, con nessun argomento, venire alla conclusione generale che gli oggetti di cui non hanno mai avuto esperienza rassomigliano a quelli a quelli di cui ne hanno avuto: è, quindi, per la sola abitudine che l’esperienza agisce su di loro. Tutto ciò era abbastanza evidente rispetto all’uomo: ma per le bestie non ci può essere neanche il sospetto di errore: e questo, si deve convenire, è una valida conferma, anzi una prova inoppugnabile del mio sistema.

Niente dimostra meglio la forza dell’abitudine nell’adattarsi a un fenomeno, di vedere che gli uomini, mentre non si meravigliano delle operazioni della loro ragione, ammirano l’istinto degli animali e trovano difficoltà a spiegarlo, semplicemente perché esso non può essere ridotto agli stessi principi. Ma, a ben considerare, la ragione non è altro che un meraviglioso e inintelligibile istinto delle nostre anime, che ci trasporta per una serie di idee e le arricchisce di qualità particolare, secondo le particolari situazioni e relazioni. Questo istinto, è vero, nasce dalla precedente osservazione ed esperienza. Ma forse che dare la ragione ultima per cui un’esperienza passata produce un tale effetto è un’impresa meno ardua che spiegare come la natura da sola lo produce? La natura può, certamente, produrre tutto quel che nasce dall’abitudine. Anzi, l’abitudine non è altro che uno dei principi della natura, e da questa origine trae tutta la sua forza”.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2013-14 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 5 gennaio 2014

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

Critica

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015