Kant: l’idea di anima

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Kant: l’idea di anima

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Giuseppe Bailone

La conoscenza che l’uomo ha di sé come soggetto è la psicologia.

Kant distingue la psicologia in empirica e razionale.

La prima si alimenta di dati forniti dal senso interno e li organizza in concetti mediante l’uso delle categorie. Le sintesi che essa realizza sono unificazioni e sistematizzazioni di dati particolari. Queste non approdano mai a quell’unità assoluta, semplice e spirituale, che s’intende quando si parla di anima.

Di questa pretende di avere conoscenza la psicologia razionale. Si tratta però di una pretesa senza fondamento, perché studiando se stesso l’uomo può arrivare solo all’io penso che, per Kant, non è affatto quella sostanza soggettiva che in metafisica si chiama anima. Dell’io penso, infatti, si può soltanto avere coscienza nel momento in cui agisce nella sua funzione unificatrice, non lo si può oggettivare, farne oggetto di conoscenza e applicarvi la categoria di sostanza, come avviene per il soggetto psicologico. L’io penso è sempre e solo soggetto e non oggetto dell’uso delle categorie. È un soggetto trascendentale e non empirico.

Per questo, tutti i ragionamenti della psicologia razionale si reggono su un errore iniziale, su un paralogismo, cioè su un sillogismo incardinato su premesse che usano il termine medio con significati diversi.

L’«io penso», che per Cartesio fonda la metafisica come scienza, per Kant non può svolgere quella funzione. Esso, infatti, è “una semplice coscienza, accompagnante tutti i concetti”. Il fatto che io pensi, quindi, non significa, per Kant, quel che credeva Cartesio: che io esista come sostanza, come un essere che sta per se stesso.

“Attraverso questo «io», o «egli», o «esso» (la cosa) che pensa, null’altro viene rappresentato che un soggetto trascendentale dei pensieri = x, non conosciuto altrimenti che attraverso i pensieri, che sono suoi predicati e di cui, preso per sé, non potremo mai possedere il minimo concetto; con la conseguenza di avvolgerci costantemente in un circolo, dovendo in ogni caso far ricorso alla sua rappresentazione per formulare qualunque giudizio che lo concerna. Si tratta d’un inconveniente ineliminabile da questo stato di cose, per il fatto che la coscienza di sé, anziché una rappresentazione che individui un oggetto particolare, costituisce piuttosto la forma della rappresentazione in generale, in quanto possa venir detta una conoscenza; solo di questa infatti posso dire che penso qualcosa mediante essa”.1

Quando l’uomo riflette su di sé come soggetto e va in cerca della propria anima, o si appoggia all’esperienza interna o si serve della sola ragione.

Nel primo caso, avvia la psicologia empirica, che gli può presentare molti dati interessanti ma non la realtà dell’anima. Nel secondo caso può illudersi di approdare col puro ragionamento alla realtà dell’anima, ma si trova per oggetto quello che si costruisce da sé con il paralogismo che spaccia l’io penso per sostanza spirituale.

“L’analisi della coscienza di me stesso nel pensiero in generale non mi fa fare alcun passo innanzi nella conoscenza di me stesso come oggetto”.2

L’illusione di approdare col puro ragionamento alla realtà dell’anima è prodotta dal sillogismo che Kant presenta nel modo seguente:

“Ciò che non può essere pensato diversamente che come soggetto, non esiste diversamente che come soggetto, perciò è sostanza.

Ma un essere pensante, considerato semplicemente come tale, non può essere pensato diversamente che come soggetto.

Dunque, esso esiste soltanto come tale, ossia come sostanza.

Nella premessa maggiore si parla di un essere che può essere pensato in generale, sotto ogni aspetto, e conseguentemente anche così come può esser dato nell’intuizione. Ma nella premessa minore si parla invece di tale essere solo relativamente al suo considerarsi come soggetto, esclusivamente in relazione al pensiero e all’unità della coscienza, e non già anche in riferimento all’intuizione, mediante cui esso è dato al pensiero come oggetto”.3

L’uso di un termine medio ambiguo, con un significato, nella seconda premessa, diverso, perché più ristretto, da quello che c’è nella prima premessa, rende sofistico il sillogismo e fallace la sua conclusione.

La parola “soggetto”, riferita all’io penso, ha un significato molto diverso da quello che ha quando sia riferita a soggetti che possono essere oggetto d’intuizione. Dell’io penso non si dà, infatti, intuizione sensibile né d’altro tipo.

Per essere corretto, il sillogismo in questione dovrebbe imporre, nella premessa maggiore, al termine medio le stesse limitazione di significato che esso ha nella premessa minore. Cioè, parlando del soggetto, si dovrebbe in entrambe le premesse fare esclusivo riferimento alla funzione logica dell’io penso. Così, però, la conclusione sarebbe: «nel pensiero della mia esistenza, io posso far uso di me soltanto come soggetto del giudizio». Questa però, “non dice assolutamente nulla intorno al modo della mia esistenza”.4

Questa conclusione metterebbe fine alla psicologia razionale.

Dal paralogismo, invece, prende inizio una lunga catena di ragionamenti che, applicando le categorie a quest’oggetto creato dal sofisma, attribuiscono all’anima la sostanza, la definiscono semplice, sempre identica a se stessa, in relazione con gli altri possibili oggetti nello spazio, immateriale, incorruttibile, spirituale e immortale. Questa lunga catena, anche se ha tutti gli anelli saldi, resta, per il paralogismo iniziale, appesa al nulla.

Un nulla determinato dal fatto che l’io penso è sempre e solo soggetto della sintesi conoscitiva, “soggetto del giudizio”, e non può mai esserne l’oggetto.

L’avere coscienza di sé come essere pensante non ci procura la conoscenza di quella presunta cosa in sé che pensiamo costituisca il sostrato della nostra attività di esseri pensanti. L’anima, che la metafisica pretende invano di conoscere, ci sfugge.

Torino 30 marzo 2015

Note

1 Kant, Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET 1967, p. 334.

2 Ib. p. 338.

3 Ib. p. 338.

4 Ib. p. 339, in nota a.


ANNO ACCADEMICO 2014-15 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 06-09-2015