KIERKEGAARD E IL CASO ADLER

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KIERKEGAARD E L'ESISTENZIALISMO RELIGIOSO (1813-1855)

I - II - III - IV

IL CASO ADLER NELL’IRRAZIONALISMO DI KIERKEGAARD

Adler, un pastore della comunità danese di Hasle e Ruthsker, affermò nel dicembre del 1842 d’aver avuto una rivelazione direttamente da Gesù Cristo, sul problema dell’origine del male.

La Chiesa luterana, con a capo il vescovo Mynster, temendo l’eresia e diffidando della sincerità del pastore, lo interrogò e, a motivo di un suo stato di “esaltazione e confusione” al momento del fatto, decise di deporlo della carica.

Adler però, non volendo rompere con la cristianità stabilita, inviò una seconda risposta a Mynster, nella quale confessò d’aver usato in molti punti delle sue Prediche e Studi "una forma insolita, strana, urtante, aforistica e abrupta”, affermando inoltre che le autorità avevano avuto ragione a mettersi in sospetto. Egli tuttavia rifiutò l'accusa di “esaltazione e confusione”, e così la sospensione non solo non venne revocata ma venne sancita giuridicamente, onde por fine alla controversia.

Chiusa la faccenda, Adler s'immerse nuovamente nei suoi studi di teologia e filosofia, pubblicando altri scritti, nei quali peraltro dichiarò di “non aver nulla di nuovo da portare”.

Ora, di fronte al fatto della presunta “rivelazione” Kierkegaard discute nel suo Libro su Adler (1) - come lui stesso precisa – e concessis (cioè dando per scontato che fosse vera), ma facendo completamente astrazione dal personaggio in causa; anzi in tal senso egli avanza delle riserve molto simili a quella di Mynster. Supposto perciò che Adler abbia effettivamente avuto la visione o la rivelazione – si chiede Kierkegaard - quale atteggiamento più opportuno avrebbe dovuto assumere per essere coerente sul piano religioso-esistenziale?

Già da questa domanda si può notare come a Kierkegaard importino di più le conseguenze del fatto che non la determinazione delle cause. A suo dire le opzioni qui possono essere soltanto due: o il fatto "l'attesta in modo incrollabile (senza comunque essere pazzo) oppure lo ritratta pentito” (p. 153), Non avendo scelto nessuna delle due, la cristianità giustamente deve considerarlo una “testa confusa”. E con ciò il caso Adler sembrerebbe praticamente archiviato anche per Kierkegaard.

Senonché proprio nel momento in cui si prescinde da quell’episodio, in fondo non eccezionale per quei tempi (molti movimenti protestanti sono nati in questa maniera) o comunque relativamente banale, e si comincia a rapportarlo alla personalità kierkegaardiana, subito emerge alla considerazione del critico di questo filosofo esistenzialista tutta una serie di problemi estremamente interessante, che possono aiutarci a capire fenomeni ben più complessi di quello in oggetto e che riguardano taluni comportamenti che rientrano nell’irrazionalismo religioso sensu lato. È lo stesso Kierkegaard che ci invita ad una attenta disamina del caso: “raramente un uomo, sbagliando, è stato per me tanto istruttivo come Mag. Adler” (Diario, VIII, 2 B 20).

I

Direttamente da Dio - sostiene Kierkegaard - è conferita l'autorità di Adler: "l'autorità consiste in poche immutabili, incrollabili parole: io sono chiamato da Dio; poi, anche se chi ha l'autorità avesse i piedi legati, ciò non toglie né aggiunge nulla"(p. 159). Intatti "la vocazione di Adler mediante una rivelazione presenta un’analogia con la vocazione di un Apostolo"(p. 232).

"Ma come può un Apostolo dimostrare ch’egli ha autorità? Se potesse provarlo in modo sensibile non sarebbe affatto un Apostolo. Egli non ha altra prova che la sua stessa affermazione. E così per l'appunto dev'essere: altrimenti il credente verrebbe a lui con un rapporto diretto, non paradossale"(p. 286). “il fatto che l’Eterno una volta è entrato nel tempo non è una verità la cui prova debba consistere nel tempo, qualcosa che debba essere dimostrato dagli uomini, ma è il paradosso il quale metterà alla prova gli uomini” (p. 211).

La posizione dell’apostolo trova una giustificazione ideale in quanto paradossale, e una storica poiché è paradossale come l’avvenimento di Cristo. Davanti al paradosso o ci si scandalizza o si crede.

"Un genio è ciò che è grazie a se stesso, cioè a ciò ch’egli è in se stesso; un Apostolo è ciò che è grazie alla sua autorità divina”(p. 275). L’autorità non dipende tanto della dottrina quanto dalla vocazione. “L’autorità è una qualifica specifica che deriva da un'altra parte e perciò si fa valere come una qualità nuova…" (p. 280). "Il paradosso della situazione religiosa (il quale é giustissimo che non si lascia pensare ma soltanto credere) spunta fuori quando Dio destina un uomo singolo ad avere autorità divina” (p. 281).

L'evento straordinario di Adler non è altro che "un'anticipazione della dialettica che tormenta nel nostro tempo" - afferma Kierkegaard (p. 227). E ciò è Importante soprattutto per due motivi: 1) come testimonianza di un primato del singolo (religioso) e 2) come segno di contraddizione in un mondo confuso e corrotto (2).

Riguardo al punto 1) Kierkegaard afferma che nell’universale (sia etico che religioso) vi sono due tipi di “singolo”: quello ordinario o comune e quello straordinario o speciale (p. 175). Ora, la caratteristica dominante dell’ordinario è quella di essere “fedele nella ripetizione”; solo che qui - osserva Kierkegaard - si pone una differenza importante tra il laico (cittadino di uno Stato) e il credente (di una cristianità stabilita): diversamente dal primo infatti il secondo ha “la responsabilità dell’eternità”, cosa che gli impedisce, per la coscienza che possiede, di cadere nel pericolo della massificazione, nel quale invece è solito cadere il cittadino laico, cioè il soggetto etico-morale. Tuttavia anche il singolo religioso rischia l'uniformità se non viene a “garantirlo” il credente straordinario.

In effetti "il singolo straordinario vuole rinnovare la vita dell’ordine stabilito portando un nuovo punto di partenza … rispetto al presupposto fondamentale dell’ordine stabilito, quando egli assoggettandosi immediatamente a Dio vuole trasformare l’ordine stabilito: egli allora è lo straordinario"(p. 176). Più precisamente: “il Singolo speciale non è direttamente la cosa straordinaria, lo è anzitutto quando interviene il pensiero ch’egli è paradossale” (p. 199).

Riguardo al punto 2) bisogna rifarsi alle Appendici curate da C. Fabro, incluse nello stesso testo e che qui non vengono esaminate.

Il mondo è “confuso e corrotto” per aver abbandonato la religione e in specie il cristianesimo: ciò soprattutto all’interno della cristianità. “La colpa della nostra disgrazia, non è il dubbio circa la verità religiosa ma l’insubordinazione contro l’autorità della religione” (p. 337). La catastrofe europea del 1848 ne è una chiara testimonianza, secondo Kierkegaard: "uomini, assemblee generali, votazioni e ballottaggi [non son altro che] un surrogato della religiosità" (p. 379). I problemi non potranno essere risolti nell’eguaglianza (comunismo e pietismo) ma nella “diversità”, e solo con la religione, dunque: "ridateci l’eternità, ridateci uno scopo per essa ad ogni momento, la sua serietà e la sua beatitudine..." (p. 380).

"Quando la fase provvisoria e le convulsioni saranno passate ed i ministeri politici saranno caduti, il genere umano si troverà così indebolito per le sofferenze e le emorragie che il problema dell'eternità potrà almeno avere il permesso di essere preso in considerazione, anche se non potrà fin da principio riaccendere le passioni e infondere nuove forze" (p. 382).

Il singolo così entra in scena, in modo speciale, proprio nel momento in cui la massa è ribelle. "Per riavere l’eternità - sottolinea Kierkegaard – c’è bisogno del sangue dei martiri, dei singoli... che sono capaci di fare da morti ciò che essi stessi non furono capaci da vivi: di costringere una massa furibonda all'obbedienza proprio perché questa massa furibonda trovò nella disobbedienza l’autorizzazione ad uccidere il martire (...) Iddio posa il suo sguardo pieno di compiacenza su di lui, sull'obbediente, che soffre come vittima, mentre scaglia la sua ira contro la disobbedienza che uccide la vittima..." (p. 382). "Il martire è il vero dominatore” (p. 383).

In tale paradossale situazione come deve vivere il singolo speciale? Anzitutto deve “isolarsi” - nel senso che con umiltà e silenzio, con pazienza e sofferenza si forma il carattere e la personalità che lo condurrà al martirio. Poi egli si decide per la “rottura” con l'ordine stabilito, ossia decide attraverso un “giudizio critico” di accusare la cristianità di corruzione e confusione in quanto essa permette di diventare cristiani in massa.

Il singolo straordinario "dev’essere assolutamente riconoscibile dall'essere disposto a fare il sacrificio [poiché] sono la sua sofferenza e morte la vittoria del nuovo punto di partenza” (p. 180). In ciò l’imitazione è esclusa, almeno finché il singolo vive la sua esistenza terrena: “il trovarsi quasi perduto per il fatto che è stato indicato come un Singolo..., così che nessun furbo s’arrischierebbe a diventare suo amico" (p. 168).

Il martirio è una prerogativa che il singolo perderebbe se qualcuno volesse imitarlo. In ogni caso "la cosa straordinaria dev'essere comunicata, si deve inserirla nel tessuto dell’ordine stabilito" (p. 199). "L’uomo dove amare l'ordine stabilito e perciò dev'essere disposto a sacrificarsi” (ib.).

Nell’autosacrificio il singolo non può essere immediatamente compreso, anche perché egli può dialogare con l'interlocutore solo indirettamente, proprio in virtù del paradosso che rappresenta. "La sofferenza è l’anormalità, è debolezza: eppure essa è la forma negativa per indicare le cose supreme; la forma diretta è la bellezza, la potenza, la magnificenza ecc.”(p. 201).

L’attacco all’ordine stabilito non può essere superficiale ma seriamente meditato, poiché la posta in gioco è la stessa identità del cristiano. Nel silenzio il singolo affina le sue armi, elabora la propria strategia: massima è la tensione psicologico-esìstenziale, e d’altra parte il sacrificio deve essere necessariamente proporzionato alla forza dell'autorità che si vuole abbattere. Una volta annunciata la rivelazione "la serietà [diventa] la tranquilla riflessione della responsabilità” (p. 160). Qui non possono esserci confidenti o sostenitori: l'isolamento è assoluto.

Infatti l’apostolo è contemporaneo soltanto a Cristo, è il perfetto imitatore di Cristo, benché non sia predetto, non faccia miracoli, non si curi della tradizione storica o dell'appartenenza ecclesiale. E del resto a Kierkegaard non interessa la “storia del cristianesimo” quanto l’elemento “storico-esistenziale” del cristianesimo. "Non si comincia dal punto dov’è arrivata la generazione precedente, ma dall'inizio”(p. 214). L'elemento storico del cristianesimo è unicamente il singolo contemporaneo a Cristo. Non dimentichiamo che per Kierkegaard la verità, che poi è in sostanza “verità religiosa”, coincide con la soggettività e questa con quella, come spiega estesamente nelle Briciole e nella Postilla non scientifica.

Il testimone della verità non introduce una nuova rivelazione sul piano del contenuto (quella del Cristo resta intatti immutabile nel tempo), ma la introduce al livello del metodo. Qualsiasi tipo di rivelazione resta sempre subordinata al principio di autorità: per il martire si tratta di rendere nuovamente vivibile la rivelazione di Cristo, sconfessata più o mano apertamente dalla cristianità stabilita.

II

La controversia sul caso Adler è esaminata così accuratamente da Kierkegaard proprio in quanto analoga a quella che vive lui. In un certo senso il Libro su Adler ha un’importanza equivalente alle famose Tesi marxiane su Feuerbach; e il paragone non è certo scelto a caso, poiché come Adler svolse indirettamente un ruolo decisivo nella maturazione teologico-politica di Kierkegaard, così è stato Feuerbach per la maturazione socio-politica di Marx.

Con le riflessioni sul caso Adler Kierkegaard inizia il superamento negativo di se stesso, passando da una posizione sostanzialmente ambigua e nevrotica, fino al 1847, ad una posizione più psicotica e delirante. Sarà infatti la scelta dello pseudonimo dì “Anti Climacus”, adottato per la Malattia mortale e L’esercizio del Cristianesimo, a costringerlo ad abbandonare la parentesi tutto sommato mediocre che va dalla pubblicazione di Timore e tremore alla Postilla non scientifica (o, se vogliamo, dalla Ripresa agli Atti dell’amore), in cui l’adesione all’ordine stabilito (civile ed ecclesiale) era stata del tutto formale, anche se in qualche modo sofferta, per farlo piombare in una regressione disperata, senza soluzione di continuità.

Nel Libro su Adler Kierkegaard non contesta tanto la teologia del pastore (se non negli aspetti dell’autorità e della rivelazione dalla chiarezza dei quali comunque sarebbe dovuto dipendere tutto il resto), quanto la modalità esistenziale-religiosa con cui Adler doveva appunto sperimentare la sua autorità e la sua rivelazione.

Kierkegaard è interessato all’ortodossia solo nella misura in cui questa ha delle implicazioni con l’ortoprassi. Per questo egli pone delle condizioni ben precise: o Adler è conseguente oppure ritratta. Il fatto che l’argomento venga discusso e concessis non deve trarci in inganno: Kierkegaard è scettico riguardo alla possibilità che Adler sia effettivamente un “eletto di Dio”, ma non per questo è indifferente sul modo come deve comportarsi tale “eletto” nella cristianità che misconosce il cristianesimo.

La posizione non è contraddittoria poiché il problema è fondamentalmente pratico, cioè metodologico. Non è difficile del resto costatare come Adler s’esprima alla stregua di un “libero docente”.

Kierkegaard accusa Adler di non essere stato capace di consequenzialità. È umano ricredersi per gli errori commessi, è però inaccettabile il non perseguire, perché deboli e pusillanimi, gli ideali in cui profondamente sì crede. E Kierkegaard sa che il suo tempo ha bisogno di “personalità in carattere”. Perciò Adler è una “testa confusa”, non ha volontà, e non avendo carattere egli è venuto meno al senso strategico dell'azione cristiana. In quel particolare momento storico, detto altrimenti, Adler avrebbe dovuto gestire la propria rivelazione contro lo Stato e specialmente contro la Chiesa di Stato, i quali preferiscono rapportarsi alle masse e alle associazioni che non al singolo, che invece è l’unico che può permettere all’istituzione di non essere né “tiranna” né “egoista”(p. 166).

III

Kierkegaard, pone la decisione esistenziale non solo come condizione di un’esperienza religiosa responsabile, autocosciente, opposta a quella conformista della chiesa istituzionale, ma la pone anche come pretesto per rifiutare la società intera, assolutizzando in maniera estremistica la sua critica antisistema. In tal modo la coerenza diventa possibile solo nell’attimo, nel momento, nell'immediato, e infatti non stupisce ch’egli, da un lato, prenda le difese dello Stato contro le associazioni e della Chiesa di Stato contro la comunità e, dall’altro, quando gli conviene, assuma il primato del singolo contro Chiesa e Stato.

Paradossalmente Kierkegaard aveva bisogno di uno Stato autoritario per affermare al meglio la logica del martirio, ma, non potendolo trovare nella monarchia del suo paese, ormai irrimediabilmente in crisi (le sue conversazioni col re dì Danimarca Cristiano VIII appaiono piuttosto convenzionali), egli è costretto a cercare dei motivi di costrizione nella democrazia allora emergente, la quale proprio dell’autoritarismo aristocratico voleva essere il superamento. E questi motivi stanno secondo lui nel fatto che la democrazia sociale è repressiva in quanto uniformante e irreligiosa, mentre la cristianità protestantica è irreligiosa in quanto accomodante e corrotta.

Di qui le critiche ad Adler: se si vuole essere “speciali”, bisogna esserlo sino in fondo. Non nel senso che le proprie posizioni vanno confrontate con quelle di altri, al fine di creare un’alternativa dal contenuto “sociale”, bensì nel senso che la propria posizione va gestita con decisione e radicalità contro la Chiesa stessa, dalla cui rigenerazione sarebbe poi dipesa anche la riforma della società civile. E l’attacco va fatto proprio all’interno dell'istituzione, con una determinazione unilaterale, e non esternamente, alla stregua di uno dei tanti movimenti radical-laicisti. In tal modo la rivelazione o diventa occasione per un annuncio kerigmatico o non è che fantasia e illusione.

L’indecisione di Adler sta invece a testimoniare ch’egli difetta di politicità. Adler non è altro che un teologo cattedratico neppure ortodosso, un hegeliano di destra ed esistenzialmente un intimista. Egli - osserva Kierkegaard - non sì è minimamente interessato di quanto riguarda un'ortodossia più severa o il pietismo” (p. 228). La sua vocazione d’eletto è un prodotto della solitudine. "È abbastanza noto che la solitudine può spingere un uomo ad eccessi, ma la situazione di Mag. Adler è peggiore della solitudine, poiché essa è insieme fatta di solitudine e autocontraddizione..." (p. 321).

Nella solitudine, privo di carattere, impreparato sul terreno dialettico, Adler “scambia l’oggettivo col soggettivo, la sua situazione soggettiva alterata con un avvenimento esterno...” (p. 340). Di qui l’illusione. Adler non ha fatto altro che autoraddoppiarsi, “invece di prendere tempo, di starsene tranquillo, di mettersi a riflettere, di andare a scuola; invece di acquistare rispetto per ciò che significa aver avuto una Rivelazione; invece di mettersi d'accordo con se stesso e venire a una decisione qualitativa” (p. 348).

Al dire di Kierkegaard l'unico aspetto positivo di Adler che andrebbe sviluppato è l’interiorità (p. 326 in nota). Infatti “ogni religiosità consiste nella soggettività, nell'interiorità, nell'emozione, nella commozione…” (p. 327). Ma questa interiorità va sviluppata in carattere, pena il ricadere nell’intimismo, che è anche il limite del vescovo Mynster. Se in effetti è nell'isolamento che deve avvenire la metamorfosi, è anche vero che non è possibile sostenere la protesta o la certezza d'un messaggio rivelato senza forze adeguate.

Non per nulla il linguaggio dell'eletto comunica con l'interlocutore in modo indiretto, metaforico, criptico (di qui l’uso degli pseudonimi), eccettuato ovviamente il momento sublime e tragico insieme del martirio. Il singolo non può rischiare ingenuamente d’apparire folle. La follia del singolo non dev’essere altro che un pretesto usato dalla controparte, intenzionata a non farsi smascherare nella propria falsità.

E d’altra parte è proprio nel momento del martirio che avviene la riconciliazione mistica del singolo coll’ordine stabilito. La tanto odiata cristianità suscita nel martire un sentimento di gratitudine e quasi di riverenza: l’identità infatti è l’esito di una contrapposizione esistenziale in cui si ritiene che la verità stia solo da una parte, la propria.

Ma che sarebbe successo se Adler fosse stato conseguente? Probabilmente nulla. Kierkegaard infatti avrebbe trovato modo di criticarlo sul piano dei contenuti, proseguendo diversamente la propria critica antisistema. In nessun caso, se non in senso strumentale, egli avrebbe potuto giungere a un’intesa con Adler: la sua posizione era troppo individualista. Non a caso egli si serve di Adler semplicemente per verificare cosa sarebbe potuto accadere a se stesso qualora si fosse deciso di avanzare dentro la cristianità la pretesa di una propria “rivelazione”. Egli insomma si rifiuta di fare il “profeta” di Adler non solo perché Adler, a suo giudizio, non era un vero “apostolo”, ma anche e soprattutto perché era lui stesso che voleva diventarlo.

Sennonché durante la stesura del Libro Kierkegaard non era ancora sufficientemente convinto della propria posizione religiosa, della propria “determinazione in carattere”, per cui non si arrischiò né di argomentare sulla controversia né di pubblicare il testo.

L’importanza del Libro su Adler, nella vita di Kierkegaard, sta così anche nel fatto che non è stato pubblicato. Egli infatti sa che una rivelazione può essere autenticata come regola di vita solo dalla chiesa ma non può dirlo proprio in quanto ne è fuori. E, all’opposto, sa che una rivelazione può acquistare la sua efficacia contro la chiesa “corrotta” solo se trova un consenso popolare: cosa però interdetta al “singolo” in quanto egli si pone per “scandalizzare” non per avere seguaci. Per essere convincente il singolo deve trovare il modo di esporsi in una battaglia che lo porti al sacrificio di sé, che ha sempre un valore “magico-redentivo” per la collettività, e quel momento, per Kierkegaard, non era ancora arrivato.

In tal senso l’importanza del Libro su Adler sta anche nel fatto ch’esso è un eloquente testimonianza di come si possa sviluppare l’irrazionalismo in ambito religioso (cattolico o protestante non fa molta differenza, visto che lo stesso Fabro ha creduto di poter usare Kierkegaard in chiave “cattolica” contro la chiesa e la teologia protestante).


(1) S. Kierkegaard, Dell’autorità e della rivelazione (Libro su Adler), a cura di C. Fabro, Gregoriana ed., Padova 1976.

(2) Nel testo ovviamente Kierkegaard sviluppa più il primo aspetto che non il secondo, dovendo prendere le difese dell'ordine stabilito di Mynster. Infatti i riferimenti propriamente sociali, ecclesiali e politici egli li esclude nell'edizione definitiva (pur mai pubblicata) e il lettore potrà esaminarli nell'Appendice al Libro curata da C. Fabro.

Bibliografia

S. Kierkegaard, Opere, a c. di C. Fabro, ed. Sansoni, FI 1972. Contengono: Diapsalmata, Riflesso del tragico antico nel tragico moderno, Timore e tremore, Il concetto dell'angoscia, Briciole di filosofia, Postilla conclusiva non scientifica, La malattia mortale, L'esercizio del cristianesimo, Il vangelo delle sofferenze, Per l'esame di se stessi, L'immutabilità di Dio.
 Opere, Piemme 1995 (I, II, III)
 Enten-Eller, a c. di Cortese, ed. Adelphi 1976-78 (I, II, III, IV, V).
 Aut-Aut, Mondadori 2002
 Diario, BUR 2000 (vedi anche i 12 Diari pubblicati a c. di C. Fabro, Morcelliana, 1980-83)
 Atti dell'amore, Bompiani 2007 (anche Rusconi 1983).
 Sul concetto d'ironia, ed. Guerini e associati, Milano 1991.
 L'ora, Newton Compton, Roma 1977.
 L'istante, Marietti 2001
 In vino veritas, Laterza 2007
 La ripetizione, ed. Guerini e associati 1991
 Lo specchio della parola, Sansoni 1948.
 La neutralità armata, ed. Sortino, Messina 1972.
 Dell'autorità e della rivelazione (libro su Adler), ed Gregoriana 1976.
 La dialettica della comunicazione etica ed etico-religiosa, Morcelliana 1957.
 La lotta tra il vecchio e il nuovo negozio del sapone, ed. Liviana, Padova 1967.
 Diario di un seduttore, Giunti Demetra 2008
 Il concetto dell'angoscia, SE 2007
 La malattia mortale, Newton 2004
 Don Giovanni, BUR 2006
 Sul matrimonio, BUR 2006
 Sulla mia attività di scrittore, ETS 2006
 Briciole filosofiche, Queriniana 2004
 Timore e tremore, Mondadori 2003
 L'attrice di Inter et Inter, Marietti 2002
 L'istante, Marietti 2001
 Stadi sul cammino della vita, BUR 2001
 Dalle carte di uno ancora in vita, Morcelliana 1999
 Due discorsi edificanti (1843), Marietti 2000
 Prefazioni, BUR 1996
 Sulla filosofia della rivelazione di Schelling, Bompiani 2008
 La comunicazione della singolarità, Herbita 1969
 Accanto a una tomba, Il Nuovo Melangolo 1999
 Mozart. L'erotico nella musica. Dalle «Nozze di Figaro» al «Don Giovanni», Bastogi Editrice Italiana 1998
 Johannes Climacus o De omnibus dubitandum est, ETS 1996
 Una recensione letteraria, Guerini e Associati 1995
 Due epoche, Nuovi Equilibri 1994
 Diapsalmata, Editoriale opportunity book 1996
 Esercizio di cristianesimo, Piemme 2000

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015