Leibniz: labirinti, calcolo, dialogo e conciliazione

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Leibniz: labirinti, calcolo, dialogo e conciliazione

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Giuseppe Bailone

“Ci sono – scrive Leibniz nella prefazione ai Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male – due labirinti famosi, nei quali molto spesso la nostra ragione si smarrisce: uno riguarda la grande questione della libertà e della necessità, soprattutto in relazione alla produzione e all’origine del male; l’altro consiste nella discussione circa la continuità e gli indivisibili, che sembrano esserne gli elementi, discussione nella quale deve entrare la considerazione dell’infinito. Il primo imbarazza pressoché tutto il genere umano, l’altro mette alla prova soltanto i filosofi”.1

Lasciando ai matematici e ai fisici i geniali movimenti di Leibniz nel labirinto del continuo, lo seguiremo in quelli nel labirinto della libertà umana e divina.

Leibniz ha incominciato presto a muoversi in quel labirinto.

“In effetti – scrive nella già citata prefazione – penso ci siano poche persone che abbiano lavorato più di me su tale questione. Appena ebbi imparato a comprendere passabilmente i libri latini, […] passavo da un libro all’altro; e poiché i temi di meditazione mi attraevano quanto le storie e le favole, fui incantato dall’opera di Lorenzo Valla contro Boezio e da quella di Lutero contro Erasmo.2 […] Né mi astenni dai libri di controversie teologiche. […] Durante i miei viaggi ebbi occasione di conferire con alcune persone eccellenti di diversi partiti, come Pietro di Walemburg, suffraganeo di Magonza, Johan Ludvig Fabricius, primo teologo di Heidelberg e, infine, il celebre Arnauld, al quale, anzi, intorno al 1973, feci pervenire un dialogo in latino, di mia fattura. […] Nel dialogo asserivo che Dio, avendo scelto il più perfetto di tutti i mondi possibili, era stato condotto dalla sua saggezza a permettere il male che vi era contenuto, ma che ciò non impediva che, alla fine dei conti, questo mondo fosse il migliore che potesse essere scelto. In seguito, ho continuato a leggere ogni genere di buoni autori su questo genere di materie. […] Né trascurai gli autori più rigidi, che hanno spinto più lontano di tutti la necessità delle cose, come Hobbes e Spinoza”, il quale “vuole pressappoco che tutto derivi dalla causa prima o dalla natura originaria, in virtù di una necessità cieca e puramente geometrica, senza che questo principio primo delle cose sia capace di scelta, di bontà e d’intelligenza”.3

Con Spinoza, il giovane Leibniz ha conversato a lungo, durante una sua visita in Olanda, nell’autunno del 1776. Una visita molto importante per Leibniz, molto meno per Spinoza, che ha solo quattordici anni in più, ma, ha già completato il suo sistema ed è quasi al termine della sua breve esistenza.

Nel labirinto della libertà, Leibniz vuole distinguersi nettamente da Spinoza: intende sì conciliare ordine geometrico e libertà di Dio e dell’uomo, ma non nel senso della “libera necessità” spinoziana, bensì nel senso di svincolare la prima dalla seconda, senza consegnarla all’arbitrio gratuito. Compito arduo, che mette a dura prova la sua straordinaria abilità di conciliatore.

Nato nell’ultima fase della guerra trentennale che ha lacerato l’Europa, vissuto in tempi di profondi conflitti politici, sociali, religiosi e filosofici, Leibniz manifesta una innata straordinaria tendenza alla conciliazione. In tutte le sue molteplici attività pratica questa disposizione con abilità sorprendente e la sua filosofia è il frutto di un costante e profondo impegno di conciliazione.

“Ho trovato – scrive – che di solito, nelle controversie tra persone di merito insigne, la ragione sta da una parte e dell’altra, ma in punti diversi, e che sta più a favore delle difese che degli attacchi, benché la malignità naturale del cuore umano renda di solito più graditi al lettore gli attacchi delle difese”.4

C’è in queste parole più l’animo del conservatore aperto al nuovo che non quello del rivoluzionario attento a non travolgere il buono che c’è nell’esistente. Leibniz non si schiera con decisa e coraggiosa coerenza, come il rivoluzionario Spinoza. Non progetta, come il giovane Cartesio, deluso dagli insegnamenti ricevuti, di ricostruire ex novo, solo con la sua ragione, tutto il sistema del sapere. È lontanissimo anche dal distacco scettico del conservatore Montaigne. Genialissimo in matematica, impegnato con successo nelle nuove scienze, difende la tradizione con razionalità moderna.

La scelta di affrontare in forma di dialoghi (pubblicati solo in parte) le questioni più complesse e terreno di conflitti profondi, come quello della libertà e del male o quello dell’innatismo, risponde al suo sforzo di mettere a confronto prospettive diverse e di viverle in profondità, per conciliare ragioni opposte, solo dopo averle pienamente capite dal loro interno.

Il pluralismo delle ragioni, dei punti di vista, per riconoscere l’unica verità, evita, a suo parere, gli scogli dello scetticismo con la manovra che potremmo chiamare del prospettivismo: le divergenze non sono insuperabili se vengono affrontate come approccio alla verità da punti di vista diversi; i contrasti possono trovare una composizione se, attraverso il dialogo, si visitano le posizioni degli altri e si cerca di convergere a un comune punto di vista superione. La filosofia è per lui “come un gigantesco campo da gioco – scrive Mattew Stewart5 – in cui tutti i partecipanti competono e collaborano a un grande progetto collettivo. […] All’interno del densamente popolato territorio filosofico che contemplava, Leibniz aspirava ad occupare una posizione davvero particolare. Egli non desiderava diventare il dittatore dei dittatori, com’era stato Aristotele, e nemmeno il dileggiatore-in-capo, come Democrito. Cercava invece di diventare il Grande Pacificatore di Ogni Pensiero. Rimase sempre figlio della Guerra dei Trent’anni, e per tutta la vita restò persuaso che soltanto la pace potesse suscitare una duratura prosperità intellettuale. Non appena superata l’adolescenza, egli assunse lo pseudonimo di Guglielmo Pacidius. […] Guglielmo il Pacificatore voleva che tutti cessassero di combattere; voleva unire tutti i nomi e tutte le definizioni della filosofia in un «mantello senza cuciture», come scrive nella lettera a Thomasius”.

Orgoglioso della sua straordinaria capacità di conciliazione, in apertura dei Nuovi saggi sull’intelletto umano mette in bocca a Teofilo, personaggio dei dialoghi, parole di stupita ammirazione per il proprio sistema filosofico.

All’altro personaggio dei dialoghi, Filalete, che, di ritorno da Londra con importanti novità filosofiche, parla della ”eccellente opera” di Locke, Teofilo dice di “essere stato colpito da un nuovo sistema”, che “sembra alleare Platone con Democrito, Aristotele con Descartes, gli scolastici con i moderni, la teologia e la morale con la ragione”.

Questo sistema – continua Teofilo – “pare che prenda il meglio da ogni parte e che poi si spinga più avanti di quanto si sia fatto finora”.

La conciliazione delle tesi in conflitto rende più chiare le tesi stesse e spinge in avanti il pensiero.

“Vedo adesso – dice Teofilo – quel che intendeva Platone, quando prendeva la materia per un essere imperfetto e transitorio; ciò che Aristotele voleva dire con la sua entelechia; in che cosa consiste la promessa che Democrito stesso faceva, secondo Plinio, di un’altra vita; fino a che punto gli scettici avevano ragione levando le loro accuse contro i sensi; in che maniera gli animali siano automi, secondo Descartes, e come abbiano pur tuttavia anime e facoltà di sentire, secondo l’opinione del genere umano”. E Teofilo continua elencando una lunga serie di altre cose finalmente capite nel loro vero significato attraverso la loro conciliazione con le tesi loro opposte.6

In tutti i conflitti Leibniz cerca una via che li superi, tenendo conto delle ragioni degli schieramenti opposti.

“Durante gli ultimi anni della sua vita, Leibniz estese l’ambito della propria attività di conciliazione oltre i confini del continente europeo […] A un certo punto, valutò persino la possibilità di costituire un fronte comune insieme agli extraterrestri, se mai costoro fossero stati scoperti”.7

Scrive Ernesto Balducci: “Il sinologo Joseph Needham ritiene che Leibniz abbia elaborato la sua dottrina fondamentale, quella della monadologia, ispirandosi al pensiero neoconfuciano, e in specie a quello di Chu Hsi, e ne dà una persuasiva documentazione. Nella sua dichiarata ammirazione per il pensiero e i costumi dei Cinesi, Leibniz arriva a scrivere che, se è giusto che noi occidentali mandiamo a loro dei missionari che insegnino la vera teologia, «altrettanto bisognerebbe chiedere loro di mandarci dei saggi che ci insegnassero le loro arti di governo e quella teologia naturale che essi hanno portato a un così alto livello di perfezione»”.8

L’apertura alla diversità, l’interesse a capire gli altri così come effettivamente sono, e a tenerne attentamente conto nei suoi tentativi di conciliazione, è più evidente proprio dove la cosa sembra più difficile, cioè nei conflitti religiosi.

“Mentre in Olanda e in Inghilterra – osserva Ernesto Balducci – l’unità religiosa veniva ricercata col ricondurre le confessioni cristiane positive dentro i confini della religione razionale, Leibniz si adopera per lo stesso scopo tentando un accordo ai vertici delle chiese istituzionali, coltivando amicizie cattoliche, come quella con Bossuet e con i padri gesuiti (la curia romana pensò perfino di concedergli il cappello cardinalizio) e proponendo soluzioni teologiche unitarie”. È convinto che i diversi possano unirsi senza perdere nulla delle proprie identità, ma aprendosi alla comprensione dell’identità altrui.

Negli altri, Leibniz cerca e insegna a cercare il meglio, ciò che può spegnere la tendenza al conflitto e promuovere l’apertura di un rapporto di pace e di collaborazione, di disarmo. C’è in quest’atteggiamento la radice del suo ottimismo metafisico, teso a cogliere anche nel male più ripugnante ciò che può fermare la naturale tendenza reattiva a dichiarare guerra al mondo.

Nel giovanile Confessio philosophi, il dialogo inviato ad Arnauld, scrive: “Nello Stato, così nel mondo vi sono in linea di massima due tipi di uomini: i soddisfatti del presente stato di cose e i nemici di esso. Non che i primi, tranquilli e quieti, se ne stiano senza intraprendere quotidianamente qualcosa, senza far profitto, senza trarre vantaggi, senza accrescere le loro fortune, senza creare amicizie, potere, piaceri e fama, altrimenti sarebbero più degli stolidi che dei soddisfatti. Soltanto che, allorché sono frustrati dagli eventi, non perciò trasferiscono il loro scontento sulla forma dello Stato, la quale sarebbe avversa ai loro disegni, facendo propositi di cambiarla. Invece, con mente tranquilla, essi proseguono il corso della loro vita, senza irritarsi più di quanto avverrebbe se avessero tentato di schiacciare una mosca senza riuscirci. Questo esattissimo discrimine tra i buoni e i cattivi cittadini va applicato con severità ancora maggiore nel caso dello Stato universale, il cui reggitore è Dio. […] Se colui che è frustrato nei propri desideri non può non addolorarsi momentaneamente, per contro, qualora sia contento del governo del mondo, egli non può perseverare nel suo dolore: subito penserà che ciò che avviene è il meglio, non soltanto in se stesso ma anche per chi lo accetta, e che chi ama Dio volge tutto al bene”.9

Sono concetti che Leibniz ripete spesso e che si ritrovano, quasi con le stesse parole, nella Teodicea.

“Coloro che sono nella disposizione d’animo di essere soddisfatti della natura e della fortuna, e di non lamentarsene neppure quando non sono stati i più favoriti, mi paiono da preferirsi agli altri. Infatti, senza contare che queste lagnanze sono poco fondate, lamentarsi equivale in realtà a mormorare contro i disegni della provvidenza. Nella società in cui si vive non bisogna essere facilmente nel numero degli scontenti, e meno che mai bisogna esserlo nella Città di Dio, nella quale si può essere scontenti solo a torto”.10

Tra i soddisfatti del presente stato di cose, tesi a modificarlo verso il meglio, Leibniz è in prima fila. L’ottimismo, sia pratico che metafisico, lungi dal promuovere l’accettazione rassegnata e pigra dell’esistente, è in Leibniz la base di una vita molto impegnata, non a restaurare la tradizione, ma a recuperarla in una sintesi superiore con il nuovo che avanza, e che Leibniz stesso contribuisce con genialità a promuovere.

Gottfried Wilhelm Leibniz nasce nel 1646 a Lipsia, in una famiglia di alto livello sociale e culturale, protestante, di origine slava. A sei anni perde il padre, notaio e professore universitario di filosofia morale. Molto presto incontra i classici nella biblioteca di casa e comincia a curare in autonomia i propri amplissimi interessi culturali. Nel 1661 inizia gli studi universitari di filosofia, matematica e giurisprudenza. Nel 1666 pubblica la Dissertazione sull’arte combinatoria in cui propone in termini molto originali l’applicazione della logica ai diversi campi del sapere. Influenzato da Hobbes, come ammette esplicitamente, il ventenne Leibniz si propone di matematizzare il pensiero, modellando le operazioni mentali sul calcolo. È convinto che l’intero contenuto del pensiero sia riconducibile a un numero definito di concetti elementari, che sarebbero, per il pensiero, ciò che le lettere dell’alfabeto sono per la lingua e per la scrittura. Conta sulla collaborazione degli studiosi delle diverse discipline e dei diversi paesi, per fare l’inventario di tutti questi atomi concettuali e di costruire con questi l’alfabeto del pensiero. Pensa di assegnare a ogni concetto elementare un carattere, un simbolo, e di operare sui simboli anziché sui pensieri, trasformando tutte le dispute in semplici e rigorose operazioni di calcolo. Pensa anche che la combinazione dei caratteri avrebbe reso possibili molte scoperte. L’operazione, che insegue un sogno antico (l’ideò Raimondo Lullo nel XIII secolo ed ha affascinato anche Giordano Bruno), non riesce, ma porta un notevole contributo allo sviluppo della logica formale. La distinzione tra verità di ragione e verità di fatto, centrale nel pensiero di Leibniz, è figlia di questo impegno giovanile, alimentato dall’entusiasmo per la razionalità matematica e dalla tendenza a tener conto di tutte le posizioni concettuali, nello sforzo di conciliarle con rigorose operazioni di calcolo. Apertura dialogica per capire le divergenze e rigore matematico per superarle. Leibniz rinnova il tentativo che Platone fece innestando nel dialogo socratico il rigore pitagorico. Tentativo che trasformò il dialogo fra le persone in dialettica, in procedimento di ricerca.

Se si calcola non si dialoga, se si dialoga non si calcola.

Seguire Leibniz in questo suo tentativo è forse il maggior motivo d’interesse in questa tappa del nostro viaggio filosofico.

Nel 1667 l’università di Norimberga gli offre un posto da professore, ma lui preferisce muoversi nelle corti e nel circuito delle nuove istituzioni culturali, le accademie. Svolge diverse funzioni al servizio di principi e propone strategie originali nelle questioni di politica internazionale. Intesse rapporti con studiosi di diverse discipline, svolge intensa attività di organizzazione culturale. Mira alla formazione di una “repubblica delle lettere” che, con la collaborazione di scienziati di molti paesi, pratichi una ricerca scientifica d’ampio respiro.

Nel 1668 entra al servizio del vescovo e principe di Magonza. Progetta, per mantenere la pace in Europa, un piano di conquista francese dell’Egitto, come aggiornamento delle crociate e come diversivo rispetto ai piani del Re Sole d’invasione dell’Olanda. Nella primavera del 1772 arriva a Parigi in missione diplomatica, voluta dalla corte di Magonza, per proporre a Luigi XIV la spedizione in Egitto. Fallita la missione, Leibniz si ferma a Parigi, dove soggiorna, salvo brevi interruzioni per recarsi a Londra e in Olanda, fino al 1776. Legge Cartesio. Si familiarizza con la cultura scientifica francese. Rinsalda la sua amicizia con Arnauld, entra in contatto con Malebranche e con il matematico Huygens. Perfeziona la sua conoscenza del francese, che poi usa nella stesura dei suoi scritti, per facilitarne la diffusione in Francia, in Europa e nella stessa Germania, dove il francese è la lingua dei dotti. All’inizio del 1673 è a Londra, dove entra in contatto con Boyle e altri scienziati inglesi, diventa membro della Royal Society, cui presenta un modello della sua macchina calcolatrice. Rientrato a Parigi, intensifica i suoi studi matematici, legge i Pensieri e gli scritti matematici di Pascal, che ammira. Scrive il dialogo Confessio philosophi. Nel 1674 entra in corrispondenza con il giurista S. Pufendorf, consigliere di Federico Guglielmo di Prussia. Nel 1675 perfeziona la sua macchina calcolatrice, legge il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei, inizia a porre le basi del calcolo infinitesimale. Si propone, come programma di studio, di conciliare gli antichi e i medievali con i “philosophi novi”. Nel 1676 prosegue l’esame degli scritti matematici di Pascal. In estate ha uno scambio epistolare con Newton. In Ottobre lascia a malincuore Parigi per fare il bibliotecario alla corte di Hannover, dove giunge solo alla fine dell’anno. Passa prima a Londra e in Olanda. Nella nuova residenza, si dedica alla biblioteca e, con impegno discontinuo, che non accontenta il suo signore, alla ricostruzione della storia del casato. Si allontana da Hannover per diversi viaggi in Europa, ma serve quella corte fino al termine della sua esistenza. Nel 1678, legge le Conversazioni cristiane di Malebranche e, in un commento al testo, accenna all’esistenza dell’inconscio. Nel 1679, riprende e rielabora il giovanile De arte combinatoria. Intensifica gli sforzi per la conciliazione tra luterani e cattolici. Nel 1680, stringe amicizia con la duchessa Sofia, consorte del nuovo duca di Hannover. Legge il Trattato della natura e della grazia di Malebranche. Nel 1683 scrive un pamphlet anonimo contro Luigi XIV e il suo imperialismo.

Nel 1684 espone il suo metodo del calcolo infinitesimale.

Nel 1686 scrive il Discorso di metafisica, una summa del suo pensiero filosofico fin qui elaborato. In Una breve dimostrazione di un errore memorabile di Cartesio, attacca il punto fondamentale della fisica cartesiana, il principio di conservazione del moto, in luogo del quale egli considera invece la “forza viva”. Nel 1687, in una lettera a Malebranche, formula l’importante “legge del continuo”. Nel 1688 soggiorna a Vienna e ottiene un’udienza con l’imperatore Leopoldo I. Entra in corrispondenza con Sofia Carlotta, figlia della duchessa Sofia e futura regina di Polonia. Nel 1689 è in Italia. A Roma incontra Grimaldi, missionario gesuita in Cina, e con lui conviene sull’opportunità di scambi culturali tra l’Europa e la Cina. A Firenze incontra Viviani, l’ultimo degli allievi di Galilei. A Bologna conosce il biologo Malpighi.

Nel 1692 scrive il Saggio di dinamica, imperniato sul concetto di “forza”.

Nel 1694, in Sulla correzione della filosofia prima e sulla nozione di sostanza, spiega la differenza tra il suo concetto di sostanza come “forza attiva” e quello degli Scolastici come “mera potenza”. Realizza un modello di calcolatrice capace di moltiplicare numeri di 12 cifre.

Nel 1695 è in rapporto epistolare con Huygens e altri matematici sul controverso concetto degli infinitesimi. Legge il Saggio sull’intelletto umano di Locke. Continua ad occuparsi del progetto di riunione delle chiese. Nel “Journal des Savans” compendia la sua concezione metafisica.

Nel 1697 pubblica la sua corrispondenza con i missionari in Cina. Appoggia il progetto di Sofia Carlotta di costruire un osservatorio astronomico a Berlino.

Nel 1700 nasce, per sua iniziativa, l’Accademia delle Scienze di Berlino. In ottobre è a Vienna, per volere dell’imperatore Leopoldo I, per discutere della riunione delle chiese.

Nel 1703 inizia la stesura in forma dialogica dei Nuovi saggi sull’intelletto umano, una critica a Locke, ma anche un testo utile per ricostruire il suo pensiero, di cui non ci ha lasciato alcuna esposizione organica.

Nel 1708 è accusato di plagio nei confronti di Newton circa l’invenzione del calcolo infinitesimale. Nel 1710 pubblica i Saggi di teodicea.

S’inasprisce la polemica sull’invenzione del calcolo infinitesimale e nel 1711 Leibniz si appella alla Royal Society per ottenere giustizia. Questa, in risposta, crea una commissione per valutare la cosa e, nel 1712, attribuisce a Newton la priorità dell’invenzione del calcolo infinitesimale.

Discute dello sviluppo delle scienze in Russia con Pietro il Grande, che lo invita a “diventare il Solone di Russia”. Nel 1713 diviene consigliere privato dell’imperatore Carlo VI e si stabilisce a Vienna. Lì conosce Eugenio di Savoia, grande statista dell’impero, col quale s’intrattiene su diversi argomenti. Resta a Vienna fino a settembre del 1714.

Scrive la Monadologia.

Nel 1715 l’elettore di Hannover diviene Giorgio I, re d’Inghilterra. Lui, che ha contribuito a quel successo, non può seguirlo, anche per effetto della questione del primato con Newton sull’invenzione del calcolo infinitesimale. Deve fermarsi a Hannover per curare la sua ricerca storica sulla famiglia del suo signore. Nel 1716 ha un altro incontro con Pietro il Grande.

Soffre di gotta e d’artrite. Muore a settant’anni, in solitudine.


1 G. W. Leibniz, Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male, Bompiani 2005, p. 13.

2 Leibniz ammira molto questo libro col quale Lutero rompe radicalmente con lo spirito dell’Umanesimo: in un dialogo del 1695, sulla libertà dell’uomo e l’origine del male, scrive che “l’eccellente opera Sul servo arbitrio di Lutero” è “molto buona, purché se ne addolciscano alcune espressioni eccessive” e aggiunge che gli “è sempre parsa, sin dalla giovinezza, il libro più bello e solido che egli ci abbia lasciato” (a p. 331 di Dialoghi filosofici e scientifici, ed. Bompiani 2007).

3 Leibniz, Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male, Bompiani 2005 pp. 49-51.

4 Ib. p. 59.

5 Mattew Stewart, Il cortigiano e l’eretico, Feltrinelli 2007, p. 70.

6 Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Editori Riuniti, Roma 1982, pp. 65-68.

7 Mattew Stewart, Il cortigiano e l’eretico, Feltrinelli 2007, p. 71.

8 Ernesto Balducci, Storia del pensiero umano 2, ed. Cremonese, 1986, p. 192.

9 Leibniz, Dialoghi filosofici e scientifici, Bompiani 2007, pp. 85-97.

10 Leibniz, Saggi di teodicea, Bompiani 2005, p. 223.


ANNO ACCADEMICO 2012-13 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 18 marzo 2013

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

La critica

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015