Locke: come si formano le idee

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Locke: come si formano le idee

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Giuseppe Bailone

L’intelletto umano si occupa di idee.

Locke chiarisce nell’introduzione al Saggio il suo significato della parola idea.

“Questo è il termine che serve meglio, credo, per rappresentare qualunque cosa che è l’oggetto dell’intelletto quando un uomo pensa; l’ho quindi usato per esprimere tutto ciò che può essere inteso per immagine, nozione, specie o tutto ciò intorno a cui lo spirito può essere adoperato nel pensare”.1

Se nella mente non ci sono idee innate, come si formano quelle che ci sono?

“Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell’uomo vi ha tracciato con una varietà quasi infinita? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall’ESPERIENZA. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e da essa in ultimo deriva. La nostra osservazione adoperata sia per gli oggetti esterni sensibili, sia per le operazioni interne del nostro spirito che percepiamo e sulle quali riflettiamo, è ciò che fornisce al nostro intelletto tutti i materiali del pensare. Queste sono le fonti della conoscenza, dalle quali scaturiscono tutte le idee che abbiamo o possiamo avere naturalmente”.2

L’intelletto lavora sul materiale offerto dall’esperienza.

Locke chiama idee semplici i dati, i “materiali del pensare”, le informazioni che l’intelletto riceve passivamente dall’esperienza, e idee complesse le rielaborazioni che attivamente ne fa.

La formazione della conoscenza avviene, quindi in due distinte fasi: nella prima, lo spirito è interamente passivo; nella seconda, invece, interviene attivamente sui dati acquisiti passivamente. L’intelletto riceve passivamente delle informazioni, che poi rielabora. C’è, quindi, un pensiero passivo e un pensiero attivo, alimentato dal primo.

Il materiale del pensiero attivo dipende dall’esperienza.

“Gli uomini vengono ad essere forniti di un numero maggiore o minore di idee semplici dall’esterno, secondo la maggiore o minore varietà degli oggetti coi quali hanno a che fare, e dall’interno, dalle operazioni del loro spirito, a seconda che riflettano più o meno su di esse”.3

La conclusione del passo appena citato sembra alludere a un’attività dello spirito, la riflessione; ma Locke chiarisce la natura passiva anche di questa.

“Colui che contempla le operazioni del suo spirito non può avere che idee chiare e semplici di esse; tuttavia, se non rivolge ad esse il suo pensiero e non le considera attentamente, non avrà idee chiare e distinte di tutte le operazioni del suo spirito e di tutto ciò che vi può osservare; come non avrà idee particolari di un paesaggio, o delle parti e dei movimenti di un orologio, colui che non volgerà il suo sguardo ad essi e non ne guarderà con attenzione tutte le parti. Questo quadro o questo orologio possono essere situati in modo tale che egli li incontri ogni giorno; ma avrà un’idea solamente confusa di tutte le parti di cui sono composti fino a quando non si applicherà con attenzione a considerarli in particolare”.4

L’esperienza, sia esterna che interiore, va praticata con attenzione. La passività della mente non significa disimpegno. Anzi. Si tratta, però, dell’impegno a essere rigorosamente passivi, a stare attenti a quel che si presenta alla nostra mente.

“Quando queste idee semplici sono offerte allo spirito, l’intelletto non può rifiutarle, né alterarle una volta che sono impresse, né cancellarle e fabbricarne di nuove, più di quanto uno specchio possa rifiutare, alterare o obliterare le immagini o le idee che gli oggetti posti davanti ad esso producono”.5

L’intervento sul materiale empirico è analogo all’intervento sulle cose.

“Il dominio dell’uomo su questo piccolo mondo del suo intelletto è pressoché lo stesso di quello che ha nel gran mondo delle cose visibili, dove il suo potere, anche se esercitato con arte e abilità, non riesce a far altro che comporre e dividere i materiali che sono a disposizione, ma non può far nulla per fabbricare la minima particella di materia nuova o per distruggere un atomo di quella che già esiste. Chiunque vorrà accingersi a foggiare nel suo intelletto un’idea semplice non ricevuta mediante i sensi da oggetti esterni o dalla riflessione sulle operazioni del suo spirito, riscontrerà in sé la medesima incapacità. Vorrei che qualcuno cercasse d’immaginare un gusto che non abbia mai colpito il suo palato, o di farsi l’idea di un profumo che non abbia mai odorato; quando lo potrà fare, sarò pronto a concludere che un cieco può avere le idee dei colori e un sordo nozioni distinte dei suoni”.6

Le idee semplici possono giungere al nostro spirito per mezzo di un solo senso (es. colore, sapore, odore, suono, durezza), di più sensi, come vista e tatto insieme (es. estensione, figura, quiete, moto), della sola riflessione (es. sentimento, volizioni, pensiero), ma anche per mezzo delle vie della sensazione e della riflessione congiuntamente (es. piacere, dolore, potere).

Il pensiero attivo procede associando idee semplici.

Questo punto della teoria della conoscenza di Locke ha avuto enorme influenza, “tanto da improntare di sé, per più di due secoli, i criteri d’insegnamento nelle scuole. In base ad esso, infatti, è parso ovvio che un efficace insegnamento dovesse in primo luogo fornire al discente le idee dalla cui combinazione sono costituite le varie nozioni di una data disciplina, ed abituarlo poi ad associare correttamente tali idee. Così, ad esempio, il criterio di insegnare a leggere e a scrivere ai fanciulli facendo loro apprendere prima di tutto le lettere dell’alfabeto, addestrandoli quindi a capire combinazioni sempre più ampie di tali lettere, è storicamente derivato dalla gnoseologia lockiana”.7

Le idee semplici prodotte dalle sensazioni rinviano a realtà esterne allo spirito che sono la loro causa. Locke chiama qualità il potere che le cose hanno di produrre idee semplici nel nostro spirito, ma distingue le qualità in primarie e secondarie. Sarebbero, cioè, primarie le qualità proprie dei corpi e secondarie quelle che, pur prodotte dal potere delle cose sui sensi, esisterebbero solo nel rapporto sensoriale. I colori, i sapori, e gli odori non sarebbero qualità dei corpi, ma sensazioni nostre nel rapporto con i corpi.

La distinzione è fondamentale, ma non è nuova: nell’antichità la introduce Democrito e in età moderna è ripresa da Galileo, da Cartesio e Boyle.

Locke chiama secondarie le qualità che erano dette soggettive e primarie quelle che erano dette oggettive. La distinzione è in sintonia con l’idea galileiana della natura scritta in caratteri matematici. In Galileo e in Cartesio, però, quest’idea è una certezza metafisica, mentre in Locke sembra solo un’ipotesi di ricerca, data la rinuncia a spingere la conoscenza negli abissi metafisici e la tesi che l’idea di sostanza sia incerta e confusa.

Locke distingue le idee complesse in idee di sostanze, di modi e di relazioni.

Sono idee di sostanze quell’insieme di idee semplici che per essere pensate non hanno bisogno di altre idee (ad es. l’idea di diamante per essere pensata non ha bisogno di altre idee che non siano quelle che ricavo dalla sua osservazione empirica). Sono idee di modi quelle che rinviano ad altre idee (ad es. l’idea del camminare rinvia all’idea di un soggetto del camminare). Le idee di relazione indicano rapporti tra idee diverse (es. l’idea di padre, di figlio, di causa, d’identità).

L’idea di sostanza nasce dalla constatazione che alcune idee semplici si presentano sempre insieme. E siccome “non immaginiamo in quale maniera queste idee semplici possano sussistere da sole, ci abituiamo a supporre che ci sia qualche substratum in cui sussistono e dal quale risultano, che chiamiamo perciò sostanza”.8

Le idee di sostanza possono riferirsi a realtà singolari, ad es. a un cavallo particolare, o a realtà generali, ad es. al cavallo in generale, ma anche alla realtà più generale di tutte, la sostanza pura.

Ma, che consistenza ha quest’idea?

“Se qualcuno vorrà esaminare la propria nozione di sostanza pura in generale, troverà che non ne ha nessun’altra idea se non la supposizione di non si sa quale sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre idee semplici in noi; qualità che comunemente si chiamano accidenti. Se a qualcuno si chiedesse qual è il soggetto cui ineriscono il colore o il peso, non avrebbe da dire se non che si tratta delle parti solide estese; e se gli si chiedesse a che cosa ineriscono quella solidità e quell’estensione non si troverebbe in una posizione molto migliore dell’indiano […] il quale diceva che il mondo era sostenuto da un grande elefante; chiestogli su che cosa poggiava l’elefante, rispose, su una grande tartaruga: ma quando gli si chiese che cosa sostenesse questa tartaruga dalla schiena così ampia, rispose: qualcosa che non sapeva che cosa fosse. […] L’idea quindi alla quale diamo il nome generale di sostanza, non è altro che il sostegno supposto ma sconosciuto di quelle qualità che scopriamo esistenti, che non possiamo immaginare sussistano sine re substante, senza qualcosa per sostenerle; e chiamiamo perciò quel sostegno substantia; il che, secondo il vero valore della parola, in inglese comune si dice star sotto o sostenere”.9

Con l’idea di sostanza Locke si affaccia sulla metafisica.

La sostanza è una cosa misteriosa e reale nel sistema di Locke: inconoscibile ma reale; o, se si preferisce, reale, ma inconoscibile. Perché Locke non se ne libera del tutto, dissolvendo nel mistero anche la sua esistenza? A che cosa gli serve l’idea dell’esistenza di una cosa inconoscibile?

C’è un’interpretazione, quella di Bontempelli e Bentivoglio, che fa pensare.10

“Questa sostanza metafisica, pur nella sua inconoscibilità, ha nella filosofia lockiana l’importantissima funzione di giustificare l’oggettività della scienza galileo-newtoniana. A questo proposito si ricordi come Newton, per dare un fondamento di universalità alla sua scienza, avesse postulato i principi della uniformità e della permanenza delle strutture della Natura. Dati questi postulati newtoniani, la scoperta, ad esempio, che nei corpi fisici si trovassero associate, ciascuna in proporzione all’altra, una massa e una forza di gravità, aveva potuto essere legittimamente universalizzata nella legge di gravitazione universale, estendendo a tutto l’Universo ciò che era stato constatato in una parte di esso. Locke, ora, offre un fondamento filosofico a tali postulati: si può giustificare che massa e forza di gravità siano associate in tutto l’Universo mediante la loro inerenza alla medesima sostanza metafisica della materia, che, in quanto permanente, garantisce il loro trovarsi permanentemente insieme. Ma se le connessioni di fenomeni verificate in un ambito limitato dell’esperienza possono essere universalizzate in quanto appartenenti a sostanze permanenti, allora anche l’induzione trova la sua giustificazione come metodo di costruzione di una scienza oggettiva. Inoltre con la sua sostanza metafisica ignota, di cui l’uomo può conoscere solo l’involucro esterno, cioè le qualità che le appartengono, Locke giustifica la riduzione newtoniana della scienza a leggi che si limitino a descrivere matematicamente le connessioni tra le qualità empiriche delle cose, senza cercare le loro cause ultime. Si tratta di una riproposizione in chiave filosofica dell’hypotheses non fingo di Newton”.

Interpretata così, però, l’idea di sostanza diventa molto di più dell’idea confusa di qualcosa che non si sa che cosa sia: diventa il fondamento metafisico dell’ordine naturale di cui va in cerca la scienza.

Così, però, la posizione di Locke nei confronti della metafisica, che sembrava tanto lineare, si complica: Locke non sa se la sostanza sia spirito, materia o entrambe le cose; non esclude che il pensiero possa essere una funzione dei corpi11; non ha certezze conoscitive sull’anima (ha solo quelle della fede); ma vedrebbe nella sostanza la garanzia di stabilità universale delle cose.

Forse Bontempelli ha forzato un po’ troppo la posizione di Locke.

La non praticabilità della conoscenza metafisica porta Locke a dire cose originali e interessanti sull’identità personale.

Se dell’anima, concepita come sostanza, non si può parlare in termini conoscitivi, come si spiega l’unità nel tempo dei diversi momenti della vita di un uomo? Se l’identità personale non si può fondarla sull’anima-sostanza, quale è la sua consistenza?

L’identità personale è una costruzione della nostra mente attraverso la coscienza dell’attività spirituale: la coscienza, rivolta al passato, al presente e al futuro, coglie l’unità dell’io nel variare dei diversi momenti di esperienza. Non è un dato definitivo e permanente, ma il frutto di una continua riconquista di sé, attraverso il riconoscimento dei propri atti spirituali.

E’ la continuità della coscienza, un’attività e non una sostanza, a fondare l’idea di persona, unendo in uno stesso soggetto momenti di vita diversi.

“Per trovare in che cosa consista l’identità personale, dobbiamo considerare per che cosa sta la parola persona; e sta, credo, per un essere intelligente, dotato di ragione e di riflessione, che può considerare se stessa come se stessa, cioè la stessa cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, il che accade solamente mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare e, a me risulta, essenziale ad esso, giacché è impossibile che qualcuno percepisca senza percepire che percepisce. Quando vediamo, udiamo, odoriamo, gustiamo, sentiamo, meditiamo o vogliamo qualcosa, sappiamo di farlo. Così avviene sempre per ciò che riguarda le nostre sensazioni e percezioni presenti, e così ciascuno è per se stesso ciò che chiama io: poiché non si considera in questo caso se lo stesso io continui nella stessa sostanza o in sostanze diverse. Infatti, poiché la coscienza accompagna sempre il pensare ed è ciò che fa sì che ognuno sia quello che egli chiama io, distinguendo con ciò se stesso da tutti gli altri esseri pensanti, in questo solo consiste l’identità personale, cioè nel fatto che un essere razionale è sempre lo stesso. E fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualche azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona; si tratta dello steso io ora e allora ed è dallo stesso io – lo stesso di quello attuale che ora riflette su di esso – che quell’azione venne compiuta”.12


Note

1 J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a cura di Marian e Nicola Abbagnano, Utet 1971, p. 65.

2 Ib. pp.133-134.

3 Ib. p. 136.

4 Ib. p. 136.

5 Ib. p. 148.

6 Ib. p. 150.

7 M. Bontempelli, F. Bentivoglio, Il senso dell’essere nelle culture occidentali 2, Milano, Trevisini editore 1992, p. 159.

8 J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a cura di Marian e Nicola Abbagnano, Utet 1971, p. 350.

9 Ib. pp. 350-351.

10 M. Bontempelli, F. Bentivoglio, Il senso dell’essere nelle culture occidentali 2, Milano, Trevisini editore 1992, p. 163.

11 Ib. a pp. 623-624 Locke ha scritto: “Abbiamo l’idea della materia e del pensiero; ma forse non saremo mai capaci di conoscere se un ente puramente materiale può pensare o no; è impossibile per noi, colla contemplazione delle nostre idee e senza rivelazione, scoprire se l’Onnipotente ha concesso a qualche sistema materiale, adattamente disposto, il potere di percepire e pensare o ha invece congiunto stabilmente a una materia così disposta una sostanza immateriale pensante. Stando alle nozioni che abbiamo, concepire che Dio può, se gli piace, aggiungere alla materia la facoltà di pensare, è così lontano dalla nostra comprensione, come concepire che Egli aggiunge alla materia un’altra sostanza con la facoltà di pensare; perché non conosciamo in che cosa il pensiero consista né a quale specie di sostanza è piaciuto all’Onnipotente dare questo potere, che non può essere in un ente creato se non per la Volontà e la Bontà del Creatore”.

12 J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a cura di Marian e Nicola Abbagnano, Utet 1971, pp. 394-395.

ANNO ACCADEMICO 2012-13 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


Fonti

Critica

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015