MARX: IL CAPITALE - Il denaro

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


IL DENARO

Nell'analisi di Marx il denaro rappresenta varie cose: anzitutto è misura dei valori (in tal senso decide anche la scala dei prezzi); in secondo luogo è mezzo di circolazione, che permette alla merce di subire una sostanziale metamorfosi; in terzo luogo è segno del valore, in quanto è capace di trasformarsi in carta moneta o in altri simboli, senza perdere il proprio valore; in quarto luogo è denaro in senso proprio, utilizzato per tesaurizzare, come mezzo di pagamento e come fondo di riserva in lingotti di metalli pregiati, che assicurano un valore al commercio mondiale.

1) Misura dei valori

“Il denaro, in quanto misura di valore, è la forma fenomenica necessaria della immanente misura di valore delle merci, del tempo di lavoro”(p.99), cioè è “incarnazione sociale del lavoro umano”(p.103). Esso “serve come denaro meramente immaginato, cioè ideale”(p.101), serve “a trasformare i valori delle merci in prezzi, in quantità immaginate d'oro”(p.103). Questa funzione specifica verrà ripresa in maniera analitica nel § 2b.

In quanto “scala dei prezzi”, il denaro esprime il “peso determinato di un metallo”, l'oro (ib.): esso “misura quelle quantità d'oro” immaginate (ib.). Questa funzione verrà ripresa nel § 2c.

Il prezzo -dice Marx- “dipende totalmente dal reale materiale del denaro”(p.101): oro, argento o rame, benché qui Marx presupponga, per semplificare, che solo l'oro sia la merce-denaro. Il prezzo è “esponente della grandezza di valore della merce, cioè del suo rapporto di scambio col denaro”(p.108).

Marx però afferma che il contrario non è vero, cioè che dal prezzo non si può risalire al valore, poiché nel capitalismo ha più importanza il primo che non il secondo. Infatti, se “la grandezza di valore della merce sta ad indicare un rapporto necessario, immanente al suo processo di formazione, con il tempo sociale di lavoro, tale rapporto necessario, trasformandosi la grandezza di valore in prezzo, appare come rapporto di scambio di una merce con la merce denaro che esiste fuori di essa”(p.109). Ovverosia, se si trattasse di uno scambio diretto di prodotti, il loro prezzo rispecchierebbe più facilmente il loro valore, ma siccome qui è in gioco il denaro, quale universale equivalente, ecco che il prezzo non corrisponde più al valore. “Rimanendo uguali i valori delle merci -dice Marx-, i loro prezzi cambiano col valore dell'oro stesso (materiale del denaro), e aumentano in proporzione al suo calare, e calano aumentando quello”(p.128).

Il valore di scambio, che aveva sostituito il valore d'uso, si trova a contraddire se stesso a vantaggio d'una forza estranea: il denaro. E così “la possibilità di una incongruenza quantitativa tra prezzo e grandezza di valore, risiede nella stessa forma di prezzo. E questo non è un difetto di tale forma, anzi, ne fa al contrario la forma adeguata di un modo di produzione in cui si può imporre la regola solo come legge media della sregolatezza, che agisce ciecamente”(p.109). Questo perché nel capitalismo ciò che più importa non è -lo ripetiamo- il valore della merce, ma il profitto che, attraverso il suo prezzo, essa fa realizzare. Ciò sarà approfondito nel § 2b.

Il denaro ha un potere così grande che è in grado di stabilire un “prezzo” a cose che in realtà non hanno alcun valore economico, come ad es. la coscienza, l'onore ecc.(ib.). L'incongruenza, in questo caso, non è quantitativa ma qualitativa. Il denaro sfugge dalle mani di chi ha voluto cercare nelle cose solo il loro valore di scambio.

L'uguaglianza delle merci affermata nello scambio (che prescinde dall'uguaglianza effettiva dei lavori concreti, in quanto, al massimo, rimanda all'uguaglianza del lavoro astratto), diventa un'uguaglianza così formale che può essere sostituita da quella che impone il denaro, il quale, in tal caso, assume i panni di una divinità metafisica, in grado di eguagliare astrattamente o formalmente tutte le merci, i lavori e i valori.

2) Mezzo di circolazione

a) La metamorfosi della merce

La metamorfosi della merce è possibile in virtù non della merce ma del denaro. O meglio, finché c'è scambio di merce contro merce, non c'è metamorfosi, ma “ricambio organico sociale”(p.111). Finché il denaro è solo “mezzo di scambio” e non diventa “mezzo di circolazione delle merci”, il capitalismo non nasce.

Tuttavia, qui Marx non ha spiegato il motivo per cui da tale “ricambio organico” ad un certo punto si forma la metamorfosi. Non l'ha spiegato perché ha impostato il problema in termini non culturali, ma economici. Il passaggio dal ricambio organico alla metamorfosi, per Marx, è necessario, inevitabile: “lo sviluppo della merce non elimina le contraddizioni del processo di scambio, ma crea la forma in cui esse possono muoversi”(ib.).

Il difetto dell'impostazione metodologica di Marx lo si può notare nel concetto stesso di “ricambio organico del lavoro sociale”, termine col quale egli presuppone la fine della comunità di autoconsumo. Marx ha saputo individuare le contraddizioni del processo di scambio, ma non quelle fra autoconsumo e scambio, poiché ha osservato il primo dal punto di vista del secondo. I limiti dell'autoconsumo sono determinati dai pregi dello scambio.

Peraltro, tutte le contraddizioni del processo di scambio non possono mai prescindere dalla pretesa egemonica che il denaro vuole esercitare su ogni altra merce. Cioè a dire le contraddizioni partono dal presupposto che la contrapposizione tra autoconsumo e scambio sia già stata superata a favore dello scambio. Se così non fosse, il processo del ricambio organico -dice Marx- si “spegnerebbe”(p.114).

In sostanza, Marx ha soltanto costatato il “raddoppiamento delle merci in merce e in denaro”(p.112), ma non ne ha spiegata la ragione di fondo. In effetti, non è per nulla scontato che laddove il “ricambio organico sociale” viene esercitato da comunità autarchiche, si verifichi il suddetto “raddoppiamento”, come non è scontato che si verifichi l'esaurirsi dello scambio.

L'immanente contrapposizione di valore d'uso e di valore è già, allo stadio in cui l'analizza Marx, destinata a risolversi a favore del valore. Nel capitalismo una merce è “valore d'uso” solo per l'acquirente, non certo per il produttore, se non indirettamente, nel senso che una merce non usabile non è vendibile. E' pertanto ingenuo sostenere che “in tale contrapposizione le merci in quanto valori d'uso si oppongono al denaro in quanto valore di scambio”(ib.). La contrapposizione è nata prima, fra produzione anzitutto per il consumo e produzione esclusivamente per il mercato. Quando Marx afferma che “ambedue gli estremi della contrapposizione sono merci, perciò unità di valore d'uso e valore”(ib.), lascia intendere che lo scontro non sia tra “estranei” ma tra “parenti”. In realtà, prima di questo scontro, il cui esito era facilmente prevedibile, ne è avvenuto un altro, assai più incerto e più tragico di quanto non appaia nel Capitale.

La differenza tra i due “estremi” è più che altro di forma, anche se la metamorfosi delle merci, quale “mutamento di forma”(p.111), ha portato a un dominio sostanziale del denaro. Nel senso che se la merce è “realmente” valore d'uso, il denaro è “realmente” valore di scambio (come equivalente universale), ovvero la merce è “idealmente” valore di scambio (il prezzo), mentre il denaro è “idealmente” valore d'uso (in sé non serve ma permette l'acquisto di ogni merce). Paradossalmente, il denaro ha, rispetto a una qualunque altra merce, maggiore “concretezza” nello scambio (perché ha più potere di astrazione) e maggiore “astrazione” nell'uso (perché è l'equivalente universale più concreto).

La merce quindi non rappresenta affatto -come vuole Marx- una “unità di valore d'uso e valore”(p.112), ma la subordinazione del primo al secondo, testimoniata dal fatto che, in caso contrario, non si otterrebbe mai che il valore di scambio del denaro risulti infinitamente superiore al valore d'uso di una qualunque merce. Non c'è nessuna merce capitalistica che, una volta posseduta, possa ridimensionare le pretese del denaro.

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La prima metamorfosi della merce è quella della vendita: Merce-Denaro. Per giustificare il “salto mortale” della merce, dal suo corpo al corpo dell'oro-denaro, Marx fa questo ragionamento: in una qualunque società la divisione sociale del lavoro, che è “un naturale organismo di produzione, le cui fila si sono tessute e continuano a tessersi all'insaputa dei produttori di merci”(p.114), produce valori di scambio che per il non-produttore (o per il consumatore) devono avere un valore d'uso, altrimenti le merci non sarebbero acquistate.

Il “salto mortale” della merce consiste appunto in questo, che sul mercato non è detto ch'essa -solo perché “soddisfa un bisogno sociale”(p.115)- sia destinata ad essere acquistata. Perché lo sia, occorrono delle circostanze favorevoli, la prima delle quali è che la “concorrenza” non faccia di meglio (producendo ad es. la stessa cosa in un tempo minore).

Per Marx quindi, il “salto mortale” non sta tanto nel diverso modo che il produttore ha di guardare la merce: anzitutto per il consumo o esclusivamente per il mercato, quanto nella capacità ch'essa ha o non ha d'imporsi sul mercato (contro altre merci).

Infatti, il passaggio dal consumo al mercato è, per Marx, del tutto naturale, inevitabile. “Un certo atto lavorativo era una funzione tra le molte funzioni di uno stesso produttore di merci, oggi forse si stacca da questo assieme, si rende indipendente e proprio per questo manda al mercato il proprio prodotto parziale come merce autonoma”(p.114).

La spiegazione di ciò rientra nel preteso carattere spontaneo (anarchico) attribuito alla divisione sociale del lavoro, la quale si svilupperebbe senza intenzione da parte dei produttori. In tal modo Marx vuole attribuire la causa della metamorfosi della merce (che è un processo tipico della sola produzione mercantile) al passaggio “naturale” dall'autoconsumo al mercato. Non avendo in mente di cercare la ragione culturale di tale metamorfosi, Marx ne addebita la genesi a ragioni di comportamento economico istintuale. “Può accadere forse che la merce sia prodotto di una nuova maniera di lavoro, che voglia appagare un bisogno sopravvenuto da poco, o che voglia far nascere per la prima volta un bisogno, di sua iniziativa”(ib.) -dice Marx, usando degli esempi che già suppongono l'esistenza della società mercantile e che quindi non sono in grado di spiegare, culturalmente, il suo nascere.

In pratica Marx, e ancora una volta, applica a un modo di produzione pre-borghese dei criteri desunti dalla società borghese. Egli infatti ritiene che la divisione sociale del lavoro sia così “spontanea” da determinare un passaggio inevitabile dal consumo al mercato. In altre parole, la produzione di valori d'uso non sembra implicare affatto -a suo giudizio- la possibilità di una divisione del lavoro consapevole: questa sarà soltanto una prerogativa del futuro socialismo.

Marx insomma si è limitato a costatare che “la divisione del lavoro trasforma in merce il prodotto del lavoro e in tal maniera rende d'obbligo la sua trasformazione in denaro, e contemporaneamente rende occasionale la riuscita o meno di questa transustanziazione”(p.116), in quanto non ogni merce ha un prezzo competitivo.

L'esistenza del “produttore privato indipendente” è considerata da Marx di livello superiore a quella del produttore legato alla comunità autarchica, sebbene egli non si nasconda il carattere “anarchico” della produzione mercantile e quindi la necessità ch'essa ha di essere superata da un'altra di tipo “sociale” e “consapevole”. “I nostri produttori di merci s'accorgono che quella medesima divisione del lavoro che li fa produttori privati indipendenti, fa poi indipendenti proprio da loro sia il processo sociale di produzione [perché ad un certo punto si produce solo per il mercato] sia i loro rapporti entro tale processo [che sono determinati dalla logica della concorrenza], e s'accorgono che l'indipendenza reciproca delle persone ha il suo complemento in un sistema di dipendenza tra di essi, imposto dalle cose [poiché sul mercato ciò che conta è il tempo di lavoro socialmente necessario e la produzione strettamente legata alla vendita]”(ib.).

Ciò che più stupisce, nell'analisi di Marx, è la freddezza con cui si guarda il modo di produzione pre-capitalistico. Quando Marx afferma che “la merce, nella sua figura di valore, elimina ogni segno del suo originario valore d'uso e del particolare lavoro utile per il quale è nata, per mettersi nel bozzolo della uniforme materializzazione sociale del lavoro umano indifferenziato”(p.118) - si ha l'impressione che in questa conclusione Marx non si limiti a esprimere un giudizio di fatto, ma dia anche un giudizio di valore, cui sembra sottesa non la consapevolezza d'un dramma storico, ma la soddisfazione di un personale pregiudizio.

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La seconda e definitiva metamorfosi della merce è quella dell'acquisto: Denaro-Merce. La merce, dopo essersi trasformata in denaro, permette al denaro di acquistare qualunque merce. L'alienazione particolare della merce qui diventa assoluta.

Benché la metamorfosi complessiva della merce presupponga che questa riappaia nel processo finale, dando così l'impressione che si tratti, pur con la mediazione del denaro, di uno scambio di prodotti, in realtà “la circolazione delle merci si distingue sostanzialmente e non solo formalmente dal diretto scambio dei prodotti”(p.121).

Da un lato, infatti, “lo scambio di merci frantuma i limiti individuali e locali del diretto scambio di prodotti e sviluppa il ricambio organico del lavoro umano”(p.122). Per Marx -come noto- il lavoro astratto borghese è superiore al lavoro concreto del contadino-artigiano, caratterizzato, quest'ultimo -come si evince dal testo-, da limiti “individuali” (Marx non riconosce alcun carattere di “socialità” al lavoro agricolo) e “locali” (per Marx l'autarchia comporta la precarietà delle forze produttive, una visione ristretta della realtà ecc.).

“D'altro lato si viene a formare tutto un insieme di nessi sociali spontanei e che sfuggono al controllo delle persone che conducono l'operazione”(ib.). Marx, nonostante che in questo abbia perfettamente ragione. è convinto che il socialismo possa costituire una forma razionale o pianificata dell'economia, pur nella conservazione del primato dello scambio sull'autoconsumo. Su questo tutti gli esperimenti realizzati del socialismo gli hanno dato torto, come lo diedero ai socialisti utopisti i tentativi di realizzare un socialismo basato sull'autoconsumo in una società dominata dai rapporti capitalistici.

Marx ha certamente capito che sul mercato capitalistico la socializzazione del lavoro, lo scambio delle merci ha un che di anomalo, quasi di perverso, poiché proprio là dove s'impone la considerazione sociale del lavoro astratto, socialmente necessario, lì si afferma anche la contrapposizione dei soggetti, il dualismo tra produttore e consumatore. In questa consapevolezza critica Marx supera di gran lunga tutti gli economisti classici, per i quali il mercato era solo fonte di “uguaglianza” e non di antagonismi sociali.

Tuttavia, con la concezione del primato del valore di scambio, Marx non è assolutamente in grado di stabilire quando una merce ha un effettivo valore d'uso per l'acquirente, o quando invece ha un reale valore di scambio per il venditore. Non è in grado di stabilirlo perché è lo stesso capitalismo che non permette di sapere con certezza se il valore d'uso di una merce sia veramente di utilità sociale e non un pretesto o un'occasione per far quattrini. Marx naturalmente pensava che tale possibilità esistesse solo nel socialismo, in cui la proprietà del produttore è, in ultima istanza, la stessa del consumatore, ma l'esperienza del cosiddetto “socialismo reale” ha dimostrato che tale equivalenza di proprietà non è sufficiente a realizzare la democrazia del socialismo. Perché l'equivalenza sia “reale” e non “formale”, cioè sociale e non statale, occorre partire dall'affermazione della comunità basata sull'autoconsumo.

La relativa non-identità di vendita e acquisto riflette bene l'impossibilità di sapere, nel capitalismo, fino a che punto una merce conservi un vero valore d'uso. “Nessuno -dice Marx- può vendere senza che un altro acquisti [fin qui la suddetta identità sarebbe salvaguardata]. Ma nessuno, solo perché ha venduto, deve acquistare immediatamente [il denaro infatti ha sostituito il baratto]. La circolazione frantuma i limiti di tempo, di spazio e individuali dello scambio di prodotti [della comunità autarchica], appunto perché nella contrapposizione di vendita e acquisto [merce contro denaro] essa separa l'immediata identità presente [di vendita e acquisto in una medesima persona] dando in cambio il prodotto del proprio lavoro e ricevendo in cambio quello del lavoro di altri [M-D-M]”(p.123).

Marx in sostanza vuole dire che: 1) nel capitalismo non è così facile “piazzare” una merce sul mercato; 2) l'identità di vendita e acquisto non può essere immediata, poiché tra venditore e acquirente esiste una polarizzazione dovuta al fatto che il primo deve vendere una merce al secondo che deve acquistarla col denaro, ma che può anche non acquistare; 3) anche chi riesce a vendere, non necessariamente, col denaro ottenuto, diventa un immediato acquirente.

D'altra parte i due momenti (vendita e acquisto), pur essendo formalmente indipendenti, “sono complementari tra loro”(ib.), nel senso che la loro contrapposizione non può andare oltre “a un certo punto”, altrimenti la loro “unità si afferma con la violenza, attraverso una crisi”(ib.). Cioè se nel mercato capitalistico, impostato sul valore di scambio, vi sono più vendite che acquisti, l'unità dei due aspetti si manifesterà in maniera critica (attraverso, p.es., la sovrapproduzione). Ma prima che questa possibilità si trasformi in realtà -dice Marx- occorre “tutto un insieme di rapporti che non esistono ancora dal punto di vista della circolazione semplice delle merci”(p.124).

Marx, dopo un giro di frasi particolarmente astratto e involuto, è giunto col fiato corto a questa conclusione. Infatti, volendo salvare l'idea del primato dello scambio, egli non può mostrare che già nella circolazione semplice delle merci le fondamentali contraddizioni del capitalismo si manifestano nel loro irriducibile antagonismo. Ciò avverrà solo nella sezione dedicata al passaggio dal denaro al capitale.

Marx, per il momento, ha cercato di rimediare a questa difficoltà con la nota dedicata a James Mill, ove critica chi tenta di negare “le contraddizioni del processo di produzione capitalistico, riducendo i rapporti dei suoi agenti di produzione in semplici relazioni che sorgono dalla circolazione delle merci”(ib.). La critica è giusta, ma Marx è caduto nell'errore opposto, quello di voler “salvare” il capitalismo nell'ambito della circolazione, mirando a trasformarne anzitutto gli aspetti produttivi.

Difficilmente Marx avrebbe accettato l'idea che il processo di scambio della merce, espresso nella formula M-D-M, può essere accettato solo se il possessore di una determinata merce non è costretto a venderla sul mercato per acquistare il denaro con cui poter comprare un'altra merce. La necessità del mercato, per Marx, non si può mettere in discussione: nel senso ch'essa deve apparire assoluta. Finché resta relativa, la società agraria non può morire e il capitalismo non può nascere. Questo significa che il denaro deve escludere necessariamente sul mercato qualsiasi altra forma di scambio (soprattutto deve escludere il “baratto”, che di tutti gli scambi è il più diretto).

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b) La circolazione del denaro

Non si può certo negare a Marx d'aver colto nel segno quando afferma che la cosa essenziale nel mercato capitalistico non è la circolazione delle merci ma quella del denaro e che, in tale circolazione, il ruolo dello Stato diventa sempre più importante. Con grandi capacità di analisi e di sintesi, egli ha saputo anticipare quelle che saranno le caratteristiche del capitalismo monopolistico nella fase imperialistica, ove i capitali finanziari hanno un ruolo preminente e i monopoli si appoggiano alla funzione protettiva dello Stato.

Relativamente alla circolazione del denaro, Marx afferma che proprio essa permette una migliore metamorfosi della merce: naturalmente se il valore del denaro è basso, i prezzi delle merci tendono ad aumentare, diminuiscono invece se il valore del denaro è alto.

I problemi, in un'economia capitalistica, sorgono -dice Marx- quando vi è un “rallentamento della circolazione del denaro”(p.133), quando cioè i due processi della vendita e dell'acquisto entrano in una “stasi”.

Giustamente Marx sostiene che “la circolazione non ci permette si comprendere da dove provenga questa stasi: essa ci fa vedere solo il fenomeno”(ib.). Di sicuro la crisi non può essere risolta con un puro e semplice “aumento dei mezzi di circolazione”(p.134), né dalle “truffe ufficiali” (delle banche centrali degli Stati) inerenti alla “regolazione dei mezzi di circolazione”(ib.)

Tuttavia, Marx non affronta neanche lontanamente il nesso di crisi economica e crisi generale del sistema di governo (di credibilità o legittimità), cioè il fatto che la “stasi” della circolazione del denaro possa anche dipendere dalla “sfiducia” che i cittadini e i lavoratori manifestano nei confronti del governo in carica o delle istituzioni di potere o del sistema nel suo complesso (produzione, distribuzione, consumi, servizi ecc.).

Le combinazioni elaborate da Marx, usando i fattori del movimento dei prezzi, della massa delle merci in circolazione, della velocità di circolazione del denaro, non tenendo mai conto dei fattori sovrastrutturali quali la cultura, l'ideologia, i valori ecc., finiscono col sembrare un gioco economicistico ad incastro. Se per decidere un rialzo o un calo dei prezzi fosse sufficiente variare i termini delle combinazioni, ogni crisi verrebbe risolta in breve tempo (anche se Marx escluderebbe tale eventualità nel capitalismo proprio a causa della sua natura antagonistica). I fatti dimostrano che una crisi economica non può mai essere risolta solo in chiave economica, meno che mai quand'essa è di carattere strutturale. Ma se non si precisa il valore della sovrastruttura si rischia di offrire al capitale gli strumenti teorici con cui almeno regolamentare le proprie contraddizioni.

Garantire che “l'intera somma dei prezzi delle merci da realizzarsi, come pure la massa di denaro in circolazione, resti costante”(p.135), non è cosa per nulla facile in un sistema ove dominano i rapporti antagonistici. Marx afferma che, anche “non tenendo conto delle gravi perturbazioni che vengono periodicamente dalle crisi di produzione e da quelle del commercio e, più raramente, dal mutamento nel valore stesso del denaro, abbiamo spostamenti di quel livello medio molto più piccoli di quanto potrebbe sembrare a prima vista”(ib.).

Ma è proprio questo il punto. Se fosse solo questione di “economia”, la consapevolezza della suddetta “costanza” dovrebbe, ad un certo punto, garantire la ripresa dello sviluppo. In realtà non è affatto scontato che per superare la crisi sia sufficiente aver consapevolezza che “essendo date la somma di valore delle merci e la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità del denaro...dipende proprio dal suo stesso valore”(p.136). Se bastasse questo, sarebbe impossibile stabilire quando l'inflazione dipende da fattori di crisi o di sviluppo. Attribuire al denaro il suo giusto valore è impossibile farlo solo in termini economici.

La crisi generale del sistema si ripercuote sul valore non solo del denaro ma anche delle merci, pur in presenza di varie costanti nella circolazione, nella quantità ecc. Non risulta affatto strano che il cittadino, ad un certo punto, abbia sempre più l'impressione, man mano che la crisi generale si acuisce, che il valore di ciò che possiede, pur aumentandone il volume, scende costantemente, ovvero che il valore del denaro appaia inversamente proporzionale alla sua quantità, sebbene dal punto di vista economico permanga una proporzionalità diretta.

Da tempo tuttavia Marx ha compreso che la contraddizione fondamentale della società capitalistica non sta tanto nella circolazione del denaro, quanto nella contrapposizione dei soggetti che producono merci: quella è una conseguenza di questa. In tal senso la sua critica a Owen, nella prima importante nota al cap. III, è del tutto giusta. Owen voleva trasformare il denaro in un mezzo che indicasse direttamente il tempo di lavoro impiegato dall'operaio, il quale così, avendo a disposizione questo “certificato di lavoro”, poteva partecipare alla divisione del prodotto comune da consumarsi.

Marx qui obietta che non si può “presupporre la produzione di merci e volere nello stesso tempo sfuggire le condizioni inevitabili di essa con sconciature monetarie”(p.100). Un lavoro privato, in una società capitalistica, non può mai essere considerato come “direttamente socializzato”, anche se fosse organizzato in maniera collettiva. Il socialismo era definito da Marx “utopistico” appunto perché presumeva di poter affermare la democrazia sociale a prescindere dalla rivoluzione politica anti-capitalistica. Naturalmente questo non significa che le idee di Owen non avrebbero potuto trovare un'adeguata realizzazione in una società socialista. Ma il marxismo non si è mai interessato a tale eventualità.

c) Il segno del valore

Marx qui prende in esame il fatto che nel capitalismo “la monetazione, come pure la definizione della scala di misura dei prezzi, è compito dello Stato”(p.139). L'analisi di questa forma del denaro è piuttosto carente, soprattutto perché non si osserva lo Stato come “ente sovrastrutturale” che viene a sovrapporsi alla società civile. A Marx non interessa il fatto che lo Stato sia sorto dopo che il mercato aveva spazzato via la comunità agricola. L'importanza dello Stato viene colta solo in termini economici, nel senso che solo in forza della sua autorità è possibile “sostituire il denaro metallico, nella sua funzione di moneta, con marche di diverso materiale, cioè con simboli”(p.140), quei simboli che oggi definiamo col termine di assegni circolari, cambiali al portatore, carte di credito ecc.

In questa separazione del “contenuto nominale” (il titolo) dal “contenuto sostanziale” (materia aurea) Marx vede la storia degli “intrighi monetari” del Medioevo e dell'età moderna sino al sec. XVIII. Marx però non considera “pertinente all'argomento del [Capitale] l'esame di dettagli quali il diritto di monetaggio e altri simili cose”(p.139, in nota). Egli si limita a costatare la “naturale tendenza del processo di circolazione”, quella di “trasformare in apparenza d'oro l'essere d'oro della moneta”(p.140). Sarebbe stato invece di grande interesse verificare le diverse motivazioni che nel corso dei secoli hanno portato i vari governi a promuovere tale processo di separazione, anche perché solo nel capitalismo esso raggiunge dei livelli così sofisticati e paradossali.

Secondo Marx la “carta moneta dello Stato a corso forzoso nasce spontaneamente dalla circolazione metallica”(p.142). In realtà, è solo sul piano tecnico che “la moneta di credito ha la sua naturale radice nella funzione del denaro come mezzo di pagamento”(ib.). Sul piano più propriamente sociale, il passaggio si verifica quando la circolazione delle merci -che ha già assunto proporzioni notevoli- pretende di autolegittimarsi, a prescindere dalla valutazione soggettiva dei contraenti sul mercato.

Il denaro ha la funzione di universale equivalente nella misura in cui essa viene decisa e gestita dalla società civile (questo naturalmente significa che nell'economia capitalistica sono le classi mercantili che impongono la loro volontà a tutte le altre); ma se tale funzione viene decisa d'autorità, cioè se lo Stato si arroga la pretesa di stabilire la scala di misura dei prezzi, di questo suo potere beneficeranno, in ultima istanza, solo le categorie più forti dei ceti o delle classi mercantili. Uno Stato che toglie alla società il potere di decidere la scala dei prezzi sarebbe autoritario anche se tutta la proprietà fosse statalizzata, come è accaduto nel “socialismo reale”.

Non meno autoritario è lo Stato che pretende, da parte dei cittadini, la fiducia che non verrà emessa una cartamoneta superiore “alla quantità nella quale dovrebbe in effetti circolare l'oro (o l'argento) ch'essa rappresenta simbolicamente”(p.143). Tale pretesa infatti presuppone sempre la separazione dello Stato dalla società civile, ovvero la subordinazione di questa a quello. Lo Stato autoritario nasce come diretta conseguenza della necessità di regolamentare gli antagonismi irriducibili che si verificano sul terreno della proprietà privata.

Marx non ha colto qui tale aspetto perché, secondo lui, il passaggio dall'oro-moneta alla moneta di credito avviene in maniera “spontanea”: “in un processo che fa continuamente cambiare di mano al denaro, basta anche la sua esistenza meramente simbolica”(p.145).

Ciò in realtà non comporterebbe, di per sé, alcuna conseguenza se nella società dominasse il primato del valore d'uso. In una società del genere, infatti, il lavoratore non avrebbe il timore, di fronte a una situazione di crisi, che il suo denaro perda sostanzialmente molto valore pur continuando ad averne tanto nominalmente. La necessità di tornare a un livello di benessere inferiore a quello dato, a causa della crisi, potrebbe essere affrontata più agevolmente in una comunità autarchica che non nella società borghese, ove in cambio al disvalore del denaro non si offre altro che miseria e disperazione.

3) Il denaro vero e proprio

Il fatto che Marx non abbia impostato subito in maniera storica la prima sezione del Capitale ha comportato delle conseguenze piuttosto spiacevoli. Leggendo ad es. i §§ dedicati al denaro si ha infatti l'impressione di trovarsi in un periodo storico precedente, seppure di poco, a quello capitalistico vero e proprio, e che solo con l'inizio della II sezione si entri nel sec. XVI. Eppure sarebbe impossibile immaginare una consapevolezza e un uso delle funzioni del denaro così sosfisticati e spregiudicati aldilà del modo di produzione capitalistico.

Per Marx la trasformazione del denaro in capitale è susseguente all'affermazione del denaro come equivalente universale, a sua volta frutto del dominio della merce e del suo mercato sui prodotti di autoconsumo. Egli cioè ha voluto mostrare una necessità di ordine economico nel passaggio dalla merce al denaro e dal denaro al capitale. La storia di questo processo è un problema secondario, nell'analisi di Marx, rispetto all'affermazione di principio che lega i fatti secondo uno schema di causa ed effetto.

Tant'è che Marx, in realtà, non ha mai fatto una “storia” del passaggio dalla merce al denaro e dal denaro al capitale: egli si è semplicemente limitato alla storia dell'accumulazione originaria del capitale. D'altra parte non esiste alcuna “storia” che ci possa indicare l'evoluzione temporale dei suddetti passaggi: semplicemente perché essi presuppongono -almeno per come sono stati descritti- la stessa “accumulazione originaria”.

Tuttavia, se Marx avesse mostrato, sin dall'inizio, come da tale “accumulazione” i vari passaggi si sono intrecciati, avrebbe ottenuto un risultato diverso da quello meramente economico. I vari passaggi infatti andavano considerati anche e soprattutto come un processo sociale che, come tale, include anche gli aspetti più propriamente ideologico-culturali e politici.

I risultati, in sostanza, sarebbero stati due: 1) sin dall'inizio il primato della merce sul bene di utile consumo è stato accompagnato dallo sfruttamento della manodopera salariata e dalla trasformazione della cultura pre-borghese; 2) in tale transizione al capitalismo gli uomini non hanno agito né istintivamente né sotto costrizione, ma hanno dovuto compiere delle scelte, anche se, dopo averle compiute, le conseguenze si sono fatte sentire in maniera necessaria.

Se si fa coincidere la storia degli uomini con lo sviluppo della loro attività economica, si finisce col trasformare gli uomini in marionette del destino.

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a) Tesaurizzazione

La figura del risparmiatore nasce -dice Marx- “quando s'interrompe la serie delle metamorfosi e la vendita non è rimpiazzata da un successivo acquisto”(pp.146-7).

“Agli inizi della circolazione delle merci -spiega Marx- solo il superfluo di valori d'uso viene cambiato in denaro. Così oro e argento divengono vere e proprie espressioni sociali della sovrabbondanza, cioè della ricchezza. Questa ingenua maniera di tesaurizzazione si eternizza tra i popoli la cui ristretta cerchia di esigenze corrisponde al modo di produzione tradizionale e volto all'appagamento dei bisogni individuali”(p.147).

Qui Marx -che ha in mente i “popoli asiatici”, specie gli “indiani”- applica di nuovo alle formazioni sociali pre-capitalistiche uno schema di vita desunto dalla società borghese. Nel senso che quelle formazioni paiono avere i difetti di questa società senza però averne i pregi. L'individuo risparmia come il borghese, ma non commercia allo stesso modo; è individualista come il borghese, ma non si affida come lui al mercato. A Marx qui non è venuto in mente che l'atteggiamento di questo individuo potesse essere l'effetto di rapporti colonialistici imposti dal capitalismo o una conseguenza dei rapporti interni di sfruttamento imposti dal feudalesimo, estranei alla socializzazione della vita agricola fondata sul valore d'uso.

Per Marx la comunità pre-capitalistica ha una “ristretta cerchia di esigenze”; viceversa, nella società borghese i “bisogni si rinnovano continuamente”(p.148). Attratto dal fatto che “nel denaro è eliminata ogni distinzione qualitativa delle merci”, ovvero che il denaro “elimina ogni distinzione”(p.149), e che “il valore della merce misura il grado della forza d'attrazione su ogni elemento della ricchezza materiale, perciò sulla ricchezza sociale del suo possessore”(p.150), attratto da questo, Marx guarda con ironia l'ingenua “società antica che ritiene il denaro moneta sovversiva della sua organizzazione economica e politica”(pp.149-150), ovvero il fatto che “il valore, per il possessore di merci più o meno barbaro o anche per un contadino dell'Europa occidentale, è inscindibile dalla forma di valore, e di conseguenza un aumento del tesoro aureo o argenteo significa per lui un aumento di valore”(p.150).

Marx non ha saputo scorgere in questo atteggiamento “barbaro” una forma di condizionamento o addirittura di resistenza alla pressione del modo di produzione borghese, ma ha preferito considerarlo un atteggiamento naturale, istintivo. In realtà, Marx non ha mai spiegato in maniera convincente il motivo per cui il risparmiatore antico, diversamente da quello moderno, non è riuscito a diventare un capitalista.

L'immagine del “tesaurizzatore che sacrifica al feticcio oro i suoi piaceri della carne”(p.151), cioè la soddisfazione dei consumi, è un'immagine moderna che non può essere applicata alle società antiche. Qui semmai il risparmio era appunto finalizzato a soddisfare i piaceri della carne! Il denaro non costituiva certo un'astrazione fine a se stessa, cui sacrificare la propria identità: si accumulava per realizzare concretamente un dominio personale, non per realizzare un astratto dominio impersonale.

b) Mezzo di pagamento

Il denaro come mezzo di pagamento è quello che, separando nel tempo la cessione della merce dalla realizzazione del suo prezzo, crea un rapporto tra creditore e debitore: rapporto che spesso, per ovvie ragioni, diventa conflittuale. Fin qui Marx.

In realtà tale forma di denaro porta alla lotta di classe perché già la presuppone. Se così non fosse, il denaro non verrebbe usato per tenere sottomessa la controparte, che nella figura del debitore è la più debole, o comunque non verrebbe usato approfittando della sua debolezza. Rinunciando alla scambio diretto, immediato, di merce contro denaro, dilazionando cioè nel tempo il pagamento di quest'ultimo, il venditore di una data merce si serve proprio del tempo per ottenere uno scambio più vantaggioso.

Ora però, proprio questo modo così antisociale di usare il denaro lascia presupporre la fine della società contadina e la sua progressiva sostituzione con quella borghese. In tal senso Marx non ha compreso a sufficienza che la contraddizione maggiore rappresentata dalla suddetta forma di denaro sta proprio nel tipo di rapporto sociale ch'essa presuppone, e non tanto nel tipo di rapporto sociale ch'essa viene a costruire, necessariamente, quando i termini di scadenza del contratto non sono rispettati.

Per Marx “la contraddizione balza fuori al momento delle crisi di produzione e delle crisi commerciali...quando il denaro si trasforma subito e senza transizioni da figura solo ideale della moneta di conto in denaro contante. Non si può più sostituire con merci profane. Il valore d'uso della merce è senza valore... solo il denaro è merce!”(p.157).

In realtà l'uso del denaro come mezzo di pagamento implica già che i rapporti sociali siano “sbilanciati” a favore del possessore di merci. La crisi di sovrapproduzione o altre forme di crisi fanno venire alla luce una contraddizione sociale latente, l'ha fanno cioè esplodere a livello sociale, mentre in assenza di quella crisi essa potrebbe tranquillamente esplodere a livello individuale, nel singolo rapporto tra creditore e debitore. Non a caso -ed è lo stesso Marx che lo sottolinea- il pagamento dei debiti in denaro e non in natura è sempre stato usato dalla parte sociale più forte per assoggettare ulteriormente quella più debole.

Marx tuttavia non ha difficoltà nel sostenere che il passaggio dall'imposta in natura all'imposta in denaro se da un lato comporta un maggiore impoverimento dei contadini -come è avvenuto nella Francia di Luigi XIV -, d'altro lato comporta la fine delle “misere condizioni economiche di vita che permettono di sussistere” a un'agricoltura arretrata (p.161). Egli in sostanza riteneva necessario il suddetto passaggio e non vedeva una diversa alternativa alla crisi della società agraria.

Al tempo di Marx la borghesia era in ascesa. Difficilmente egli avrebbe potuto immaginare che l'imposta in denaro o l'uso del denaro come mezzo di pagamento sarebbero un giorno potuti servire alla borghesia soltanto per conservare politicamente un potere economico in via di dissoluzione. Nell'analisi di Marx il creditore appare come un possessore attivo di denaro, in quanto produttore che ha ottenuto un profitto vendendo merci. In realtà, nel capitalismo maturo il creditore-borghese, appoggiandosi all'autorità dello Stato, diventa sempre più un “debitore” nei confronti del lavoratore (operaio o contadino che sia), benché questi economicamente non riesca a dimostrarlo, potendolo fare solo per via politico-rivoluzionaria.

c) Denaro universale (o fondo di riserva)

Per “denaro universale” Marx intende i lingotti di metalli pregiati (ammassati nei forzieri delle banche) che nel commercio mondiale hanno la funzione di materializzare socialmente la ricchezza in genere, ovvero di concretizzare in abstracto il lavoro umano. In tal caso il denaro non può mai essere sostituito, in alcun momento, da nessuna merce (a meno che -si può oggi aggiungere- una determinata merce non abbia un valore così alto e nel contempo così commerciale da renderlo equivalente a quello del denaro, come nel caso della droga. Ma anche qui l'operazione verrebbe fatta allo scopo di poter immediatamente riconvertire la droga in denaro).

Quando le riserve in lingotti sono superiori al loro livello medio è segno che la circolazione delle merci ristagna. Questo è evidente. Tuttavia, Marx non ha preso in considerazione l'eventualità che le riserve, se possono apparire, all'interno di una nazione, superiori al necessario, a livello internazionale invece, esse possono essere usate da quella stessa nazione per imporre a tutte le altre, dotate di minori riserve, il corso forzoso della propria moneta o il dominio mondiale del proprio commercio. Va però precisato che ai tempi di Marx vigeva il sistema aureo, basato cioè sulla moneta aurea coniata.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015