Determinismo storico di Marx

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


IL “DETERMINISMO STORICO” MARXIANO

Si tende spesso a considerare il pensiero di Marx “determinista”, nel senso hegeliano di basarsi sull’idea che “ciò che è reale è razionale, e ciò che è razionale è reale” (razionale = necessario, in base a una logica definibile a priori, chiaramente di tipo dialettico). In effetti Marx è il principale erede e prosecutore, seppure in termini materialistici, della tradizione della dialettica hegeliana, ma la sua visione storica ha anche, rispetto a quella del maestro, dei caratteri propri: e ciò non solo in quanto materialista, ma anche in quanto si apre all’idea (peraltro strettamente connessa al suo materialismo) di un progresso non giustificabile secondo una logica puramente astratta, definibile aprioristicamente.

Mentre per Hegel il progresso storico dell’umanità è il riflesso di quello, dialettico appunto, dell’Idea nel suo graduale ritorno a se stessa, e segue quindi un percorso necessario, logico, per Marx la storia dell’uomo è fortemente condizionata dalle circostanze materiali (e in quanto tali in gran parte contingenti) alla base dei singoli modi del vivere associato, condizione dell’espletamento delle attività economiche alla base di tale vivere: il che significa del complesso delle attività attraverso le quali, tanto i singoli individui, quanto le società nel loro complesso perpetuano la propria esistenza.

In questo articolo (che si pone come la continuazione del precedente su Il ruolo delle tecniche produttive nello sviluppo dell’organizzazione economica secondo Marx) si vuole sottolineare come, in un’ottica marxiana, l’unica certezza storica assoluta sia la natura epifenomenica delle strutture politiche e istituzionali rispetto a quelle economiche e – avendo letto quell’articolo, dovrebbe essere scontato – tecnico-produttive, nonché di conseguenza la necessità di un rivoluzionamento delle sovrastrutture stesse nel momento in cui esse non assolvano più al loro compito primario, che è quello di sostenere il funzionamento economico della società.

Al contrario, l’evoluzione della struttura tecnico-economica e sociale, ovvero la successione dei diversi modi di produzione, non può per Marx essere “calcolata” sulla base di criteri predeterminati, in quanto per sua stessa natura è sottoposta a un intrinseco grado di incertezza: non è cioè giustificabile sulla base di un progresso lineare e univoco, privo di elementi di discontinuità, quale quello posto da Hegel a base del divenire storico. Se di dialettica anche qui vogliamo parlare, dobbiamo ricorrere a un altro tipo o accezione, più estemporanea in quanto esposta a fattori casuali e indeducibili, come mostreremo meglio avanti… La dialettica propriamente detta, di impronta pienamente hegeliana, nella visione marxiana riguarda infatti solo il rapporto tra struttura e sovrastruttura (vedi articolo precedente: Il rapporto tra Hegel e Marx, un tentativo di sintesi), non la struttura economica nel suo divenire.

Le variabili del divenire economico

Ma se la struttura non evolve secondo una logica lineare, quale quella descritta e ipotizzata da Hegel, secondo quale logica evolve? Non esistendo un tipo di causalità fissa, cioè un tipo di fattore che si ponga immancabilmente come causa di una tale evoluzione, bisogna considerare l’eventualità che essa sia il prodotto di una somma di fattori – o meglio, che di volta in volta possa essere il prodotto di alcuni di essi.

Del resto, il fatto che non sia possibile determinare a priori il divenire storico, tanto a livello strutturale o di base, quanto per ciò che riguarda i livelli sovrastrutturali derivati, non implica che sia impossibile spiegare le trasformazioni e l’iter della storia passata, o cercare di prevedere gli sviluppi di quella futura. È però un fatto che una tale comprensione non possa sorgere seguendo dei binari di ricerca preordinati, ma debba piuttosto fare i conti con la situazione contingente della società di cui si cerca di spiegare il divenire.

Allora, a livello generale, quali tipi di fattori possiamo dire che abbiano le più cospicue possibilità di esercitare una simile influenza? Io credo che la struttura tecnologica della società, ovvero il modo di produzione tecnico che si risolve in un determinato modo di produzione sociale ed economico, possa essere indotto al cambiamento da una vastissima tipologia di stimoli (che, come già detto, devono essere accertati nella loro specificità di volta in volta, secondo la particolare situazione che si va a esaminare), ma penso anche che essi debbano necessariamente rientrare in tre categorie essenziali:

a) eventi storici determinanti (di solito di grande portata e in ogni caso capaci di causare effetti di lunga durata e di agire in profondità sul tessuto tecnico-produttivo);

b) le trasformazioni delle altre forze produttive, non strettamente tecnologiche: uomini, ambiente, forza-lavoro… (ad esempio una crescita o una decrescita della forza-lavoro necessaria a tale sistema, quale quella schiavile nel mondo antico; oppure, sul piano dei fattori ambientali, la presenza di cambiamenti climatici o ambientali in genere);

c) infine, ma non in ultimo, le stesse sovrastrutture e il loro possibile (ed anzi inevitabile) effetto retroattivo sulle strutture di cui sono prodotto.

Proviamo a fare degli esempi in merito ai primi due punti di fattori.

* Un evento storico capace di rivoluzionare in profondità la struttura socio-produttiva della società può essere costituito, ad esempio, dall’invasione di popoli stranieri, portatori di una diversa cultura e di un diverso livello di sviluppo tecnologico, la cui presenza determini una trasformazione (in senso regressivo o progressivo) della tecnologia alla base della produzione.

Questo accadde nei periodi finali dell’Impero Romano d’Occidente, con il dilagare delle popolazioni barbare all’interno dei suoi confini. Ma accadde anche molte altre volte nel corso della storia antica, ad esempio con l’invasione dei misteriosi “Popoli del mare” che, molto probabilmente, posero fine alla civiltà tecnologica del Bronzo nel Mediterraneo del XII sec. a.C.

In epoca moderna, al contrario, gli Europei importarono in aree fino ad allora ferme a stadi ancora preindustriali, le proprie tecniche produttive altamente specializzate e, con esse, un’organizzazione economica capitalistica.

** Un altro fattore capace di influenzare lo sviluppo tecnologico e produttivo di una società può essere costituito da un cambiamento nella (quantità di) forza-lavoro disponibile.

Un esempio a riguardo, sempre preso dal mondo antico occidentale, è costituito dalla carenza di schiavi di cui soffrì il mondo romano tardo-imperiale, una carenza causata da fattori contingenti anche se di grande durata e portata, che mandò in crisi la stessa organizzazione economica di tale mondo, basata appunto in massima parte sull’apporto di tale tipo di manodopera (la carenza della “materia prima” alla base della tecnologia antica fu quindi l’origine del declinare del corrispondente modo produttivo e dell’instaurazione di un altro, basato sull’infeudamento delle popolazioni libere).

*** Infine, un altro fattore capace, attraverso il proprio mutamento, di determinare una trasformazione della società a livello produttivo e tecnologico (e quindi economico) è il fattore ambientale.

A questo riguardo, possiamo menzionare il pericolo che l’odierna società capitalistica e industriale corre, a causa della dissipazione tendenzialmente indiscriminata delle materie prime del pianeta ai fini della produzione di merci, di elidere le stesse basi materiali della propria tecnologia, distruggendo così quest’ultima e l’organizzazione economica a essa corrispondente. E del resto, la storia è piena di esempi di questo tipo: di società che, nel perseguire i propri metodi produttivi, hanno finito per distruggere o comunque alterare profondamente gli equilibri ambientali che li rendevano possibili.

In tutti i casi menzionati fin qui, abbiamo visto come fattori estranei all’assetto tecnologico e produttivo della società possano cambiare o contribuire a cambiare tale assetto. Ciò non toglie tuttavia che proprio esso, in ultima analisi, sia la base dell’intera vita sociale, sia nei suoi aspetti strutturali, o di organizzazione economica, sia in quelli sovrastrutturali, non economici.

Al tempo stesso, inoltre, osserviamo che alle volte il mutamento di tali fattori estrinseci è il risultato della stessa organizzazione tecnologica ed economica su cui operano retroattivamente e che finiscono per scardinare. Anche qui peraltro, vediamo in atto un processo dialettico: dove la struttura tecnico-produttiva della società (tesi) modifica dei fattori a sé strettamente legati (generando così una propria antitesi), da cui viene poi a sua volta modificata (sintesi). A differenza della dialettica concernente il rapporto tra struttura e sovrastruttura però, questa dialettica non è qualcosa di determinato in senso aprioristico. Essa infatti assume forme di volta in volta sempre nuove a seconda delle diverse situazioni. Essa non ha cioè un carattere assoluto, stabile, bensì al contrario relativo e contingente.

In sintesi, possiamo dire che la struttura tecnico-produttiva, e quella economica e sociale da essa derivata, siano in ultima analisi la causa dell’assetto della società nel suo insieme, ma dobbiamo anche osservare che tali strutture possono essere condizionate nei propri sviluppi da fattori esterni ed estrinseci, che di necessità devono rientrare nelle seguenti categorie: le altre forze produttive; fattori storici contingenti; le proprie stesse sovrastrutture.

La tecnologia e l’organizzazione economica (struttura) insomma, pur essendo la causa e l’origine di tutti gli altri aspetti dell’organizzazione sociale, non sono sempre e necessariamente cause a se stesse. Alcuni fattori a esse estrinseci difatti, possono influenzare anche pesantemente il loro sviluppo, laddove in assenza di tali fattori esso avrebbe (almeno indicativamente) un carattere lineare, indirizzato cioè verso una sempre maggiore efficienza tecnologica.

Essendo poi il ruolo assunto da tali fattori, un fatto non definibile aprioristicamente, in base a criteri predeterminati, si può dire che il divenire della sfera strutturale della società sia qualcosa che sfugge a ogni definizione metodologica astratta, che non può cioè prescindere dall’apporto della contingenza, del “qui e ora” di ogni situazione particolare.

L’unica certezza strutturale o aprioristica riguardo alla storia, è per Marx il ricorrente processo di aggiornamento dialettico (rivoluzionario) delle sovrastrutture rispetto alle strutture, qualora queste siano mutate al punto da entrare in contrasto con le precedenti.

Le variabili sovrastrutturali

Dobbiamo ancora parlare del ruolo che le sovrastrutture possono avere retroattivamente sugli sviluppi economici e produttivi della società. Questo argomento è solo in parte simile a quello appena analizzato, in quanto le sovrastrutture sono essenzialmente – almeno nei loro aspetti primari, come mostreremo – realtà derivate ed epifenomeniche rispetto alla struttura economica.

Può apparire incoerente con questa tesi l’idea, che svilupperemo qui avanti, che esse possano avere anche un effetto retroattivo (quindi appunto, non meramente passivo) sulle stesse strutture, ma così non è. Le sovrastrutture infatti sono il portato dell’economia in un certa fase del suo sviluppo, e di tale stadio costituiscono il riflesso formalizzato, quindi fisso.

L’evolvere della produzione e dell’organizzazione economica comporta allora, inevitabilmente, un attrito o resistenza da parte di esse, laddove almeno una tale evoluzione entri in contrasto con il modo di produzione sociale di cui sono espressione. In quest’ottica si spiega appunto la rivoluzione, come scardinamento delle sovrastrutture oramai superate, la cui presenza costituisce un ostacolo all’espletamento e allo sviluppo delle nuove forme tecnico-produttive ed economiche. E sempre in quest’ottica, si giustifica la definizione delle sovrastrutture come epifenomeni, ovvero come realtà meramente passive, derivate dalla struttura e a essa funzionali, che da essa vengono rinnovate nel momento in cui non vi sia più rispondenza.

Tuttavia, non sempre il rapporto tra strutture e sovrastrutture è così sbilanciato a favore delle prime. Lungi dall’essere sempre “travolte” dall’impeto delle trasformazioni economiche, le sovrastrutture possono difatti anche ostacolare con successo lo sviluppo di un dato modo di produzione tecnico e sociale, e ciò anche qualora vi siano per altri versi tutti i presupposti perché esso si affermi. Il loro peso e la loro influenza (intendi con ciò soprattutto quello delle idee religiose, dei dogmi comportamentali a esse legati) possono alterare lo sviluppo della struttura economica in modo tale che una data forma di produzione può non riuscire ad affermarsi concretamente, o riuscirci solo in forme per così dire di compromesso, incomplete.

A questo proposito, sono interessanti gli studi di sociologia della religione di Max Weber, nei quali l’autore (certamente non un marxista in senso classico) analizza il peso determinante della tradizioni, e della mentalità che esse generano, sullo sviluppo economico di molte società extraeuropee.

Ma se quanto appena detto è vero, che cioè il peso delle tradizioni, delle leggi (in special modo se espressione di un’etica religiosamente fondata) possa tarpare le ali a un determinato sviluppo tecnico-economico della società, quanto ancora possiamo ritenere vera l’affermazione secondo la quale le cosiddette sovrastrutture sarebbero un mero riflesso epifenomenico delle strutture produttive?

Io credo che, quantomeno da un punto di vista essenziale, tale affermazione rimanga totalmente valida. Ciò che è vero nella misura in cui, una volta affermatosi un cambiamento economico, le sovrastrutture non possono che conformarsi passivamente ad esso. Si può dire, per utilizzare un’analogia, che il rapporto tra struttura e sovrastruttura sia simile a quello tra servo e padrone, dove il servo può effettivamente cercare (e con ampi margini di successo) di condizionare le decisioni del padrone, ma quando questi abbia preso la propria decisione, al servo non resta che prendere atto di essa e uniformarvisi.

Il che significa che, in ultima analisi, la natura delle sovrastrutture rimane sempre passiva, ovvero che la loro natura più profonda consiste nell’adeguarsi alla realtà concreta della struttura economico-produttiva.

Il discorso fatto in questo paragrafo a proposito delle sovrastrutture, ribadisce nei suoi aspetti essenziali quello fatto in merito agli altri fattori capaci di influenzare la struttura produttiva della società: tutti questi fattori cioè, possono effettivamente avere un peso determinante su tale sviluppo, possono al limite determinarlo, ma si pongono sempre, in ultima analisi, come secondari rispetto a tali strutture, nella misura in cui, una volta affermatosi un nuovo modo di produzione, esse (e non, quantomeno direttamente, tali fattori) divengono la base e il centro di irraggiamento dell’organizzazione sociale nei suoi vari aspetti.

Anche riguardo alle sovrastrutture, ed anzi in modo ancora più netto, possiamo parlare di un rapporto dialettico tra struttura tecnico-economica e fattori secondari (in questo caso, appunto, le sovrastrutture). È un fatto inevitabile e non accidentale del resto, che la sfera sovrastrutturale eserciti un effetto di ritono su quella economica, e ciò può avvenire in senso sia positivo (qualora la favorisca) o negativo (qualora la ostacoli).

La capacità che essa ha di ostacolare i possibili sviluppi tecnico-produttivi d’altronde, varia da contesto a contesto, a secondo da una parte di quanto essa sia radicata nella vita sociale e quindi capace di determinarla attivamente, e della misura in cui dall’altra tali cambiamenti vi entrino in contrasto, suscitandone appunto una resistenza più o meno decisa.

Conclusione sintetica

Mentre la visione hegeliana della dialettica storica è lineare, la storia essendo per Hegel nei suoi aspetti più profondi un progresso necessario che punta verso una meta prefissata (l’Autocoscienza dello Spirito), la visione marxiana del divenire storico è decisamente più problematica.

La sfera determinante della storia è, per Marx, sempre l’economia e, prima di essa, la tecnologia come fondamento della stessa organizzazione economica della società. In questo fatto troviamo il nucleo di tutto il pensiero marxiano. Ma l’economia e la tecnologia sono anche soggette a trasformazione, in quanto gli uomini cercano di migliorare costantemente la loro esistenza materiale, che su di esse si basa.

Se quest’ultima affermazione bastasse a riassumere il divenire storico nella sua concretezza, la storia umana conoscerebbe un progresso lineare anche per Marx, pur non essendo mossa dalla dialettica dell’Idea ma dal progressivo avanzamento della tecnologia e delle forme di produzione sociale da tale sviluppo generate (modi di produzione).

Tuttavia, la tendenza al progresso tecnologico, pur costituendo una variabile fondamentale del divenire storico, non ne è la sola! Altre variabili o fattori, di più incerta definizione, vi entrano in gioco, sempre differenti a seconda dei diversi periodi e contesti storici.

Sono queste variabili di secondo tipo (definibili con precisione solo a partire dalla considerazione di ogni specifica fase storica) a rendere lo sviluppo della storia umana qualcosa di tortuoso e nient’affatto lineare, non giustificabile perciò sulla base di criteri aprioristici e astratti. Sono esse difatti a deviare lo sviluppo della storia da quello che sarebbe altrimenti il suo corso “naturale”, e lineare, verso una sempre maggiore capacità di produzione e controllo sulla natura.

Tali variabili possono essere di differenti tipologie: possono essere avvenimenti contingenti, almeno rispetto alla stessa struttura economica e produttiva su cui vanno a impattare; oppure possono avere con essa un rapporto dialettico, essendone causate ma al tempo stesso anche retroattivamente causanti.

Quel che qui preme sottolineare tuttavia, è che esse, pur capaci di modificare il nerbo della storia umana, quello riguardante cioè l’evoluzione dei modi di produzione, non intaccano comunque il primato della sfera economica e produttiva come punto di irraggiamento dei vari caratteri o aspetti delle diverse forme di organizzazione sociale.

L’economia resta cioè, in ultima analisi, il centro stesso della vita sociale, ciò attorno a cui essa si organizza e da cui dipende nei suoi vari aspetti, da quelli più immateriali (ideologici) a quelli più concreti (coercitivi, politici e istituzionali).

L’economia non è dunque il solo motore del progresso storico, potendo a sua volta essere mossa anche da fattori a sé estrinseci, ma è sempre e comunque ciò attorno a cui ruotano i caratteri di ogni singola fase dell’evoluzione storica umana, ciascuna delle quali – non a caso – è da Marx definita modo di produzione (i modi di produzione storici sono per lui, in sequenza: quello asiatico, quello schiavile, quello feudale, quello borghese, quello comunista).

La sfera economica è il cuore stesso della storia, il punto di irraggiamento attraverso il proprio mutamento dei suoi caratteri transeunti, ovvero dei caratteri dell’essere sociale uomo. Tutto ciò non implica però, che tale sfera debba sempre e comunque autogenerarsi. Al contrario, nelle sue trasformazioni essa può sottostare all’influenza di fattori non economici (sovrastrutturali o evenemenziali), o che in ogni caso (le forze produttive non peculiarmente tecnologiche) non rivestono un ruolo primario al proprio interno (vedi articolo su Il ruolo delle tecniche produttive nello sviluppo dell’organizzazione economica secondo Marx).

Allo stesso modo, un generale che decidesse di spostare il suo esercito in una direzione piuttosto che in un’altra, pur essendo in ultima analisi la causa di tale mutamento, potrebbe esservi stato indotto non solo da considerazioni personali ma anche da fattori esterni, estrinseci alla sua volontà.

Adriano Torricelli

Fonte: adrianotorricelli.wordpress.com


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Aggiornamento: 26/04/2015