PREFAZIONI ALLE EDIZIONI DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Prefazione all'edizione tedesca del 1872

La Lega dei comunisti01, un’associazione internazionale di lavoratori, che a quell’epoca non poteva che essere segreta, incaricò i sottoscritti, nel corso del congresso tenuto a Londra nel novembre del 1847, di redigere un approfondito programma teorico e pratico del partito, rivolto all’opinione pubblica. Nacque così il seguente Manifesto, il cui manoscritto viaggiò verso Londra per essere stampato poche settimane prima della rivoluzione di febbraio02. Dapprima pubblicato in tedesco, è stato stampato in questa lingua in almeno dodici diverse edizioni in Germania, Inghilterra e America. In inglese è uscito per la prima volta nel 1850 a Londra, sul "Red Republican", tradotto da Helen Macfarlane, e nel 1871 in almeno tre diverse traduzioni in America. In francese è uscito dapprima a Parigi poco prima della insurrezione di giugno del 184803, poi di nuovo in "Le Socialiste" di New York. Si sta preparando una nuova traduzione. In polacco il Manifesto è apparso a Londra poco dopo la sua prima edizione tedesca. In russo, a Ginevra negli anni Sessanta. Anche in danese è stato tradotto poco dopo la sua pubblicazione.

Per quanto la situazione sia cambiata negli ultimi venticinque anni, i fondamenti generali sviluppati in questo Manifesto conservano grosso modo anche oggi la loro piena pregnanza. Qualcosa si potrebbe migliorare qua e là. L’applicazione pratica di tali fondamenti, afferma lo stesso Manifesto, dipenderà dovunque e sempre dalle condizioni storiche date. Non va dunque assolutamente conferito un peso particolare alle misure rivoluzionarie proposte alla fine della parte II. Oggi tale passo suonerebbe diversamente sotto molti aspetti. Questo programma è oggi parzialmente invecchiato rispetto all’immenso sviluppo della grande industria negli ultimi venticinque anni e al parallelo progresso dell’organizzazione di partito dei lavoratori, rispetto alle esperienze pratiche, dapprima della rivoluzione di febbraio e molto più ancora della Comune di Parigi, quando, per due mesi, il proletariato ha esercitato per la prima volta il potere politico. In particolare, la Comune ha dimostrato che «la classe operaia non può semplicemente prendere possesso dell’apparato statale così com’è e metterlo al servizio dei propri fini» (si veda La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, edizione tedesca, p. 19, dove tale concetto è ulteriormente sviluppato). È poi ovvio che la critica della letteratura socialista è oggi lacunosa, giacché arriva solo al 1847; così anche le osservazioni sulla posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti di opposizione (parte IV), seppure tuttora valide nelle linee generali, sono però invecchiate nella loro esposizione, se non altro perché la situazione politica è totalmente cambiata e lo sviluppo storico ha eliminato la maggior parte dei partiti colà citati.

Il Manifesto è tuttavia un documento storico che noi non abbiamo più il diritto di modificare. Una successiva edizione potrà forse uscire con un’introduzione che colmi la distanza che ci separa dal 1847; questa ristampa è giunta per noi troppo inattesa per lasciarcene il tempo.

Londra, 24 giugno 1872 - Karl Marx Friedrich Engels


Prefazione all'edizione russa del 1882

La prima edizione russa del Manifesto del Partito Comunista, tradotto da Bakunin, uscì poco dopo il 1860 dalla tipografia del Kolokol. In quell'epoca un'edizione russa del Manifesto aveva per l'Occidente tutt'al più l'importanza di una curiosità letteraria. Oggi non più. Quanto fosse angusta all'epoca della prima pubblicazione del Manifesto (gennaio 1848) la cerchia di diffusione del movimento proletario, lo mostra nel modo più chiaro l'ultimo capitolo: Posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti d'opposizione. Vi mancano soprattutto la Russia e gli Stati Uniti. Erano i tempi in cui la Russia costituiva l'ultima grande riserva della reazione europea e l'emigrazione negli Stati Uniti assorbiva le forze in soprannumero del proletariato europeo. Entrambi quei paesi rifornivano l'Europa di materie prime e servivano al tempo stesso di mercato per i suoi prodotti industriali. Così entrambi, in un modo o nell'altro, apparivano come colonne dell'ordine sociale esistente in Europa.

Come tutto ciò è oggi mutato! Proprio l'immigrazione europea ha reso possibile il colossale sviluppo dell'agricoltura nordamericana, che con la sua concorrenza scuote le basi della grande come della piccola proprietà terriera in Europa. Essa ha dato inoltre agli Stati Uniti la possibilità di intraprendere lo sfruttamento delle loro ricche risorse industriali, e con tale energia e in così vasta misura, che in breve tempo questo fatto porrà fine al monopolio industriale dell'Europa occidentale. E queste due circostanze reagiscono poi anche sull'America in senso rivoluzionario. La piccola e media proprietà fondiaria dei farmers, i quali coltivano essi stessi la loro terra, base di tutto l'ordinamento politico americano, soccombe sempre più alla concorrenza delle fattorie gigantesche, mentre nei distretti industriali si forma, per la prima volta, un proletariato numeroso accanto a una favolosa concentrazione dei capitali.

Passiamo alla Russia. All'epoca della rivoluzione del 1848-49, non solo i monarchi, ma anche i borghesi europei vedevano nell'intervento russo l'unica salvezza contro il proletariato, che proprio allora incominciava ad aver coscienza delle proprie forze. Essi proclamarono lo zar capo della reazione europea. Oggi egli se ne sta a Gatcina, prigioniero di guerra della rivoluzione, e la Russia forma l'avanguardia del movimento rivoluzionario in Europa.

Compito del Manifesto comunista fu la proclamazione dell'inevitabile e imminente fine dell'odierna proprietà borghese. Ma in Russia accanto all'ordinamento capitalistico, che febbrilmente si va sviluppando, e accanto alla proprietà fondiaria borghese, che si sta formando solo ora, troviamo oltre la metà del suolo in proprietà comune dei contadini.

Si affaccia ora il problema: la comunità rurale russa, questa forma in gran parte già disciolta, è vero, della originaria proprietà comune della terra, potrà essa passare direttamente a una più alta forma comunistica di proprietà terriera, o dovrà essa attraversare prima lo stesso processo di dissoluzione che trova la sua espressione nella evoluzione storica dell'occidente?

La sola risposta oggi possibile è questa: se la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si completino, allora l'odierna proprietà comune russa potrà servire di punto di partenza per una evoluzione comunista.

Londra, 21 gennaio 1882 - Karl Marx - Friedrich Engels


Prefazione all’edizione tedesca del 1883

La prefazione alla presente edizione devo purtroppo firmarla da solo. Marx – l’uomo cui l’intera classe operaia d’Europa e d’America deve più che a chiunque altro – Marx riposa nel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba cresce già la prima erba04. Dopo la sua morte non ha più alcun senso parlare di una rielaborazione o di un completamento del Manifesto. Tanto più necessario considero stabilire nuovamente ciò che segue.

Il pensiero di fondo che ricorre nel Manifesto – che la produzione economica e l’articolazione sociale che ne consegue necessariamente in ogni epoca costituisce il fondamento della storia politica e intellettuale di tale epoca; che quindi (dopo l’abolizione dell’arcaica proprietà comune della terra) tutta la storia è stata una storia di lotte di classe, lotte fra sfruttati e sfruttatori, classi oppresse e oppressive nei diversi stadi dello sviluppo sociale; che però oggi questa lotta ha raggiunto uno stadio in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non si può più liberare dalla classe che la sfrutta e opprime (la borghesia) senza insieme liberare per sempre l’intera società da sfruttamento, oppressione e lotte di classe – questo pensiero di fondo appartiene solo e unicamente a Marx05.

L’ho già affermato molte volte; tanto più oggi però conviene che questa affermazione stia qui come premessa al Manifesto stesso.

Londra, 28 giugno 1883 - Friedrich Engels


Prefazione06 all’edizione inglese del 1888

Il Manifesto venne pubblicato come piattaforma programmatica della "Lega dei comunisti", associazione di lavoratori dapprima esclusivamente tedesca, poi internazionale, e – date le condizioni politiche del Continente prima del 1848 – società inevitabilmente segreta. Nel corso di un congresso della Lega tenutosi a Londra nel novembre 1847, Marx ed Engels vennero incaricati di preparare per la pubblicazione un completo programma teorico e pratico di partito. Redatto in tedesco nel gennaio 1848, il manoscritto fu spedito in tipografia a Londra alcune settimane prima della rivoluzione francese del 24 febbraio. Una traduzione francese fu pubblicata a Parigi poco prima dell’insurrezione del giugno 1848, mentre la prima traduzione inglese, a opera di Helen Macfarlane, apparve a Londra sul "Red Republican" di George Julian Harney, nel 1850. Vennero pubblicate anche un’edizione danese e una polacca.

La sconfitta dell’insurrezione parigina del giugno 1848 – la prima grande battaglia tra proletariato e borghesia – spinse da capo in secondo piano, per un certo tempo, le aspirazioni sociali e politiche della classe operaia europea. Da allora in poi la lotta per la supremazia fu di nuovo, come lo era stata prima della rivoluzione di febbraio, soltanto tra gruppi diversi della classe possidente; la classe operaia fu costretta a battagliare per la propria libertà di manovra, e a ricoprire la posizione di ala estrema dei radicali del ceto medio. Ovunque i movimenti proletari indipendenti continuassero a manifestare segni di vita, essi venivano inesorabilmente perseguitati. Così la polizia prussiana scovò il comitato centrale della Lega comunista, stabilitasi allora a Colonia: i membri vennero arrestati e, dopo diciotto mesi di prigione, processati nell’ottobre del 1852. Questo famoso "processo comunista di Colonia" si protrasse dal 4 ottobre fino 12 novembre; a sette prigionieri furono comminate pene dai tre ai sei anni. Subito dopo la sentenza la Lega venne formalmente sciolta dai restanti membri. Per quanto riguarda il Manifesto, sembrava da allora in poi condannato all’oblio.

Allorché la classe operaia europea recuperò forza sufficiente per un altro attacco contro le classi dominanti, sorse l’Associazione Internazionale dei Lavoratori07. Tale associazione però, formata con lo scopo dichiarato di saldare in un unico corpo l’intero proletariato militante di Europa e America, non poté immediatamente proclamare i princìpi formulati nel Manifesto. L’Internazionale era tenuta a redigere un programma sufficientemente ampio da poter essere accettato dalle Trade Unions inglesi, dai seguaci di Proudhon in Francia, Belgio, Italia e Spagna, e dai lassalliani08 in Germania09. Marx, che stese tale programma per la soddisfazione di tutti i partiti, confidava interamente nello sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva di sicuro risultare dall’azione congiunta e dalla reciproca discussione. Gli stessi eventi e vicissitudini della lotta contro il Capitale, le sconfitte ancor più delle vittorie, non potevano fare a meno di persuadere gli uomini dell’insufficienza dei loro vari toccasana prediletti, e di preparare la strada per una più completa comprensione delle effettive condizioni atte a favorire l’emancipazione della classe operaia. E Marx aveva ragione. I lavoratori lasciati dall’Internazionale al suo scioglimento nel 1874 erano uomini alquanto differenti da quelli che essa aveva trovato nel 1864. Il proudhonismo in Francia, il lassallismo in Germania stavano scomparendo, e persino le conservatrici Trade Unions inglesi, sebbene molte di loro avessero da tempo troncato la loro relazione con l’Internazionale, stavano avanzando gradualmente verso il punto in cui, lo scorso anno a Swansea, il loro presidente poteva affermare nel loro nome «Il socialismo continentale non è più uno spauracchio per noi». In effetti i princìpi del Manifesto avevano registrato considerevoli progressi tra i lavoratori di tutti i paesi.

Lo stesso Manifesto tornò alla ribalta. Dal 1850 il testo tedesco è stato ristampato parecchie volte in Svizzera, Inghilterra e America. Nel 1872 è stato tradotto in inglese a New York e pubblicato sul "Woodhull and Claflin’s Weekly". Da questa versione inglese ne è stata tratta una francese sul "Le Socialiste" di New York. Da allora almeno due altre traduzioni inglesi, più o meno mutilate, sono state date alle stampe in America, e una di esse è stata ristampata in Inghilterra. La prima traduzione russa, eseguita da Bakunin10, è stata pubblicata nella tipografia del "Kolokol"11 di Herzen a Ginevra intorno al 1863; una seconda, ad opera dell’eroica Vera Zasulic è12, ancora a Ginevra, nel 1882. Una nuova edizione danese si trova sulla "Socialdemokratisk Bibliothek", Copenhagen 1885; una nuova traduzione francese sul "Le Socialiste", Parigi 1885. Da quest’ultima è stata preparata una versione spagnola, pubblicata a Madrid nel 1886. Non si possono contare le ristampe tedesche: ce ne sono state almeno dodici. Una traduzione armena, che doveva essere pubblicata a Costantinopoli alcuni mesi fa, non ha visto la luce – mi si dice – perché l’editore ha avuto paura di far uscire un libro con sopra il nome di Marx, e il traduttore si è rifiutato di farla apparire come una propria opera. Ho sentito di ulteriori traduzioni in altre lingue, ma non le ho vedute. La storia del Manifesto riflette così, in larga misura, la storia del movimento della moderna classe operaia; al momento è senza dubbio il prodotto più diffuso e più internazionale di tutta la letteratura socialista, la piattaforma comune riconosciuta da milioni di lavoratori dalla Siberia alla California.

Eppure, quando fu scritto, non avremmo potuto chiamarlo un "Manifesto socialista". Nel 1847 con "socialisti" si intendevano, da un lato, i seguaci dei vari sistemi utopici – gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, gli uni e gli altri già ridotti al rango di mere sette, e sulla via di una graduale estinzione –; dall’altro lato, i più svariati ciarlatani sociali che, con ogni sorta di rabberciamenti, dichiaravano di riparare, senza alcun pericolo per il capitale e per il profitto, ogni genere di ingiustizia sociale. In entrambi i casi si trattava di uomini esterni al movimento dei lavoratori, e che contavano anzi sull’appoggio delle classi "colte". Qualunque porzione della classe operaia si fosse convinta dell’insufficienza delle mere rivoluzioni politiche e proclamasse la necessità di un cambiamento sociale totale, era quella che si dichiarava "comunista". Era un tipo di comunismo appena abbozzato, grossolano, puramente istintivo; ciò nonostante toccava il punto cardinale ed era sufficientemente potente tra la classe operaia da produrre il comunismo utopistico, in Francia, di Cabet13, e di Weitling14 in Germania. Nel 1847 il socialismo era perciò un movimento della classe media15, mentre il comunismo un movimento della classe operaia. Il socialismo era, almeno nel Continente, "rispettabile"; il comunismo era l’esatto opposto. E poiché il nostro punto di vista, sin dall’inizio, era che «l’emancipazione della classe operaia deve essere un atto della classe operaia stessa», non ci poteva essere alcun dubbio su quale dei due nomi dovevamo assumere. Oltre a ciò, da allora ci siamo ben guardati dal ripudiarlo.

Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare che l’idea fondamentale, che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L’idea è che in ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio economici, e l’organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma la base su cui viene edificata, e da cui soltanto può essere spiegata, la storia politica e intellettuale di quell’epoca; che di conseguenza l’intera storia dell’umanità (dalla dissoluzione della società tribale primitiva, caratterizzata dal possesso comune delle terre) è stata una storia di lotte di classe, di conflitti tra classi sfruttatrici e sfruttate, dominanti e oppresse; che la storia di tali lotte di classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno d’oggi, si è raggiunto uno stadio dove la classe sfruttata e oppressa – il proletariato – non può conseguire la propria emancipazione dal dominio della classe sfruttatrice e dominante – la borghesia – senza, allo stesso tempo, e una volta per tutte, emancipare la società nel suo insieme da qualsiasi sfruttamento, oppressione, distinzioni di classe e lotte di classe.

A questa idea che, è mia opinione, è destinata a rappresentare per la storia ciò che la teoria di Darwin ha rappresentato per la biologia, ci eravamo gradualmente avvicinati, tutt’e due, alcuni anni prima del 1845. La misura in cui mi ci ero avvicinato io in maniera indipendente lo mostra nel modo migliore il mio scritto La condizione della classe operaia in Inghilterra16. Ma quando rividi Marx a Bruxelles nella primavera del 1845, egli l’aveva compiutamente elaborata, e me l’aveva esposta, in termini quasi altrettanto chiari di quelli che io ho usato qui.

Dalla nostra comune Prefazione all’edizione tedesca del 1872 riprendo quanto segue:

[...] 17

La presente traduzione è dovuta a Samuel Moore, il traduttore della maggior parte del Capitale di Marx. L’abbiamo rivista insieme, e ho aggiunto alcune note esplicative di carattere storico.

Londra, 30 gennaio 1888 - Friedrich Engels


Prefazione all'edizione tedesca del 1890

Da quando fu scritto quanto precede (I, III) si è resa nuovamente necessaria una nuova edizione tedesca del Manifesto; e il Manifesto ha anche avuto varie vicende che qui debbono essere ricordate.

Nel 1882 apparve a Ginevra una seconda traduzione russa, di Vera Sassulitsch; la prefazione ne era stata redatta da Marx e da me. Purtroppo si è smarrito il manoscritto originale in tedesco, e devo dunque ritradurre dal russo, del che il lavoro certo non si avvantaggerà.

[Segue la prefazione all'edizione russa del 1882]

Una nuova traduzione polacca apparve nella stessa epoca a Ginevra: Manifest Kommunistyczny.

Inoltre è apparsa una nuova tradizione danese, nella "Socialdemokratisk Bibliothek, Kjöbenhavn, 1835". Purtroppo non è del tutto completa; sono stati omessi alcuni passi d'importanza essenziale, che sembrano avere offerto difficoltà al traduttore; e anche per il resto si notano qua e là le tracce di un lavoro affrettato che qui colpiscono in maniera anche più sgradevole, perchè dal lavoro si capisce che il traduttore avrebbe potuto fare una cosa eccellente, se avesse usato un po' più di accuratezza.

Nel 1886 è apparsa una nuova traduzione francese in "Le Socialiste" di Parigi; è la migliore fra quelle uscite finora.

Dopo di essa fu pubblicata nello stesno anno, una traduzione spagnola, prima in "El Socialista" di Madrid, e poi in opuscolo: Manifiesto del Partido Comunista por Carlos Marx y F. Engels, Madrid, Administration de El Socialista, Hernan Cortés 8.

Come curiosità ricorderò anche che nel 1887 fu offerto a un editore di Costantinopoli il manoscritto di una traduzione armena; ma quel brav'uomo non ebbe il coraggio di stampare qualcosa che avesse in testa il nome di Marx, e opinò che era meglio che il traduttore stesso se ne dichiarasse autore; ma il traduttore rifiutò.

Dopo le molteplici ristampe fatte in Inghilterra dell'una o dell'altra delle traduzioni americane più o meno errate, vi apparve finalmente una traduzione autentica, nel 1888. E' del mio amico Samuel Moore e prima che si stampasse è stata riveduta ancora una volta da noi due insieme. Il titolo è: Manifest of the Communist Party, by Karl Marx and Frederick Engels, 1888, London, William Reeves, 185, Fleet St., E. C. Ho ripreso nell'edizione presente alcune note di questa edizione.

Il Manifesto ha avuto le sue proprie vicende. Salutato entusiasticamente (come dimostrano le traduzioni elencate nella prima prefazione) al momento della pubblicazione, dall'avanguardia del socialismo scientifico, allora poco numerosa, venne presto ricacciato indietro dalla reazione iniziatasi con la sconfitta degli operai parigini nel giugno 1848, e infine messo al bando "a' sensi della legge" dalla condanna dei comunisti di Colonia nel novembre 1852. Con la scomparsa dalla pubblica scena del movimento operaio che data dalla rivoluzione di febbraio, anche il Manifesto passò nello sfondo.

Quando la classe operaia europea si fu di nuovo rafforzata per un nuovo assalto contro la potenza della classe dominante, sorse l'Associazione Internazionale degli Operai, che aveva lo scopo di fondere in un unico grande esercito tutti gli operai combattivi d'Europa e d'America, e perciò non poteva partire dai principi esposti nel Manifesto. Essa doveva avere un programma che non chiudesse la porta alle Trade Unions inglesi, ai proudhoniani francesi, belgi, italiani e spagnoli, ai lassalliani tedeschi [*2]. Questo programma - i "considerando" degli statuti dell'Internazionale - venne abbozzato da Marx con una maestria che fu riconosciuta persino da Bakunin e dagli anarchici. Per la vittoria finale delle tesi proposte nel Manifesto, Marx confidava esclusivamente ed unicamente in quello sviluppo intellettuale della classe operaia, che non poteva non derivare dall'azione in comune e dalla discussione. Gli eventi e le alterne vicende della lotta contro il capitale, le sconfitte ancor più dei successi, non potevano non chiarire a chi lottava l'insufficienza delle panacee fino ad allora usate e non rendere le loro teste più accessibili a una comprensione profonda delle vere condizioni dell'emancipazione operaia. E Marx aveva ragione. La classe operaia del 1874, al momento dello scioglimento dell'Internazionale, era totalmente differente da quella del 1864, anno della sua fondazione. Il proudhonismo dei paesi latini, il lassallianesimo, specifico della Germania, erano in agonia, e perfino le Trade Unions inglesi, allora del tutto conservatrici, s'avvicinavano a poco a poco al momento (1887) nel quale il presidente del loro congresso a Swansea avrebbe potuto dire in loro nome: "Il socialismo continentale non ci fa più spavento". Il socialismo continentale, però, era già nel 1887 quasi soltanto la teoria proclamata nel Manifesto. Così la storia di quest'ultimo rispecchia fino a un certo punto la storia del movimento operaio moderno dal 1848 in poi. Oggi il Manifesto è indubbiamente il prodotto più largamente diffuso, più internazionale di tutta quanta la letteratura socialista, il programma comune di molti milioni di lavoratori di tutti i paesi, dalla Siberia alla California.

Eppure, quando fu pubblicato, non l'avremmo potuto chiamare Manifesto socialista. Nel 1847 con la parola socialisti s'intendevano due tipi di persone. Da una parte i seguaci dei vari sistemi utopistici, specialmente gli owenisti in Inghilterra e i fourieristi in Francia, che già allora s'erano rinsecchiti in pure e semplici sette che si estinguevano a poco a poco; dall'altra parte i molteplici ciarlatani sociali che volevano eliminare, con le loro varie panacee e con ogni sorta di toppe, gli inconvenienti sociali, senza fare il più piccolo male né al capitale né al profitto. In entrambi i casi gente che stava fuori del movimento operaio e cercava anzi appoggio fra le classi "colte". Invece, quella parte degli operai che, convinta dell'insufficienza d'una rivoluzione puramente politica, esigeva una trasformazione a fondo della società, quella parte di operai si dava allora il nome di comunista. Era un comunismo di prima lavorazione, soltanto istintivo, spesso un pò rozzo: ma aveva la forza sufficiente per generare due sistemi di comunismo utopistico, in Francia quello "icarico" del Cabet, in Germania quello del Weitling. Nel 1847 socialismo significava un movimento di borghesi, comunismo con movimento di operai. Il socialismo, per lo meno nel continente, era ammesso nella "buona società", il comunismo proprio il contrario. E poiché noi avevamo già allora, e molto decisa, la convinzione che l'"emancipazione degli operai dev'essere opera della classe operaia stessa", non potevamo dubitare neppure un istante quale dei due nomi scegliere. E anche dopo non ci è mai venuto in mente di respingerlo.

"Proletari di tutto il mondo, Unitevi!" Solo poche voci risposero quando, sono ormai quarantadue anni, noi lanciammo nel mondo queste parole, alla vigilia della prima rivoluzione di Parigi che abbia visto il proletariato avanzare rivendicazioni proprie. Ma proletari della maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale si riunirono il 28 settembre 1864 nella Associazione Internazionale degli Operai di gloriosa memoria. Certo, l'Internazionale, stessa è vissuta solo nove anni. Ma proprio la giornata di oggi è il miglior testimone del fatto che la lega eterna dei proletari di tutto il mondo fondata dall'Internazionale vive ancora, e vive più forte che mai. Poichè oggi, mentre scrivo queste righe, il proletariato d'Europa e d'America passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito, sotto una sola bandiera, per un solo fine prossimo: la giornata lavorativa normale di otto ore, proclamata già dal congresso di Ginevra dell'Internazionale nel 1866, e di nuovo dal congresso operaio di Parigi nel 1889, da introdursi per legge. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti e ai proprietari terrieri di tutti i paesi sul fatto che oggi i proletari di tutti i paesi si sono effettivamente uniti. Fosse Marx ancora accanto a me, a vederlo coi suoi occhi! [1].

Londra, il 1° maggio 1890 - F. Engels 

Note

*2. Il Lassalle, personalmente, di fronte a noi si dichiarò sempre "scolaro" di Marx, ed è ovvio che come tale stesse sul terreno del Manifesto. Diversamente quelli fra i suoi seguaci che non sono mai andati al di là della sua rivendicazione di cooperative di produzione con crediti da parte dello stato, e che hanno diviso tutta la classe operaia in due gruppi: coloro che richiedono l'aiuto dello stato e coloro che intendono aiutarsi da sé.

1.Questa traduzione è quasi identica a quella per la traduzione inglese del 1888, che quindi non riportiamo.


Prefazione all'edizione polacca del 1892

Il fatto che si sia resa necessaria una nuova edizione polacca del Manifesto comunista dà luogo a diverse considerazioni.

Va osservato anzitutto che il Manifesto è ridiventato in certo modo la misura dello sviluppo della grande industria nel continente europeo. Nella stessa misura in cui si estende in un paese la grande industria, cresce anche fra gli operai dello stesso paese il desiderio di essere illuminati sulla loro posizione, quale classe operaia, di fronte alle classi possidenti, si diffonde tra di loro il movimento socialista e aumenta la richiesta del Manifesto. Cosicché in ogni paese si può misurare con una certa precisione non solo lo stato del movimento operaio ma anche il grado di sviluppo della grande industria in base al numero degli esemplari del Manifesto diffusi nella lingua nazionale.

Da questo punto di vista la nuova edizione polacca denota un certo progresso dell'industria polacca. E non vi può essere alcun dubbio che questo progresso, a datare dall'ultima edizione apparsa dieci anni fa, abbia realmente avuto luogo. La Polonia russa, la Polonia del Congresso è diventata il grande distretto industriale dell'impero russo. Mentre la grande industria russa è sparsa sporadicamente - parte sul golfo finnico, parte al centro (Mosca e Wladimir), parte sul mar Nero e sul mare d'Asov, parte dispersa altrove - l'industria polacca è ammassata in uno spazio relativamente piccolo, e gode dei vantaggi e degli svantaggi derivanti da questa concentrazione. I vantaggi li riconobbero i fabbricanti russi in concorrenza, allorché chiesero dazi protettivi contro la Polonia, malgrado il loro ardente desiderio di trasformare i polacchi in russi. Gli svantaggi - per i fabbricanti polacchi e per il governo russo - si manifestano nella rapida diffusione fra gli operai polacchi delle idee socialiste, e nella crescente richiesta del Manifesto.

Il rapido sviluppo dell'industria polacca la quale ha superato quella russa, è però a sua volta una nuova prova dell'indistruttibile forza vitale del popolo polacco e una nuova garanzia della sua prossima ricostituzione nazionale. Ma la ricostituzione di una Polonia indipendente e forte è cosa che non riguarda solo i polacchi ma noi tutti. Una collaborazione internazionale sincera fra le nazioni europee è possibile soltanto se ognuna di queste nazioni è del tutto autonoma nel proprio paese. La rivoluzione del 1848, che, sotto bandiera proletaria, fece infine fare ai combattenti proletari solo il lavoro della borghesia, impose anche per mezzo dei suoi esecutori testamentari Luigi Bonaparte e Bismarck l'indipendenza dell'Italia, della Germania e dell'Ungheria; ma la Polonia, che dal 1792 in poi ha fatto per la rivoluzione più che non queste tre nazioni insieme, fu abbandonata a se stessa, allorché nel 1863 soccombette alle forze russe dieci volte superiori. La nobiltà non ha saputo né conservare né riconquistare l'indipendenza polacca; alla borghesia essa è oggi, a dir poco, indifferente. Eppure quest'indipendenza è una necessità per la collaborazione armonica delle nazioni europee. Essa potrà essere conquistata solo dal giovane proletariato polacco, e nelle sue mani è bene affidata. Poiché gli operai di tutto il resto d'Europa hanno bisogno dell'indipendenza della Polonia quanto gli stessi operai polacchi.

Londra, 10 febbraio 1892 - F. Engels


Prefazione all'edizione italiana del 1893

Al lettore italiano18

Si può dire che la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista coincise esattamente con il 18 marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino, che rappresentarono la sollevazione delle due nazioni situate al centro, l’una del continente europeo, l’altra del Mare Mediterraneo; due nazioni fino a quel momento indebolite dalla frammentazione territoriale e dalle diatribe interne, e di fatto assoggettate al dominio straniero. Mentre l’Italia era soggetta all’imperatore d’Austria, la Germania doveva sopportare, pur se non altrettanto direttamente, il non meno efficace giogo dello zar di tutte le Russie. Il risultato del 18 marzo 1848 fu di liberare Italia e Germania da tale oltraggio; se tra il 1848 e il 1871 queste due grandi nazioni furono ricostruite e in un certo senso restituite a se stesse, ciò accadde, come disse Marx, perché gli stessi uomini che avevano represso la rivoluzione del 1848 ne divennero poi gli involontari esecutori testamentari.

Questa rivoluzione fu fatta dovunque dalla classe operaia; fu la classe operaia a erigere le barricate e a rischiare la vita. Solo gli operai di Parigi avevano l’intento esplicito di abbattere il dominio della borghesia, quando fecero cadere il governo. Ma per quanto fossero anche coscienti dell’ineluttabile antagonismo fra la loro classe e la borghesia, né lo sviluppo economico del paese né lo sviluppo della coscienza delle masse operaie francesi avevano raggiunto quella misura che avrebbe permesso una ricostruzione della società. I frutti della rivoluzione furono quindi in ultima analisi raccolti dalla classe capitalistica. Negli altri paesi, in Italia, in Germania, in Austria, i lavoratori non fecero in fondo altro che portare la borghesia al potere. Ma in nessun paese il dominio della borghesia è possibile senza l’indipendenza nazionale. Sicché la rivoluzione del 1848 doveva comportare l’unità e l’indipendenza di quelle nazioni in cui era scoppiata: Italia, Germania, Ungheria; la Polonia seguirà a suo tempo.

Se dunque la rivoluzione del 1848 non fu una rivoluzione socialista, nondimeno essa le aprì la strada e le preparò il terreno. Grazie all’impulso che il regime borghese ha dato in tutti i paesi alla grande industria, in questi ultimi 45 anni esso ha creato dovunque un proletariato numeroso, coeso e forte; in tal modo il regime borghese, per usare un’espressione del Manifesto, ha prodotto i suoi stessi becchini. Senza la ricostituzione dell’indipendenza e dell’unità di ogni nazione non si sarebbe potuta compiere né l’unificazione internazionale del proletariato né la pacifica, intelligente collaborazione di queste nazioni per raggiungere obiettivi comuni. Si provi solo a immaginare una comune iniziativa internazionale dei lavoratori italiani, ungheresi, tedeschi, polacchi, russi nelle condizioni politiche di prima del 1848!

Sicché le battaglie del 1848 non furono inutili; e anche i 45 anni che ci separano da quella tappa rivoluzionaria non sono trascorsi vanamente. I frutti maturano, e tutto ciò che mi auguro è che la pubblicazione di questa traduzione italiana sia un buon viatico per la vittoria del proletariato italiano, così come la pubblicazione dell’originale lo è stata per la rivoluzione internazionale.

Il Manifesto riconosce appieno il ruolo rivoluzionario giocato nel passato dal capitalismo. La prima nazione capitalistica è stata l’Italia. La conclusione del Medioevo feudale e l’inizio della moderna era capitalistica sono segnate da una figura grandiosa : è un italiano, Dante, l’ultimo poeta medievale e insieme il primo poeta della modernità. Come nel 1300, una nuova era è oggi in marcia. Sarà l’Italia a darci un nuovo Dante, che annuncerà la nascita di questa nuova era, l’era proletaria?

Londra, 1° febbraio 1893 - Friedrich Engels


Note

01 (torna) Dopo il suo arrivo a Parigi, la prima grande tappa della sua lunga esistenza di emigrante forzoso, alla fine di ottobre 1843, Marx entrò in contatto con la Lega dei Giusti (Bund der Gerechten), una società segreta di operai e artigiani, per lo più emigrati tedeschi, fondata nel 1836 come ramo della più antica Lega dei Proscritti (Bund der Geächteten), obbiettivo della quale era di instaurare una "repubblica sociale" in Germania. Benché intimo di alcuni suoi dirigenti, come Ewerbeck o Germain Maurer, Marx non si unì alla Lega durante la sua permanenza a Parigi. Nel novembre del 1846 il comitato centrale della Lega dei Giusti, che fino ad allora aveva mantenuto la propria sede a Parigi, fu trasferito a Londra. Marx, residente in quel momento a Bruxelles – la seconda grande tappa del suo esilio – in seguito alla sua espulsione dalla Francia da parte di Guizot, entrò formalmente nella Lega, così come Engels, nella primavera del 1847. Dal 2 al 9 giugno dello stesso anno ebbe luogo a Londra il primo congresso della Lega dei Giusti, nel corso del quale si decise di cambiare nome in "Lega dei comunisti" (Bund der Kommunisten) e di pubblicare un periodico – Kommunistische Zeitschrift –, del quale un solo numero arrivò a veder la luce. A differenza di Engels, che assistette in rappresentanza dei comunisti parigini, e di Wolff, che lo fece come delegato dei comunisti di Bruxelles, Marx non partecipò – per ragioni economiche, a quanto pare – a questo congresso. Intervenne invece al secondo, celebrato parimenti a Londra tra novembre e dicembre del 1847, nel quale si fissarono come obbiettivi centrali della Lega dei comunisti «l’abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato, l’abolizione della vecchia società borghese, basata sull’antagonismo di classe, e la fondazione di una società nuova, senza classi e senza proprietà privata», e si stilarono i suoi nuovi statuti. Al termine del congresso Marx ed Engels ricevettero l’incarico di redigere, nel più breve tempo possibile, un manifesto inteso a far conoscere gli obbiettivi e le tesi della Lega: il Manifesto del Partito Comunista.


02 (torna) Si intende la rivoluzione del febbraio 1848 in Francia.


03 (torna) Caratterizzata da Engels come «la prima grande battaglia tra proletariato e borghesia», l’insurrezione degli operai parigini ebbe luogo tra il 24 e il 26 giugno 1848. Fu duramente repressa dal ministro della guerra Cavaignac.


04 (torna) Karl Marx morì il 14 marzo del 1883 a Londra, e tre giorni dopo venne sepolto nel cimitero di Highgate, nella stessa città.


05 (torna) Nell’edizione tedesca del 1890 Engels introduce qui una nota, riprendendo letteralmente e per intero il capoverso della Prefazione all’edizione inglese del 1888 che comincia con le parole «A questa idea...» (cfr. infra, p. 197).


06 (torna) Questa Prefazione, scritta da Engels direttamente in inglese, è stata tradotta in italiano dall’originale.


07 (torna) L’Associazione Internazionale dei Lavoratori venne fondata a Londra nel 1864, con la partecipazione dei sindacati operai britannici e francesi, e di alcuni esuli di varie parti d’Europa allora stabiliti a Londra, come Marx ed Engels, che vi svolsero sin dal principio un ruolo direttivo essenziale. Pur cominciando come movimento dei sindacati operai, non smise di avere, fin dal primo momento, un interesse e un significato politici. Marx pronunciò l’allocuzione inaugurale e redasse i suoi statuti: con stile conciso e sintetico propose come compito dell’Internazionale la lotta volta al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai mediante i metodi sindacali e l’agitazione in favore di leggi come quelle che avevano condotto a una riduzione della giornata lavorativa. Tutto ciò senza rinunciare all’impegno volto a organizzare un partito operaio teso a conquistare il potere politico. Nella conferenza inaugurale della Associazione Internazionale dei Lavoratori erano rappresentate quattro nazioni (Gran Bretagna, Francia, Belgio e Svizzera), oltre a quelle rappresentate nominalmente dagli esuli residenti a Londra. L’Associazione generale degli operai tedeschi di Ferdinand Lassalle non fu invitata. Il Consiglio Generale si stabilì a Londra. L’Associazione Internazionale dei Lavoratori, che cessò di esistere nel 1876, nei suoi ultimi anni costituì lo scenario di un duro dibattito tra i seguaci di Marx e quelli di Bakunin.


08 (torna) Ferdinand Lassalle (1825-1864), ebreo della Slesia, nato a Breslavia, è una figura centrale del socialismo tedesco e, di fatto, il creatore nel maggio 1863 del primo importante movimento socialista in Germania, l’Associazione generale degli operai tedeschi (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein). Quantunque si riferisse in qualche occasione a Marx come suo maestro, le sue relazioni con gli autori del Manifesto non furono facili. Tale tensione si tradusse in una contrapposizione tra i due rami del socialismo tedesco, il gruppo di Wilhelm Liebknecht e August Friedrich Bebel, appoggiato da Marx ed Engels e dall’Internazionale, e i lassalliani. I due rami finirono ad ogni modo per unirsi nel 1875, in un congresso di unificazione celebrato a Gotha, durante il quale nacque un unico Partito socialdemocratico tedesco. Marx elaborò una relazione riguardante il programma originario di questo partito, successivamente pubblicata da Engels col titolo Critica del programma di Gotha, in cui impostava di nuovo le differenze principali che lo avevano separato da Lassalle nel corso degli anni Sessanta dell’Ottocento. Questa relazione esercitò grande influenza in certi ambienti "marxisti-leninisti", dopo la grande scissione nella socialdemocrazia classica che aprì la Rivoluzione bolscevica del 1917.


09 (torna) Lassalle ammise sempre di persona, davanti a noi, di essere un discepolo di Marx, e come tale aderì alle tesi esposte nel Manifesto. Tuttavia, nel corso della sua agitazione pubblica del 1862-64 non andò più in là della richiesta di officine cooperative sostenute dal credito statale.

[Nota di Engels]


10 (torna) Michail Aleksandrovi è Bakunin (1814-1876), figlio di un aristocratico e possidente russo di idee liberali moderate, è una delle figure fondamentali e di più chiara fama dell’anarchismo moderno. Conobbe Proudhon, del quale subì un notevole influsso, e Marx, i cui meriti non negò mai, sebbene non mancò di confrontarsi duramente con lui all’interno della Associazione Internazionale dei Lavoratori, dalla quale fu espulso nel 1872. Prese parte ai movimenti rivoluzionari del 1848, in seguito ai quali passò sette anni in una prigione russa. Tentò di ottenere clemenza dallo zar, indirizzandogli una famosa "confessione" di tono panslavista in cui ripudiava il suo passato rivoluzionario relativamente alla Russia, atto che è stato inevitabilmente oggetto di interpretazioni di segno opposto. Dopo vari anni di confino in Siberia, fuggì in Europa occidentale attraverso il Giappone e gli Stati Uniti, stabilendosi inizialmente nel Regno delle Due Sicilie. Fondò una Lega per la Pace e la Libertà, della quale perse subito il controllo, fondando poi la Alleanza della Democrazia Socialista. In seguito alla sua espulsione dalla Associazione Internazionale dei Lavoratori cercò di organizzare una nuova Internazionale anarchica segreta. Dopo il fallimento dell’insurrezione di Bologna, e a causa delle sue condizioni di salute, si ritirò, fino alla morte, da tutta l’attività politica attiva. Grande fautore della libertà, la sua ostilità verso lo Stato, la Chiesa e lo stesso Dio, così come le sue idee anarchiche e federaliste, esercitarono una notevole influenza negli ambienti socialisti libertari e antimarxisti della fine del secolo XIX e dei primi decenni del XX. Pëtr Alekseevi è Kropotkin, autore di una teoria sistematica dell’anarco-comunismo, ha in lui una delle fonti principali.


11 (torna) Rivista rivoluzionaria russa ("La Campana"), pubblicata, sotto il motto di Vivos voco, da A.I. Herzen e N.P. Ogarëv, dapprima a Londra (1857-65) e poi a Ginevra (1865-67). Con i suoi 243 numeri in russo e 15 in francese svolse un ruolo importante per la diffusione del movimento rivoluzionario in Russia.


12 (torna) Nella postfazione, redatta nel 1894, a uno scritto sulla questione sociale in Russia, Engels cita invece il teorico marxista russo Georgij Valentinovi è Plechanov come autore di questa traduzione. Nell’edizione russa del Manifesto del 1900 lo stesso Plechanov si aggiudica tale paternità.


13 (torna) Étienne Cabet (1788-1856), giurista e pubblicista repubblicano francese cui conferì non poca fama il romanzo utopico pubblicato nel 1840 Voyage en Icarie, grazie al quale è passato alla storia del pensiero utopistico, nel suo versante comunista. Alla vigilia della rivoluzione del febbraio 1848 organizzò una spedizione allo scopo di fondare negli Stati Uniti una colonia di "Icariani". Confidava di poter realizzare il suo sogno utopico nel seno stesso di un ordinamento sociale capitalistico, edificando sul suolo americano la Nuova Gerusalemme. A tal fine si rivolse non solo ai circoli borghesi "illuminati", ma anche, benché con scarso successo, a varie organizzazioni operaie, tra le quali la Associazione comunista di cultura operaia di Londra, i cui membri di spicco (Bauer, Moll, Schapper, Lessner, ecc.) svolsero un ruolo non di secondo piano nelle creazione della Lega dei comunisti. In capo a qualche anno diversi Icariani partiti alla volta dell’utopia tornarono, disingannati, al vecchio mondo e alle sue lotte.


14 (torna) Wilhelm Weitling (1808-1871), sarto tedesco, incluso da Marx ed Engels – sebbene non giungessero a citarlo espressamente nel Manifesto – nel gruppo dei "comunisti egualitari" dominato dalle idee di Babeuf. Il passo del Manifesto in cui si parla del sottoproletariato può anche essere interpretato come una velata allusione a Weitling, tant’è vero che sia questi che Bakunin vedevano nel Lumpenproletariat l’elemento più leale e sicuro della rivoluzione. Weitling non ammetteva la necessità, nel cammino verso il comunismo, di un periodo di transizione nel quale la borghesia agisca come classe dirigente, cosa che lo distanziò da Marx. Secondo lui, il modo migliore per instaurare un diverso ordine sociale consisteva nel portare il disordine sociale esistente a un livello tale da far esaurire la pazienza del popolo. Benché Marx salutasse con entusiasmo l’apparizione, nel 1842, del libro di Weitling Garanzie dell’armonia e della libertà, ruppe definitivamente con lui il 30 marzo 1846, quasi un anno prima della fondazione della Lega dei comunisti.


15 (torna) Nel senso di "piccola borghesia".


16 (torna) The Condition of the Working Class in England in 1844, di Friedrich Engels, tradotto da Florence Kelley Wischnewetzky, New York, Lovell – London, W. Reeves, 1888.

[Nota di Engels]


17 (torna) Cfr. retro, dal capoverso che inizia con le parole «Per quanto la situazione...», fino alla prima frase del capoverso successivo, che termina con le parole «... diritto di modificare».


18 (torna) Questa Prefazione, scritta in francese da Engels dietro richiesta di Filippo Turati – che la tradusse e vi appose il titolo –, apparve per la prima volta nell’edizione italiana del Manifesto tradotta da Pompeo Bettini (Uffici della "Critica sociale", Tipografia degli Operai, Milano 1893). Qui è stata ritradotta a partire dall’originale francese.