IL GIOVANE MARX

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


IL GIOVANE MARX

Nei numeri 191, 193 e 195 della Rheinische Zeitung del luglio 1842, Marx delinea in maniera sufficientemente chiara quale doveva essere il rapporto tra religione e politica. (Cfr Marx-Engels, Scritti sulla religione, ed. Garzanti)

Il giovane Marx pose le basi del proprio laicismo nella convinzione che una critica della religione (intesa quest'ultima come forma di gestione politica del potere), sarebbe stata il presupposto di ogni critica in generale e quindi del superamento dello Stato confessionale e della chiesa di stato.

Nella Rheinische Zeitung egli attacca l'autore dell'articolo di fondo del n. 179 della Gazzetta di Colonia: è lo scontro tra un sostenitore del cristianesimo di stato e un sostenitore della libertà di coscienza.

Le dimostrazioni argomentate da Marx a sostegno della separazione di religione e politica sono molteplici:

  1. i limiti della ricerca scientifica devono essere stabiliti dalla stessa scienza e non dalla religione (posizione un po' ingenua di Marx, che ancora qui non ha colto il nesso tra ricerca scientifici e interessi economici, ovvero la subordinazione di quella a questi);
  2. non è stato il decadere delle antiche religioni (del mondo greco-romano) a far crollare gli Stati - dice Marx -, ma al contrario, è stato il decadere degli antichi Stati a far crollare le antiche religioni (posizione un po' semplicistica di Marx, che ancora non ha qui chiara la distinzione tra società civile e Stato; è infatti dal declino della società civile, ovvero dall'acuirsi delle contraddizioni socioeconomiche, dalla polarizzazione degli interessi di classe che, contemporaneamente, si è verificato sia il declino dello Stato che quello della cultura dominante);
  3. Marx rifiuta decisamente il concetto di "Stato cristiano", che va sostituito con quello di "Stato democratico" (di tutti i cittadini), capace di prescindere dalle opinioni in materia di religione e capace di fondare "la libera comunità di uomini morali".
    Ancora Marx non è arrivato a contrapporre società a Stato, ancora non è arrivato a capire che lo Stato è un'espressione coercitiva delle classi dominanti della società, sia lo Stato di tipo religioso o laico.
  4. Marx contrappone il matrimonio civile, quello che solo lo Stato dovrebbe poter riconoscere, al matrimonio ecclesiastico, quello che lo Stato è tenuto a riconoscere in quanto consacrato (autorizzato) dalla chiesa.
    Ancora Marx non può immaginare che anche il matrimonio civile è una convenzione giuridica e che la realtà più significativa nel rapporto tra i sessi sono le unioni di fatto, nonché la tutela prioritaria della parte più debole della società, cioè il riconoscimento di più ampi diritti a chi ha meno possibilità;
  5. Marx rifiuta l'idea che lo Stato debba essere uno strumento amministrativo attraverso cui la chiesa fa passare la propria educazione religiosa. E afferma l'idea che la vera educazione "pubblica" dello Stato è l'essenza razionale e pubblica dello Stato stesso, che ha il compito di trasformare i fini dei singoli in fini generali.
    Marx ha ancora una concezione idealistica dello Stato, qui investito di compiti "etici", quando invece anche uno Stato del genere è non meno coercitivo dello Stato confessionale.
    Marx è qui ancora fermo a una mera contrapposizione di principi politici, fra loro antitetici, nessuno dei quali però mette in discussione la forma delle strutture istituzionali, l'organizzazione generale del sistema sociale.
    Gli sfugge in sostanza che il nesso di "pubblico" e "statale" è del tutto artificioso e non è affatto un indice, di per sé, della democratizzazione della vita sociale.
  6. Netta la critica alle astrattezze della filosofia idealistica tedesca. Tuttavia Marx è convinto che la filosofia possa riacquistare credibilità affrontando le tematiche del mondo contemporaneo. Non solo, ma ritiene che la filosofia possa svolgere un efficace lavoro di laicizzazione umanistica della cultura dominante, contro le pretese integralistiche della religione. Marx non ha ancora posto il nesso tra filosofia e proletariato, cioè il fatto che la realizzazione degli obiettivi politici del proletariato porrà fine alla filosofia.
  7. Marx chiede alla chiesa (protestante prussiana) di concepirsi in maniera separata dallo Stato. "Se voi fate della religione la teoria del diritto pubblico, allora fate della religione stessa una specie di filosofia". Cioè egli chiede alla religione di restare "teologia" e di non trasformarsi in "filosofia".
    Se il cristianesimo si sentisse "altro", rispetto alle scienze e alla filosofia, ma anche al diritto e alla politica, non vi sarebbe uno "Stato cristiano" -dice Marx-, come non lo volevano i Padri della chiesa. Invece da secoli il cristianesimo, da quando s'è compromesso col potere politico istituzionale, non è più lo stesso, ha perso la propria identità.
    In tal senso Marx plaude al pontificato di Roma che rifiutò di aderire alla Santa Alleanza, in quanto "l'unione universale cristiana di tutti i popoli è la chiesa - dice Marx - e non la diplomazia, non l'alleanza mondana degli Stati".
    "Il vero Stato religioso è quello teocratico", afferma Marx. Là dove non esiste una "chiesa infallibile", una "chiesa con un capo supremo" (come nel cattolicesimo romano), "il dominio della religione non è altro che la religione del dominio, il culto della volontà del governo". Cioè secondo Marx il protestantesimo rende abusivamente "cristiano" lo Stato e, di conseguenza, fa dello Stato uno strumento ideologico coercitivo nelle mani del cristianesimo.
    Marx sembra qui preferire la esplicita teocrazia cattolica alla implicita confessionalizzazione dello Stato moderno. Secondo lui i cattolici affermano meglio dei protestanti il principio di separazione tra Stato e chiesa.
    Marx non aveva ancora capito bene che, nel mondo cattolico, la chiesa è così politicizzata che lo Stato altro non è se non il proprio "braccio secolare". Egli non s'è accorto che lo Stato protestante era più laico della teocrazia cattolico-romana, anche se non gli era sfuggito che quando i protestanti lottavano contro i cattolici, agli inizi del Cinquecento, non lo facevano in nome di uno Stato confessionale.
  8. Per il giovane Marx lo Stato avrebbe dovuto essere aconfessionale, pluralista, aperto a qualunque religione che rispetti l'autonomia delle istituzioni civili. All'aggettivo "cristiano" andava contrapposto l'aggettivo "umano". Filosofia, umanesimo, democrazia, separazione tra chiesa e Stato (laicità) sono concetti equivalenti per Marx, sin dai primissimi tempi della sua attività giornalistica. La democraticità di uno Stato o di una costituzione va analizzata, tutelata e favorita dal punto di vista dell'umano non tanto del cristiano, proprio perché di fronte allo Stato tutte le religioni sono uguali.
    Anche perché - precisa Marx, rifacendosi alle fonti neotestamentarie - il cristiano è tenuto a considerare come "mandata da dio" ogni autorità terrena.
  9. Marx considera lo Stato bizantino, sotto questo aspetto, come il "peggiore" degli Stati, proprio perché facendo propri i problemi ecclesiastici, esso evitava accuratamente di tenersi separato dalla chiesa.
    In realtà Marx qui non s'accorge che nell'epoca medievale lo Stato bizantino era molto più tollerante di quello franco di Carlo Magno e dei sovrani tedeschi (Svevi, Ottoni...), e molto più democratico delle pretese integralistiche della chiesa romana, che non voleva riconoscere al basileus prima e all'imperatore d'occidente dopo alcuna vera autonomia politica.
  10. Marx crede ancora ingenuamente alla possibilità di uno Stato democratico in nome della laicità e della separazione dalla chiesa. Ancora non è arrivato a considerarlo come una mera sovrastruttura della società civile, come uno strumento di oppressione e di dominio da parte della classe dominante. Lo farà però dopo essere stato espulso dalla Prussia.

* * *

Già emigrato a Parigi (e forse proprio a causa del suo interesse per il socialismo francese), Marx aveva chiarissima l'idea -a differenza di Bauer e degli altri giovani hegeliani di sinistra- che tutta l'emancipazione politica affermata dalla rivoluzione francese (culminata nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo) non aveva minimamente toccato il problema dell'emancipazione sociale dei lavoratori e dei cittadini in genere.

Tuttavia il socialismo utopistico anglo-francese era arrivato alla medesima conclusione molto prima di lui. L'arretratezza della filosofia tedesca, nonostante l'acume di Hegel, Marx, Engels ecc., era appunto da attribuirsi alla scarsa consapevolezza politico-democratica dei prussiani in generale, i quali erano convinti d'aver dato il massimo contributo alla storia dell'emancipazione umana con la riforma protestante prima e con la filosofia idealistica dopo.

Oggi infatti dovremmo studiare molto di più le realizzazioni teorico-pratiche del socialismo utopistico europeo, che non le astrattezze della filosofia cattolica, aristocratica e borghese, poiché, senza di esso, non sarebbe potuto nascere il socialismo scientifico di Marx ed Engels.

SIngolare inoltre resta il fatto che mentre Marx discuteva con Bauer della "questione ebraica", Engels aveva già capito che i problemi principali della società moderna erano quelli di natura economica, elaborando per primo i Lineamenti di una critica dell'economia politica.

Ancora più singolare è il fatto che Marx, dopo aver polemizzato a sufficienza con Bauer, dopo aver capito, attraverso Hess e soprattutto Engels, che il problema principale era quello economico, si sia messo a polemizzare nuovamente, e in maniera pedissequa, con Bauer e gli altri esponenti della Sinistra hegeliana nel volume, mai pubblicato, della Sacra famiglia, cui Engels collaborò certo malvolentieri.

A Marx era mancata, in sostanza, la capacità di coinvolgersi personalmente col movimento socialista francese. Se l'avesse fatto non solo avrebbe saputo approfondire immediatamente le idee di Engels (cosa che poi farà nei Manoscritti del '44 e soprattutto in Miseria della filosofia), ma avrebbe anche cominciato ad affrontare sul piano pratico una disciplina ancora più importante dell'economia, e cioè la politica.

Il giovane Marx era ancora convinto che per contribuire al mutamento generale della società borghese (e, come quella prussiana, tardo-feudale), fosse sufficiente criticare in maniera radicale (alla stregua di Bakunin) tutto l'esistente, a partire -appunto come lui fece- dalla filosofia hegeliana del diritto. In tal senso, la differenza dalla posizione di Bauer consisteva unicamente nel fatto che la critica di quest'ultimo non era sufficientemente radicale (si trattava ancora di uno scontro tra filosofie opposte), in quanto ferma al rapporto ateismo-religione.

Negli anni 1842-43, in qualità di redattore della Rheinische Zeitung, egli aveva cominciato a interessarsi dei problemi economici della Prussia, proprio partendo dalla situazione dei contadini della Mosella, situazione per la quale egli aveva già capito che la proprietà privata era il risultato d'una appropriazione privata, monopolizzatrice, d'un bene comune.

Tuttavia, in quegli anni Marx non nutriva particolare interesse per le idee "comunistiche" degli ambienti contadini e artigiani. Il suo stesso proto-socialismo si rivolgeva alla borghesia illuminata e agli intellettuali progressisti della Prussia, anche quando in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel citerà per la prima volta il nome del proletariato industriale. Sarà solo nel Manifesto che si rivolgerà esplicitamente al proletariato industriale, rinunciando nel contempo a qualunque identificazione geografica.

La polemica col movimento comunista di Weitling fu sempre molto forte. Nel Manifesto parlerà addirittura di "idiotismo della vita rurale" (Engels, riferendosi alle lotte di classe del '48, in riferimento ai contadini cechi, slovacchi, croati, ruteni... parlerà di "popoli senza storia").

Il meglio di sé, sul piano politico, il giovane Marx lo diede fino al 1848, con la stesura del Manifesto (che pur nell'ultima parte, quella dove avrebbe dovuto esserci una sorta di "Che fare?" leniniano, lasciava alquanto a desiderare). Già coi saggi storici del 1850-52, scritti a Londra, si può notare una certa tendenza involutiva.

Con la sua prima grande opera economica, Per la critica dell'economia politica, del 1859, il determinismo economicistico ed evolutivo prende piede definitivamente, almeno fino a quando Marx, venendo a contatto coi populisti russi (se si esclude la parentesi dei comunardi parigini) non comincia ad avere dei ripensamenti. La rivoluzione socialista -questa fu la conclusione, che verrà poi ripresa da Lenin- forse poteva avvenire anche in un paese sostanzialmente feudale, facendo leva su quanto di meglio avesse espresso il Medioevo russo: la comune agricola.

Ma ormai era troppo tardi, ed Engels, dal canto suo, mostrerà ancora più perplessità di Marx sui progetti dei populisti.

Persino il giovane Lenin cadrà nell'errore di concedere il primato all'industrializzazione capitalistica e alla volontà politica rivoluzionaria del proletariato industriale. Nella sua polemica coi populisti egli anteporrà, alle questioni tattiche e strategiche, una astratta filosofia marxista!

Insomma il giovane Marx aveva delle idee così estreme sull'inutilità dell'attività politico-parlamentare (tradizionale) ai fini della rivoluzione sociale, ovvero sulla vacuità di uno Stato politico borghese che si pretende "democratico" o "di diritto", che meraviglia alquanto il fatto ch'egli non abbia dedicato tutta la sua vita -come appunto fece Lenin- a costruire praticamente una politica rivoluzionaria alternativa.

Probabilmente egli rimase vittima dello stesso individualismo borghese che pur egli tanto aveva criticato. Forse anzi egli s'illuse di poter superare i limiti di tale individualismo sottoponendolo a una critica radicale, che investisse anche i campi dell'economia, della società civile ecc., fino ad allora considerate "indegni" di una riflessione filosofica vera e propria.

* * *

Nella maturità Marx affronterà, con grandissimo dispendio di energia, tutti i temi dell'economia politica classica. Lo farà da un punto di vista prevalentemente storico-filosofico, in quanto si chiederà di continuo l'origine e lo sviluppo dei fenomeni produttivi e commerciali.

Marx era interessato a scoprire le intrinseche debolezze del sistema borghese, i limiti strutturali che rendono ancora oggi necessaria una transizione al socialismo, cioè a una formazione sociale superiore, meglio organizzata, più efficiente, non antagonistica.

Questa impostazione da "studioso critico" Marx se la diede anche quando, in Francia e in Germania, affrontò il tema della politica.

Marx non è quasi mai stato, se non nelle sue parentesi come giornalista, un organizzatore del consenso politico. L'attività pratico-politica si è svolta, nell'arco della sua vita, per un periodo di tempo molto limitato. Questo non poteva non incidere sullo sviluppo dei suoi studi teorici.

Vediamo infatti Marx analizzare minuziosamente sempre le stesse cose, con una puntigliosità quasi maniacale. I tre libri del Capitale sono stati preceduti da moltissimi altri studi, rimasti per lo più in forma di bozze e appunti, che spesso contengono idee non sviluppate nel Capitale.

Il Capitale ha condizionato quasi interamente la sua vita, fino a distruggerla interamente, influendo certo non in maniera positiva sulla vita dei suoi familiari.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 26/04/2015