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IL GIOVANE MARXNei numeri 191, 193 e 195 della Rheinische Zeitung del luglio 1842, Marx delinea in maniera sufficientemente chiara quale doveva essere il rapporto tra religione e politica. (Cfr Marx-Engels, Scritti sulla religione, ed. Garzanti) Il giovane Marx pose le basi del proprio laicismo nella convinzione che una critica della religione (intesa quest'ultima come forma di gestione politica del potere), sarebbe stata il presupposto di ogni critica in generale e quindi del superamento dello Stato confessionale e della chiesa di stato. Nella Rheinische Zeitung egli attacca l'autore dell'articolo di fondo del n. 179 della Gazzetta di Colonia: è lo scontro tra un sostenitore del cristianesimo di stato e un sostenitore della libertà di coscienza. Le dimostrazioni argomentate da Marx a sostegno della separazione di religione e politica sono molteplici:
* * * Già emigrato a Parigi (e forse proprio a causa del suo interesse per il socialismo francese), Marx aveva chiarissima l'idea -a differenza di Bauer e degli altri giovani hegeliani di sinistra- che tutta l'emancipazione politica affermata dalla rivoluzione francese (culminata nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo) non aveva minimamente toccato il problema dell'emancipazione sociale dei lavoratori e dei cittadini in genere. Tuttavia il socialismo utopistico anglo-francese era arrivato alla medesima conclusione molto prima di lui. L'arretratezza della filosofia tedesca, nonostante l'acume di Hegel, Marx, Engels ecc., era appunto da attribuirsi alla scarsa consapevolezza politico-democratica dei prussiani in generale, i quali erano convinti d'aver dato il massimo contributo alla storia dell'emancipazione umana con la riforma protestante prima e con la filosofia idealistica dopo. Oggi infatti dovremmo studiare molto di più le realizzazioni teorico-pratiche del socialismo utopistico europeo, che non le astrattezze della filosofia cattolica, aristocratica e borghese, poiché, senza di esso, non sarebbe potuto nascere il socialismo scientifico di Marx ed Engels. SIngolare inoltre resta il fatto che mentre Marx discuteva con Bauer della "questione ebraica", Engels aveva già capito che i problemi principali della società moderna erano quelli di natura economica, elaborando per primo i Lineamenti di una critica dell'economia politica. Ancora più singolare è il fatto che Marx, dopo aver polemizzato a sufficienza con Bauer, dopo aver capito, attraverso Hess e soprattutto Engels, che il problema principale era quello economico, si sia messo a polemizzare nuovamente, e in maniera pedissequa, con Bauer e gli altri esponenti della Sinistra hegeliana nel volume, mai pubblicato, della Sacra famiglia, cui Engels collaborò certo malvolentieri. A Marx era mancata, in sostanza, la capacità di coinvolgersi personalmente col movimento socialista francese. Se l'avesse fatto non solo avrebbe saputo approfondire immediatamente le idee di Engels (cosa che poi farà nei Manoscritti del '44 e soprattutto in Miseria della filosofia), ma avrebbe anche cominciato ad affrontare sul piano pratico una disciplina ancora più importante dell'economia, e cioè la politica. Il giovane Marx era ancora convinto che per contribuire al mutamento generale della società borghese (e, come quella prussiana, tardo-feudale), fosse sufficiente criticare in maniera radicale (alla stregua di Bakunin) tutto l'esistente, a partire -appunto come lui fece- dalla filosofia hegeliana del diritto. In tal senso, la differenza dalla posizione di Bauer consisteva unicamente nel fatto che la critica di quest'ultimo non era sufficientemente radicale (si trattava ancora di uno scontro tra filosofie opposte), in quanto ferma al rapporto ateismo-religione. Negli anni 1842-43, in qualità di redattore della Rheinische Zeitung, egli aveva cominciato a interessarsi dei problemi economici della Prussia, proprio partendo dalla situazione dei contadini della Mosella, situazione per la quale egli aveva già capito che la proprietà privata era il risultato d'una appropriazione privata, monopolizzatrice, d'un bene comune. Tuttavia, in quegli anni Marx non nutriva particolare interesse per le idee "comunistiche" degli ambienti contadini e artigiani. Il suo stesso proto-socialismo si rivolgeva alla borghesia illuminata e agli intellettuali progressisti della Prussia, anche quando in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel citerà per la prima volta il nome del proletariato industriale. Sarà solo nel Manifesto che si rivolgerà esplicitamente al proletariato industriale, rinunciando nel contempo a qualunque identificazione geografica. La polemica col movimento comunista di Weitling fu sempre molto forte. Nel Manifesto parlerà addirittura di "idiotismo della vita rurale" (Engels, riferendosi alle lotte di classe del '48, in riferimento ai contadini cechi, slovacchi, croati, ruteni... parlerà di "popoli senza storia"). Il meglio di sé, sul piano politico, il giovane Marx lo diede fino al 1848, con la stesura del Manifesto (che pur nell'ultima parte, quella dove avrebbe dovuto esserci una sorta di "Che fare?" leniniano, lasciava alquanto a desiderare). Già coi saggi storici del 1850-52, scritti a Londra, si può notare una certa tendenza involutiva. Con la sua prima grande opera economica, Per la critica dell'economia politica, del 1859, il determinismo economicistico ed evolutivo prende piede definitivamente, almeno fino a quando Marx, venendo a contatto coi populisti russi (se si esclude la parentesi dei comunardi parigini) non comincia ad avere dei ripensamenti. La rivoluzione socialista -questa fu la conclusione, che verrà poi ripresa da Lenin- forse poteva avvenire anche in un paese sostanzialmente feudale, facendo leva su quanto di meglio avesse espresso il Medioevo russo: la comune agricola. Ma ormai era troppo tardi, ed Engels, dal canto suo, mostrerà ancora più perplessità di Marx sui progetti dei populisti. Persino il giovane Lenin cadrà nell'errore di concedere il primato all'industrializzazione capitalistica e alla volontà politica rivoluzionaria del proletariato industriale. Nella sua polemica coi populisti egli anteporrà, alle questioni tattiche e strategiche, una astratta filosofia marxista! Insomma il giovane Marx aveva delle idee così estreme sull'inutilità dell'attività politico-parlamentare (tradizionale) ai fini della rivoluzione sociale, ovvero sulla vacuità di uno Stato politico borghese che si pretende "democratico" o "di diritto", che meraviglia alquanto il fatto ch'egli non abbia dedicato tutta la sua vita -come appunto fece Lenin- a costruire praticamente una politica rivoluzionaria alternativa. Probabilmente egli rimase vittima dello stesso individualismo borghese che pur egli tanto aveva criticato. Forse anzi egli s'illuse di poter superare i limiti di tale individualismo sottoponendolo a una critica radicale, che investisse anche i campi dell'economia, della società civile ecc., fino ad allora considerate "indegni" di una riflessione filosofica vera e propria. * * * Nella maturità Marx affronterà, con grandissimo dispendio di energia, tutti i temi dell'economia politica classica. Lo farà da un punto di vista prevalentemente storico-filosofico, in quanto si chiederà di continuo l'origine e lo sviluppo dei fenomeni produttivi e commerciali. Marx era interessato a scoprire le intrinseche debolezze del sistema borghese, i limiti strutturali che rendono ancora oggi necessaria una transizione al socialismo, cioè a una formazione sociale superiore, meglio organizzata, più efficiente, non antagonistica. Questa impostazione da "studioso critico" Marx se la diede anche quando, in Francia e in Germania, affrontò il tema della politica. Marx non è quasi mai stato, se non nelle sue parentesi come giornalista, un organizzatore del consenso politico. L'attività pratico-politica si è svolta, nell'arco della sua vita, per un periodo di tempo molto limitato. Questo non poteva non incidere sullo sviluppo dei suoi studi teorici. Vediamo infatti Marx analizzare minuziosamente sempre le stesse cose, con una puntigliosità quasi maniacale. I tre libri del Capitale sono stati preceduti da moltissimi altri studi, rimasti per lo più in forma di bozze e appunti, che spesso contengono idee non sviluppate nel Capitale. Il Capitale ha condizionato quasi interamente la sua vita, fino a distruggerla interamente, influendo certo non in maniera positiva sulla vita dei suoi familiari. |