MARX: I GRUNDRISSE 4

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


I GRÜNDRISSE

Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58)
(Ed. La Nuova Italia, Firenze 1997, vol. I)

Il metodo dell'economia politica

Nell'esaminare il metodo dell'economia politica, Marx sostiene che se apparentemente sembra essere giusto iniziare l'analisi partendo dai dati concreti ma generali (popolazione, risorse, commerci ecc.), di fatto questo approccio è sbagliato perché generico. "La popolazione è un'astrazione se tralascio p.es. le classi di cui si compone"(p. 26), e le classi, a loro volta, sono un altro non senso se prescindiamo dai rapporti di proprietà.

Marx fa notare che gli economisti del XVII sec. partivano sempre "dall'insieme vivente"(p. 27), per poi suddividerlo in "relazioni determinanti generali, astratte, come la divisione del lavoro, il denaro, il valore ecc."(ib.). Ma poi non arrivavano mai a fare il percorso inverso, cioè partendo dalle determinazioni più semplici arrivare a quelle più generali, poste all'inizio. In tal modo non riuscivano a pervenire alla comprensione della totalità, "fatta di molte determinazioni e relazioni"(ib.).

Tuttavia -prosegue Marx- appena fu chiarito (dalla seconda generazione di economisti) quali potevano essere gli aspetti più semplici, i sistemi economici cominciarono a essere più scientifici, appunto perché si poteva partire da questi aspetti per poi risalire a quelli più complessi.

Queste riflessioni sono molto importanti perché indicano la metodologia scientifica usata da Marx per scrivere il Capitale, che non a caso inizia con l'analisi della merce.

Marx dice che "il concreto... è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice"(ib.). Il concreto per Marx può essere la "popolazione", che "nel pensiero si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza"(ib.), perché alla popolazione, come sintesi di elementi più semplici, bisogna arrivare dopo aver analizzato le classi e i rapporti di proprietà, altrimenti il concetto di popolazione rimane astratto, "benché -precisa Marx- il concreto sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell'intuizione e della rappresentazione"(ib.): infatti non si perviene alle classi senza partire dalla popolazione. Il primo metodo partiva dal concreto: la popolazione, ma non arrivava alle classi, per cui alla fine la determinazione concreta risultava astratta. Il secondo invece parte dalla determinazione astratta delle classi per arrivare a comprendere il concetto di popolazione.

Naturalmente Marx non dà per scontato che si possa arrivare dalla popolazione alle classi e da queste di nuovo a quella in maniera automatica e soprattutto in maniera adeguata, in quanto occorre acquisire una prospettiva che veda la popolazione come sintesi di un conflitto tra classi che va superato. E' dunque vero che gli economisti borghesi potevano facilmente immaginare e persino teorizzare il conflitto di classe, ma è anche vero ch'essi rifiutavano, e ovviamente, d'immaginarne il superamento, preferendo, al contrario, supporlo come inevitabile o naturale. Si ricordi che nella lettera a J. Weydemeyer del 5 marzo 1852 Marx precisa che l'esistenza delle classi e della lotta di classe era già stata scoperta e analizzata dagli storici e dagli economisti borghesi, e che il suo contributo consisteva soltanto nell'aver dimostrato: "1. che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione; 2. che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi..."(Marx-Engels, Sul materialismo storico, Roma 1949, p. 72 s.),

Marx, che sa bene queste cose, ne parla semplicemente perché per la prima volta può mettere a confronto due metodologie d'indagine che, pur avendo oggetti diversi, hanno aspetti in comune: quella degli economisti borghesi e quella hegeliana. Essendo stato discepolo del più grande filosofo della Germania (e se vogliamo di tutti i tempi, poiché in Hegel la filosofia raggiunge il suo vertice), Marx non può fare a meno di confrontarsi col suo maestro, mostrando dove pensa di averlo superato. E scrive, ma bisogna fare attenzione a quello che scrive, perché mentre critica Hegel lo elogia: "E' per questo che Hegel cadde nell'illusione di concepire il reale come risultato del pensiero... mentre il metodo di salire dall'astratto al concreto [ora Marx dà per scontata la giustezza del metodo hegeliano che lui stesso fin qui ha seguito, anche in rapporto al metodo scientifico usato dagli economisti borghesi di seconda generazione] è solo [sott. nostra] il modo, per il pensiero, di appropriarsi il concreto [si badi che Marx dice "appropriarsi" non "produrre"], di riprodurlo come qualcosa di spiritualmente concreto [di riprodurlo cioè nella mente, nella consapevolezza che si tratta appunto di una riproduzione astratta, utile per compiere delle sintesi]. Ma mai e poi mai [sott. nostra] il processo di formazione del concreto stesso" [per l'esame del quale la filosofia è del tutto impotente e va trasformata in economia politica, sociologia, statistica ecc.](ib.).

Nonostante Marx su questo avesse già scritto molto negli anni precedenti, mostrando come la Germania si fosse limitata a "produrre" la realtà rivoluzionaria unicamente nel pensiero, prima luterano poi hegeliano, qui avverte ancora la medesima esigenza, rapportandola però, questa volta, agli studi approfonditi di economia. E' dunque confermato che di per sé la speculazione filosofica non può mai pervenire alla comprensione scientifica della realtà, in quanto, dando per scontato che "il pensiero pensante sia l'uomo reale"(p. 28), tale filosofia finisce col credere che "il mondo pensato sia la sola realtà"(ib.).

Marx è disposto ad accettare, come metodo, che la realtà diventi una riproduzione del pensiero basato sulle leggi della dialettica, ma a condizione che poi si faccia effettivamente l'analisi della realtà, e non con gli strumenti della filosofia, ma con quelli dell'economia, che esaminano la realtà dall'interno e non si accontentano di ricevere "soltanto un impulso dal di fuori"(ib.), esterno al pensiero. In altre parole, Marx condivide "l'elaborazione in concetti dell'intuizione e della rappresentazione"(ib.), cioè la rappresentazione astratta, per categorie o per concetti, della realtà concreta, ma rifiuta l'idea che il concetto possa formarsi in maniera indipendente dall'intuizione e dalla rappresentazione della realtà, che devono appunto avvalersi di strumenti d'indagine non filosofici. "Anche nel metodo teorico -precisa Marx-, la società deve essere sempre presente alla rappresentazione come presupposto"(ib.).

Queste affermazioni non sono finezze o cavilli o astruserie tra i metodi di Marx e di Hegel, anche se il fatto d'averle scritte di getto contribuisce a renderle tali, ma la testimonianza di una precisa consapevolezza: quella che Marx aveva di essere, su questo punto metodologico, superiore a Hegel e a tutta la Sinistra hegeliana. Quest'ultima aveva superato Hegel nella critica della religione, ma si era fermata lì. Dal canto suo, Marx aveva anche scritto dei testi molto significativi di critica della filosofia del diritto pubblico. Ora però egli presume d'averlo superato nella concezione della filosofia in generale e in particolare nell'uso di quanto di meglio avesse prodotto la filosofia hegeliana: le leggi della dialettica.

Si badi, il Marx pre-inglese aveva ragionato in termini più politici: Hegel andava superato con la rivoluzione politica del proletariato, se si voleva inverare la filosofia eliminando definitivamente il suo primato come scienza. I principi della filosofia hegeliana potevano essere inverati solo se realizzati politicamente e tale realizzazione avrebbe comportato necessariamente la fine del primato della filosofia su tutte le altre scienze, poiché se l'idealismo andava considerato rivoluzionario come metodo, andava però considerato conservatore come sistema, poiché la filosofia hegeliana era contraria a qualunque forma di rivoluzione politica. Lo stesso Hegel lo lasciò capire quando scrisse nella prefazione della sua Rechtsphilosophie: "a dire anche una parola sulla dottrina di come dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi"(Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1974, p. 20).

Ma procediamo con le questioni di metodo. Marx si pone una domanda chiave: "le categorie semplici hanno un'esistenza storica o naturale indipendente, prima delle categorie più concrete?"(p. 28). La risposta è sì, ma sub conditione. Marx fa tre esempi di categorie semplici (di cui il primo preso da Hegel): il possesso, il denaro e il lavoro.

Il possesso sembra una categoria semplice, ma se la si prende come "la più semplice relazione giuridica del soggetto"(ib.) [come fa Hegel nella Filosofia del diritto, § 40] si dovrebbe poi precisare [ed Hegel non lo fa] che il possesso, di per sé, non significa nulla, in quanto tale categoria va messa in relazione con categorie più concrete, come p.es. famiglia, tribù, signoria/servitù, le cui realtà storiche, paradossalmente, possono anche aver beneficiato del "possesso" senza mai aver conosciuto la "proprietà". Detto altrimenti, Hegel non avrebbe capito che il "possesso" del singolo si configura solo attraverso il rapporto della famiglia o della tribù rispetto alla "proprietà". Se il possessore è un "selvaggio isolato", allora -osserva con evidenza lapalissiana Marx- non c'è "rapporto giuridico"(p. 29). Categorie come tribù, famiglia e servaggio non solo sono più semplici di possesso ma anche più concrete. E' proprio partendo da queste categorie che ci si può accorgere della possibilità di un possesso senza proprietà privata. Viceversa in Hegel il possesso coincide con la proprietà, o comunque dal possesso individuale (come relazione giuridica) si arriva al possesso sociale o pubblico (famiglia, società civile, Stato): il che, storicamente parlando, in effetti, non ha senso.

Tuttavia per Marx le cose non sono così semplici. Il secondo esempio, infatti, quello del denaro, risulta piuttosto elaborato. Come noto, il denaro è esistito prima del capitale. "In questo senso -rileva Marx- si può dire che la categoria più semplice [appunto il denaro] può esprimere i predominanti di un insieme meno sviluppato [p.es. l'Italia comunale] oppure i rapporti subordinati di un insieme più sviluppato [p.es. il capitale usuraio]"(ib.). Se è così, allora "il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice [il denaro] al complesso [il capitale], corrisponde al processo storico reale"(ib.).

Eppure esiste anche il rovescio della medaglia, e qui Marx cita un'opera di W. H. Prescott, History of the Conquest of Peru (Londra 1850), in cui viene detto che nel Perù esistevano "forme di società molto sviluppate [cooperazione, divisione del lavoro...] in cui non esisteva affatto denaro", e che per questo Marx considera "storicamente immature"(ib.). Stessa cosa -egli rileva- per le comunità slave, dove il denaro aveva una funzione importante solo ai confini, nei traffici con altre comunità (pp. 29-30).

Noi qui ci chiediamo: perché considerare queste comunità "storicamente immature"? Qual è per Marx il metro di misura della "maturità" di una civiltà? Il metro di misura è l'uso del denaro, al di fuori del quale è impossibile arrivare al capitalismo. Si noti che a Marx è estranea l'idea che una civiltà possa essere considerata tanto più "storica" quanto più "naturale" e che la conformità alle esigenze della natura si misuri proprio in relazione all'esiguità o addirittura all'assenza di tracce storiche permanenti, indelebili. Per Marx è esattamente il contrario: l'umanità dell'uomo, cioè la sua storicità, sta nella progressiva indipendenza dalla natura. In questo egli resta hegeliano.

Il problema che Marx vuole risolvere è quello relativo alla nascita del capitalismo, poiché se questo non nasce, sic et simpliciter, là dove c'è il denaro, è anche vero che dove questo non c'è, di sicuro il capitalismo non nasce. Cioè oltre al denaro occorrono altri fattori. "Come elemento dominante, esso -dice Marx- appartiene all'antichità solo a nazioni caratterizzatesi in modo unilaterale, a nazioni commerciali. E perfino presso i popoli più evoluti dell'antichità, presso i greci e i romani, il suo completo sviluppo -che nella moderna società borghese costituisce una premessa- si manifesta solo nel periodo della dissoluzione"(p. 30).

Questa è una considerazione molto importante, perché Marx è convinto che il capitalismo non sarebbe mai potuto nascere nel mondo greco-romano. Egli non arriva a capire i profondi nessi culturali tra religione ed economia, in quanto si limita ad attribuire la nascita del capitalismo allo sviluppo completo del capitale commerciale, però ha saputo impostare il criterio d'indagine.

Fino all'introduzione del cristianesimo nella storia non esisteva un sufficiente livello di astrazione intorno al concetto di "persona". E' stato infatti in forza del cristianesimo che si è potuta valorizzare e negare allo stesso tempo l'unicità e irripetibilità della persona umana. La mistificazione principale del cristianesimo è stata quella relativa al rapporto tra persona e libertà: la persona, essendo unica e irripetibile, può essere o sentirsi libera in quanto tale, a prescindere da ciò che effettivamente è, nella realtà, o da ciò che possiede, proprio perché la sua coscienza, il suo pensiero, la sua "anima" vanno sempre oltre la contingenza, il finito, ivi inclusa la proprietà. La convinzione di possedere qualcosa che andasse sempre "oltre" le apparenze fenomeniche, illudeva la persona cristiana di poter sopportare qualunque privazione e sofferenza, qualunque condizione terrena. Senza questa convinzione cristiana, non sarebbe stato possibile l'inganno da parte della borghesia.

Astraendo dal discorso culturale, Marx è poi costretto a fare indebite generalizzazioni. Dice: "Nell'impero romano, nel momento del suo maggiore sviluppo, la base rimase l'imposta e la prestazione in natura"(ib.). Anche nel Medioevo fu così, ma c'è differenza tra "colonato" e "servaggio". Quest'ultimo non è semplicemente un modo di produzione, ma anche una sintesi tra cristianesimo e mondo barbarico; viceversa, il colonato è la semplice trasformazione dello schiavismo resasi necessaria dopo la fine delle grandi conquiste militari: in sostanza è un ripiego. Il servaggio implica un'organizzazione del feudo, in antitesi all'economia schiavistica.

Marx è convinto che il capitalismo non sia potuto nascere nel mondo romano perché qui "il sistema monetario, in sostanza, era sviluppato completamente solo nell'esercito, e non investì neppure tutta la sfera del lavoro"(ib.). Ma non può essere stato solo questo il motivo, e neanche mille altri motivi economici possono essere sufficienti a spiegarlo.

In sintesi: "benché la categoria più semplice [il denaro] possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta [il capitale], essa può appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma sociale complessa [il capitalismo], mentre la categoria più concreta [il capitale] era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta [il capitalismo mercantile o commerciale]"(ib.). Cioè il denaro non può trasformarsi in capitale se l'uso del denaro non ne ha posto le sicure basi.

Il terzo esempio, come già detto, si riferisce al lavoro. Anche questa -dice Marx- sembra una categoria semplice, però ad es. "il bullionismo pone la ricchezza in modo ancora completamente oggettivo, come cosa fuori di sé, nel denaro"(ib.).

Sarà il sistema manifatturiero o commerciale che porrà la ricchezza nel commercio, cioè in "un'attività produttrice di denaro"(p. 31), nel senso che il mercante sfrutta una particolare situazione per accumulare capitali, senza essere interessato alla produzione in sé.

I fisiocratici invece sostengono che la ricchezza non sta tanto nel ricavare denaro da un'attività commerciale, ma piuttosto produrre beni alimentari dall'attività agricola, "come risultato generale del lavoro"(ib.).

Adam Smith sarà il primo a sostenere che ciò che produce ricchezza è il lavoro in sé, qualunque esso sia. Quanta più gente lavora, tanto più ricca è una nazione. E Marx aggiunge, con acume, che "le astrazioni più generali sorgono solo dove si dà il più ricco sviluppo concreto, dove una sola caratteristica appare comune a un gran numero... di elementi"(ib.).

E' così vero che il lavoro qua talis è divenuto mezzo per creare ricchezza che negli Stati Uniti -dice Marx- "gli individui passano con facilità da un lavoro a un altro"(p. 32). L'individuo è indifferente a un determinato lavoro, anche se non è indifferente ai risultati del suo lavoro, cioè a quanto ottiene lavorando. E' questo il punto di partenza dell'economia moderna.

"Così l'astrazione più semplice [il lavoro] che l'economia moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società moderna"(ib.). Quindi "anche le categorie più astratte, sebbene siano valide -proprio a causa della loro natura astratta- per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e posseggono la loro piena validità solo per ed entro queste condizioni"(ib.). Nessun economista borghese s'era mai espresso con una lucidità del genere. Con questa metodologia si può fare una storia scientifica dell'economia.

E' grazie alla società borghese che -secondo Marx- si possono capire le civiltà precedenti al capitalismo, che sono molto più semplici dal punto di vista economico, per quanto -ci piace aggiungere- proprio il capitalismo sia la civiltà che più di ogni altra si allontani dal comunismo primitivo e che, proprio per questo, renda praticamente impossibile un recupero equilibrato del rapporto tra persona e natura e tra le stesse persone.

Tuttavia ha pienamente ragione Marx quando afferma che "gli economisti [borghesi] cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme di società vedono la società borghese"(p. 33). Basta vedere l'impostazione dei manuali scolastici di storia per accorgersi che ancora oggi è così. D'altra parte -prosegue Marx- "l'ultima forma [storica] considera le precedenti come semplici gradini che portano a se stessa, e poiché raramente... è capace di criticare se stessa... le concepisce sempre unilateralmente"(ib.).

Dunque la borghesia non è capace di valutare obiettivamente il passato in quanto lo reputa funzionale a se stessa. Anche "la religione cristiana -dice Marx- è divenuta capace di contribuire alla comprensione obiettiva delle passate mitologie solo quando la sua autocritica fu in un certo grado... compiuta"(ib.). Marx non fa riferimenti precisi, ma è noto p.es. che la riscoperta dell'aristotelismo fu possibile solo dopo la crisi d'identità del cattolicesimo-romano al cospetto della nascente ideologia borghese comunale.

Tutto ciò, per Marx, comporta una conseguenza teoretica di capitale importanza. Lo storico, in particolare lo storico dell'economia o delle scienze sociali, deve rendersi conto che quando esamina un "oggetto" (nella fattispecie, "la moderna società borghese"), questo va considerato come un "già dato", ancor prima che i contemporanei dell'oggetto stesso ne comincino a parlare. Non solo, ma le categorie con cui si analizza la società borghese apparentemente sembrano dover essere le stesse che si usano per le altre formazioni sociali: in particolare quelle connesse a processi standard (p.es. la rendita fondiaria) o a risorse di tipo naturale (p.es. la terra). Niente di più sbagliato. Da quando è nato il capitalismo lo storico dell'economia deve sapere che non si possono più "disporre le categorie economiche nell'ordine in cui esse furono storicamente determinanti"(p. 35).

Ora, nell'esaminare la diversità tra le formazioni precapitalistiche e quella capitalistica, bisogna subito chiarire che mentre le prime sono strettamente legate a processi di tipo naturale, in cui il ruolo degli strumenti produttivi non va a sconvolgere in modo irreversibile il rapporto uomo-natura (per quanto le formazioni schiavistiche abbiano avuto nei confronti della natura un rapporto più devastante rispetto a quelle feudali), la seconda invece a legata a processi di tipo storico, in cui l'azione dell'uomo mira a prevalere su quella della natura. E l'azione prevalente è quella del capitale, "la potenza economica della società borghese che domina tutto"(ib.). La differenza quindi tra processo naturale e processo storico sta nell'uso del macchinismo, cioè in una concezione superomistica della scienza e della tecnica.

Marx in sostanza non fa solo una critica a quegli economisti che "cancellano tutte le differenze storiche e che in tutte le forme di società vedono la società borghese"(p. 33), ma tenta anche di spiegare le motivazioni delle proprie scelte metodologiche. Lo dice dunque a se stesso che la società borghese non può essere interpretata con le categorie usate per interpretare le formazioni precedenti o comunque non può essere interpretata  usando lo stesso ordine in cui quelle categorie sono state poste. Marx vuole evitare accuratamente di cadere nei limiti della storiografia idealistica (che caratterizza anche gli studi di economia politica) e che è antistoricistica per definizione. Questo perché -dice Marx a chiare lettere- "in tutte le forme di società vi è una determinata produzione che decide del rango e dell'influenza di tutte le altre"(p. 34).

Il fatto che la società borghese vada considerato come un "già dato" non sta tanto a significare che il passato ha una propria autonomia da rispettare, una propria intangibilità e che lo storico non può sapere con esattezza quando sorgono determinati fenomeni, ma sta piuttosto a significare che nell'uso delle categorie interpretative bisogna fare molta attenzione al fatto che la società borghese è una totalità che obbliga a riconsiderare e a disporre dette categorie in modo molto particolare, in quanto tra l'apparenza e la realtà vi sono differenze sostanziali.

Lo stesso Marx si trova spesso in difficoltà nell'esaminare le differenze tra le varie formazioni sociali. "Prendiamo p.es. i popoli dediti alla pastorizia (popoli puramente dediti alla caccia o alla pesca rimangono al di qua del punto dove comincia il reale sviluppo) [si noti questo inciso tra parentesi di Marx, che non sa cogliere l'equivalenza di "natura", "umanità" e "storicità" nei popoli preschiavistici, tribali, nomadi, e che fa iniziare lo sviluppo dell'umanità con la nascita delle formazioni antagonistiche, ovvero con quella che per lui è l'inizio della "storia"]. Presso di essi compare una certa forma di agricoltura, ma in maniera sporadica. La proprietà fondiaria è determinata da questo fatto"(ib.).

Subito dopo Marx fa l'esempio della "proprietà comune degli slavi"(ib.) che a p. 32 aveva definito col termine di "barbari", là dove dice che c'è "una maledetta differenza se dei barbari [i russi] hanno disposizione [naturale] ad essere utilizzati per tutto [in forza di influenze esterne": autocrazia, proprietari fondiari ecc.], o se degli esseri inciviliti [i lavoratori americani presenti negli States capitalistici] si applicano essi stessi a tutto". Ponendo una differenza tra atteggiamento naturale, istintivo, e atteggiamento storico, frutto di circostanze economiche, Marx non ha dubbi su quale preferire. Non dimentichiamo che per lui la tragedia della transizione dal feudalesimo al capitalismo è stata necessaria, come deve esserlo quella dal capitalismo al socialismo.

Anche quando pone una differenza tra popoli nomadi e popoli stanziali, quest'ultimi sono senza dubbio da preferire. "Dove predomina l'agricoltura praticata da popoli a dimora stabile -e questa stabilità è già un grande progresso", tutto dipende da questa stanzialità (p. 35).

"In tutte le forme in cui domina la proprietà fondiaria -dice Marx- il rapporto con la natura è ancora predominante. In quelle invece dove domina il capitale, prevale l'elemento sociale, prodotto storicamente"(ib.). Ora, è fuor di dubbio che categorie del genere o vengono ulteriormente precisate, oppure dobbiamo assolutamente considerarle superate. L'antinomia infatti non può essere quella di "natura" e "storia", poiché i popoli precapitalistici sono non meno "storici" di quelli capitalistici. La "storicità" di una formazione sociale è data dalla "umanità" dei suoi protagonisti. La "preistoria", in tal senso, dovrebbe essere considerata non la storia dell'uomo primitivo, ma quella del mondo animale prima della comparsa dell'uomo. Là dove vediamo oggetti di lavoro, che servono per costruire altri oggetti, in una catena infinita; là dove vediamo espressioni artistiche o segni di relazioni sociali che vanno oltre la mera istintualità, lì è sicuramente presente l'essere umano e quindi la storia umana. E quanto più lo sviluppo di questa storia è stato conforme alle esigenze della natura, tanto più dobbiamo considerarlo "umano".

Ma c'è di più. La stessa antinomia di natura/individualità e storia/socialità va completamente ripensata, in quanto la vera antinomia è semmai quella di "storia secondo natura/socialità umana" da un lato e "storia contronatura/socialità disumana" dall'altro. Cioè la vera socializzazione, quella umana, gli esseri umani l'hanno sperimentata solo nelle epoche che hanno preceduto la nascita delle formazioni antagonistiche, la prima delle quali è stata quella schiavistica.

L'analisi economica di Marx va in un certo senso rovesciata. Il capitalismo va superato non solo perché non garantisce rapporti produttivi adeguati alle forze produttive, ma anche perché non garantisce alcuna forma di umanità. Cioè l'antinomia non è semplicemente tra capitalismo e socialismo, ma tra "umanizzazione" e "disumanizzazione". In tal senso è giusto il motto "o socialismo o barbarie", ma a condizione di precisare cosa s'intende per "socialismo". Infatti, se noi guardiamo quanto di umano la storia ha prodotto, dobbiamo mettere al primo posto le società tribali e all'ultimo quelle forme di socialismo autoritario che si sono realizzate in Russia, Cina e in altri paesi asiatici.

Questo per dire che l'adeguamento dei rapporti produttivi alle forze produttive non è condizione sufficiente a garantire una transizione dalla disumanità alla umanizzazione delle relazioni sociali. Ciò che dobbiamo riesaminare sono le condizioni di vita dell'uomo primitivo, nonché quelle delle ultime tribù storicamente rimaste. Non come oggetto di studio antropologico, ma proprio come ipotesi di modello della futura società democratica. Se noi non riusciamo a conciliare le esigenze dello sviluppo storico con quelle della riproduzione della natura, non c'è futuro per la specie umana, sia che questa permanga nel capitalistica, sia che approdi al socialismo.

Con questo non si vuol dire che in Marx non vi siano tracce o spunti di riflessione che avrebbero potuto essere sviluppati in questa direzione. E' che sono rimaste appunto delle "tracce", degli abbozzi che avrebbero necessitato di ulteriori sviluppi. Il fatto è purtroppo che tali sviluppi non si sono verificati adeguatamente neppure a distanza di 150 anni dalla morte di Marx.

* * *

Prendiamo ora l'ultima parte di questo capitolo dedicato al metodo dell'economia politica: si tratta di un vero e proprio canovaccio di ciò che Marx, se avesse avuto forze e tempo sufficienti, avrebbe voluto fare.

Marx parte sempre dai mezzi di produzione e dai corrispondenti rapporti, perché secondo lui è necessario partire da ciò che stabilisce come vive, materialmente, una determinata popolazione o civiltà. Anche nei vangeli, che pur certo non sono un testo di economia, continuamente si precisa il mestiere dei vari protagonisti e vi sono brani in cui si parla di "moneta" e di "tributi", senza considerare il famoso passo degli Atti (2, 44) in cui si parla del "comunismo assistenziale" della primitiva comunità cristiana o dell'eloquente episodio di Anania e Saffira (5,1ss.).

Nella storiografia idealistica gli aspetti economici erano e sono ancora considerati marginali. Il che oggi non ha davvero più senso, semplicemente perché l'affermazione della proprietà privata ha finito coll'incidere su tutti gli altri aspetti della società civile, ed è stato un merito del marxismo aver indicato la priorità di questo problema: l'impossibilità, sotto il capitalismo, di realizzare una democrazia di tipo socioeconomico, rende formale, anzi illusoria ogni altra forma di democrazia.

Quindi qualunque presentazione storica di una società o di una civiltà deve necessariamente partire dalle condizioni economiche delle forze e dei rapporti produttivi, non tanto perché da questo si possa dedurre tutto il resto, quanto perché questa è la premessa da cui può svilupparsi una determinata esegesi. La democrazia economica è il presupposto per realizzare una democrazia globale.

Se Marx avesse avuto il tempo di esaminare le "forme della coscienza in relazione ai rapporti di produzione e di traffico"(p. 37), si sarebbe sicuramente accorto che la coscienza può andare "oltre" l'economia. Lui stesso lo dirà, più avanti, parlando del rapporto arte/economia.

Si noti comunque la successione dei punti da sviluppare:

"1. La guerra è sviluppata prima della pace: modo in cui certi rapporti economici come lavoro salariato, macchinismo ecc., sono stati sviluppati dalla guerra e negli eserciti, prima che all'interno della società borghese"(p. 37). Questa cosa in realtà è stata sviluppata pochissimo da Marx, per quanto sia indubbiamente vera. A p. 108 la ripete, in un contesto d'analisi differente, quello dei rapporti "puramente personali" sotto il feudalesimo, che, a suo parere, sarebbero illusori, giacché essi "in una fase determinata, assunsero nell'ambito della loro sfera un carattere materiale, come dimostra p.es. lo sviluppo dei rapporti di proprietà fondiaria da rapporti di subordinazione puramente militari".

Il motivo del mancato approfondimento probabilmente è dovuto al fatto che questa regola non è sempre vera o comunque non è così determinante come sembra. La Spagna di Colombo, conquistatrice di un grande impero coloniale, è un esempio lampante del mancato passaggio dai rapporti militari feudali ai rapporti economici borghesi.

Resta tuttavia significativo che Marx abbia messo questa cosa al primo punto. Evidentemente stava cercando nelle forme di antagonismo non economico preborghese una delle cause che spiegassero le origini economiche dell'antagonismo borghese. E forse questo ripiego è stato determinato dal fatto ch'egli non è mai riuscito a integrare in maniera efficace l'analisi culturale con quella economica, cioè l'analisi del movimento delle idee (teologiche e filosofiche) che in qualche modo ha reso possibile la transizione al capitalismo.

Infatti il punto 2 è chiaro: "Rapporti della storiografia ideale come essa si è sviluppata fino ad ora, con la storiografia reale. In particolare, delle cosiddette storie della civiltà, che sono tutte storie della religione e degli Stati"(ib.). Cioè Marx vuole porre la propria storiografia, basata sull'economia o, se si vuole, sulle scienze sociali, in antitesi alla storiografia idealistica, basata sulle idee filosofiche o religiose o politiche. Non c'è in Marx l'esigenza di trovare una sintesi ma piuttosto di porre una certa demarcazione. Si badi, per "sintesi" non s'intende il tentativo di recuperare quanto di meglio aveva prodotto la storiografia idealistica, poiché questo era già stato fatto dal Marx discepolo di Hegel; s'intende piuttosto la necessità di riformulare le categorie culturali entro quelle economiche, in modo che le une e le altre arrivino a supportarsi reciprocamente. Marx non ha mai fatto questa sintesi, non solo per mancanza di forze e di tempo, ma anche per scarsa sensibilità o predisposizione personale. Non è mai partito da questo presupposto teoretico, anche se ne avvertiva la necessità per esigenze di completezza, specie nella sua fase giovanile.

Non a caso lo dice al punto 4 (dopo aver parlato al punto 3 dei rapporti internazionali): "Rimproveri sul materialismo di questa concezione [storiografica]. Rapporto col materialismo naturalistico"(p. 38). Marx sa bene che possono accusarlo d'eccessivo determinismo e sa anche che il modo per difendersi dal determinismo è quello di storicizzare le categorie (vedi la sua critica alle tesi di Feuerbach). Tuttavia, quando Marx parla di "storicizzare le categorie" attribuisce sempre al compito della storicizzazione una valenza prevalentemente economicistica: è l'economia che storicizza. Con ciò è impossibile sfuggire all'accusa di determinismo.

Cioè non basta prospettare l'affronto -com'egli fa al punto 5- della "dialettica dei concetti di forza produttiva (mezzo di produzione) e rapporto di produzione"(ib.), per poter uscire dai limiti del determinismo, in quanto questa stessa dialettica, se vuole essere completa, deve andare oltre l'economico e toccare aspetti relativi alla sovrastruttura, quale p.es. quello della libertà umana di decidere "un certo adeguamento" dei rapporti alle forze produttive.

Marx intuisce questa difficoltà e al punto 6 è costretto a dover ammettere che esiste "l'ineguale rapporto dello sviluppo della produzione materiale con lo sviluppo, p.es., artistico"(ib.). Egli afferma testualmente: "il punto propriamente difficile da discutere qui, è come i rapporti di produzione nell'aspetto di rapporti giuridici abbiano uno sviluppo ineguale"(ib.). Si tratta di un problema eminentemente culturale. La difficoltà non sta nell'oggetto del diritto (molti studi del Marx prussiano sono dedicati proprio alla filosofia hegeliana del diritto pubblico), ma nel dove e come cercare i nessi che legano cultura a economia, alla luce appunto del fatto ch'esiste un indubbio sviluppo ineguale.

E bisogna notare che Marx prende l'arte solo come "esempio", lasciando intendere che ci possono essere altre sovrastrutture, come p.es. -aggiungiamo noi- la letteratura, lo sviluppo delle idee creative in generale, la stessa politica. "Questa sproporzione [tra cultura ed economia] non è ancora così importante né così difficile da concepire come all'interno dei rapporti pratico-sociali stessi. P.es., della cultura"(ib.). E' infatti proprio da qui che vanno ripresi gli studi su Marx, sviluppandoli in una direzione per lui inedita. Quanto grande sia, in tal senso, il contributo di Gramsci è facile intuirlo.

C'è tuttavia un aspetto, quello che Marx cita al punto 7, che va riconsiderato: "Questa concezione [materialistico-dialettica della storia] si presenta come sviluppo necessario. Ma giustificazione del caso. (Tra l'altro anche della libertà). Influenza dei mezzi di comunicazione. La storia universale non è esistita sempre; la storia come storia universale è un risultato"(ib.). Questo punto è decisivo per comprendere come Marx si muoveva, o meglio, come avrebbe voluto muoversi e come oggi bisogna muoversi per poterlo superare.

Come noto, Marx si basava sulla categoria hegeliana della "necessità storica", ovviamente riveduta e corretta secondo le priorità dell'economia. Egli si sarebbe voluto muovere esaminando anche lo sviluppo della libertà, sempre però in relazione alla categoria della necessità e, sapeva bene, che la funzione dei media è appunto quella di influenzare le scelte degli individui. Determinate scelte vengono compiute perché esistono determinati condizionamenti culturali.

Ora, il punto è proprio questo: come dimostrare che si poteva andare oltre determinati condizionamenti e fare scelte diverse da quelle che storicamente si fecero e che ad un certo punto risultarono dominanti? Marx dice che "la storia come storia universale è un risultato" - necessario o frutto di una libertà?

Scrive al punto 8, l'ultimo: "Il punto di partenza è dato naturalmente dalla determinatezza naturale; soggettivamente e oggettivamente. Tribù, razze ecc."(pp. 38-39). Dunque lo sviluppo di questo punto di partenza doveva necessariamente essere così come si è svolto?

Noi in realtà possiamo considerare necessario uno sviluppo, ma non un suo determinato modo. Marx ci ha messo moltissimo tempo prima di capire che si poteva passare dal feudalesimo al socialismo. Quanto, in questa miopia storiografica e insieme politica, abbia pesato il fallimento della rivoluzione comunista europea (o anche della sola Germania) è facile intuirlo. Ma questo non toglie che la storiografia marxista debba riconsiderare il primato concesso alla categoria della "necessità storica".

Il genere umano non parte affatto da "determinatezze naturali", come se quelle "storiche" fossero una conseguenza dello sviluppo necessario, o una prerogativa di particolari formazioni sociali. Le "determinatezze naturali" sono già "storiche", fanno già parte della storia dell'uomo, anzi esse rappresentano il lato "umano" dello sviluppo storico, quello in cui la necessità era frutto di una libertà consapevole.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015