MARX: I GRUNDRISSE 7

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


I GRÜNDRISSE

Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58)
(Ed. La Nuova Italia, Firenze 1997, vol. I)

Baratto - Eccedenza - Consumo

La prima frase chiave da cui bisogna partire è la seguente: "il bisogno dello scambio e la trasformazione del prodotto in puro valore di scambio avanzano nella medesima misura della divisione del lavoro, ossia del carattere sociale della produzione"(p. 83).

Marx non verifica nei Grundrisse la fondatezza storica di questa tesi economica, la dà semplicemente per scontata. Cioè per lui non fa problema, in quanto del tutto normale, il "bisogno dello scambio", che evidentemente deve essere "crescente", al punto da dover determinare una cosa del tutto inedita: "la trasformazione del prodotto in puro valore di scambio".

La trasformazione, lo scambio sono normali, secondo Marx, anche nella modalità "crescente", quali "incontrollata", in quanto dipendono da un processo parallelo: "la divisione del lavoro", il quale quanto più aumenta, tanto più fa aumentare lo scambio.

Questo processo in realtà non sembra spiegare nulla. La divisione del lavoro potrebbe essere essa stessa un prodotto dello scambio crescente. Un processo genetico che non tenga conto delle condizioni storiche concrete sembra essere destinato a finire nella tautologia, in quanto troppo astratto.

Peraltro Marx ha il coraggio di sostenere un'equazione del tutto indimostrata, quella secondo cui il carattere "sociale" della produzione è direttamente proporzionale al grado della divisione del lavoro. La socializzazione sarebbe dunque equivalente alla parcellizzazione del lavoro, alla specializzazione dei singoli produttori. Una caratteristica "tecnica" dà significato "sociale" a una determinata attività: il lavoro.

Questo modo di vedere la realtà è riduttivo, in quanto la caratteristica "sociale" del lavoro non è data da alcuna caratteristica "tecnica", né da alcuna modalità specifica di gestione del lavoro: un lavoro in team o in équipe non è più "sociale" di quello del contadino che va a raccogliere l'uva per fare il vino.

Un lavoro è "sociale" nella misura in cui viene riconosciuto dalla comunità in cui viene esercitato. Il lavoro non può trarre da sé alcun significato né alcuna specificazione sociale e neppure alcuna rilevanza economica o produttiva.

L'altra motivazione sottolineata da Marx per spiegare la fondatezza della sua tesi, in realtà non spiega nulla, poiché viene dato per scontato qualcosa che non può esserlo. "Nel baratto immediato ciascun articolo non può essere scambiato con qualsiasi altro, e una determinata attività può essere scambiata soltanto con determinati prodotti"(p. 87). Marx vede nel baratto quelle difficoltà che possono essere viste dalla prospettiva dello scambio nel mercato: in realtà il baratto è stata la forma di commercio più naturale che la storia degli uomini abbia mai conosciuto e praticato. Il baratto è venuto meno non tanto quando si è sviluppato il denaro, né quando si è formato il mercato, ma quando il produttore ha totalmente perso la propria autonomia economica. Denaro e baratto possono convivere se il produttore è in grado di provvedere a se stesso. Può infatti esistere (questo Marx lo ammette) l'uso del denaro tra comunità e l'uso del baratto, contemporaneamente, all'interno di ogni singola comunità. Occorre un processo "violento" che imponga l'uso del denaro sul baratto (p. 87).

"E' assolutamente necessario che gli elementi violentemente separati [p.es. valore d'uso e valore di scambio], che sono essenzialmente omogenei [nel precapitalismo], attraverso una violenta eruzione si mostrino come scissione di qualcosa che è essenzialmente omogeneo [nel senso che per la borghesia il valore di scambio deve prevalere su quello d'uso ed essa ha necessità di dimostrarlo con ogni mezzo]. L'unità si ristabilisce violentemente [ora infatti non è più lo scambio che dipende dall'uso ma il contrario]"(ib.). Cioè la separazione del produttore dai suoi prodotti è un fatto "violento" che -dice Marx- gli economisti borghesi non vedono (ib.). La violenza è dimostrata dal fatto che il prodotto del lavoro torna al produttore in maniera "accidentale"(p. 88).

La seconda frase chiave di Marx indica bene il dramma del passaggio dal prodotto alla merce: "nella misura in cui si sviluppa [il rapporto di scambio], si sviluppa il potere del denaro, ossia il rapporto di scambio si fissa come un potere esterno ai produttori e indipendente da loro"(p. 83).

In pratica da un processo spontaneo: lo scambio, si finisce col determinare un processo contronatura, in cui il produttore non è più padrone della sua produzione e del suo prodotto, poiché lo scambio, il mercato, il potere del denaro è diventato padrone della sua produzione e quindi dello stesso produttore.

Marx tende a giustificare questa tragedia storico-sociale in forza della categoria della "necessità storica" del superamento del feudalesimo. "L'abisso tra prodotto in quanto tale e prodotto in quanto valore di scambio"(ib.), il fatto che "lo scopo diretto del commercio non è il consumo ma l'acquisto di denaro"(p. 86), non sono processi economici che possono prodursi in maniera spontanea e non c'è alcuna motivazione "umana" che possa giustificarli, eppure Marx non ha dubbi sulla necessità di questi processi.

Secondo noi occorre una preventiva elaborazione teoretica, culturale, sufficientemente sofisticata, in grado di far sembrare il naturale innaturale, il familiare estraneo e viceversa, nonché una lotta di tipo politico che imponga questo travisamento della realtà a livello istituzionale, prima che determinati processi possano essere considerati "spontanei" o "necessari", in quanto non vengono qui soltanto totalmente sconvolti "i rapporti tra domanda e offerta"(p. 87), ma è l'intera vita sociale che viene distrutta.

Le responsabilità storiche di questo processo ricadono immediatamente sul ceto mercantile e sugli intellettuali che in un modo o nell'altro l'hanno favorito, e indirettamente sulle forze sociali e politiche che non l'hanno sufficientemente ostacolato. Lo stesso Marx lo dice: "tra i consumatori si inserisce un ceto mercantile... che non fa che comprare per vendere e vendere per ricomprare, e che in tale operazione... mira solo a ottenere valori di scambio in quanto tali, ossia denaro"(p. 86).

Nei testi di Marx manca un'analisi della formazione di questo ceto (se si esclude il famoso cap. XXIV del Capitale), che deve essere stato un ceto  refrattario alle leggi scritte e non scritte della comunità di villaggio, un ceto che deve aver posto in essere una sorta di revanche sociale (individuale e di classe) contro la propria comunità originaria, dalla quale si sentiva escluso proprio a motivo dei suoi traffici, inizialmente tollerati solo entro ristretti limiti: "lo scambio tra ceto mercantile e consumatori... è condizionato da leggi e motivi del tutto diversi e possono entrare, l'uno con l'altro, nelle più grandi contraddizioni. In questa separazione è già contenuta la possibilità delle crisi commerciali"(ib.).

Noi infatti dobbiamo dare per scontato che i traffici tra comunità siano sempre esistiti, quindi è sempre esistito un ceto itinerante, disposto a rischiare, i cui componenti si sommavano agli stessi produttori che sul mercato, temporaneamente, si trasformavano in venditori, usando prevalentemente la forma del baratto, e che poi tornavano, per la gran parte dell'anno lavorativo, a fare i produttori. Il ceto mercantile, proprio per il carattere permanente dei suoi traffici, nella forma itinerante dei lunghi viaggi, deve aver progressivamente maturato, dovendo comprare e vendere ovunque potesse, una certa indifferenza ai valori specifici delle diverse comunità locali.

Questo ceto, rimasto ai margini della comunità originaria, è riuscito col tempo ad acquisire ingenti ricchezze in denaro (perché solo questa era la forma in cui poteva arricchirsi), finché non è sorto un altro ceto, quello intellettuale, che ha cominciato a prenderne le difese. Il legame tra teoria (teologia prima e filosofia dopo) e prassi economica porterà successivamente alla rivoluzione politica borghese, di cui quella francese è l'esempio più significativo.

"Nel semplice baratto -dice Marx- può formarsi un ceto mercantile. Ma poiché esso ha a disposizione soltanto l'eccedenza della produzione dai due lati [compera e vendita], la sua influenza sulla stessa produzione rimane, così come tutta la sua importanza, del tutto secondaria"(ib.). Quindi deve per forza esserci stata una convergenza d'interessi teorico-pratica tra ceto mercantile e intellettuali, i quali possono non essere stati esplicitamente borghesi o filo-borghesi, però devono aver elaborato delle idee che in qualche modo (cioè anche contro le loro migliori intenzioni) potevano favorire dei comportamenti che col tempo avrebbero portato all'affermazione sociale della borghesia. Analisi del genere sono del tutto assenti in Marx. Gli intellettuali da lui presi in esame sono già gli economisti dichiarati della società borghese. Manca tutta l'indagine delle teorie implicitamente borghesi espresse nel corso del Medioevo, specie a partire dal Mille.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015