Gli schemi di riproduzione di Marx e la teoria della crisi

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


Gli schemi di riproduzione di Marx
e la teoria della crisi

le crisi permanenti non esistono - Marx

1. Introduzione

L'analisi dell'economia come flusso circolare di risorse nasce nel diciottesimo secolo con il Tableau Economique di Quesnay, capo della scuola fisiocratica francese. La formazione scientifica di Quesnay, che era il medico di corte di Luigi XV, lo aiutò a concepire l'analogia tra sistema economico e flusso sanguigno. Marx riprese questa intuizione e la approfondì descrivendo l'analisi della circolazione e rotazione del capitale nel II volume del Capitale. Per portare a termine tale compito sviluppò uno strumento analitico eccezionalmente fecondo: gli schemi di riproduzione.

Gli schemi di riproduzione permettono di comprendere le condizioni di cui il capitalismo ha bisogno per crescere. Essi mostrano la compresenza di fattori che avvicinano e di fattori che allontanano il sistema produttivo da queste condizioni. L'interazione di queste forze fa sì che nel capitalismo l'equilibrio, ovvero una crescita proporzionata dell'economia, sia estremamente improbabile e solo momentanea. Il capitalismo trova l'equilibrio per un attimo fugace, durante le sue oscillazioni periodiche.

Gli schemi di riproduzione, nel descrivere come il capitalismo può crescere in modo equilibrato spiegano effettivamente perché ciò non avviene. Questo non ha impedito ad alcuni “socialisti” di dare agli schemi un'interpretazione ben diversa. I riformisti, che nella teoria economica erano rappresentati dai cosiddetti neoricardiani (per tutti, il russo Tugan Baranovskij), cercavano di dimostrare che il capitalismo può svilupparsi senza fine, e che dunque il socialismo è solo un desiderio morale, non una necessità storica. Gli schemi di riproduzione vennero utilizzati a questo fine attraverso un'operazione di cattiva logica.

Secondo il noto detto, se mio nonno avesse avuto le ruote, sarebbe stato una cariola. I riformisti si limitarono a questo ragionamento, senza indagare la possibilità storica che un uomo abbia delle ruote. Per i riformisti la cosa era semplice. “Purché” si diano certe proporzioni, la produzione può andare avanti per sempre. La loro idea di “astrazione” manca totalmente di dialettica, è davvero pura matematica, pura fantasia. I riformisti non comprendevano l'essenza del concetto marxiano di produzione in generale sviluppato da Marx nell'Introduzione a Per la critica dell'economia politica. Non comprendevano che il capitalismo, come ogni altro modo di produzione, in ultima analisi, deve produrre valori d'uso. Non è lo scopo della produzione, non è lo scopo dei capitalisti, ma alla fine, se le merci prodotte non servono, non si vendono.

Ora, gli “ottimisti” alla Tugan Baranovskij eliminano ogni problema di realizzo con questa semplice trovata: basta espandere il settore dei mezzi di produzione [1]. Se anche gli operai si riducono (o meglio, se il capitale variabile si riduce come proporzione del capitale complessivo), non c'è problema: i capitalisti si vendono le merci l'un l'altro. Ma poiché nessun capitalista può mangiare per mille operai, di che merci stiamo parlando? Di mezzi di produzione. E che se ne fa il capitalista? Ci produce altri mezzi di produzione che vende ad altri capitalisti. Tutti producono macchine che servono a produrre altre macchine che servono a produrre altre macchine che inevitabilmente servono a produrre altre macchine, perché una simile concentrazione di mezzi di produzione, se si dedicasse alla produzione di merci finali, saturerebbe rapidamente il mercato. Ma si può escludere che si arrivi a questo perché una simile montagna di capitale costante, manovrata da una sparuta quantità di operai, implicherebbe una composizione organica del capitale così elevata che il saggio di profitto dovrebbe inevitabilmente ridursi rapidamente a zero. Molto prima di quel momento i capitalisti avrebbero smesso di investire, a prescindere dagli eleganti e armonici modelli dei riformisti. La prima guerra mondiale, l'imperialismo in generale, sono la dimostrazione storica che gli “ottimisti” non avevano idea di come funzioni il capitalismo.

Reagendo a questa degenerazione del marxismo, Rosa Luxemburg cercò di mostrare che gli schemi di riproduzione erano un'astrazione eccessiva del capitalismo, ne perdevano alcuni aspetti essenziali. In particolare, secondo Rosa Luxemburg, solo attraverso lo scambio con settori extracapitalistici la borghesia aveva la possibilità di realizzare il plusvalore, ovvero trovare sufficiente domanda solvibile.

Rosa Luxemburg si sbagliava, il motore del capitalismo è endogeno. Ma su almeno due punti la sua idea sull'“esaurimento” dello spazio extracapitalistico ha molto da dire. Innanzitutto, la crisi dell'imperialismo (la prima guerra mondiale) si ebbe grosso modo quando finì l'occupazione dell'Africa e del Medio Oriente, sostanzialmente la parte di mondo che ancora andava spartita tra le grandi potenze. Che questo abbia reso insuperabili i dissidi tra i paesi imperialisti non c'è dubbio. In secondo luogo, il capitalismo si espande assorbendo nuova forza-lavoro e questa forza-lavoro, se è “nuova”, significa che non proviene dalle file del proletariato. Si tratta dunque di contadini (di paesi avanzati e arretrati) e di altri ceti non già compresi nell'orbita della produzione capitalistica. Che il capitalismo tenda molto presto ad espandersi per cercare manodopera a basso costo, materie prime, sbocchi per merci e capitali è indubbio. Già Marx osservò:

“La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto stesso di capitale. Ogni limite si presenta qui come un ostacolo da superare”[2].

E ancora

“Non appena comincia ad avere la sensazione e la consapevolezza di essere esso stesso un ostacolo allo sviluppo, subito [il capitale] cerca scampo verso forme le quali, mentre danno l'illusione di perfezionare il dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano nello stesso tempo la dissoluzione sua e del modo di produzione che su di esso si fonda. Ciò che è implicito nella natura del capitale viene solo reso realmente esplicito, come una necessità esterna; e il mezzo è la concorrenza, la quale poi non è altro che questo: che i molti capitali si impongono reciprocamente e impongono a se stessi le determinazioni immanenti del capitale”[3],

Allo stesso modo, è indubbio che l'inglobamento di paesi non capitalisti nell'orbita capitalista abbia conseguenze economiche e politiche di prim'ordine, ma le ragioni di questo processo non solo quelle ipotizzate da Rosa Luxemburg. Da queste errate premesse Rosa Luxemburg traeva anche una conseguenza: una volta terminate le “terze persone”, il capitalismo sarebbe imploso, affogato in una ineludibile crisi di realizzo.

Rosa Luxemburg sbagliava a ritenere necessaria la presenza delle “terze persone”. Sotto il profilo teoretico è possibile ridurre il capitalismo a due classi. Infatti, Marx spiega che il rapporto di produzione capitalistico, come ogni rapporto, è una relazione dialettica tra due classi sociali: i proprietari dei mezzi di produzione e i proprietari della forza lavoro. Questo rapporto non ha logicamente e storicamente bisogno di altro. Ovviamente, il capitalismo, come sistema storico, per le necessità complessive della sua sopravvivenza, sviluppa altre classi, il cui ruolo è economicamente non necessario alla produzione di plusvalore. L'astrazione compiuta da Marx è corretta: essa delinea il fondamento del problema e dunque consente poi allo storico e al politico di ricondurre verso il concreto l'analisi effettuata. Saltare i passaggi verso il concreto significa compiere errori di schematismo, ma impostare male l'astrazione significa escludersi la possibilità di capire.

2. La crisi economica

La sintesi degli schemi di riproduzione è che le crisi capitalistiche sono crisi di sproporzione:

“i nostri schemi dimostrano che nella produzione capitalistica sia la riproduzione semplice che la riproduzione allargata possono svolgersi indisturbatamente, solo a patto che vengano mantenute tali proporzioni”[4].

Ma occorre capire che cosa si intende per sproporzione. Tale concetto abbraccia non solo la crescita relativa tra i settori economici (e dunque crisi di sovracapacità, bolle speculative, ecc.) ma anche il rapporto tra consumo sociale e produzione, e dunque la distribuzione del reddito e il saggio del profitto. Pertanto le crisi sono insieme crisi di sovrapproduzione, sottoconsumo, sovrainvestimento, sovracapacità, sproporzione, domanda, saggio del profitto. L'impostazione tipica degli economisti “marxisti” accademici è di prendere uno di questi fattori e isolarlo dal resto. Così abbiamo i teorici del sottoconsumo, i teorici della sproporzione, i teorici del calo del saggio del profitto, ecc. Questi signori confondono la forma fenomenica della crisi con la sua essenza. In ultima analisi, ogni crisi del capitalismo non è che la manifestazione della sua contraddizione chiave: la contraddizione tra forma sociale della produzione e carattere privato della appropriazione. Le circostanze storiche fanno emergere questa contraddizione in modalità specifiche, ad esempio lo scoppio di una bolla speculativa finanziaria, una guerra, una recessione “classica”, una combinazione di tutte queste cose.

Hilferding ha tratteggiato così l'andamento del ciclo di sviluppo capitalistico:

“Ogni ciclo industriale inizia con una espansione della produzione, le cui cause variano di volta in volta a seconda del concreto momento storico, ma che, in generale, possono essere ricondotte all'apertura di nuovi mercati, al sorgere di nuovi rami produttivi, all'introduzione di nuove tecniche, all'aumento del fabbisogno conseguente all'incremento della popolazione. Tutto ciò determina l'aumento della domanda, che provoca, a sua volta, in singoli rami produttivi, l'aumento di prezzi e profitti. Aumenta così la produzione de settori interessati…il ciclo si inizia così, con il rinnovamento e la crescita del capitale fisso, il che costituisce la causa principale della incipiente prosperità…da questo ciclo, abbracciante una serie di anni di rotazioni in connessione fra loro, nelle quali il capitale è vincolato dalla sua parte costitutiva fissa, deriva un fondamento materiale delle crisi periodiche, in cui la vita economica percorre successivi periodi di ristagno, di vitalità media, di precipitazione, di crisi. I periodi nei quali viene investito capitale sono bensì molto differenti e non coincidono affatto. Ma tuttavia la crisi costituisce sempre il punto di partenza di un nuovo grande investimento, quindi costituisce anche, più o meno,…un nuovo fondamento materiale per il prossimo ciclo di rotazione”[5].

Come detto, l'aspetto immediato della crisi dipende dalle specifiche circostanze storiche. Ad esempio, la carenza di domanda può sentirsi nel settore delle merci di consumo, se nel periodo precedente i salari si sono ridotti, oppure nel settore dei mezzi di produzione, se un calo del saggio del profitto ha condotto alla tesaurizzazione dei profitti. Ma da qualunque settore parta la crisi, le sue conseguenze saranno un crollo della produzione, dell'occupazione e degli investimenti, un acuirsi della concorrenza, e infine un calo generalizzato di prezzi che ristabilisce un qualche ordine nel sistema. Gli eccessi di produzione, che segnalano le difficoltà della produzione capitalistica a realizzare quanto è stato portato sul mercato, sono i termini della sproporzione della crisi. Questa sproporzione emerge alla coscienza reificata dell'economista come uno squilibrio tra la domanda e l'offerta in un mercato e nel sistema complessivamente. Ma questo squilibrio non è altro che l'inevitabile risultato di scelte autonome di milioni di produttori e consumatori, composte a livello sociale nella circolazione delle merci. Una recessione avviene per la sproporzione dei mercati, ovvero perché non c'è una scelta degli obiettivi quantitativi e qualitativi che orienti le azioni dei soggetti che producono, scambiano, consumano.

All'interno di questo meccanismo inesorabile del ciclo, giocano un ruolo crescente il credito e i monopoli. Il credito consente un allungamento della durata del ciclo a costo di una crescita della fragilità dei bilanci delle imprese. La crescente monopolizzazione dell'economia consente alle aziende, di solito multinazionali, di scaricare la crisi sulla picola media borghesia:

“I cartelli non eliminano affatto gli effetti della crisi: tutt'al più essi riescono a modificarli, in quanto possono rovesciare il peso della crisi sulle industrie indipendenti”[6].

Ma c'è un aspetto in cui la monopolizzazione dell'economia può anche peggiorare i picchi del ciclo: l'innovazione tecnologica. Marx spiega che il valore del capitale costante non è determinato dai suoi costi di produzione storici ma dai suoi costi di produzione attuali. Se i monopoli, per aumentare il proprio saggio di profitto, introducono delle innovazioni, svalutano parte del capitale costante che loro stessi e i loro concorrenti detengono perché riducono non il lavoro in essi oggettivato (che è stato erogato da lungo tempo), ma il lavoro vivo che serve oggi per produrli. L'innovazione, distruggendo parte del valore del capitale costante, accresce la concentrazione del capitale come strumento per contrastare la caduta del saggio del profitto.

Analizzando la teoria marxiana della crisi è dunque necessario vedere come le leggi di movimento del capitalismo portino a trasformazioni irreversibili del processo produttivo e riproduttivo. Il ciclo capitalistico non è una semplice alternanza di crescita e recessione, ma una spirale, la cui direzione muta, a un dato momento, dall'alto al basso e viceversa [7]. Questi macromovimenti a loro volta sono inseriti in un unico processo fondamentale che è lo sviluppo e il declino del modo di produzione capitalistico. Inoltre, la crisi termina con un'accelerazione delle tendenze di fondo del capitalismo. Portando alla morte molte imprese, soprattutto le più piccole, spinge alla concentrazione del capitale. Aumentando la dimensione delle aziende, la quantità del capitale accumulato, si fa inesorabile la ricerca di nuovi mercati in patria e all'estero. Il ruolo del credito diviene così decisivo, nasce il capitale finanziario, fusione del capitale creditizio e industriale. Si conquista lo Stato, che da camera di compensazione della borghesia diviene marionetta del complesso industriale e finanziario. Nasce l'imperialismo.

3. L'imperialismo

Sebbene Rosa Luxemburg avesse torto nel ritenere inevitabile lo scambio con “terze persone” per il realizzo del plusvalore, è indubbio che la nascita dell'imperialismo abbia prodotto una profonda modificazione storica nel funzionamento del modo di produzione capitalistico. L'analisi di questi cambiamenti impegnò le diverse correnti del movimento operaio dalla fine del diciannovesimo secolo. Come nel caso dell'interpretazione degli schemi di riproduzione, la storia sancì quale analisi corrispondesse meglio all'effettivo cammino del capitalismo a livello mondiale. Mentre si stava ancora asciugando l'inchiostro sui libri dei revisionisti che parlavano di come i monopoli e il capitalismo di Stato avrebbero eliminato le crisi e le guerre, si udirono i boati dei cannoni che annunciavano la prima guerra mondiale.

Allo stesso tempo, il boom postbellico si incaricò di dimostrare che anche la teoria di Rosa Luxemburg era errata. Il capitalismo era sì stato immerso per trent'anni in una profondissima crisi economica e politica, ma seppure a costo di due guerre mondiali, degli orrori del nazifascismo e della perdita di un quarto del pianeta a favore dello stalinismo, era riuscito ad emergere dalla crisi. La dimostrazione storica definitiva che l'imperialismo è orrore senza fine, come disse Lenin, ma anche che esso può essere distrutto solo dalla classe operaia armata delle idee del marxismo, non da un inesorabile processo storico. La “crisi finale” del capitalismo è la rivoluzione e dunque il partito rivoluzionario.

Furono i bolscevichi a tratteggiare le caratteristiche essenziali del capitalismo nella sua ultima fase, che tuttora attraversa. Tuttavia, Marx aveva già fornito alcune intuizioni interessanti in proposito. Nelle sue Teorie sul plusvalore, parlando del rapporto tra Say e Ricardo, Marx spiega che non appena si instaura il commercio mondiale, la legge del valore “è sottoposta a modificazioni essenziali” perché le giornate lavorative stanno fra di loro sulla base delle diverse produttività relative e dunque “il paese più ricco sfrutta quello più povero”. Questa è la nascita della teoria dell'imperialismo. Se vogliamo è un'estensione dell'analisi di come le grandi aziende si impadroniscono di nuovi settori: vi investono e dunque realizzano profitti, devastando o comprando i produttori “locali”. Lo scambio di più lavoro con meno lavoro è appunto l'essenza dell'imperialismo, sia verso i paesi coloniali ed ex coloniali sia verso la piccola e media borghesia. Spettò a Lenin nell'analisi dell'imperialismo e a Trotskij con la teoria della rivoluzione permanente trarre compiutamente le conseguenze politiche di questo sviluppo.

4. La riproduzione semplice

Introducendo gli schemi di riproduzione, Marx distingue la riproduzione semplice, che è uno stato in cui il ciclo economico si ripete sempre uguale a se stesso, e la riproduzione allargata, che introduce l'aspetto dell'accumulazione e della crescita economica. Sarebbe un errore ritenere che la riproduzione semplice sia solo un artificio didattico, usato da Marx per introdurre l'accumulazione del capitale. Marx spiega infatti che la riproduzione semplice esiste in ogni contesto ed è alla base dell'accumulazione. Senza riproduzione semplice sarebbe infatti impossibile procedere ad una espansione delle forze produttive. Allo stesso tempo, l'essenza del capitalismo sta nel fatto che i proprietari dei mezzi di produzione sono delle macchine per accumulare, il loro scopo è massimizzare la quota di lavoro non pagato da destinare a nuovi investimenti. La borghesia, come “funzionario del capitale”, assolve la funzione storica di accrescere lo sviluppo delle forze produttive. In questo senso il passaggio dalla riproduzione semplice alla riproduzione allargata è anche un processo storico da società in cui l'accrescimento del plusvalore non era lo scopo della produzione, al capitalismo.

Per analizzare le caratteristiche di sviluppo del capitalismo, Marx divide l'economia in due settori. Il settore 1 produce i mezzi di produzione, il settore 2 produce le merci per il consumo. Ovviamente nella realtà vi è una certa sovrapposizione perché una merce puo avere più funzioni, ma si può pensare, in linea teorica, che una parte della produzione di quella merce ricada nel settore 1, l'altra nel settore 2. Integrando le singole porzioni di capitale costante, capitale variabile e plusvalore nei settori 1 e 2 possiamo scrivere:

(1)

(2)

(dove P sta per produzione totale, c per capitale costante v per capitale variabile e s per plusvalore)

Ora, perché la riproduzione di questo sistema avvenga con regolarità vi sono due condizioni di equilibrio. La prima è che il valore della produzione del settore 1 corrisponda ai mezzi di produzione impiegati dall'economia. La seconda è che il valore della produzione del settore 2 corrisponda alla domanda complessiva del sistema. Ovvero, il valore del settore dei mezzi di produzione deve corrispondere ai mezzi di produzione esistenti e, allo stesso modo, il valore del settore delle merci di consumo deve corrispondere alla domanda complessiva. In formule le due condizioni sono:

(3)

(4)

Sostituendo la (1) nella (3) e la (2) nella (4), ovvero scrivendo per esteso il valore della produzione dei due settori, osserviamo che le due condizioni si riducono a una:

(A)

Questa è la condizione di equilibrio che, se raggiunta, è necessaria e sufficiente al regolare funzionamento del sistema.

Da un punto di vista analitico, occorre analizzare che cosa succede quando il capitalismo non si trova in questa condizione. Poniamo ad esempio di osservare che: v1+s1>c2.

Ciò significa che la grandezza del settore 1 supera il valore complessivo del capitale costante. Vi è dunque domanda solvibile non corrisposta dalla produzione. In una situazione del genere, le merci tenderanno a vendersi ad un prezzo superiore al loro costo di produzione. Questo aumenterà i profitti e dunque gli investimenti per ampliare la scala della produzione. I mezzi di produzione tenderanno perciò a crescere, riequilibrando la domanda potenziale. Si noti che questa è soltanto una tendenza.

Nulla garantisce, nonostante la spinta della concorrenza, che ciò accada nel tempo e nella dimensione adatti a equilibrare il sistema. Al contrario, i produttori espanderanno tutti insieme la produzione, guidati dalla crescita del saggio di profitto, e questo avrà come effetto di aumentare la capacità dei mezzi di produzione oltre la domanda solvibile (c1>v1+s1), provocando una riduzione dei prezzi e dunque una riduzione dei profitti, degli investimenti e così via. Le oscillazioni attorno all'equilibrio potranno essere più o meno violente a seconda della situazione dell'economia mondiale, del sistema creditizio, della politica economica e così via. Ma in linea di massima le forze che riequilibrano il sistema non garantiscono il raggiungimento di una situazione armonica.

Da questa analisi, pure matematicamente elementare, è possibile trarre profonde indicazioni analitiche. Notiamo ad esempio che il rapporto tra i settori 1 e 2 - che si può leggere in un certo senso come l'ampiezza dello sviluppo della società rispetto alla sua attuale dimensione - si connette ai due aspetti chiave del capitalismo: il saggio di profitto e la composizione organica del capitale. Possiamo infatti scrivere:

(5)

(dove C=c1+c2, ecc.)

Ora definendo con q la composizione organica e con e il saggio di plusvalore, possiamo scrivere

(6)

Questo significa che lo sviluppo decresce con q e sale con e. Il che è del tutto in linea con quello che è successo nella storia del capitalismo e con quello che succede nelle diverse fasi del ciclo.

5. La riproduzione allargata

Se nulla garantisce l'equilibrio nella riproduzione semplice, in cui tutto procede immutato di anno in anno, a maggior ragione ciò varrà introducendo l'accumulazione. Ipotizziamo ora che i capitalisti, da veri funzionari del capitale, capitalizzino una parte del plusvalore con cui acquistano nuovo capitale costante e nuovo capitale variabile. Seguendo la notazione introdotta da Bucharin, dividiamo il plusvalore come segue: s=ac+av+b, dove: ac rappresenta l'accumulazione di capitale costante, av l'accumulazione di capitale variabile e b il consumo personale della popolazione non proletaria. A questo punto riscriviamo la (1) e la (2):

(1a)

(2a)

Come si vede, la riproduzione allargata si basa sempre sulla riproduzione semplice. Infatti:

  riproduzione semplice   riproduzione allargata
P1=

+

P2=

+

Allo stesso modo, le condizioni di equilibrio diventano

(3a)

(4a)

Anche qui, sostituendo la scrittura estesa della produzione ricaviamo un'unica condizione, analoga a quella già vista:

(B)

Questa condizione significa che la crescita della domanda e la crescita della capacità produttiva devono andare di pari passo. Una conclusione abbastanza logica, persino scontata, e nel capitalismo assai difficilmente raggiungibile.

6. Un esempio numerico

Ricordiamo che l'equilibrio della riproduzione semplice implica tre condizioni:

- uguaglianza del saggio di plusvalore

- uguaglianza del saggio di profitto

- la condizione (A)

L'esempio più semplice che si può immaginare di un'economia che rispetti queste condizioni è quello in cui i due settori hanno le stesse proporzioni ma diverse dimensioni. Infatti, se immaginiamo che il settore 2 sia identico al settore 1 ma grande il doppio (cioè, c2=2c1 ecc.), le tre condizioni risultano immediatamente rispettate. In particolare la terza è: c2=v1+s1=>20=10+10.

Più in generale, vediamo qui ripresentarsi la questione della proporzione. Infatti le tre condizioni sono rispettate quando P1=xP2. Come visto, possiamo scrivere x come q/1+e. Questo è il fattore di proporzionalità tra i due settori. Esso incorpora la composizione organica del capitale e il saggio di plusvalore, i due cardini dello sviluppo del capitalismo, rappresenta la proporzione tra gli investimenti passati (la composizione organica) e quelli possibili (il saggio del plusvalore). In una parola, la storia dell'ascesa e del declino del modo di produzione capitalistico.


Note

1. Contro questi “socialisti” si può utilizzare un'osservazione che Marx fece sugli economisti borghesi “ottimisti”: “Quando la scissione estrema porta a eruzioni, gli economisti additano l'unità essenziale e astraggono dall'alienazione. La loro sapienza apologetica consiste nel dimenticare in tutti i momenti decisivi le loro stesse condizioni.” (Grundrisse, vol. 1, p. 87)
2. K. Marx, Grundrisse, vol. 2, p. 9.
3. Cit., p. 334.
4. R. Hilferding, Il capitale finanziario, p. 333
5. R. Hilferding, Il capitale finanziario, pp. 336-337
6. Cit., p. 389.
7. Trotskij ha descritto molto acutamente questo processo ne La curva dello sviluppo capitalistico.

Bibliografia

  • Brofenbrenner M., Il capitale per l'uomo moderno
  • Bucharin N., L'imperialismo e l'accumulazione del capitale
  • Hilferding R., Il capitale finanziario
  • Lenin, L'imperialismo
  • Luxemburg R., L'accumulazione del capitale
  • Marx K., Grundrisse
  • Marx K., Introduzione del '57 a Per la critica dell'economia politica
  • Marx K., Il capitale, vol. 2
  • Rosdolski R., Genesi e struttura del Capitale di Marx
  • Trotskij L., La curva dello sviluppo capitalistico

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015