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GUGLIELMO DI OCCAM (1295/1300-1349)

I - II - III

Occam

Fu senza dubbio il più influente filosofo del XIV secolo. Ciò è vero per quanto riguarda l'influenza immediata, che è validamente testimoniata dai decreti dell'università di Parigi pronunciati contro i suoi insegnamenti, ed anche in relazione alle controversie in cui le sue concezioni esercitarono un ruolo di ovvia importanza. 

Come campione del nominalismo egli estese la sua influenza fino al XVII secolo. Involontariamente, ma pure innegabilmente, egli contribuì al declino del tentativo scolastico volto a stabilire un ragionevole accordo tra filosofia e rivelazione, poiché limitò drasticamente l'uso del ragionamento rigoroso, in modo tale che esso non poté più svolgere la sua usuale funzione. Allo stesso tempo occorre mettere ben in chiaro che tutto ciò non era affatto nelle intenzioni di Occam. Egli fu in primo luogo teologo e nella fase più burrascosa della sua carriera fu impegnato nella contesa tra il suo Ordine ed il Papato circa la questione della povertà francescana ed i limiti del potere papale. 

Il nome di Occam è strettamente legato a quella corrente di pensiero che nel medioevo si chiamò nominalismo, e nella filosofia moderna empirismo. La prima questione vivacemente trattata e discussa dalla logica medievale fu la questione degli "universali". Esistono certamente, nel nostro modo di parlare, termini comuni che si riferiscono a un numero indefinito di individui: vi sono anche concetti corrispondenti? realtà esistenti in sé e per sé separate e distinte dagli individui, o non separate né distinte dalle individuazioni degli individui? 

Già all'inizio della controversia vi fu chi, come Roscellino, ritenne che i termini universali non fossero che "flatus vocis", senza concetti e realtà corrispondenti. Fu la prima forma di nominalismo; l'ultima fu quella di Occam, dopo le speculazioni di Anselmo d'Aosta, Abelardo, S. Tommaso e Scoto, che avevano difese posizioni concettualistiche o realistiche, moderate o eccessive. Egli non solo propose una forma vera e propria di nominalismo, ma vi costruì attorno tutta una nuova logica, iniziò un movimento che fu appunto chiamato della logica nuova contro quella antica, l'aristotelica. 

Vi è chi pensa che l'essenza o l'anima del nominalismo e quindi dell'occamismo, e la sua visione centrale sia una particolare concezione del reale, una intuizione metafisica: l'individuo esistente è tutto un blocco, colato tutto d'un pezzo, indistinto ed indiviso in sé, che possiede tutto ciò che ha allo stesso modo, senza nulla avere in sé che lo accomuni ad altri individui, e che lo porti alla contraddizione di essere diviso da se stesso. 

Altri hanno visto l'essenza del nominalismo in una filosofia dell'assoluta onnipotenza e libertà di Dio e della totale contingenza delle creature, in cui veniva negato ogni valore reale a tutto ciò che nel mondo poteva essere ritenuto universale e necessario. Altri infine hanno visto nel nominalismo un metodo gnoseologico, che avrebbe da una parte colmato l'abisso creato dalla logica realistica, perdutasi in un groviglio di distinzioni e sottodistinzioni nella speranza di raggiungere l'universale, e dall'altra ravvicinato il soggetto conoscente alla realtà, fino ad unificare questo e quello nella conoscenza intuitiva del singolare: il ricorso all'esperienza e la conoscenza intuitiva sarebbero stati il metodo e l'idea centrale del nominalismo. 

L'occamismo è tutto ciò, ma soprattutto è una mentalità, la mentalità propria dell'empirismo: in esso, oltre l'affermazione dell'esistenza degli esseri singolari nella loro singolarità, oltre l'affermazione del puro e semplice fatto, non v'è che la negazione sistematica di quanto è frutto della speculazione propria dell'intelligenza; negazione della ricerca delle spiegazioni, o delle cause, o principi del mondo dell'esperienza; negazione dell'universale, del necessario, dell'intellegibile, del dover-essere di fronte all'essere; la negazione della metafisica. 

Questa negazione è governata essenzialmente da due principi, che ricorrono molto spesso in Occam: quello dell'onnipotenza divina (Dio può compiere qualunque cosa possa essere fatta senza violare il principio di contraddizione) e d'economia (Ciò che può essere fatto con un numero minore, inutilmente è fatto con un numero maggiore). 

  1. Col primo principio Occam negò tutte le necessità provenienti dalla natura delle cose: dinanzi a Dio onnipotente tutte le cose non potevano che essere contingenti e sottomesse alla sua volontà creatrice; non potevano essere invocate leggi assolute, necessità essenziali. 
  2. Col secondo principio veniva dichiarata inutile ogni complessità ontologica affermata dall'intelligenza per spiegare i diversi principi della realtà empirica. Il principio dell'onnipotenza divina ha un ruolo importante nella discussione del principio di causalità. Occam ritiene che una prova definitiva del fatto che qualsiasi cosa in questo mondo causa qualche altra cosa non è nemmeno pensabile, perché nulla ci vieta di pensare che determinati effetti che noi attribuiamo a cause seconde (cioè le creature) possono essere invece attribuiti alla causa prima che è Dio. 

In altre parole, il principio di causalità nella forma: ogni effetto ha una causa, è illegittimo perché tra causa ed effetto si sperimenta la vicinanza e la successione, non la dipendenza e l'influsso causale. Sicuramente non esiste alcuna prova del fatto che Occam consideri la causalità come una pura e semplice successione regolare, benché una simile concezione gli si a stata attribuita. Anche se Occam crede nell'efficacia causale delle creature, egli non crede che sia assolutamente verificabile attraverso l'osservazione dei processi causali. Tutto ciò che l'osservazione può rivelare consiste nella concomitanza e nella sequenza, e ciò è sufficiente, senza assumere alcun intervento miracoloso, a provare una connessione causale. 

Non solo la dottrina degli universali è quella a cui il suo nome è usualmente associato, ma rappresenta anche un elemento centrale nel suo pensiero. I filosofi medievali cristiani del XIII sec., come pure la maggior parte dei filosofi ebrei e musulmani, concordavano sul fatto che la cosa singolare è la realtà primaria e che all'esterno della mente umana non si trova alcuna cosa universale che abbia esistenza separata ed indipendente rispetto agli individui. 

Ciononostante, molti filosofi avevano sostenuto che nei molteplici individui simili è presente una natura comune che, considerata in se stessa, non è né una né molteplice, ma semplicemente quella che è. Troviamo varianti di questa concezione in Avicenna, Averroè, Tommaso d'Aquino, Duns Scoto. L'universale è, essi sostennero, un concetto ricavato per astrazione dagli individui della stessa specie. Esso ha come fondamento la natura comune alle cose dello stesso tipo. Infatti, benché non esistano universali fuori della mente ed indipendenti dagli individui, l'universale però esiste in virtù dell'astrazione che la mente opera in base alla natura comune distribuita fra le differenti cose. Il nominalismo occamistico fu una immediata reazione al realismo eccessivo di Scoto, che per vari anni aveva insegnato ad Oxford. 

L'attacco sferrato da Occam contro la dottrina delle nature comuni dipende dall'applicazione rigorosa che egli fa della massima generalmente accettata secondo cui Ente ed Uno sono reciprocamente convertibili, ossia tutto ciò che esiste è uno e tutto che è uno esiste. Così come la intende Occam, questa massima significa che tutto ciò che è, è numericamente uno, oppure che ogni cosa reale è numericamente distinta da qualsiasi altra cosa reale. Ogni unità è numerica ed ogni diversità è parimenti numerica. Non resta dunque posto alcuno per una natura comune a molteplici individui numericamente diversi. Il punto fondamentale del pensiero di Occam riguardo agli universali emerge con chiarezza soltanto quando egli attacca la dottrina di Duns Scoto. 

Occam viene ad affermare la natura convenzionale ed artificiale dei termini universali, in quanto l'universale è, sia sul piano concettuale, sia su quello linguistico un'entità per sé singolare che acquisisce una dimensione di generalità in quanto viene destinata alla funzione di simbolizzazione di un'intera classe di oggetti. In questo senso, l'universale o è una qualità o stato della mente per sé singolare, che si predica di un insieme di oggetti - e alla funzione di termine universale può assolvere il concetto di un oggetto naturale singolare che funge da simbolo naturale; oppure è un segno linguistico formato ed istituito ad arbitrio per designare una classe di oggetti. 

Dalla dottrina occamista discende la conseguenza che l'universale e il singolare non sono "realiter" distinguibili, in quanto l'universalità esprime una modalità di impiego di un oggetto singolare. Secondo Scoto la natura comune esiste sì nei singolari, ma in una maniera tutta speciale, La natura comune non possiede unità numerica, bensì una sorta di unità "meno che numerica". In ciascun individuo di un determinato tipo troviamo sia la natura comune (del tipo in questione) sia quella che Scoto chiama la differenza individuante ossia la haecceitas (esser questo qui). Tra la natura comune in ciascun individuo e la differenza individuale sussiste quella che Scoto chiama distinctio formalis

Dicendo questo, spiega Scoto, dobbiamo intendere che in ogni individuo sussiste una distinzione tra la natura comune e la natura ad esso peculiare, distinzione che vige prima di qualsiasi operazione dell'intelletto. In altre parole, la distinzione formale non è effetto delle operazioni di discernimento da noi compiute: essa è nell'oggetto prima che noi la cogliamo. La distinzione è poi detta "formale" in contrapposizione lla distinzione reale. Se due cose sono realmente distinte, una di esse può esistere separata dall'altra, oppure ne può esistere una senza che esista l'altra. Ma se invece sussiste una distinzione formale tra due parti di una cosa data, è impossibile, anche per la potenza divina, che l'una esista senza l'altra. Insomma, in un individuo di un certo tipo la natura comune e la differenza individuale sono differenti l'una dall'altra, ma non sono separabili l'una dall'altra. 

Questo è il nocciolo della soluzione data da Scoto al problema degli universali. Il concetto universale ha un fondamento nelle cose esterne alla mente, e questo è la natura comune degli individui. Questa natura comune non è numericamente unica nei diversi individui; essa ha un'unità, ma tale unità è meno che numerica. Ciascun individuo è numericamente o realmente distinto da qualsiasi altro. 

Tuttavia, allo scopo di rendere ragione del fatto che un concetto universale si applica a ciascun elemento di un insieme di cose, Scoto si trova costretto ad adottare la concezione di Avicenna secondo cui, considerata in se stessa, la natura comune non è numericamente una, né numericamente molteplice, mentre invece, considerata come la natura comune di diversi individui, essa forma un'unità numerica con ciascuno di questi individui, per quanto essa conservi la sua unità "meno che numerica". 

Per Occam, invece, tutte le cose che sono distinguibili sono numericamente differenti e pertanto separabili, almeno ad opera dell'assoluta potenza di Dio. La dottrina delle nature comuni, secondo Occam deriva principalmente da tre fonti. In primo luogo ci si è sbagliati nel formulare il problema: anziché chiedere "come è possibile che l'universale o ciò che è comune diventi singolare ossia sia individuato?", dovremmo chiedere "come è possibile che qualcosa di singolare diventi universale?". 

Infatti, poiché in natura ogni cosa è radicalmente ed originalmente singolare, il problema è quello di spiegare come il concetto possa funzionare come un termine universale capace per sua natura di significare una molteplicità di cose. In secondo luogo si è sempre assunto che, al fine di rendere ragione della somiglianza che sussiste tra le cose, si dovesse invocare qualcosa di distinto da quelle cose stesse, laddove è possibile che questa somiglianza sia spiegata senza ricorrere ad un qualsiasi tertium quid. 

C'è infine la dottrina dell'astrazione, derivata da Aristotele ed adottata da molti dei filosofi medievali. Secondo questa dottrina i concetti universali sorgono quando dagli individui simili viene astratta una natura comune. Sebbene questa natura comune non possa esistere indipendentemente nelle cose singolari di cui è la forma essenziale, essa può tuttavia essere pensata indipendentemente da tali individui. 

A giudizio di Occam, ciò è impossibile. La mente può astrarre solo ciò che è capace di esistenza separata. La soluzione recata da Occam al problema degli universali è quindi la seguente: non ci sono nature comuni, ma ogni cosa nella natura o nella mente è individuale o singolare. Le sole realtà assolute sono, pertanto, le sostanze e le loro qualità. Sulla base delle sostanze e delle qualità noi siamo in grado di spiegare in che modo le cose individuali e le loro altrettanto individuali qualità costituiscano una base per la formazione dei concetti universali. 

Occam, a questo punto fa ricorso al concetto di somiglianza: se due individui sono simili, non è necessario, e nemmeno possibile, dire che essi sono simili in qualche cosa o in alcune cose. Non esiste infatti, alcune natura universale in cui essi siano simili. In altre parole, essi sono simili per mezzo di se stessi, delle loro sostanze o dei loro accidenti radicalmente individuali. Per Occam, quindi, il fondamento del concetto universale che si trova nella mente è la rassomiglianza che le sostanze o gli accidenti individuali hanno l'uno nei confronti dell'altro. 

Questo concetto universale è prodotto nella coscienza dall'oggetto, senza che che intervenga alcune attività da parte della mente. E' questa rassomiglianza a ciascun elemento di una molteplicità di individui singolari ciò che assicura l'elemento non-arbitrario, mettendo in relazione il concetto con i suoi referenti appropriati. Poiché in un concetto universale non si trova nulla che lo renda più appropriato ad un elemento particolare di un insieme di individui che si assomigliano esattamente l'uno all'altro, Occam dice che esso sta indifferentemente o confusamente per uno qualsiasi di essi. 

Gli universali, dunque, in prima istanza, non sono parole, ma concetti. Essi non sono imposti dalle cose arbitrariamente, ma sono segni naturali esistenti a guida di qualità della mente, in essa prodotti attraverso la naturale operazione della percezione e del pensiero, e contengono solo quel carattere di un particolare individuo che assomiglia esattamente ad un altro individuo. La rassomiglianza del concetto nei confronti degli individui per i quali esso sta rende il concetto stesso un segno naturale, ossia lo rende capace di stare per i suoi referenti in modo naturale. 

Il fatto che il concetto contenga solo una caratteristica, per la precisione solo il carattere essenziale dell'individuo, lo rende idoneo a stare per uno qualsiasi di un insieme di individui tra loro simili, piuttosto che per uno di esssi in particolare; segue da ciò quella che Aristotele presentò come definizione dell'universale: un segno per sua natura adatto ad essere predicato di molti. Un altro elemento importante della dottrina occamista è la distinzione tra la conoscenza intuitiva, a cui è demandata la funzione di enunciare proposizioni di portata esistenziale su quel campo di oggetti singolari che costituisce il dominio ontologico disponibile all'uomo e che si esprime in enunciati del tipo: Socrate è bianco, in cui la conoscenza di Socrate e della bianchezza costituisce una condizione in forza della quale si potrà concludere con evidenza che Socrate è bianco. 

La conoscenza intuitiva è una conoscenza di tipo fattuale che definisce una classe di oggetti contingenti, singolari; ma essa finiva per implicare secondo Occam una riduzione degli enunciati ai dati dei contesti sensoriali, attraverso una procedura di scomposizione dei contenuti di essa nei loro termini costitutivi semplici, empiricamente accertabili. Attraverso una tale procedura, dalla conoscenza intuitiva prendeva le mosse la conoscenza empirica. 

La conoscenza empirica o sperimentale forniva un contesto di riduzione e di prova della classe degli enunciati fattuali mediante la scomposizione di essi in termini disponibili all'osservazione empirica. Occam desiderava mettere in rilievo il ruolo primario che spetta alla conoscenza delle cose singolari almeno per due ragioni: 

a) essa fornirebbe un supporto per il suo attacco contro le nature comuni: se le uniche realtà extramentali sono le cose singolari e se i concetti universali sono derivati dai singolari e si riferiscono solo ai singolari, risulta necessario affermare senza esitazione la conoscenza diretta delle cose singolari; 

b) una conoscenza intuitiva diretta della realtà esterna evita qualsiasi intermediario che si frapponga tra gli oggetti e la nostra conoscenza di essi ed evita così le conseguenze scettiche che Occam vedeva celate nella nozione di specie intellegibile. Il nominalismo occamista porta ad applicare il principio di economia a molti concetti della scienza che, da parte di altri autori, erano stati considerati come nomi di speciali realtà. 

Sebbene la conoscenza degli universali spesso arrivi a definire le nature essenziali delle cose, questo non sempre si verifica. Dobbiamo distinguere tra definizioni che ci forniscono un'essenza reale e quelle che ci forniscono soltanto un'essenza nominale, poichè molti termini del discorso sono soltanto abbreviazioni convenienti per proposizioni complesse. Talvolta questi modi di parlare compendiosi ci spingono a credere che la parola stia per una singola cosa assoluta: questa ipotesi deve essere evitata. 

Le astrazioni della geometria e della fisica non devono essere scambiate per caratteri del mondo. Coerentemente Occam fornisce analisi dei concetti di moto, tempo, luogo e simili, che, riducono i costituenti ultimi del mondo a sostanze e qualità. Il termine moto, per esempio, non sta per una realtà distinta dalle sostanze o dalle qualità individuali, una sorta di realtà incompleta: è solo una conveniente abbreviazione per un complesso di asserzioni. 

Questi termini della scienza fisica sono per Occam solo costrutti logici. Il principio guida sulla base dei quali egli tratta le astrazioni fisiche, come il moto è il seguente: tutto ciò che può essere mantenuto supponendo che moto sia il nome di una forma assoluta può essere mantenuto ugualmente bene, o addirittura meglio, supponendo che la parola stia per un complesso di asserzioni in cui sono contenuti termini sostantivi, termini qualitativi e costanti logiche; questa è un'altra applicazione del principio d'economia. Tutte le scienze, per Occam, sono insiemi ordinati di "abiti". 

L'oggetto o gli oggetti della scienza sono proposizioni, la scienza quindi non riguarda le cose, ma i termini. Una scienza reale, tuttavia, riguarda i termini che stanno per le cose; la logica all'opposto, è una scienza riguardante termini che stanno per altri termini. Questo modo di concepire la natura delle scienze, reali o logiche, deriva in gran parte dal nominalismo occamista, secondo cui nulla di universale esiste al di fuori della mente nella natura delle cose. 

Tutto ciò che esiste all'esterno della coscienza è singolare, pertanto, siccome la scienza consiste di proposizioni, per lo più universali e sempre contenenti termini universali, siamo obbligati a sostenere che ess verte su termini o concetti. Nella logica, che studia i vari tipi di termini e di proposizioni di cui è composto il discorso (cioè le varie forme di asserzione ed inferenza), dobbiamo distinguere il significato dei termini dalla loro supposizione. I termini del discorso sono mentali, orali o scritti. Quando un termine del discorso mentale o concetto causa la comprensione di qualche cosa, si può dire che esso significa quella cosa. 

Tali termini, tuttavia, talvolta significano cose e talvolta, invece, significano concetti della mente. Nei due casi abbiamo un termine di prima o seconda intenzione. La supposizione di un termine è una caratteristica che i termini possiedono solo quando occorrono in proposizioni. Quando un termine sta per il suo normale referente (significato) esso ha una supposizione personale, quando sta per la parola stessa ha una supposizione materiale, ecc. 

Questa teoria secondo cui concetti o parole hanno supposizioni differenti (ossia differenti modo di stare per) è usata da Occam con grande efficacia per riuscire a configurare come modalità diverse dei rapporti di predicazione quelle che la tradizione scolastica aveva assunto come distinzioni di tipo ontologico. Ad una diversa modalità di predicazione del termine "essere" Occam aveva ridotto la distinzione tra potenza ed atto che Aristotele aveva enunciato nella Metafisica. 

Tale distinzione è da assumere, secondo Occam, nel senso delle distinte funzioni di simbolizzazione che competono al termine "essere" allorché è impiegato per denotare realtà fattuali e quando, invece, è destinato ad esprimere la dimensione della possibilità. L'equivocità del concetto di essere era riconducibile ad una classe di differenti modalità di predicazione dei termini di un enunciato. Essenza ed esistenza non designavano tipi di entità distinte, ma erano termini che esprimevano differenze riconducibili a funzioni differenti alle quali i simboli assolvono nel contesto proposizionale. 

Mediante questa riconversione di tali termini a funzioni diverse del contesto proposizionale, Occam era stato in grado di mettere in questione lo schema metafisico tomista che assumeva come dimensioni ontologiche distinte quelle che erano solo funzioni distinte del linguaggio, allorché separava l'essere delle creature dalla loro essenza, laddove in Dio l'essere e l'essenza risultavano identici, ed aveva saldato l'essere delle creature a quello di Dio - unità che sfuggiva sia l criterio di univocità, sia a quello di equivocità - attraverso il concetto di analogia. 

Contro il concetto analogico di essere, ossia di unità dell'essere sulla base di un differente rapporto di proporzionalità, per cui Dio avrebbe l'essere per essenza, mentre le creature lo avrebbero per partecipazione, Occam sosteneva l'univocità del concetto di essere. Il concetto di essere nel quale rientrano sia Dio, sia le creature, è un concetto ottenuto per astrazione operata su un oggetto singolare e generalizzato a tutte le classi di oggetti. Non v'è perciò alcuna gerarchia di livelli entro il concetto di essere, come non ve n'è entro il concetto di umanità, ad esempio. Da questo Occam aveva concluso che non aveva più senso la dottrina tradizionale secondo la quale l'essere è l'oggetto dell'indagine metafisica.

Angelo Papi

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Aggiornamento: 26-04-2015