PLATONE

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PLATONE

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Vita e opere

Platone nacque nel 428/427 in una grande famiglia aristocratica collocata al centro della vita politica e sociale di Atene. Vanta nobili origini sia da parte di padre che di madre, ma la sua formazione giovanile è influenzata in modo particolare dallo zio Crizia, sofista e futuro tiranno di Atene. Attraverso questo personaggio il giovane Platone venne a contatto con il gruppo degli estremisti aristocratici e filospartani che progettavano, e poi realizzarono, anche se per breve tempo, una restaurazione del potere oligarchico in Atene; un potere questo che non era accompagnato dalla ragione, ma solo dalla violenza e dal rifiuto della mediazione politica. Nel circolo di Crizia Platone conobbe Socrate. Queste origini influirono molto sulla formazione di Platone, il quale si trovò ben presto impegnato nell'azione politica nella sua città; il primo esperimento politico cui aderì fu quello di Crizia appunto, ma ben presto, a causa dell'ondata di violenza cui questo esperimento diede luogo, egli si convinse dell'ingiustizia e dell'impossibilità di un potere basato solo sulla forza. 

L'insegnamento di Socrate aveva mostrato come al potere fosse necessario affiancare sapienza e saggezza, ma l'esempio della restaurata democrazia dell'inizio del IV secolo, che non riusciva ad affrontare nessuno dei gravi problemi dell'Atene di quel tempo, fece comprendere a Platone la necessità di un diverso sistema politico, in quanto quel sistema non si poteva modificare dall'interno. In ogni caso i successivi progetti del filosofo ipotizzarono forme di potere fondamentalmente aristocratico, anche se egli intendeva inserire in quella forma sociale nuove capacità di governo. Ben presto egli si trovò di fronte a due problemi: da un alto egli doveva organizzare in Atene un gruppo politico-intellettuale che fosse in grado di rappresentare quell'unione di politica, saggezza e sapere su cui si basava il suo progetto di rifondazione del potere aristocratico; dall'altro egli doveva trovare un nuovo riferimento politico a livello internazionale, dopo che Sparta non si era dimostrata il modello ideale e dopo che era ormai caduta ad opera dei Tebani. 

Platone risolse il primo problema fondando in Atene, nel 387, l'Accademia (così detta dal giardino dedicato all'eroe Akademos, che egli aveva acquistato per la scuola). Dal punto di vista giuridico l'Accademia figurava come un'associazione religiosa dedicata al culto delle Muse, mentre nella realtà si trattava di un centro di ricerca scientifica frequentato da filosofi, matematici e scienziati; di un'organizzazione politica che raccoglieva giovani aristocratici di Atene e di altre parti del mondo greco; di un istituto di educazione superiore, primo del genere nella storia della Grecia. Caratteristiche dell'Accademia erano la vita in comune che vi conducevano maestri e discepoli, l'accordo su un progetto di riforma etico-politica della società e la convinzione che questo progetto dovesse essere basato su un sapere filosofico-scientifico.

Per quanto riguarda il secondo problema, quello di un riferimento politico concreto cui appoggiarsi, Platone non aveva fiducia nella nascente potenza macedone e preferiva guardare con simpatia all'Occidente greco, Taranto in primo luogo, dove il pitagorico Archita deteneva un potere stabile e testimoniava della fusione fra politica e sapere. Oltre a Taranto era Siracusa l'altra città verso cui Platone nutriva degli interessi: qui infatti regnava il tiranno Dionisio, cui Platone poté avvicinarsi grazie alla mediazione di un amico. Il tentativo di convertire Dionisio al pensiero politico dell'Accademia fallì e Platone dovette ben presto fuggire insieme all'amico Dione che lo affiancava in questa impresa e che era cognato di Dionisio. Alla morte del tiranno regnò a Siracusa un altro Dionisio e Platone tornò per ritentare l'impresa, anche con l'eventuale presa del potere diretto sulla città; ma anche questo e un altro tentativo che gli fece seguito fallirono.

Opere di Platone

I dialoghi di Platone vengono normalmente divisi in tre gruppi, così composti:

1) Dialoghi giovanili o "socratici" (scritti dal 399 al 387 circa) prevalentemente dedicati alla figura di Socrate (Apologia, Critone) e all'indagine sui valori morali (Eutifrone, Lachete, Ione, Ippia maggiore, ecc.); i dialoghi maggiori di questo periodo sono il Carmide (sulla possibilità di una scienza universale), il Protagora (rapporto tra virtù e scienza) e il Gorgia (contro la retorica sofistica).

2) Dialoghi del periodo centrale (scritti dal 387 al 367), che comprendono il Menone (teoria della reminiscenza), il Cratilo (rapporti fra linguaggio e realtà), il Fedone (immortalità dell'anima), il Simposio (amore e conoscenza), la Repubblica (rapporto fra scienza e politica) e il Fedro (l'anima e la retorica).

3) Dialoghi dell'ultimo periodo, che insieme alla Repubblica sono quelli di maggiore impegno teorico. Essi comprendono il Parmenide (problemi della teoria delle idee), il Teeteto (problemi della conoscenza), il Sofista (dialettica, logica e metodo dicotomico), il Politico (ridefinizione del filosofo-re sulla base del metodo dicotomico), il Filebo (rapporto fra scienza, bene e piacere), il Timeo (filosofia della natura), il Crizia (frammento di un grande racconto sulla genesi dello stato), le Leggi (ultima opera di Platone, che riprende la Repubblica per proporre una legislazione più dettagliata).

Oltre alle opere vi è anche una raccolta di lettere, la più importante delle quali, per comprendere la biografia di Platone, è la lettera VII.

La corretta interpretazione di questi scritti pone una serie di problemi che vanno sotto il nome di questione platonica, i cui aspetti principali sono tre: autenticità degli scritti conservati, cronologia (vi sono dubbi sull'esatta successione delle opere) e presenza di dottrine non scritte che avrebbero costituito l'insegnamento orale diretto del maestro.

In ogni caso, da un punto di vista complessivo, lo sviluppo spirituale del filosofo sembra essere stato il seguente: dapprima trattò una problematica prevalentemente etica, muovendo dalle posizioni cui era pervenuto Socrate; in seguito si rese conto della necessità di recuperare le istanze della filosofia della physis; questo recupero avvenne in modo del tutto originale, attraverso quella che Platone chiamò "seconda navigazione", quella navigazione che lo portò alla scoperta dell'essere soprasensibile, soprafisico.

Platone si occupò anche del Bene, ma non scrisse nulla su questo argomento, in quanto riteneva che un simile sapere non si potesse trasmettere se non attraverso un'adeguata preparazione; ciò che ci è pervenuto in proposito è il frutto della trascrizione da parte dei suoi discepoli di quei discorsi.

Caratteristiche generali del pensiero

Platone prosegue la tradizione della grande filosofia aristocratico-sacerdotale che va da Pitagora a Parmenide, tradizione dalla quale ricava l'idea centrale di una scissione gerarchica della realtà e del sapere: a livello teorico essere contro apparire, verità contro opinione, ragione contro sensi, mentre a livello sociale anima contro corpo, acropoli contro agorà, aristocrazia contro demos. Sempre da questa tradizione egli riprende anche l'identificazione della verità con la pura teoria a contenuti prevalentemente logico-matematici, con il conseguente rifiuto del sapere empirico proprio della tradizione ionica che va da Talete ad Anassagora.

Ma Platone non poteva limitarsi a ripetere i temi della tradizione aristocratica, in quanto questi non trovavano più un vasto uditorio e, dal punto di vista politico, non si mostravano più in grado di esercitare quel dominio che da quel tipo di discorso sarebbe dovuto scaturire. Bisogna poi ricordare che l'esperienza sofistica aveva portato alle estreme conseguenze la vecchia comunicazione filosofica, ponendo una serie di esigenze più articolate e complesse di pensiero e di espressione. Occorreva un tipo di discorso che non si limitasse ad annunciare il discorso vero, ma che mostrasse le sue capacità di interpretare e risolvere i problemi di tutti. Per rispondere a queste esigenze Platone creò una forma nuova per la comunicazione filosofica, il dialogo. Il dialogo platonico si presenta come una discussione filosofica in cui uno o più interlocutori, che rappresentano il sapere volgare legato all'opinione, vengono confutati dal filosofo (che Platone chiama dialettico, e che è sempre interpretato dal personaggio Socrate, anche se molte delle idee da lui enunciate appartengono a Platone), il protagonista del dialogo, che li invita a volgersi verso un sapere superiore. Si tratta di una forma di comunicazione dinamica, che si vuole contrapporre sia alla poesia che al libro sistematico, ma è una comunicazione che avviene pur sempre in un contesto aristocratico, anche se sembra voler ottenere il consenso del popolo.

Socrate aveva condannato il mito esigendo la rigorosità del procedimento dialettico, ma Platone, che inizialmente aveva condiviso questa posizione, rivalutò il mito usandolo costantemente e attribuendogli una grande importanza. Occorre però chiedersi che senso abbia il mito in Platone, in quanto chiaramente non si tratta di un ritorno a quel mito da cui la filosofia si era affrancata per diventare disciplina autonoma, un mito pre-filosofico che non conosceva ancora il logos. Il mito di Platone non subordina a sé il logos, ma al logos fa da stimolo e lo feconda, è un mito che nel momento in cui viene creato è anche demitizzato, in quanto perde i suoi elementi fantastici per conservare solo i poteri allusivi e intuitivi. Per intenderci meglio possiamo considerare il mito in Platone come un modo per esemplificare certi concetti filosofici o certe dottrine particolarmente importanti (vedremo successivamente alcuni esempi significativi).

La metafisica

Come abbiamo già detto in precedenza, la grande novità del pensiero platonico consiste nella scoperta di una realtà soprasensibile (un genere di essere non fisico) sconosciuta alla filosofia della physis, che aveva cercato di spiegare tutti i fenomeni ricorrendo a cause di carattere fisico e meccanico. Quello che più si era avvicinato a questa intuizione era stato Anassagora, il quale aveva introdotto il concetto di Intelligenza universale, concetto che rimase però sempre in secondo piano di fronte alle cause fisiche tradizionali. Ma ora, dopo che la corrente naturalistica si era esaurita nell'Atomismo di Democrito e dopo la parentesi della Sofistica, l'interrogativo sulla eventuale esistenza di una causa superiore torna a proporsi all'attenzione della filosofia.

Per affrontare questi problemi, Platone intraprende quella che lui stesso definisce "seconda navigazione": secondo il linguaggio marinaresco si indicava come seconda navigazione quella che si intraprendeva quando, caduto il vento e non funzionando più le vele, si poneva mano ai remi. Nell'immagine platonica la prima navigazione era l'indagine svolta dai Naturalisti, mentre la seconda consisteva nel suo personale contributo. Visto che i soli sensi non erano riusciti a spiegare il sensibile occorreva ora scoprire una causa superiore, per raggiungere la quale occorre affrancarsi dai sensi e spostarsi nel terreno del ragionamento puro, del puro intelletto. Il risultato di questo spostamento dal mondo sensibile a quello intelligibile sarà la scoperta dell'Idea come causa prima delle cose. L'esempio più famoso col quale Platone espone questa nuova teoria è quello relativo a Socrate in carcere: per spiegare il motivo per cui egli si trova in quella situazione non basta infatti la spiegazione naturalistico-meccanicistica, che ci dice che Socrate è lì perché ha delle gambe che lo hanno portato in quel luogo (questa spiega solo il mezzo usato da Socrate), ma occorre ricorrere ad una spiegazione di carattere morale, quindi di livello più elevato (Socrate rimane in carcere perché ha deciso che è giusto agire in quel modo). La seconda navigazione conduce quindi a riconoscere l'esistenza di due piani dell'essere: uno fenomenico e visibile, l'altro invisibile, metafenomenico ed intelligibile. Questa scoperta segna la tappa più importante della storia della metafisica, perché solo da questo momento in avanti si può parlare di materiale ed immateriale, e sempre da questo momento la realtà diventa l'intelligibile mentre la natura è solo ciò che ci appare: si tratta di una scoperta che ha condizionato tutta la storia del pensiero occidentale, perché tutti dovranno fare i conti con la metafisica, sia chi l'accetterà, sia chi la rifiuterà.

Queste cause di natura non fisica sono state denominate da Platone con il termine di Idea, che significa Forma: queste Idee non devono essere considerate come dei semplici concetti o delle rappresentazioni mentali, perché soltanto più tardi verrà attribuito ad esse questo significato; esse sono entità, sostanze, ciò che il pensiero pensa quando si è liberato dal sensibile, sono ciò che fa sì che ciascuna cosa sia ciò che è, le essenze delle cose, i modelli. Platone definisce le Idee anche con i termini in sé e per sé (il bello in sé si distingue dal semplice bello, in quanto quest'ultimo può essere relativo al soggetto che lo afferma, mentre il primo è il Bello assoluto). Queste Idee non mutano, mentre mutano le cose che da esse derivano. Il complesso delle Idee viene definito nel Fedro Iperuranio (che significa luogo sopra il cosmo fisico, ovvero un luogo che non è un luogo).

Il mondo delle Idee è una molteplicità, in quanto vi sono Idee di tutte le cose: Idee di valori morali, Idee delle varie realtà corporee, degli enti geometrici e così via. Le Idee sono ingenerate, incorruttibili ed immutabili (è evidente che singolarmente esse possiedono le stesse caratteristiche dell'essere eleatico).

Questa scoperta di Platone aveva permesso di superare il contrasto fra il pensiero di Eraclito e di Parmenide, in quanto il perenne fluire di tutte le cose di cui parlava il primo vale per il mondo sensibile, mentre l'immutabilità del tutto è tipica del mondo intelligibile, che permane sempre identico a se stesso. Restavano però da risolvere altri due problemi che l'eleatismo aveva posto, e cioè l'esistenza dei molti e il non-essere. Riguardo al primo problema Platone afferma nel Parmenide che l'uno non può venir pensato in maniera assoluta, non escludendo in questo modo la molteplicità. Ma la novità più importante è rappresentata dal superamento dell'aporia eleatica (che cioè non esista il non-essere e quindi che non sia possibile il movimento, in quanto questo sarebbe da considerare come un passaggio dal non-essere all'essere o viceversa): Platone dice che Parmenide ha ragione nel credere che non esista un non-essere assoluto, ma questo non è l'unico non-essere che esiste, in quanto dobbiamo ammettere l'esistenza di un non-essere relativo, consistente nell'alterità o diversità (un'Idea per essere quello che è deve non-essere tutte le altre, quindi possiede una data quantità di essere e un'infinita quantità di non-essere).

Il sistema delle Idee di Platone è gerarchico, in quanto presenta delle Idee inferiori legate ad altre superiori e colloca in cima al tutto un'Idea suprema, che è l'Idea del Bene. Questa Idea del Bene produce l'essere e la sostanza, rende le altre Idee conoscibili e la mente capace di conoscerle. Di questo principio supremo egli parla solo nella Repubblica, avendogli dedicato la massima attenzione in quella parte della sua riflessione che è rimasta orale; sappiamo che nelle dottrine non scritte egli chiama questo principio "Uno", cosa che non contrasta con la definizione di Idea del Bene, in quanto l'Uno riassume in sé il Bene e tutto ciò che genera è bene. All'Uno si contrappone un secondo principio, inteso come indeterminato, illimitato e come principio di molteplicità, che viene chiamato Diade. Dalla cooperazione di questi due principi originari nasce la totalità delle Idee, in quanto l'Uno agisce sulla molteplicità illimitata come principio limitante e determinante, ossia come principio formale (che dà forma), mentre il principio della molteplicità illimitata (la Diade) funge da sostrato. L'Uno è così principio di essere (in quanto l'essere nasce dalla delimitazione dell'illimitato, così come il cosmo nasce dall'ordine che elimina il caos primordiale), di verità (in quanto determinando rende intelligibili le cose), di valore (perché la delimitazione implica perfezione). La generazione delle Idee da questi due principi avviene secondo un ordine che non va inteso in senso temporale ma ontologico, in quanto l'ordinamento dell'essere è atemporale e aprocessuale. Dopo i primi due principi di cui abbiamo parlato, Platone colloca alcune Idee generali, come quelle di Essere, Quiete, Movimento, Identità, Diversità, Uguaglianza, Disuguaglianza e così via. Nel gradino più basso della gerarchia del mondo intellegibile egli colloca gli enti geometrici.

Come il mondo intellegibile deriva dall'Uno, che funge da principio formale, e dalla Diade, che è il principio materiale (anche se si tratta, è importante sottolinearlo, di una materia intellegibile e non sensibile), così il mondo fisico deriva dalle Idee, che sono il principio formale, e da un principio materiale sensibile, ovvero fisico, anche se sempre indeterminato ed illimitato. Per mettere però in contatto le Idee (principio intellegibile) con la materia (principio sensibile) occorre un mediatore: questi sarà il Demiurgo, un Dio-artefice il quale, prendendo a modello il mondo delle Idee, plasmerà la materia generando il cosmo fisico (che si distingue dal cosmo noetico, l'Iperuranio). Il mondo sensibile è quindi una copia di quello intellegibile, e il Demiurgo ha creato questo mondo per bontà. Secondo Platone, prima che il Demiurgo generasse il mondo, non esisteva nemmeno il tempo, in quanto la dimensione del mondo intellegibile è atemporale; il mondo sensibile, a differenza di quello intellegibile che è sempre esistito, è stato generato, ma non si corromperà.

A livello teologico occorre dire che in Platone è presente una concezione della divinità impersonale; le Idee sono divine, così come lo sono i due principi dell'Uno e della Diade, ma sempre nel senso di divinità impersonali. Il Demiurgo invece è un Dio-persona che però non crea, in quanto la materia gli preesiste, ma ordina: è un Dio ordinatore, che Platone colloca in una posizione subordinata della sua gerarchia celeste. Se pensiamo all'influsso che il pensiero platonico avrà nella teologia cristiana, è ovvio che possiamo vedere un nesso con il Demiurgo ma non con i due principi divini che egli colloca al vertice della gerarchia.

Il problema della conoscenza

Posta l'esistenza di un mondo intellegibile, resta ora da spiegare come questo sia accessibile alla conoscenza umana. La soluzione a questo problema è esposta da Platone nel Menone ed è la dottrina dell'anamnesi, in base alla quale conoscere significa ricordare, far riemergere ciò che esiste da sempre nell'interiorità della nostra anima. Platone espone questa dottrina sia in modo mitico che in modo dialettico: per quanto riguarda il primo modo egli si rifà alle dottrine orfico-pitagoriche, per le quali l'anima è immortale, ed essendo più volte rinata essa ha potuto conoscere tutta la realtà, anche quella del mondo Iperuranio (è facile capire come in questo caso si tratti solo di ricordare cose già viste per dare luogo alla conoscenza); accanto a questa prima spiegazione Platone aggiunge però l'esempio dello schiavo ignaro di geometria che, guidato dal filosofo, riesce a risolvere un difficile problema, esempio che gli permette di constatare, al di fuori del mito, che la conoscenza è anàmnesi. E' evidente, in questo secondo caso, l'influsso della maieutica socratica, che anzi viene in questo modo rafforzata attraverso una sua fondazione nella preesistenza delle verità nell'uomo (Socrate non aveva spiegato come fosse possibile far nascere la verità con la semplice arte del dialogo); oltre all'influsso socratico va ricordata anche la dottrina della metempsicosi, o della trasmigrazione delle anime, che è di matrice orfico-pitagorica.

Platone riprende ancora questa teoria nel Fedone, a proposito delle conoscenze matematiche: egli dice che noi constatiamo con i sensi l'esistenza di cose quadrate, circolari e di altre forme, ma ci accorgiamo che i sensi non ci forniscono mai dati che si adeguano in modo perfetto alle nostre nozioni; noi possediamo la nozione di quadrato perfetto, ma nessuna cosa è in realtà assolutamente quadrata. Vi è allora un dislivello fra dati dell'esperienza e nostre nozioni, un plus che non può che derivare da noi stessi, non dall'esterno; ma deriva da noi non nel senso di una nostra creazione, bensì di un nostro ricordare, scoprire dentro di noi qualcosa che esiste già. In pratica, ed è questo il senso della dottrina dell'anàmnesi, la nostra anima, prima di incarnarsi nel nostro corpo, ha conosciuto il mondo delle Idee, l'Iperuranio; questa visione metafisica è rimasta impressa in noi come un timbro, in modo tale che il nostro scopo è far emergere pian piano tutte le conoscenze che sono già in noi.

Platone distingue diversi gradi di conoscenza. Solo l'essere è pienamente conoscibile, mentre il non-essere non è affatto conoscibile; tra questi due estremi vi è però il mondo sensibile, che è un misto di essere e non-essere e, per questo, è conoscibile in un modo che è intermedio fra la scienza e l'ignoranza: questa forma di conoscenza si chiama opinione (doxa) ed è quasi sempre fallace perché non ha in sé la garanzia della verità. A loro volta opinione e scienza hanno due gradi: l'opinione si divide in immaginazione e in credenza; la scienza si divide in scienza mediana e in pura intellezione.

Per meglio comprendere la teoria dei gradi della conoscenza bisogna introdurre uno dei miti più importanti e più conosciuti del pensiero platonico, quello della caverna. Platone immagina degli uomini che vivono in una caverna che abbia l'ingresso aperto verso la luce; quindi immagina che gli abitanti di questa caverna siano legati alle mani e al collo, in modo tale da essere costretti a guardare solo verso il fondo della caverna medesima. Immagina poi che appena fuori della caverna vi sia un muricciolo ad altezza d'uomo e che dietro questo vi siano delle persone che si muovono portando sulle spalle delle statue raffiguranti ogni genere di cosa. Inoltre occorre ancora aggiungere che dietro questi uomini arde un grande fuoco e, dietro ancora, vi è il sole; la voce di essi poi, a causa dell'eco, risuona nel fondo della caverna.

Ora è chiaro che quegli uomini vedrebbero solo le ombre delle statue che si proiettano sul fondo della caverna e udrebbero l'eco delle voci, ma, non avendo mai visto altro, essi penserebbero che quella sia l'unica realtà esistente. Se poi uno di questi prigionieri riuscisse a liberarsi dei ceppi che lo legano e potesse girarsi, scoprirebbe le statue che si muovono al di sopra del muro e capirebbe che quelle son più vere delle ombre che vedeva prima (inizialmente farebbe fatica perché abituato all'oscurità, ma poi si abituerebbe alla nuova luce). Se poi egli fosse portato da qualcuno fuori dalla caverna resterebbe abbagliato per la gran luce, ma poi si abituerebbe a vedere le cose stesse, quindi vedrebbe, prima riflessa e poi direttamente, la luce del sole, e capirebbe che quella luce è causa di tutte le altre cose.

I significati di questo mito sono molteplici. Innanzitutto esso rappresenta i vari gradi ontologici della realtà: le ombre della caverna sono le parvenze sensibili delle cose, le statue le cose sensibili vere e proprie, mentre il muro è la divisione fra sensibile e soprasensibile; al di là del muro le cose vere rappresentano il vero essere e le Idee, mentre il sole simboleggia l'Idea del Bene.

In secondo luogo questo mito esprime molto bene l'aspetto ascetico, mistico e teologico del platonismo: la vita nella dimensione dei sensi è la vita nella caverna, mentre la vita nella dimensione dello spirito è la vita nella pura luce; il volgersi dal sensibile all'intelligibile è rappresentato come "liberazione dai ceppi".

In terzo luogo, come conseguenza del precedente aspetto, questo mito esprime anche la concezione politica di Platone: egli infatti parla di un ritorno nella caverna di colui che prima si era liberato, un ritorno che serve a liberare gli altri che sono ancora in catene. Questo ritorno è il ritorno del filosofo-politico, il quale, lungi dal limitarsi a contemplare il vero per sé soltanto, vuole rendere partecipi anche gli altri di quella luce. Ma qual è il destino che lo attende? Molto probabilmente è quello stesso di Socrate, di non venire cioè compreso e di rischiare addirittura di essere considerato come un pazzo dagli altri uomini che ancora vivono nell'oscurità della caverna (anche perché ora egli non riuscirà più a riadattarsi ai vecchi usi e alle vecchie concezioni della caverna), anche se questo rischio darà un senso alla sua esistenza (in quanto chi vede il vero Bene ha il dovere di mostrarlo anche agli altri).

Tornando ai gradi della conoscenza da cui eravamo partiti, nel mito della caverna la visione delle ombre simboleggia l'immaginazione, mentre la visione delle statue rappresenta la credenza; il passaggio dalla visione delle statue alla visione degli oggetti veri e a quella del sole, prima mediata e poi immediata, rappresenta la dialettica nei vari gradi e la pura intellezione. A proposito invece di conoscenza mediana e di pura intellezione, la prima si riferisce alla conoscenza matematico-geometrica, mentre la seconda alla pura conoscenza dialettica delle Idee (la prima è una forma di conoscenza che ha ancora a che fare con immagini visibili, mentre la seconda è puro atto intellettivo, coglimento puro delle Idee, in particolare dell'Idea del Bene che è quella suprema).

Platone afferma che gli uomini comuni possono attingere solo ai primi due gradi di conoscenza (immaginazione <eikasìa> e credenza <pìstis>), i matematici alla scienza mediana (dìanoia), mentre solo il filosofo può raggiungere la pura intellezione (nòesis). Il processo attraverso il quale il filosofo procede da un'Idea all'altra, per giungere infine all'Idea del Bene, è chiamato dialettica. Vi è una dialettica ascensiva (quella che, liberando dai sensi, conduce di Idea in Idea sino all'Idea del Bene) e una dialettica discensiva (che consiste nel cammino inverso e permette, attraverso un processo di divisione, di scoprire il posto occupato da ciascuna Idea nella struttura gerarchica del mondo ideale).

Da questa concezione del problema della conoscenza deriva anche la teoria platonica dell'arte: questa è considerata negativamente da Platone, in quanto non disvela la realtà ma la nasconde e corrompe. Dal punto di vista ontologico essa è mimesi, imitazione di eventi sensibili i quali, come abbiamo visto, sono a loro volta imitazione di un mondo intelligibile; alla fine l'arte è un'imitazione dell'imitazione e per questo Platone non le attribuisce nessun valore di verità. Platone non vede nell'arte nulla di utile alla vita dell'uomo in quanto la studia solo dal punto di vista di una sua utilità alla ricerca del vero.

Lo stesso giudizio negativo riguarda anche la retorica, che per Platone è semplice contraffazione del vero. Ad essa va sostituita la vera politica, così come alla poesia va sostituita la filosofia. Attraverso la retorica molti volevano, secondo Platone, vantare la conoscenza di verità che invece non possedevano affatto.

Non avendo agganciato la tematica della bellezza all'arte, Platone la collega all'eros e all'amore; l'amore viene però inteso come una forza mediatrice fra sensibile e soprasensibile, forza che eleva attraverso i vari gradi della bellezza, sino alla Bellezza in sé. Siccome il Bello coincide con il Bene, allora l'eros, e di conseguenza l'erotica, si rivela come una via alogica che conduce all'Assoluto. Amore è per Platone un essere demoniaco intermedio fra uomo e Dio; esso si manifesta non come bello o buono, ma come sete di bellezza e di bontà, vale a dire come una forza dinamica e non statica. Amore è quindi filo-sofo, vale a dire persona che non possiede il sapere ma vi anela. L'amore di cui parlano le persone comuni è solo una parte del vero amore.

Il più basso grado nella scala dell'amore è l'amore fisico, poi vi è il grado degli amanti (amanti delle arti, della giustizia, delle leggi), infine vi è il sommo grado della scala d'amore che è la folgorante visione dell'Idea del Bello in sé, dell'Assoluto. L'amore platonico quindi, così spesso frainteso, è nostalgia dell'Assoluto, forza che ci spinge a ritornare al nostro essere-presso-gli-Dei.

La concezione dell'uomo

La concezione platonica del rapporto anima-corpo è dualistica, in quanto risente dell'influsso dell'Orfismo, che introduce una componente religiosa accanto a quella metafisico-ontologica: questo influsso trasforma la distinzione anima (sensibile) corpo (soprasensibile) in una opposizione. Di conseguenza il corpo non è più il semplice ricettacolo cui l'anima deve la sua vita e le sue capacità, ma è una prigione, un luogo da cui fuggire, luogo di espiazione. Nasce in questo modo quella concezione negativa del corpo che dominerà per molti secoli la riflessione filosofica, sino a condizionare lo stesso sviluppo del pensiero cristiano.

Da questa opposizione derivano due paradossi: il primo è quello della fuga dal corpo, che significa morte della prigione in cui il corpo è costretto, per dare più vita all'anima, fuga che permette di ritrovare la dimensione spirituale; il secondo è quello della fuga dal mondo, che significa diventare virtuosi attraverso la fuga dalle cose terrene per avvicinarsi a Dio. Il significato è identico: fuggire dal corpo significa fuggire dal male del corpo mediante virtù e conoscenza; fuggire dal mondo significa fuggire dal male del mondo sempre mediante virtù e conoscenza; seguire virtù e conoscenza significa farsi simili a Dio.

A questo punto la "cura dell'anima" che era il supremo compito morale dell'uomo per Socrate, diventa purificazione dell'anima che si realizza trascendendo i sensi e unendosi al mondo intellegibile, la cui natura è connaturale a quella dell'anima. Questo misticismo platonico che parla della necessità di una conversione per purificare l'anima, presenta una novità rispetto alle precedenti concezioni di purificazione, quali quella dell'Orfismo, cui Platone deve molto. Questa novità consiste nel fatto che per purificazione non si intende un'estatica e alogica contemplazione, ma un catartico sforzo di ricerca e di ascesa alla conoscenza. E' la conoscenza che ci eleva al soprasensibile, rappresentando così anche una conversione morale, e non più la pratica magico-religiosa dell'Orfismo. L'anima si purifica conoscendo.

Quanto alla natura dell'anima Platone non si limita a dire che essa è l'essenza stessa dell'uomo, ma va oltre, affermandone l'immortalità, in quanto se essa non fosse tale, con la morte del corpo si dissolverebbe anche l'anima e non sarebbe possibile affermare alcun principio morale. Platone giunge a questa affermazione partendo dal presupposto che per conoscere il mondo delle Idee, che sono immutabili ed eterne, l'anima deve possedere la loro stessa natura (è chiaro che senza questa precisazione non reggerebbe nemmeno tutta la teoria della conoscenza, basata sulla visione delle Idee che precede l'ingresso dell'anima nel corpo).

Abbiamo già parlato più volte di come l'anima conosce le Idee, e cioè attraverso la visione di cui gode prima di fare il suo ingresso in un corpo; occorre allora chiarire il significato della metempsicosi (dottrina della trasmigrazione delle anime) in Platone. Egli affronta questo argomento nel Fedone e nella Repubblica, giungendo a conclusioni diverse nei due casi. Nel Fedone egli parla del destino delle anime dopo la morte legato al comportamento tenuto in vita, per cui chi è vissuto nelle passioni vedrà la propria anima reincarnarsi in un essere inferiore, mentre al contrario chi è vissuto secondo virtù si reincarnerà in esseri superiori; solo al filosofo, però, è data la possibilità di liberarsi completamente dal ciclo delle reincarnazioni per unirsi definitivamente all'Assoluto. Nella Repubblica egli parla di un premio e di un castigo che hanno una durata limitata (mille anni, numero che è il frutto dell'influsso della mistica pitagorica del numero dieci), dopodiché la reincarnazione è inevitabile. Ci troviamo quindi di fronte ad un ciclo di reincarnazioni legato alle vicende dell'individuo e a uno cosmico, legato ad una determinata durata: a questi due cicli Platone ha dedicato alcuni dei suoi miti più famosi.

Da quanto si è detto emerge un quadro escatologico in cui la vera vita non è quella terrena, ma è quella dell'aldilà, in cui l'anima verrà giudicata in base al comportamento tenuto in vita. La sorte che tocca alle anime è di tre tipi diversi, che assomigliano molto alla triplice divisione dell'aldilà cristiano in Paradiso, Purgatorio e Inferno.

La politica e l'educazione

Per Platone vera filosofia e politica coincidono, perché la politica consiste nel rendere l'anima più virtuosa, che è anche l'attività del filosofo. Per costruire lo stato ideale occorre che il politico diventi filosofo. Queste concezioni vanno inserite in un preciso contesto storico, che è quello greco in cui la filosofia è intesa come conoscenza delle ragioni prime di tutte le cose, l'uomo coincide con la sua anima, individuo e cittadino sono la stessa cosa e, infine, la Città-Stato è l'unica forma di società possibile.

Per questo Platone può dire che lo Stato è l'ingrandimento della nostra anima e che, per esistere, esso ha bisogno di tre classi sociali: contadini, artigiani e mercanti, i quali devono provvedere ai bisogni materiali della comunità; custodi o guerrieri, che devono difendere la Città; reggitori, che devono governarla. Nella prima classe di uomini prevale l'aspetto concupiscibile dell'anima, quello più elementare; nella seconda domina la forza irascibile dell'anima; nella terza predomina l'anima razionale e virtù specifica è la sapienza (questi uomini devono aver potuto conoscere e contemplare il Bene). La Città sarà perfetta quando domineranno la temperanza nella prima classe, il coraggio nella seconda e la sapienza nella terza. La giustizia sarà l'armonia che si instaura fra queste tre virtù. E' chiaro quindi che la tripartizione dello Stato in classi sociali è legata alla tripartizione dell'anima in appetitiva, irascibile e razionale. In questo Stato ideale ognuno dovrà fare ciò che gli compete e lo dovrà fare nel modo migliore possibile.

Legata alla concezione della politica è la necessità di un certo tipo di educazione, che prepari gli uomini di cui la Città ha bisogno. Secondo Platone gli uomini della prima classe non hanno bisogno di grandi insegnamenti, mentre un lungo cammino attende le altre due classi. Egli poi stabilisce un piano dettagliato degli studi da compiere, che comprende il saper leggere e scrivere, la conoscenza dei testi classici e di alcune nozioni di matematica; il servizio militare conclude la preparazione dei "custodi". I Governanti devono invece proseguire gli studi, apprendendo la dialettica e facendo pratica nelle istituzioni della Città. Platone inoltre vorrebbe esonerare coloro che volessero intraprendere questa carriera dall'avere una famiglia e dai vincoli economici, per non essere distratto nella sua attività di politico.

Tutte queste affermazioni sono contenute nella "Repubblica", ma successivamente Platone si rese conto che molti di questi disegni erano irrealizzabili e quindi vi apportò delle modifiche, affermando che la cosa importante per il politico è conoscere il Bene e riuscire a calarlo, con la sua attività, nella società. Inoltre, se non è possibile realizzare tutto questo in una Città reale, almeno è importante che lo si realizzi dentro di sé. Sempre partendo dalla constatazione della difficoltà di realizzare questi disegni, egli avvertì l'esigenza di elaborare anche delle costituzioni per gli stati reali, quelli in cui la legge deve essere sovrana, in quanto non sempre l'attività dei governanti è improntata alla giustizia. A questo proposito Platone nota l'esistenza di tre forme di costituzione: monarchia, aristocrazia e democrazia (le cui degenerazioni sono rispettivamente la tirannide, l'oligarchia e la demagogia). Platone predilige la forma monarchica nei casi in cui lo Stato è ben governato, quella democratica quando invece vi è corruzione (perché in questo modo almeno si garantisce un poco di libertà).

SINTESI

I) Premessa storico-biografica. Il governo di Pericle viene travolto dagli aristocratici, dopo che Atene fu sconfitta nella guerra del Peloponneso. Ma poi ci sarà la restaurazione democratica conservatrice, che determinerà la morte di Socrate. Platone partecipò a questa restaurazione e se ne pentì, poiché era discepolo di Socrate. Di qui il tentativo di rifondare la politica aristocratica (in Sicilia), ma l'esperimento fallisce. Allora fondò l'Accademia.

II) Premesse culturali di Platone.

A) Socratismo (metodo dialogico, ricerca della verità/virtù, contro i sofisti).

B) Arte medica di Ippocrate (metodo induttivo, scientifico e centrato sull'uomo, seppure solo in maniera biologica. Contro gli ionici).

C) Matematica dei pitagorici (certezza/esattezza come avviamento alla filosofia. Vedi i "copri platonici": 5 solidi regolari con angoli e lati uguali).

D) Astronomia (equivalenza tra microcosmo/macrocosmo, finalismo).

III) Il "problema Socrate". [Protagora e Gorgia]

L'identificazione socratica di sapere/virtù porta a due domande:

A) è insegnabile la virtù dal filosofo?

B) come mai vi sono forme di sapere che non portano alla virtù?

Problemi: A) se la virtù è soggettiva non è insegnabile,

B) se il sapere non è scientifico, può condurre al male (vedi la sofistica).

Soluzione: Il sapere non coincide con la ricerca ma con una definizione scientifica. E' l'oggetto che rende scientifico il sapere.

IV) Reminiscenza e idee. [Menone...] Risponde alle domande precedenti.

A) Il sapere per essere scientifico non può dipendere dall'esperienza, che è mutevole: sarebbe incomunicabile, perché solo soggettivo. Imparare significa ricordare (ciò che precede l'esperienza).

B) Ricordiamo le idee, che fondano la materia, essendo dotate di forma. L'idea è ciò per cui si conosce. Il mondo sensibile è un'imitazione di quello sovrasensibile. L'idea principale è quella di Bene (causa finale).

V) Politica. [Repubblica, Leggi...]

A) Repubblica (ispirazione: Sparta)

1) Unire sapere, virtù e vita politica. Dall'idea di Stato ideale può nascere uno Stato giusto. Dalla filosofia alla politica.

2) Lo Stato nasce per il moltiplicarsi dei bisogni primari (di qui la specializzazione dei mestieri).

3) La società divisa in tre classi: politici (saggezza), militari (coraggio), lavoratori (temperanza), che corrispondono alla tripartizione dell'anima: razionale, irascibile, concupiscibile. Occorre l'armonia delle classi.

4) Uguaglianza dei sessi, comunanza di beni/donne per i politici/militari, onde evitare interessi privati. Divisione del lavoro. Gerarchia.

B) Leggi.

1) Non più il filosofo-politico deve governare, ma le leggi razionali e divine.

2) Ammissione della famiglia.

3) No al rigido comunismo dei beni.

4) No all'ateismo (chi nega la divinità nega un mondo ordinato secondo ragione.

VI) Concezione dell'arte.

1) L'arte è imitazione dell'imitazione (imita la realtà che è già una copia sbiadita delle idee). Quindi è lontanissima dalle idee.

2) Sì alla musica in quanto è affine alla matematica.

3) No alla poesia religiosa e alla tragedia (Omero, Esiodo), che pone il fato superiore all'uomo.

VII) Concezione del mito.

1) Non è un'imitazione del mondo sensibile, ma un tentativo non dimostrativo di riferirsi a problemi filosofici, stimolando la ricerca.

2) La filosofia deve usare il mito, poiché l'essere non può essere pienamente definibile (facilmente dimostrato): di qui ad es. il mito della caverna che spiega teoria delle idee.

VIII) Filosofia come eros e come dialettica. [Fedone, Convito...]

1) Dualismo di anima (immortale: l'essere) e corpo (mortale: il non-essere).

2) Funzione della filosofia: esercitarsi a morire al corpo.

3) Ciò che unisce essere/non-essere è l'eros, figlio di povertà (perché non possiede la sapienza) e di ricchezza (perché vi aspira). L'eros conduce all'Assoluto (è diviso in gradi).

4) Sapere = cogliere dialetticamente le relazioni tra le cose e spiegarle. La dialettica è ascensiva (dai sensi, per unità, sino all' idea di Bene) e discensiva (scoprire, per divisione, il posto occupato da ciascuna idea).

IX) Essere/non-essere. [Sofista]

1) Platone contesta Parmenide: se l'essere assolutamente è, esso coincide col non-essere, col nulla, in quanto non c'è nulla fra le cose che sono che ne abbia sensazione. Di esso nulla si può dire.

2) Il non-essere è il diverso dell'essere (Eraclito però diceva l'opposto). L'essere comprende in sé la molteplicità (il non-essere, che è qualcosa).

3) I contrari non possono coesistere nella stessa cosa. L'uno sta in un rapporto dialettico col molteplice, in quanto lo prevede, non lo esclude. Essere è potenza.

X) Origine dell'universo. [Timeo]

Accettando il non-essere, P. rivaluta parzialmente il naturalismo.

1) La natura, il cosmo, l'universo sono ordinati, non creati. Rispondono a un fine, impresso loro dal demiurgo, che ha portato il caos a delle leggi precise, seguendo il modello delle idee.

2) L'universo ha un'anima come l'uomo (coincidenza di micro/macrocosmo).

Giuseppe Cantarelli

Testi di Platone

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Aggiornamento: 13-09-2016