QUADRO STORICO DELL'EPOCA DI SOCRATE, PLATONE E ARISTOTELE

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QUADRO STORICO DELL'EPOCA DI SOCRATE, PLATONE E ARISTOTELE

Morte di Socrate, di J. L. David, Metropolitan Museum Art di N.Y.

I - II

A partire dalla fine del VII sec. a.C., mentre si andavano consolidando gli stati ateniese e spartano, in Oriente l'impero prima dei Medi e poi dei Persiani raggiungeva il culmine della propria potenza ed espansione territoriale. Il re Dario aveva dato al grande impero persiano una solida organizzazione di tipo burocratico-istituzionale, politico, finanziario e fiscale, imperniata sul decentramento amministrativo, sull'autosufficienza economica e sulla figura del sovrano, vero fulcro non solo simbolico dell'unità di uno stato estesissimo e plurinazionale. L'affermazione sull'altra sponda dell'Egeo delle pòleis greche rendeva inevitabile il confronto fra due realtà politiche apparentemente inconfrontabili, ma di fatto concorrenti nell'area economica del Mediterraneo centro-orientale. All'inizio del V secolo una rivolta delle città greche sulle coste dell'Asia Minore, già da tempo assoggettate al re di Persia, fu la causa dell'esplosione di un grande conflitto che coinvolse tutte le principali pòleis greche.

L'invasione della Grecia peninsulare da parte delle preponderanti forze persiane fu tuttavia arrestata dai Greci fra il 490 e il 478 a.C. nelle celebri battaglie di Maratona, di Salamina, di Platea e del promontorio di Micale sulla costa asiatica.

All'imprevedibile, grande vittoria delle pòleis sul gigante persiano seguì un cinquantennio di relativa pace per la Grecia, durante il quale si andò accentuando la rivalità politica fra Sparta e Atene. Le due città, attraverso lo strumento rispettivamente della "lega peloponnesiaca" e della "lega delio-attica", consolidarono la loro egemonia su molte altre pòleis, creando di fatto due forti entità politiche in concorrenza fra loro.

Attorno al 460 a.C. fece la sua comparsa sulla scena politica ateniese un personaggio che avrebbe guidato la città per più di trent'anni, Pericle. La sua azione politica si orientò, all'interno, nel senso di un allargamento e di una razionalizzazione delle istituzioni democratiche, che si accompagnò a uno sviluppo della cultura e delle arti: nell'Atene di Pericle la civiltà ellenica toccò in effetti i vertici espressivi nel campo delle arti figurative, dell'architettura, della storiografia e del teatro. In politica estera, invece, Pericle accentuò il ruolo guida ateniese sulla lega delio-attica, che fu trasformata in un vero e proprio impero coloniale sul quale agiva con funzioni di controllo e repressione la potente flotta militare di Atene. Il crescere della potenza ateniese provocò un primo scontro con Sparta, che alcuni storici definiscono "prima guerra del Peloponneso", risoltosi nel 446 con una pace che precedette di poco un altro trattato stipulato da Pericle con i Persiani.

Dopo un quindicennio di tregua, il conflitto fra le due principali pòleis greche, riprese però nel 431, due anni prima della morte di Pericle, stroncato dalla grande epidemia, probabilmente di vaiolo, che infuriò in Grecia in quel periodo. Interrotta dalla pace di Nicia del 421, la guerra riprese poco dopo e questa volta, a causa degli errori di carattere politico-militare del nuovo rappresentante politico ateniese, Alcibiade, si concluse in un definitivo disastro per Atene, occupata dagli spartani che vi instaurarono un governo oligarchico a loro fedele.

Dopo questa sconfitta Atene visse anni difficili di crisi economica, istituzionale e morale, anche se la democrazia fu ripristinata: un tentativo della rinata democrazia ateniese di sottrarsi all'egemonia spartana ebbe l'effetto di far rientrare ufficialmente i Persiani (alleati di Sparta) nel gioco politico greco: nel 386 a.C. il re di Persia Artaserse ordinò lo scioglimento di tutte le leghe greche, fatta eccezione per la lega peloponnesiaca, e impose il controllo persiano sulle città greche dell'Asia.

Apparentemente Sparta, che poteva ora contare anche sul potentissimo alleato persiano, era ormai padrona della Grecia, ma l'ostilità generalizzata che la politica filopersiana incontrava nell'Ellade da un lato, e le forti tensioni sociali interne dall'altro, determinarono anche per la città dorica una repentina decadenza. Nel 371 a.C. per la prima volta l'esercito spartano veniva sconfitto a Leuttra, in campo aperto, dall'esercito di una città emergente della Beozia, Tebe.

Sotto la guida di due personaggi di eccezionali capacità, Pelopida ed Epaminonda, Tebe, fino ad allora comprimaria nelle grandi vicende della storia greca, aveva conseguito una solidità politica, economica e militare che, in coincidenza con la crisi di Atene e Sparta, le consentì di occupare imprevedibili spazi di potere. Dopo Leuttra i Tebani costrinsero Sparta a sciogliere la lega del Peloponneso, mentre alcune popolazioni sottomesse dello stesso Peloponneso si ribellavano ai dominatori spartani. L'egemonia di Tebe andò consolidandosi fino al 362, anno della vittoriosa battaglia di Mantinea, combattuta dai Tebani contro una coalizione di forze ateniesi e spartane. Nella battaglia perse la vita Epaminonda: la scomparsa della guida politica, militare e spirituale della città significò per Tebe l'inizio di un rapido declino.

A nord-est della penisola ellenica si trova una regione, la Macedonia, che per secoli era rimasta ai margini dello sviluppo della civiltà greca, vivendo soltanto di riflesso le grandi vicende politiche del V e dell'inizio del IV secolo a.C. I Macedoni, popolo di agricoltori e di pastori, erano considerati dagli altri greci come semibarbari; essi non avevano conosciuto la rivoluzione della pòlis, ma erano governati da un sovrano dotato di poteri soprattutto militari e affiancato nella gestione dello stato da un'assemblea di nobili proprietari terrieri. Nel 359 a.C. salì sul trono di Macedonia Filippo II: nell'arco di vent'anni il nuovo re trasformò radicalmente lo stato macedone, fino a farne la maggiore potenza del mondo greco. Compiuta la sua opera di riorganizzazione, Filippo si assicurò l'appoggio di molti aristocratici delle pòleis greche, ma l'ostilità nei suoi confronti dei regimi e dei partiti democratici rese inevitabile lo scontro armato. Nel 338, a Cheronea, in Beozia, l'esercito di Filippo II sbaragliò una coalizione antimacedone formata da Atene, Tebe, Corinto e altre città minori e fortemente voluta dall'oratore e uomo politico ateniese Demostene. La vittoria pose tutta la Grecia continentale nelle mani di Filippo, che cominciò a pensare ad una espansione verso E; mentre si accingeva però ad organizzare una spedizione contro i Persiani, il re venne assassinato in una congiura di palazzo, nel 336 a.C.

A Filippo successe il figlio ventenne Alessandro, le cui capacità furono subito messe alla prova da una ribellione delle città greche. Soffocata la rivolta, Alessandro riprese l'opera incompiuta del padre e organizzò una grande spedizione contro l'impero persiano. Gli eserciti macedoni varcarono il Bosforo nel 334 e in poco più di tre anni conquistarono l'enorme regno persiano.

La straordinaria conquista, che poneva nelle mani di Alessandro il dominio più vasto del mondo antico, non si giustifica solo in funzione di espandere il potere della Macedonia, ma ha un senso in rapporto all'aspirazione all'impero universale che Alessandro perseguiva. Il progetto di Alessandro, uomo di vastissima cultura letteraria e filosofica, era quello di costruire uno stato "universale", patria di tutte le genti del mondo, unite sotto la guida di un unico monarca, pur conservando ciascuna la propria lingua, i propri costumi, le proprie tradizioni, la propria identità culturale ed etnica. Questo grande progetto, che prevedeva la futura conquista dell'Arabia e del Mediterraneo occidentale, fu interrotto dall'improvvisa quanto prematura morte del re avvenuta nel 323 a.C.

Nessuno fu in grado di raccogliere la sua eredità: l'impero si spezzò in tanti regni (detti ellenistici) dominati ciascuno da un suo ex-generale. Attraverso guerre ripetute che mutavano quasi di anno in anno i confini delle monarchie dei diadochi (così si chiamavano i successori di Alessandro) emersero tre stati principali - il regno di Siria, sotto la dinastia dei Seleucidi; il regno d'Egitto, sotto la dinastia dei Lagidi; il regno di Macedonia, sotto la dinastia degli Antipatridi - e una serie di regni minori. Gli stati ellenistici, alcuni dei quali ebbero vita assai lunga, cadendo solo sotto il dominio della potenza romana, furono per lo più assai ricchi e prosperi e in essi si perpetuarono i caratteri della civiltà dell'Ellade.

L'età ellenistica in genere fu un'età di netta separazione fra vita politica e vita culturale; dopo il periodo della democrazia le masse, non più di cittadini ma di sudditi, si allontanarono dall'attività pubblica per concentrarsi sull'attività economica, sulla speculazione filosofica senza impegno politico, sulla ricerca dell'arricchimento o di valori alternativi. Ne risultò una realtà dagli aspetti contraddittori, di benessere ma non di libertà, di grandi realizzazioni artistiche ma di disimpegno degli intellettuali, di sviluppo dell'iniziativa imprenditoriale ma di caduta delle tensioni ideali. Della grande epoca della civiltà greca restavano l'aspirazione a conoscere e a indagare i segreti della natura, la tolleranza, il rispetto della dignità umana, l'universalismo, il cemento di una lingua comune (la koinè greca) parlata in tutto il Mediterraneo, nel Vicino e nel Medio Oriente fino alle terre dell'India.

IL PROBLEMA SOCRATE

Prima di affrontare qualunque tipo di discorso su Socrate, occorre tenere presente una serie di problemi legati alle diverse interpretazioni che del suo pensiero sono state date; causa principale di questi problemi è il fatto che Socrate non ha scritto nulla, per cui noi conosciamo il contenuto principale del suo pensiero solo indirettamente attraverso l'opera di altri autori, in particolare di Platone.

Le fonti cui noi attingiamo sono tutte interpretazioni, senza dubbio calate nella storia, ma, proprio per questo, modi diversi di collocare la funzione di Socrate, a seconda del tempo, della personalità dell'autore, del suo modo di concepire e della sua formazione.

Fin da dopo la morte del filosofo c'è stato chi ha puntato o agiograficamente ad una ricostruzione di un Socrate moralista e predicatore (Senofonte), o storicamente ad una ricostruzione del personaggio, collocato in Atene, che tiene conto del suo ruolo culturale e politico (Platone).

Un altro fatto che pone degli interrogativi è la scelta di Socrate di non scrivere nulla; secondo Platone egli scelse di agire in questo modo perché lo scrivere era per lui un modo di costituire un sistema definitivo destinato a divenire ben presto "passato", incapace di tener conto degli altri e di diversificarsi dialetticamente di volta in volta a seconda delle situazioni, come voleva invece la sua filosofia. Occorre precisare inoltre che con il termine dialettica in Socrate si intende un modo nuovo di ragionare, una tensione a discutere volta a volta la validità di una proposizione, all'interno di un discorso etico che vuole costruire degli uomini e non dei dotti.

Dalle testimonianze in nostro possesso emerge l'immagine di un Socrate stimolante e provocante al tempo stesso, tutto teso a far sì che ciascuno sia veramente se stesso, consapevole del proprio modo di agire e di pensare, in condizioni storiche ben precise; egli si rivolge sempre ad una determinata persona e non all'umanità, vale a dire che cala il suo discorso in una realtà ogni volta diversa. La sua attività è tutta volta al saper pensare, a porre le condizioni perché si abbiano dei discorsi corretti.

Una parte della critica non si è limitata però ad affermare che Socrate non ha scritto nulla, ma si è spinta sino a negare l'esistenza stessa del personaggio, affermando che la filosofia cui Socrate dedicò la sua vita, non è metafisica, dogmatica o scettica, e nemmeno scienza popolare, ma solo ricerca di vita etica personale. Questa posizione estrema può essere vista come la conseguenza della difficoltà di collocare storicamente il filosofo e di riuscire a distinguere nettamente i contorni della sua filosofia da quella di Platone.

Il problema delle diverse interpretazioni di Socrate si riflette anche sulle notizie biografiche a nostra disposizione: quelle attendibili sono infatti poche, mentre disponiamo di molte notizie che contrastano fra loro a seconda della fonte, per cui non possiamo considerarle come attendibili. Sappiamo che nacque ad Atene dallo scultore Sofronisco e da Fenarete nel 470/469 a.C. circa, e che morì condannato a morte nel 399. Il padre, scultore, doveva essere tenuto in buona considerazione e la madre, di buona famiglia, aveva l'abitudine di aiutare le donne a partorire. Socrate apparteneva alla classe media e fu educato come tutti i giovani del suo tempo (ginnastica, musica e poesia).

Nulla sappiamo però della sua giovinezza, della sua formazione e della sua maturità. Pare che dopo la morte del filosofo si sia aperta una lunga discussione in cui ognuno dei socratici avrebbe esposto il suo Socrate cercando di imporlo all'attenzione degli altri: naturalmente ognuno tendeva a mostrare un Socrate funzionale alle proprie idee e al proprio pensiero. Tra i vari Socrate alcuni vanno presi in seria considerazione al fine di ricostruire un'immagine autentica del filosofo, e sono quelli di Aristofane, di Platone, di Senofonte e di Aristotele.

IL PENSIERO DI SOCRATE

Aristofane parla di Socrate nella commedia "Le nuvole": in questa egli delinea una triste situazione di fatto, un tipo di costume quotidiano volgare fatto di uomini qualunque, tutti tesi al proprio interesse e indifferenti alle gravi vicende di quel periodo (siamo nella prima fase della guerra del Peloponneso). Per Aristofane Socrate è il simbolo della dissacrazione e demistificazione dell'antico mondo di Atene, molto più pericoloso dei sofisti e degli scienziati che vivevano allora nella città. In questa commedia viene offerto un quadro storicamente efficace della cultura e della problematica di Atene dalla fine delle guerre persiane al principio della guerra del Peloponneso.

In quest'ambito assistiamo all'accostamento tra la fisica di origine ionica, con particolare riferimento agli sviluppi dati alla ricerca da Anassagora (il quale, non dimentichiamolo, aveva introdotto la filosofia ad Atene) e la retorica di Gorgia, Protagora e degli altri sofisti. Il leitmotiv è il seguente: il vecchio Zeus è morto e al suo posto è subentrata la natura.

Anassagora aveva dato un contributo alla scienza della natura con la sua dottrina dei semi originari, che altro non erano se non le ipotesi che lo scienziato deve formulare per fare avanzare l'indagine, e che offrono poi materia per progredire ulteriormente con altre ipotesi. In questo modo Anassagora stava dissacrando la natura, cercando una spiegazione scientifica di essa. Il pensiero di questo filosofo fu considerato molto pericoloso dai conservatori di Atene, i quali intentarono un processo contro di lui; a salvarlo fu la difesa di Pericle (che pure non era ben visto dai conservatori a causa della sua politica democratica). In ogni caso Anassagora dimostrò che era possibile una diversa concezione dei fenomeni e della natura, qualora si prescindesse da ogni ordine teologico.

I sofisti, dal canto loro, muovendo da diverse premesse, mettevano in discussione lo stesso ordine di idee che regnava nell'Atene di quel tempo. Mediante l'arte del discorrere essi mostrano come sia possibile creare delle verità che tali non sono, se non in quanto chi le presenta è capace di imporle all'attenzione del pubblico: mediante la parola si costituiscono la giustizia e la legge, ma si tratta di una giustizia e di una legge dell'uomo.

Per Aristofane tutto questo movimento di idee faceva parte di un'epoca di crisi e di profondi cambiamenti che attraverso "Le nuvole" egli si proponeva di descrivere.

Dal testo della commedia di Aristofane possiamo comprendere che: Socrate era già, nel 424-23, un personaggio conosciuto e criticato dalla gente "bene"; che era l'unico ateniese consapevole di una cultura nuova che cercava di esporre ai suoi concittadini, ai quali cercava di far capire che occorre essere consapevoli di sè, non conformandosi ai costumi passivamente accettati.

Sempre in quest'opera emerge la vocazione maieutica di Socrate, la quale consiste nell'interrogare, nel porre domande e nel provocare delle risposte; nel far scaturire la verità (non quella di Socrate, ma dell'interrogato), attraverso un processo in cui il sapere scaturisce dall'uomo come un bambino dalla madre, e come un bambino ha bisogno dell'aiuto dell'ostetrica per nascere, così la verità ha bisogno dell'opera del filosofo (e proprio di questa funzione si sente investito Socrate).

Il Socrate delle "Nuvole" è un Socrate rivoluzionario, critico delle vecchie concezioni teologiche assunte per tali e critico dei costumi, pericoloso per l'ordine costituito perché insegna queste cose ai giovani e li allontana così dai valori tradizionali. Nell'opera di Aristofane sono già presenti molti degli elementi che serviranno di base per l'interpretazione che di Socrate darà Platone, come la maieutica, la brachilogia (arte del discorso breve), l'ironia, la confutazione, la dialettica e la domanda fondamentale "che cos'è" (ti estì).

Indubbiamente il Socrate che viene fuori da Platone è, rispetto a quello di Aristofane, assai diverso, estremamente più ricco e problematico. Platone interpreta Socrate dopo il processo e la condanna a morte, venticinque anni dopo l'interpretazione di Aristofane: è chiaro che pur mantenendo alcune caratteristiche fondamentali, molte cose erano anche cambiate. Quando Platone scrive l'Apologia, la situazione di Atene è di nuovo critica: uscita sconfitta dalla guerra del Peloponneso si trova nella stessa situazione in cui si trovava al tempo in cui Aristofane scrisse "Le nuvole", e questo ci aiuta a capire come mai nuovamente venissero mosse a Socrate quelle accuse di corruzione della gioventù e di introduzione di nuove divinità che i conservatori gli muovevano. Inoltre il Socrate che conosce Platone è un Socrate che si occupa con sempre maggiore attenzione dei problemi della sua città e per questo sempre più fastidioso.

Platone studia a fondo l'ambiente storico che è alla base della mentalità allora diffusa e analizza certe concezioni della Sofistica su cui sembra basarsi l'azione politica di quegli anni. All'interno del dibattito che egli va ricostruendo, l'atteggiamento critico di Socrate è visto da un lato come tensione socratica ad una riforma morale, mentre dall'altro come primo abbozzo di premesse adialettiche, e perciò universali, non storiche o basate su opinioni come per certi sofisti, da cui dedurre un discorso scientificamente valido, sia pur ancora sul piano morale e politico (sarà questa l'interpretazione più propriamente platonica).

I dialoghi di Platone, da cui noi attingiamo gran parte delle informazioni su Socrate, devono essere sempre collocati in una precisa situazione storico-culturale.

Per quanto riguarda il rapporto di Socrate con i fisici, anche Platone, come Aristofane, considera questo legame come importante, ma nega le conseguenze che vi attribuiva Aristofane, nega cioè che da questi rapporti siano derivate le accuse di empietà e di aver sostituito a Zeus altre divinità, che a Socrate erano state rivolte. L'interesse di Socrate per la dialettica di Zenone e, in particolare, per il pensiero di Anassagora, sono cosa nota: ma Socrate, come Platone mette in evidenza, supera quelle posizioni, non limitandosi a constatare, come aveva fatto inizialmente, che la fisica non era disciplina in cui lui fosse competente; giunge così a delineare un problema di metodo, per cui il metodo delle scienze naturali porta ad un tipo di spiegazioni (valide se non si pretende di esaurire tutto il sapere in esse assolutizzandole), mentre il metodo della riflessione su di sé, del dialogo porta ad altri risultati, validi sul piano umano per quanto riguarda il modo in cui l'uomo costituisce se stesso come uomo e come cittadino.

In questo modo Socrate passa dal sapere di non sapere ad un sapere umano che non è un tipo di sapere dato, ma un sapere che si costituisce mediante la ricerca stessa, il dialogo, in un susseguirsi di ragioni che vengono poi nuovamente messe in discussione. Proprio il sapere di non sapere è un tema del pensiero socratico caro a tutti i manuali, ma troppe volte semplificato e, per questo, travisato e trattato alla stregua di un motto di spirito.

Si trattava invece di un'affermazione estremamente seria e lungi dal voler essere semplicemente un metodo per irritare gli altri interlocutori, come molte volte è stato inteso; attraverso questa affermazione Socrate affermava la necessità di un sapere che non fosse ricerca di verità assolute, di principi primi, ma che fosse conoscenza dell'arte stessa del ragionare, dialogo all'interno del quale una verità appena raggiunta poteva poi essere nuovamente messa in discussione e abbandonata senza per questo che l'intero sistema di ragionamento andasse in crisi.

Non bisogna nemmeno pensare che questo volesse significare che il pensiero socratico altro non fosse se non un'appendice della sofistica, perché in quel suo parlare di una scienza dell'uomo che si distingue dalle scienze naturali è presente un'intuizione estremamente importante, vale a dire la comprensione che l'uomo necessita di criteri e metodi d'indagine diversi da quelli che occorrono nell'indagine della natura (e questa consapevolezza non era presente nei sofisti).

Un altro tema che è stato interpretato negativamente è l'ironia socratica: essa non è altro che un modo di interpretare il modo di confutare socratico da parte di coloro che da lui erano messi in imbarazzo, come per esempio i conservatori o tutti quei sapienti che si mostravano sicuri di sé, escludendo ogni altra altra ragione come impossibile. Questa ironia non era affatto un modo di scherzare sulle cose, ma un metodo serio che consisteva nell'essere sempre pronto a rimettere in discussione tutto, sottoponendolo ad un nuovo esame.

Socrate non si considera maestro di nessuno (Platone infatti lo chiama amico, ma non maestro); egli che ha abbandonato le ricerche delle ragioni e delle cause del tutto per ripiegare sul pensiero umano e sullo studio del modo in cui si pensa, parte sempre senza sapere nulla perché sa che il sapere si rivelerà nello stesso ragionare con gli altri, dopo averli spogliati delle facili verità di cui si sentono portatori. L'unico merito che si attribuisce, e che è anche un modo per definire la sua funzione nel dialogo, è quello di aver guidato gli altri in quella ricerca della verità; egli li ha aiutati a partorire se stessi, cioè ad estrinsecare quella verità che era già in loro ma che essi da soli non riuscivano a far "nascere" (è l'arte della maieutica). Pare che lo stesso Socrate alludesse scherzosamente a questa funzione di ostetrica, che egli avrebbe ereditato dalla madre levatrice.

Il sapere socratico non è né sapere teoretico, né sapere tecnico, ma è un altro tipo di sapere, un sapere che si attua nel realizzare pienamente il sé che ciascuno è in una consapevolezza critica dei propri limiti, ogni volta sapendo come è bene attuare il proprio mestiere, e quindi anche quello di uomo. Per Socrate non v'è moralità se non vi è dubbio e se non vi è una discussione nella quale ogni singola ragione, anziché contrastare le altre, si unisce alle altre per dare origine ad una ragione superiore.

Non esistono il bene e il male in sé, ma esiste il far bene una cosa (se conoscessimo il bene e il male sceglieremmo, secondo Socrate, sempre il bene). Questa è la strada che porta Socrate ad affermare che nessuno fa il male volontariamente e che il male è ignoranza, cioè agire senza esame, quell'esame da cui scaturisce il sapere.

Il bene assoluto quindi non esiste, e il bene di oggi potrebbe non essere il bene di domani, in quanto il bene, come le altre verità, scaturisce da una continua ricerca. La morale di Socrate non insegna, non fa prediche, ma vuole solo che ognuno faccia nel modo migliore ciò che deve fare. Egli si sente investito di questa missione, che consiste nell'essere un pungolo nei confronti degli altri affinché possano migliorare il loro modo di vivere e di agire, in quanto da questo miglioramento trarrà beneficio tutta la società.

Inoltre egli voleva così fare in modo che fossero superate tutte quelle verità superficiali che il popolo accettava passivamente, e che si fosse invece cercata un'altra e più sicura verità: solo alla luce di queste premesse è possibile comprendere il significato dell'atteggiamento di Socrate quando cerca di far capire ai suoi interlocutori, che si credono sapienti, che in realtà non sanno nulla.

Per poter agire nel modo giusto e, quindi, fare il bene, occorre anche sapere come è bene far bene ciò che si fa. Il significato dell'affermazione socratica che nessuno fa il male volontariamente, che il male è ignoranza perché consiste nel non aver saputo agire, nel non aver avuto la virtù, include in sé una conclusione paradossale, e cioè che è preferibile chi fa il male consapevolmente a chi fa il bene per abitudine, senza comprendere il perché lo fa.

E' questo paradosso l'aporia del sapere socratico, che consiste nel fatto che da un lato tale sapere non ha alcun contenuto, ed è perciò un sapere nulla, e dall'altro lato che il suo contenuto lo trova di volta in volta mediante lo stesso ragionare, per cui salta via qualsiasi metro obiettivo su cui commisurare il bene e il male. Si scopre così che non esiste nemmeno un male in sè, in quanto il male, nel pensiero socratico, consiste nel non aver saputo agire.

Dopo queste considerazioni è più semplice comprendere anche il significato del dèmone socratico: questi è un invito a non accontentarsi mai, a non accettare nulla se non attraverso il vaglio critico della ragione. Socrate è dèmone per gli altri, in quanto li richiama al dovere di far bene quello che devono fare e, in particolare ad essere se stessi, a realizzare nel modo migliore il loro essere uomini. Il dèmone di Socrate non è né l'intuizione, né l'ispirazione, né l'interna voce romantica che dice quello che dobbiamo fare, né la presenza del divino (come affermava Senofonte): è l'opposto, è un alt, un richiamo all'attenzione.

Il rischio principale, corso dal pensiero socratico, è quello di cadere in un relativismo di tipo sofistico, rischio prodotto più dalle interpretazioni errate del messaggio socratico che non dalla effettiva portata di quel pensiero, come abbiamo avuto modo di vedere; è infatti chiara la differenza fra il discorso socratico, in cui la persuasione è basata sul ragionamento, e quello sofistico, in cui si tratta invece di una persuasione basata sulla retorica. La differenza emerge anche dal diverso tipo di discorso che viene usato da Socrate (la brachilogia, ovvero discorso breve, rispetto alla macrologia dei sofisti).

Riguardo alle conclusioni del pensiero socratico, i pareri di diversi filosofi dell'epoca divergono da quello di Platone: per Platone si possono già trovare, nell'indagine socratica, le tracce di un primo tentativo di definizione positiva della cosa in sé, che poi sarebbe il preludio alla dottrina delle idee di Platone, mentre per altri non vi sarebbero tracce di ciò nel pensiero socratico.

L'ultima immagine del pensatore ateniese è quella del processo e della condanna a morte, un'immagine che è stata oggetto di tante indagini ed analisi e, spesso, anche di interpretazioni forzate, che si sono limitate a cogliere nella scelta socratica di morire solo l'aspetto eroico. Non vi è solo eroismo nell'Apologia di Socrate, ma vi è l'atto di estrema coerenza di un pensatore che non viene mai meno ai suoi principi.

L'uomo per Socrate è tale non se è isolato, ma nel momento in cui vive in società, e nella società esistono le leggi, che sono il fondamento della vita in comune; l'uomo che agisce nel modo migliore, che vuole essere veramente uomo, e realizzare così i principi dell'etica socratica, deve rispettare le leggi dello stato in cui vive. La scelta fondamentale di Socrate non è allora tra la vita e la morte, se non indirettamente, ma tra l'agire nel migliore dei modi possibili, e cioè rispettando le leggi, e il venir meno a questo principio fondamentale della sua etica, cosa che sarebbe risultata assai grave in quel preciso momento storico.

Al termine di questa analisi emerge con chiarezza la difficoltà di delineare con precisione il personaggio Socrate e il suo pensiero, ma emergono anche alcuni punti chiave sui quali non vi sono dubbi, nonostante nel tratteggiare questa figura storica siamo stati costretti a comporre un mosaico di interpretazioni spesso in disaccordo fra loro.

Giuseppe Cantarelli - Contatto


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015