HERBERT SPENCER 3


Herbert Spencer
 
- Limiti del pensiero sociologico spenceriano

(a) Assenza di studi economici nel "materialismo scientifico" di Spencer

Abbiamo già osservato come la teoria evoluzionistica spenceriana fosse sostanzialmente una teoria materialista, nonché, almeno in qualche modo, dialettica (quantomeno nel senso 'evolutivo' del termine). In ciò, e non a torto, essa può apparire ed è apparsa affine a quella più classica del materialismo marxista.

Un dato che dimostra tuttavia la profonda diversità di queste impostazioni, è la mancanza nella visione spenceriana di veri e propri studi di carattere economico.

E' pur vero che una tale mancanza fosse compensata - ciò che vale, del resto, anche per la filosofia comtiana - dall'estensione del suo campo di ricerca a tutti gli aspetti (fisici, chimici, biologici, ecc.) della realtà.

Ma resta pur vero che Spencer (al pari, di nuovo, dell'altro grande fondatore della scuola di pensiero positivista) mostrasse sempre un certo disinteresse verso l'approfondimento delle problematiche di natura più peculiarmente economica, e tutto ciò - paradossalmente - a dispetto del ruolo largamente positivo da lui attribuito alle attività commerciali e capitalistiche nello sviluppo della società.

Spencer vedeva infatti, in queste ultime, un fattore di affermazione dell'individuo e della sua libertà, in contrapposizione alla struttura rigida e costrittiva delle società ancora militari. E fu forse proprio a causa di tali 'pregiudizi positivi', che egli non tentò mai di analizzare i meccanismi più profondi e le più intime contraddizioni di un tale tipo di organizzazione.

Anche a ciò, come vedremo, si dovette la sua incapacità di comprendere i motivi più profondi della trasformazione in senso imperialistico sia dell'Inghilterra sia - più in generale - della compagine degli stati europei. Un tale tipo di trasformazione difatti, non fu da lui vista come l'esito naturale dello sviluppo della società 'industriale', bensì piuttosto come una deviazione di quest'ultima dal proprio corso naturale, avendo essa secondo lui una natura pacifica (in quanto basata sulle attività di scambio anziché su quelle militari) e anti-statalista (contraria cioè all'assunzione di poteri forti da parte dello Stato).

Resta tuttavia, innegabile, il fatto che le sue vedute in campo economico - pur, come si è visto, alquanto imprecise - fossero sostanzialmente affini a quelle della scuola economica "borghese" (per usare una tipica denominazione marxista), essendo sostanzialmente coerenti con la visione di quei teorici (ex. Smith e Ricardo…) che consideravano quella capitalista come l'unica - o in ogni caso, come la più evoluta - tra le possibili forme di organizzazione a livello economico.

In tal senso, la visione economica spenceriana della società, fu in sostanza espressione - pur non entrando, come si è già detto, del tutto in sintonia con gli ultimi sviluppi di essa - dell'ideologia capitalistica borghese.

(b) Spencer e il suo tempo: limiti di comprensione

Al tempo di Spencer, lo stato borghese iniziava a intraprendere un tipo di sviluppo decisamente contrario a quell'idea privatistica e libertaria di stato che Spencer stesso - e, peraltro, non lui soltanto! - aveva propugnato attraverso i suoi scritti. Scrive a tale proposito un celebre sociologo americano, Lewis Coser: "Solamente pochi avvertirono che, proprio in quegli anni in cui la libera iniziativa godeva del massimo splendore, lo stato moderno cominciava ad accumulare poteri che i signori dell'età vittoriana avrebbero trovato scandalosi". (Lewis Coser, "Maestri del pensiero sociologico", il Mulino, pag. 173).

E se le teorie spenceriane in favore di uno "stato leggero" e non invasivo nei confronti delle libertà dei privati cittadini erano - già negli anni centrali della sua vita - oramai piuttosto sorpassate, lo sarebbero diventate ancor di più in quelli successivi alla sua morte.

Lo sviluppo commerciale degli stati europei continentali infatti, stava minando sempre più chiaramente la supremazia commerciale inglese, ciò che costringeva l'Inghilterra a 'ripiegare' su uno sviluppo di tipo coloniale (e ciò, in quanto le colonie erano una sicura fonte sia di materie prime a basso costo, sia di nuovi mercati) e, in modo complementare, su misure di carattere protezionistico.

Due accorgimenti che, ovviamente, finivano per legare sempre più strettamente tra loro le problematiche politiche (e i poteri militari) con le ragioni dello sviluppo economico, secondo una direzione diametralmente opposta a quella indicata dallo stesso Spencer, il quale considerava l'economia borghese - fondata cioè sulla produzione e sul libero scambio dei prodotti - come foriera di uno sviluppo pacifico, nonché di una fondamentale libertà dei cittadini nei confronti del potere centrale dello stato.

Erano insomma in atto due fenomeni:

a) da una parte - come si è appena visto - quello della statizzazione dell'economia e della società, scaturente non solo da ragioni di carattere economico, ma anche da una maggior complessità della società stessa, che portava quest'ultima a esigere sempre maggiori restrizioni e sempre maggiori controlli al livello delle proprie attività interne (un fattore quest'ultimo che, seppure costituiva l'esito inevitabile dell'incalzante complessità a livello sociale, non per questo era stato previsto da Spencer);

b) dall'altra, vi era la formazione di poteri economici di carattere monopolistico. Una tendenza quest'ultima (secondo Marx, peraltro, connaturata all'evoluzione stessa dell'economia capitalistica, i cui capitali finirebbero nelle mani di un sempre più ristretto numero di persone) sulla quale Spencer non si espresse mai in modo critico e negativo, considerandola come l'esito inevitabile e largamente positivo della crescente integrazione delle attività umane, sempre più articolate e diversificate, e richiedenti quindi un'organizzazione sempre più piramidale e socializzata, con la conseguente riduzione dell'anarchia e dell'arbitrio individuali. (Si noti, a un tale proposito, la differenza che sussiste - nella visione spenceriana - tra l'invasività dello stato, che limita con la sua azione il libero sviluppo dell'economia, e la realtà delle grandi associazioni produttive e commerciali, che di un tale sviluppo sarebbero invece un esito naturale!)

Nel giudizio positivo espresso da Spencer in merito alle nascenti realtà monopolistiche, possiamo scorgere uno dei motivi reazionari della sua visione politica (per altri versi invece, ampiamente innovatrice), come anche un elemento di affinità con la sociologia comtiana.

A sua volta difatti, anche il sociologo francese - seppure per ragioni molto diverse - vedeva nei monopoli un elemento essenziale della futura società positiva, identificandoli con le stesse basi produttive di essa (e ciò secondo la tripartizione della società tra i sociologi (i 'sacerdoti' della società positiva), gli industriali (i 'manager', ovvero gli organizzatori delle attività produttive) e gli operai (la classe lavoratrice)).

Spencer insomma, fu un tipico esponente della corrente positivista: come tale fu essenzialmente incurante delle problematiche più peculiarmente economiche, e convinto assertore - al pari di Comte - della capacità della società capitalista borghese di 'risolvere' (attraverso, nel suo caso, l'eliminazione degli elementi socialmente più 'deboli') quei vasti problemi di povertà, di sovrappopolamento, ecc. da cui essa era - ed è - naturalmente afflitta.

(c) Il dibattito tra Spencer e Mill sullo Stato

In merito al tema della libertà degli individui nei confronti del potere statale, è da segnalare il dibattito che si sviluppò tra lo stesso Spencer e un altro grande esponente del pensiero liberale e della scuola degli economisti 'classici', John Stuart Mill.

Quest'ultimo infatti, pur sottolineando la validità dei meccanismi auto-regolativi del mercato e della libera concorrenza a livello commerciale, auspicava anche in particolari frangenti l'intervento dello stato contro gli eccessi di sperequazione della ricchezza e contro (ed emerge qui, molto chiaramente, la differenza d'impostazione rispetto a Spencer) la formazione a livello economico di poteri di carattere monopolistico!

Al contrario, Spencer ribatteva che tali limitazioni sarebbero state l'espressione dell'invasività dello stato nei confronti del libero sviluppo e dell'evoluzione selettiva (secondo lui orientata, senza alcun dubbio, verso il miglioramento dell'uomo e delle sue condizioni di vita) dell'economia e della società industriale.

A difesa di una tale convinzione inoltre, egli sosteneva che la difesa dei ceti più deboli equivalesse anche a quella degli elementi socialmente più improduttivi, e che come tale essa si scontrasse con la reale utilità sociale!

Dunque, se i monopoli erano per Spencer l'espressione del naturale corso evolutivo della società nel suo stadio industriale, corso orientato verso una sempre maggiore complessità ed efficienza strutturale (ma anche - notiamo noi -, almeno in questo caso, verso una riduzione della libertà individuale!), la selezione degli elementi più deboli (quelli cioè incapaci di trovare una propria collocazione all'interno del sistema produttivo) era una necessità improrogabile, al fine di migliorare la specie umana, consentendole così un futuro più brillante e felice.

In termini marxisti quindi, se Mill si dimostrava un "riformista borghese" (fiducioso, come tale, nelle capacità correttive del sistema produttivo capitalista, attraverso l'instaurazione di opportune misure legali, attuate per mezzo di un potere quale quello dello stato, superiore agli interessi privati), Spencer mostrava al contrario di essere un economista borghese 'puro' (fiducioso cioè nell'intrinseca capacità auto-correttiva dell'economia di mercato, senza bisogno di azioni - politiche e giuridiche - a essa estrinseche).

 

Adriano Torricelli