HERBERT SPENCER 4


Herbert Spencer
 
- Motivi d'interesse e di attualità del pensiero spenceriano

E' ovvio come il paragrafo che qui seguirà sia, all'interno di tutto questo breve scritto, quello maggiormente opinabile, in quanto espressione di un punto di vista del tutto soggettivo. Speriamo, ciononostante, che esso posa contenere per qualche lettore dei validi spunti di riflessione.

Ciò detto, pensiamo che siano essenzialmente tre le ragioni di interesse del pensiero spenceriano - soprattutto di quello più peculiarmente sociologico e politico:

a) il primo è, a propria volta, un motivo di carattere 'sociologico', riguardando il tipo di ricezione che esso ha avuto in alcuni luoghi, e che ne ha determinato - almeno lì - un successo quasi imperituro;
b) il secondo è legato invece ai dibattiti odierni in merito al futuro dell'economia capitalistica (dibattiti che potremmo tradurre più o meno con la seguente domanda: "è o no, tale economia, destinata ad essere superata da altri e migliori - o in ogni caso differenti - sistemi di produzione a livello sociale?");
c) il terzo infine riguarda la parte 'utopica' del pensiero di Spencer.

Quest'ultima, come vedremo, trova il suo principale motivo di interesse nel fatto di avvicinare Spencer al suo "grande nemico", Karl Marx, prospettando per il futuro dell'umanità un orizzonte fondato sulla pace e sul rispetto reciproco tra gli uomini: la fine o quasi, quindi, di quello stato di sopraffazione reciproca che da sempre regna tra essi.

Trasversale poi a tutta la nostra analisi, sarà il tema del confronto tra il pensiero evoluzionistico spenceriano e quello materialista e dialettico marxista (o marxiano, se si preferisce). Cercheremo cioè di rilevare sia le somiglianze che le differenze sussistenti tra le due impostazioni, tanto da arrivare a definire Spencer - quantomeno sotto alcuni aspetti, e mutuando un'espressione spesso usata per un altro sociologo, Max Weber - come una sorta di "Marx della borghesia".

(a) Spencer e la tradizione politica anglosassone

Innanzitutto, è interessante rilevare come Spencer, cittadino inglese, sia assurto a 'ideologo' della "società senza stato", ovvero della filosofia sociale del <<lasciar fare>> (Laissez-faire) - una filosofia in nome della quale, come abbiamo visto, egli difendeva tanto il libero scambio e l'iniziativa individuale, quanto il fenomeno delle aggregazioni monopolistiche (essendo contrario, come abbiamo visto, a qualsiasi intervento da parte dello stato - secondo quanto proposto, tra l'altro, da un altro filosofo inglese: J. Stuart Mill - atto a limitarne gli smisurati poteri economici…).

Per tale ragione, Spencer riscosse più consensi in una nazione quale l'America del nord (gli U.S.A.), da sempre paladina delle libertà personali contro l'invadenza e le limitazioni del potere statale, di quanto non ne riscosse invece nella sua vera patria, l'Inghilterra (una nazione che, - come si è già visto -, proprio a partire dai suoi anni, si indirizzò verso una nuova forma di organizzazione, all'interno della quale l'autorità statale assumeva un ruolo di sostegno e di controllo sempre più centrale).

Spencer fu quindi un ideologo (anche se, forse, in gran parte inconsapevole) di un'economia borghese di stampo liberista, contraria cioè non solo al superamento della logica della concorrenza (ovvero della "sopravvivenza del migliore") ma anche a qualsiasi provvedimento atto ad alleviare le asperità connesse con un tale tipo di regime, laddove per esempio esso sfociava appunto nella nascita dei monopoli (i quali ovviamente, da molti punti di vista, segnavano e segnano la fine della libera iniziativa e del libero mercato).

A nostro giudizio, è possibile fare qui alcune interessanti osservazioni in merito alla somiglianza/differenza dell'analisi spenceriana rispetto a quella materialista marxiana.

a) Innanzitutto, la "lotta sociale". Sia Marx che Spencer sono, come abbiamo già ricordato, dei 'materialisti', nel senso di non porre alla base della società le idee, ma i conflitti e gli interessi concreti tra gli individui. Entrambe poi, e di conseguenza, vedono nelle ideologie e negli atteggiamenti sociali una sorta di traduzione o di riflesso involontario (sul piano ideale, speculativo e morale) di quelle istanze pratiche (riguardanti l'organizzazione della vita comunitaria, ovvero i suoi aspetti più concreti) caratterizzanti il loro contesto d'origine.

Una differenza essenziale tra essi però, sta nel fatto che mentre Marx parlava di "lotta di classe" (cioè della lotta esistente tra differenti gruppi o categorie sociali, composte da individui accomunati da interessi e da concezioni di fondo tra loro affini), Spencer parlava invece soltanto di lotta tra singoli individui (fossero essi, delle comunità intere - ovvero degli stati in guerra tra loro per questioni di dominio -, dei singoli imprenditori o imprese, od infine delle associazioni tendenti a esercitare un monopolio commerciale all'interno di un mercato).

Per entrambi dunque, pur avendo a riguardo concezioni tendenzialmente opposte, era il conflitto di interessi il motore concreto del divenire storico.

E tuttavia, coerentemente con la visione di coloro che Marx definiva pensatori economici borghesi - anche di quelli a suo giudizio più acuti e fecondi, quali Ricardo e Smith -, Spencer considerava la società in un'ottica astratta piuttosto che dialettica: come cioè un coacervo di elementi semplici e distinti, anziché come un terreno di scontro/incontro tra entità o gruppi trasversali (le classi, appunto) all'interno di un più ampio sistema sociale (ex: quello schiavista, diviso tra gli schiavi e i liberi cittadini; quello capitalista, diviso tra proletari e proprietari dei mezzi produttivi; ecc.).

b) Per tale ragione - e veniamo qui al secondo aspetto della questione - non si prospetta in Spencer alcuna idea di rivoluzione sociale, quantomeno in senso forte.

Essendo appunto secondo la sua visione la società una somma di entità individuali (e non solo - come si è appena accennato - di singole persone, bensì innanzitutto di singoli organismi: dagli stati, alle persone, ai grandi produttori…), non era per lui possibile alcuna vera trasformazione o rivoluzionamento dell'assetto sociale, ma più semplicemente una risoluzione dei singoli conflitti in favore dell'una o dell'altra parte.

Forse anche per tale ragione, Spencer non parlò mai (quantomeno esplicitamente, come fece invece Marx) di una progressione di stadi produttivi, bensì più semplicemente di due differenti stadi 'organizzativi': quello militare e quello industriale.

Alla lotta di classe, perciò, si sostituiva in Spencer quella tra individui desiderosi di conservare la propria sopravvivenza o - al limite - di acquisire un dominio personale su altri individui. Non vi era quindi, a livello sostanziale, alcuna differenza tra l'una e l'altra parte, né di conseguenza dall'esito di tali lotte avrebbe potuto dipendere un cambiamento profondo dell'assetto sociale. [Ciò detto, non si deve comunque dimenticare l'esistenza, all'interno del suo sistema, dei due già ricordati tipi di organizzazione…].

Nel complesso insomma, se anche Spencer sviluppò una sua idea di dialettica sociale, essa fu limitata a quella di una lotta tra interessi sì discordanti, ma anche in sostanza analoghi da un punto di vista qualitativo. Tale idea non si spinse quindi, nel suo caso, a quella di un contrasto tra la classe dei dominatori e quella dei dominati, tra ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati… (secondo appunto quella polarità che, seppure sotto forme sempre diverse a seconda degli stadi attraversati dall'umanità, era per Marx la sostanza stessa della lotta sociale in ogni epoca!)

Sempre per tale ragione, non essendo presente nel suo sistema una prospettiva di tipo classista, Spencer non arrivò mai ad una visione quale quella marxista, per la quale la "nuova società" (socialista prima, e poi comunista) si sarebbe basata sul rifiuto di ogni diversità economica, ovvero delle differenze di classe.

Il che tuttavia non significa - come vedremo meglio alla fine di questo scritto - che egli non arrivasse a modo proprio a formulare una sorta di 'utopia sociale', fondata se non sull'eguaglianza tra le persone, quantomeno sulla solidarietà e sulla correttezza dei rapporti interpersonali, contro il principio universale della sopraffazione reciproca.

Ciononostante, Spencer non rinunciò mai ad affermare la priorità assoluta dell'individuo sulla collettività e sulla comunità, ed anche il suo "socialismo" (se così vogliamo definirlo) non smentì questo atteggiamento dottrinario.

(b) Capitalismo o socialismo?

Un'altra questione sollevata dal pensiero spenceriano, è quella inerente la trasformazione della società capitalista (da lui definita "industriale", in quanto basata soprattutto sull'industria e sul commercio dei suoi prodotti) in società socialista - o in ogni caso il mutamento di essa in una nuova e alternativa forma di produzione sociale.

Abbiamo già visto come - al pari degli economisti classici, "borghesi" - Spencer in sostanza non contemplasse riguardo allo 'stadio industriale' la possibilità di un cambiamento o di un'evoluzione verso una superiore organizzazione sociale - soltanto, semmai, la possibilità di una sua involuzione o regresso verso una società statalista e militarista.

[Un dato caratterizzante comunque la sua impostazione, e totalmente mancante invece nelle teorie di Smith e Ricardo, è il principio secondo il quale l'organizzazione sociale e produttiva si evolverebbe, per una interna necessità logica, lungo fasi successive. Al pari di Marx, quindi, anche Spencer può essere considerato un pensatore storico - o meglio storicistico -, in quanto dimostra di non ignorare la natura non (meramente) contingente e casuale delle trasformazioni dell'umanità. In ciò nuovamente (oltre che nella già ricordata concezione 'materialistica' della storia), scorgiamo un motivo di affinità profonda del suo pensiero rispetto a quello di Marx.]

La sociologia di Spencer pone dunque oggi implicitamente un problema, ovvero quello della necessità o meno di una trasformazione dell'attuale società (fondata, come noto, sul profitto commerciale) in un diverso tipo di organizzazione economica. E a tale domanda - al pari peraltro, come si è già detto, dei pensatori borghesi - egli risponde negativamente.

E se tale risposta riceve oggi più adesioni di quanto non avvenisse in passato, ciò si deve senza dubbio alla trasformazione degli ex-regimi 'socialisti' del blocco sovietico, in stati a economia di mercato.

La posizione di Spencer quindi, ci appare oggi più fondata di quella assunta a tale riguardo da Marx e dai suoi 'seguaci', quantomeno nel senso di escludere una necessità autonoma e oggettiva di trasformazione del sistema vigente in un nuovo sistema (secondo i dettami sia di molte opere di Marx e Engels, che di molta pubblicistica socialista).

Resta in ogni caso evidente che, nei confronti della visione elaborata da Marx e Engels, la filosofia sociale spenceriana - nonostante la sua indiscutibile efficacia come strumento di analisi e di interpretazione della società - si dimostri carente riguardo ad alcuni aspetti davvero centrali: cioè a tutti quelli inerenti quelle divisioni interne che attraversano trasversalmente qualsiasi tipo di organizzazione sociale - in una parola, alle divisioni di classe.

E proprio a un tale aspetto 'semplificante' si deve senza dubbio la maggiore apprendibilità della sociologia spenceriana rispetto a quella marxista (con cui condivide però il tentativo di fornire una visione critica e razionale degli sviluppi sia materiali che spirituali dell'umanità): un dato che costituisce ovviamente una delle ragioni del fascino che essa ha esercitato, e che ancora oggi esercita, su molti studiosi.

Se a ciò si aggiunge che una tale teoria - per le ragioni già ricordate - non mette in evidenza né le contraddizioni interne dell'economia capitalista (o, per dirla con Spencer, "della società industriale") né i suoi punti di debolezza strutturale (per quanto profondi e distruttivi essi possano essere), si comprende il motivo del suo facile e immediato successo, già a partire dai primi scritti del nostro autore, in un paese come gli Stati Uniti!

Come si è peraltro spesso osservato riguardo a Weber, sembrerebbe quasi che le teorie di Spencer siano teorie costruite 'ad uso e consumo' della borghesia industriale e commerciale, in favore cioè dell'idea di libero mercato! E sembrerebbe inoltre che esse - in modo ovviamente involontario e inconsapevole, data la sovrapposizione temporale dei due autori - tentino di correggere la filosofia marxista in un senso nettamente favorevole all'ideologia capitalistica borghese.

Possiamo allora azzardarci ad adoperare per Spencer una definizione - in passato già utilizzata per Weber - che lo vedrebbe come una sorta di "Marx della borghesia"… ovvero come un ideologo della classe borghese, le cui affinità con il marxismo sono tuttavia per molti versi innegabili.

Resta infine da analizzare un ultimo aspetto di tale visione, il quale - come del resto già i precedenti - segna contemporaneamente tanto la distanza quanto la vicinanza del pensiero del nostro autore rispetto a quello marxista: e cioè l'aspetto utopistico della sua concezione.

(c) Il "socialismo" di Spencer

Se vogliamo delineare e conoscere i tratti salienti dell'"utopia spenceriana", non dobbiamo andare a cercarli nella sua teoria politica, bensì in quella più propriamente etica. E infatti, come si è già detto, egli non credeva in sostanza nella possibilità di una società più evoluta e migliore di quella cosiddetta industriale, anche se - come si vedrà - era convinto della possibilità di un ulteriore e sostanziale perfezionamento morale di essa.

Una società assolutamente buona, difatti, non poteva per lui prescindere da un rispetto pressoché assoluto nei confronti delle libere iniziative dei suoi componenti, aborrendo quindi e respingendo qualsiasi ingerenza nelle libere scelte dei cittadini da parte di un qualsiasi potere superiore, quale era appunto quello dello Stato.

Se tuttavia, secondo Spencer, la competizione equivaleva per se stessa all'interesse collettivo, d'altro canto la socialità non poteva non implicare anche tutta una serie di norme morali, volte a rendere possibile una convivenza pacifica e onesta tra i cittadini stessi.

La sua riflessione etica, dunque, era incentrata sull'idea di una progressiva interiorizzazione delle norme morali poste a base della convivenza, un fatto dovuto - come sempre - a un graduale adattamento della specie umana al proprio stesso contesto di esistenza. Secondo una tale visione quindi, la selezione avrebbe agito una volta di più in un senso positivo, favorendo il radicamento delle norme etiche nell'interiorità stessa degli individui della specie umana.

Attraverso un tale processo dunque, esse avrebbero secondo lui perduto il loro intrinseco valore di obbligatorietà, divenendo al contrario dei piaceri - non più quindi delle forme auto (o etero) costrittive, ma delle componenti positive della natura e dei comportamenti umani.

Il vivere coerentemente con esse sarebbe quindi diventato parte dell'agire istintivo e naturale degli uomini… in modo simile, del resto, a come - già oggi - si prova piacere nel prendersi cura della propria prole e della propria famiglia!

La trasformazione dell'arbitrio umano da un fatto essenzialmente egoistico (volto cioè al piacere e all'utilità immediate da parte degli individui, secondo la concezione più tipicamente utilitarista benthamiana) in uno invece altruistico (seppure ancora, in qualche modo, impregnato di motivazioni edonistiche e utilitarie), avrebbe comportato insomma la trasformazione del corpo sociale in una comunità fondata sull'urbanità e sul rispetto reciproco tra tutti gli individui - fatta salva ovviamente l'intangibilità della libera iniziativa privata, nonché di tutti i suoi annessi e connessi giuridici e politici!

Per chiudere in bellezza questa breve e senza dubbio deficitaria analisi del pensiero spenceriano, e nella fattispecie della concezione 'utopica' di esso, vogliamo qui istituire una volta di più un paragone con il pensiero marxiano, laddove esso sfocia nella prefigurazione di una società comunistica ed egualitaria, e cioè - rispetto a quella spenceriana - in un differente tipo di utopia sociale.

(a) Innanzitutto, le somiglianze : entrambi i pensatori, dopo avere elaborato un'idea personale del progresso storico (ovvero due diversi metodi di interpretazione di esso, tutti e due peraltro soltanto indicativi, ovvero - e ciò soprattutto, come abbiamo già osservato, nella visione di Spencer - molto spesso revocati dalle circostanze storiche concrete, soggette a frequenti processi involutivi), preconizzano un avvenire di giustizia e di prosperità.

(b) Ma anche le non meno cruciali differenze : mentre per Marx, una tale società dovrà sorgere dal superamento stesso di quella logica selettiva e competitiva che è propria della società capitalistica industriale (e, pure in modi diversi, anche di quelle a essa precedenti…), secondo Spencer tale società sorgerà inevitabilmente dallo svolgimento finale di tale processo, e quindi in continuità - anziché in contrasto - con ciò che storicamente l'avrà preceduta.

Ancora una volta, ci verrebbe da ribadire la precedente e audace definizione del nostro autore, da noi visto come di una sorta di "Marx della borghesia", il quale da un lato sembra ricalcare le orme di Marx - rovesciando però dall'altro alcuni dei presupposti fondamentali del suo pensiero!

E ci sorge spontanea anche un'altra osservazione, qualora si pensi alla fiducia nutrita ai giorni nostri dalla società occidentale (e, prima di ttutto, proprio da quella americana) nei confronti delle proprie tradizioni liberiste e democratiche, considerate come una sorta di panacea per tutti i mali, ovvero come una sorta di società ideale (potremmo dire leibnizianamente… come "il migliore dei mondi possibili"!?…) che finirà per imporsi su tutte le altre organizzazioni, e sulle impostazioni culturali a esse corrispondenti!

[Ma questa osservazione, pur carica di ironia, non esclude altresì che in ciò vi sia una buona parte di ragione.]

Concludendo, anche Spencer, al pari di tutti gli altri pensatori storicistici ottocenteschi (da Hegel a Marx a Comte…) ha sentito l'esigenza di elaborare una propria visione idealizzata in merito all'esito finale del divenire storico, forse per dare un senso e un valore positivo a quella teoria evolutiva che - almeno da un punto di vista politico ed etico - sarebbe altrimenti rimasta una semplice, e in ultima analisi arida, concezione del divenire storico.

 

Adriano Torricelli