- Motivi d'interesse e di attualità del pensiero spenceriano
E' ovvio come il paragrafo che qui seguirà sia, all'interno di
tutto questo breve scritto, quello maggiormente opinabile, in quanto
espressione di un punto di vista del tutto soggettivo. Speriamo,
ciononostante, che esso posa contenere per qualche lettore dei validi
spunti di riflessione.
Ciò detto, pensiamo che siano essenzialmente tre le ragioni
di interesse del pensiero spenceriano - soprattutto di quello più
peculiarmente sociologico e politico:
a) il primo è, a propria volta, un motivo di carattere 'sociologico',
riguardando il tipo di ricezione che esso ha avuto in alcuni
luoghi, e che ne ha determinato - almeno lì - un successo quasi
imperituro;
b) il secondo è legato invece ai dibattiti odierni in merito
al futuro dell'economia capitalistica (dibattiti che potremmo
tradurre più o meno con la seguente domanda: "è o no, tale
economia, destinata ad essere superata da altri e migliori
- o in ogni caso differenti - sistemi di produzione a livello sociale?");
c) il terzo infine riguarda la parte 'utopica' del pensiero di
Spencer.
Quest'ultima, come vedremo, trova il suo principale motivo di interesse
nel fatto di avvicinare Spencer al suo "grande nemico", Karl Marx, prospettando
per il futuro dell'umanità un orizzonte fondato sulla pace e sul
rispetto reciproco tra gli uomini: la fine o quasi, quindi, di quello
stato di sopraffazione reciproca che da sempre regna tra essi.
Trasversale poi a tutta la nostra analisi, sarà il tema del confronto
tra il pensiero evoluzionistico spenceriano e quello materialista
e dialettico marxista (o marxiano, se si preferisce). Cercheremo
cioè di rilevare sia le somiglianze che le differenze
sussistenti tra le due impostazioni, tanto da arrivare a definire Spencer
- quantomeno sotto alcuni aspetti, e mutuando un'espressione spesso usata
per un altro sociologo, Max Weber - come una sorta di "Marx della borghesia".
(a) Spencer e la tradizione politica anglosassone
Innanzitutto, è interessante rilevare come Spencer, cittadino inglese,
sia assurto a 'ideologo' della "società senza stato", ovvero della
filosofia sociale del <<lasciar fare>> (Laissez-faire)
- una filosofia in nome della quale, come abbiamo visto, egli difendeva
tanto il libero scambio e l'iniziativa individuale, quanto il fenomeno
delle aggregazioni monopolistiche (essendo contrario, come abbiamo visto,
a qualsiasi intervento da parte dello stato - secondo quanto proposto,
tra l'altro, da un altro filosofo inglese: J. Stuart Mill - atto a limitarne
gli smisurati poteri economici…).
Per tale ragione, Spencer riscosse più consensi in una nazione
quale l'America del nord (gli U.S.A.), da sempre paladina
delle libertà personali contro l'invadenza e le limitazioni del
potere statale, di quanto non ne riscosse invece nella sua vera patria,
l'Inghilterra (una nazione che, - come si è già visto -,
proprio a partire dai suoi anni, si indirizzò verso una nuova
forma di organizzazione, all'interno della quale l'autorità statale
assumeva un ruolo di sostegno e di controllo sempre più centrale).
Spencer fu quindi un ideologo (anche se, forse, in gran parte inconsapevole)
di un'economia borghese di stampo liberista, contraria cioè
non solo al superamento della logica della concorrenza (ovvero
della "sopravvivenza del migliore") ma anche a qualsiasi provvedimento
atto ad alleviare le asperità connesse con un tale tipo
di regime, laddove per esempio esso sfociava appunto nella nascita dei
monopoli (i quali ovviamente, da molti punti di vista, segnavano
e segnano la fine della libera iniziativa e del libero mercato).
A nostro giudizio, è possibile fare qui alcune interessanti osservazioni
in merito alla somiglianza/differenza dell'analisi spenceriana rispetto
a quella materialista marxiana.
a) Innanzitutto, la "lotta sociale". Sia Marx che
Spencer sono, come abbiamo già ricordato, dei 'materialisti', nel
senso di non porre alla base della società le idee, ma i
conflitti e gli interessi concreti tra gli individui. Entrambe poi, e
di conseguenza, vedono nelle ideologie e negli atteggiamenti sociali una
sorta di traduzione o di riflesso involontario (sul piano
ideale, speculativo e morale) di quelle istanze pratiche (riguardanti
l'organizzazione della vita comunitaria, ovvero i suoi aspetti
più concreti) caratterizzanti il loro contesto d'origine.
Una differenza essenziale tra essi però, sta nel fatto che mentre
Marx parlava di "lotta di classe" (cioè della lotta esistente
tra differenti gruppi o categorie sociali, composte da individui
accomunati da interessi e da concezioni di fondo tra loro affini),
Spencer parlava invece soltanto di lotta tra singoli individui
(fossero essi, delle comunità intere - ovvero degli stati
in guerra tra loro per questioni di dominio -, dei singoli imprenditori
o imprese, od infine delle associazioni tendenti a esercitare un
monopolio commerciale all'interno di un mercato).
Per entrambi dunque, pur avendo a riguardo concezioni tendenzialmente
opposte, era il conflitto di interessi il motore concreto del divenire
storico.
E tuttavia, coerentemente con la visione di coloro che Marx definiva pensatori
economici borghesi - anche di quelli a suo giudizio più acuti e
fecondi, quali Ricardo e Smith -, Spencer considerava la società
in un'ottica astratta piuttosto che dialettica: come cioè
un coacervo di elementi semplici e distinti, anziché come
un terreno di scontro/incontro tra entità o gruppi trasversali
(le classi, appunto) all'interno di un più ampio sistema sociale
(ex: quello schiavista, diviso tra gli schiavi e i liberi cittadini;
quello capitalista, diviso tra proletari e proprietari dei mezzi
produttivi; ecc.).
b) Per tale ragione - e veniamo qui al secondo aspetto della
questione - non si prospetta in Spencer alcuna idea di rivoluzione
sociale, quantomeno in senso forte.
Essendo appunto secondo la sua visione la società una somma di
entità individuali (e non solo - come si è appena accennato
- di singole persone, bensì innanzitutto di singoli organismi:
dagli stati, alle persone, ai grandi produttori…), non era per lui possibile
alcuna vera trasformazione o rivoluzionamento dell'assetto sociale,
ma più semplicemente una risoluzione dei singoli conflitti in favore
dell'una o dell'altra parte.
Forse anche per tale ragione, Spencer non parlò mai (quantomeno
esplicitamente, come fece invece Marx) di una progressione di stadi produttivi,
bensì più semplicemente di due differenti stadi 'organizzativi':
quello militare e quello industriale.
Alla lotta di classe, perciò, si sostituiva in Spencer quella tra
individui desiderosi di conservare la propria sopravvivenza o -
al limite - di acquisire un dominio personale su altri individui.
Non vi era quindi, a livello sostanziale, alcuna differenza
tra l'una e l'altra parte, né di conseguenza dall'esito di tali
lotte avrebbe potuto dipendere un cambiamento profondo dell'assetto sociale.
[Ciò detto, non si deve comunque dimenticare l'esistenza, all'interno
del suo sistema, dei due già ricordati tipi di organizzazione…].
Nel complesso insomma, se anche Spencer sviluppò una sua idea di
dialettica sociale, essa fu limitata a quella di una lotta tra interessi
sì discordanti, ma anche in sostanza analoghi
da un punto di vista qualitativo. Tale idea non si spinse quindi, nel
suo caso, a quella di un contrasto tra la classe dei dominatori e quella
dei dominati, tra ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati… (secondo appunto
quella polarità che, seppure sotto forme sempre diverse
a seconda degli stadi attraversati dall'umanità, era per Marx la
sostanza stessa della lotta sociale in ogni epoca!)
Sempre per tale ragione, non essendo presente nel suo sistema una prospettiva
di tipo classista, Spencer non arrivò mai ad una visione quale
quella marxista, per la quale la "nuova società" (socialista
prima, e poi comunista) si sarebbe basata sul rifiuto di ogni diversità
economica, ovvero delle differenze di classe.
Il che tuttavia non significa - come vedremo meglio alla fine di questo
scritto - che egli non arrivasse a modo proprio a formulare una sorta
di 'utopia sociale', fondata se non sull'eguaglianza tra le persone,
quantomeno sulla solidarietà e sulla correttezza
dei rapporti interpersonali, contro il principio universale della sopraffazione
reciproca.
Ciononostante, Spencer non rinunciò mai ad affermare la priorità
assoluta dell'individuo sulla collettività e sulla comunità,
ed anche il suo "socialismo" (se così vogliamo definirlo) non smentì
questo atteggiamento dottrinario.
(b) Capitalismo o socialismo?
Un'altra questione sollevata dal pensiero spenceriano, è quella
inerente la trasformazione della società capitalista (da lui definita
"industriale", in quanto basata soprattutto sull'industria e sul commercio
dei suoi prodotti) in società socialista - o in ogni caso il mutamento
di essa in una nuova e alternativa forma di produzione sociale.
Abbiamo già visto come - al pari degli economisti classici, "borghesi"
- Spencer in sostanza non contemplasse riguardo allo 'stadio industriale'
la possibilità di un cambiamento o di un'evoluzione verso una superiore
organizzazione sociale - soltanto, semmai, la possibilità di una
sua involuzione o regresso verso una società statalista
e militarista.
[Un dato caratterizzante comunque la sua impostazione, e totalmente mancante
invece nelle teorie di Smith e Ricardo, è il principio secondo
il quale l'organizzazione sociale e produttiva si evolverebbe, per una
interna necessità logica, lungo fasi successive. Al pari
di Marx, quindi, anche Spencer può essere considerato un pensatore
storico - o meglio storicistico -, in quanto dimostra di non ignorare
la natura non (meramente) contingente e casuale delle trasformazioni dell'umanità.
In ciò nuovamente (oltre che nella già ricordata
concezione 'materialistica' della storia), scorgiamo un motivo di affinità
profonda del suo pensiero rispetto a quello di Marx.]
La sociologia di Spencer pone dunque oggi implicitamente un problema,
ovvero quello della necessità o meno di una trasformazione
dell'attuale società (fondata, come noto, sul profitto commerciale)
in un diverso tipo di organizzazione economica. E a tale domanda - al
pari peraltro, come si è già detto, dei pensatori borghesi
- egli risponde negativamente.
E se tale risposta riceve oggi più adesioni di quanto non avvenisse
in passato, ciò si deve senza dubbio alla trasformazione degli
ex-regimi 'socialisti' del blocco sovietico, in stati a economia di mercato.
La posizione di Spencer quindi, ci appare oggi più fondata di quella
assunta a tale riguardo da Marx e dai suoi 'seguaci', quantomeno nel senso
di escludere una necessità autonoma e oggettiva di trasformazione
del sistema vigente in un nuovo sistema (secondo i dettami sia
di molte opere di Marx e Engels, che di molta pubblicistica socialista).
Resta in ogni caso evidente che, nei confronti della visione elaborata
da Marx e Engels, la filosofia sociale spenceriana - nonostante la sua
indiscutibile efficacia come strumento di analisi e di interpretazione
della società - si dimostri carente riguardo ad alcuni aspetti
davvero centrali: cioè a tutti quelli inerenti quelle divisioni
interne che attraversano trasversalmente qualsiasi tipo di organizzazione
sociale - in una parola, alle divisioni di classe.
E proprio a un tale aspetto 'semplificante' si deve senza dubbio la maggiore
apprendibilità della sociologia spenceriana rispetto a quella
marxista (con cui condivide però il tentativo di fornire una visione
critica e razionale degli sviluppi sia materiali che spirituali dell'umanità):
un dato che costituisce ovviamente una delle ragioni del fascino che essa
ha esercitato, e che ancora oggi esercita, su molti studiosi.
Se a ciò si aggiunge che una tale teoria - per le ragioni già
ricordate - non mette in evidenza né le contraddizioni interne
dell'economia capitalista (o, per dirla con Spencer, "della società
industriale") né i suoi punti di debolezza strutturale (per
quanto profondi e distruttivi essi possano essere), si comprende il motivo
del suo facile e immediato successo, già a partire dai primi scritti
del nostro autore, in un paese come gli Stati Uniti!
Come si è peraltro spesso osservato riguardo a Weber, sembrerebbe
quasi che le teorie di Spencer siano teorie costruite 'ad uso e consumo'
della borghesia industriale e commerciale, in favore cioè dell'idea
di libero mercato! E sembrerebbe inoltre che esse - in modo ovviamente
involontario e inconsapevole, data la sovrapposizione temporale
dei due autori - tentino di correggere la filosofia marxista in
un senso nettamente favorevole all'ideologia capitalistica borghese.
Possiamo allora azzardarci ad adoperare per Spencer una definizione -
in passato già utilizzata per Weber - che lo vedrebbe come una
sorta di "Marx della borghesia"… ovvero come un ideologo della
classe borghese, le cui affinità con il marxismo sono tuttavia
per molti versi innegabili.
Resta infine da analizzare un ultimo aspetto di tale visione, il quale
- come del resto già i precedenti - segna contemporaneamente tanto
la distanza quanto la vicinanza del pensiero del nostro
autore rispetto a quello marxista: e cioè l'aspetto utopistico
della sua concezione.
(c) Il "socialismo" di Spencer
Se vogliamo delineare e conoscere i tratti salienti dell'"utopia spenceriana",
non dobbiamo andare a cercarli nella sua teoria politica, bensì
in quella più propriamente etica. E infatti, come si è già
detto, egli non credeva in sostanza nella possibilità di una società
più evoluta e migliore di quella cosiddetta industriale, anche
se - come si vedrà - era convinto della possibilità di un
ulteriore e sostanziale perfezionamento morale di essa.
Una società assolutamente buona, difatti, non poteva per lui prescindere
da un rispetto pressoché assoluto nei confronti delle libere iniziative
dei suoi componenti, aborrendo quindi e respingendo qualsiasi ingerenza
nelle libere scelte dei cittadini da parte di un qualsiasi potere superiore,
quale era appunto quello dello Stato.
Se tuttavia, secondo Spencer, la competizione equivaleva per se stessa
all'interesse collettivo, d'altro canto la socialità non poteva
non implicare anche tutta una serie di norme morali, volte a rendere
possibile una convivenza pacifica e onesta tra i cittadini stessi.
La sua riflessione etica, dunque, era incentrata sull'idea di una progressiva
interiorizzazione delle norme morali poste a base della convivenza,
un fatto dovuto - come sempre - a un graduale adattamento della specie
umana al proprio stesso contesto di esistenza. Secondo una tale visione
quindi, la selezione avrebbe agito una volta di più in un senso
positivo, favorendo il radicamento delle norme etiche nell'interiorità
stessa degli individui della specie umana.
Attraverso un tale processo dunque, esse avrebbero secondo lui perduto
il loro intrinseco valore di obbligatorietà, divenendo al
contrario dei piaceri - non più quindi delle forme auto
(o etero) costrittive, ma delle componenti positive della natura
e dei comportamenti umani.
Il vivere coerentemente con esse sarebbe quindi diventato parte dell'agire
istintivo e naturale degli uomini… in modo simile, del resto, a come -
già oggi - si prova piacere nel prendersi cura della propria prole
e della propria famiglia!
La trasformazione dell'arbitrio umano da un fatto essenzialmente
egoistico (volto cioè al piacere e all'utilità immediate
da parte degli individui, secondo la concezione più tipicamente
utilitarista benthamiana) in uno invece altruistico (seppure ancora,
in qualche modo, impregnato di motivazioni edonistiche e utilitarie),
avrebbe comportato insomma la trasformazione del corpo sociale in una
comunità fondata sull'urbanità e sul rispetto reciproco
tra tutti gli individui - fatta salva ovviamente l'intangibilità
della libera iniziativa privata, nonché di tutti i suoi annessi
e connessi giuridici e politici!
Per chiudere in bellezza questa breve e senza dubbio deficitaria
analisi del pensiero spenceriano, e nella fattispecie della concezione
'utopica' di esso, vogliamo qui istituire una volta di più un paragone
con il pensiero marxiano, laddove esso sfocia nella prefigurazione
di una società comunistica ed egualitaria, e cioè - rispetto
a quella spenceriana - in un differente tipo di utopia sociale.
(a) Innanzitutto, le somiglianze : entrambi i pensatori, dopo avere
elaborato un'idea personale del progresso storico (ovvero due diversi
metodi di interpretazione di esso, tutti e due peraltro soltanto
indicativi, ovvero - e ciò soprattutto, come abbiamo già
osservato, nella visione di Spencer - molto spesso revocati dalle
circostanze storiche concrete, soggette a frequenti processi involutivi),
preconizzano un avvenire di giustizia e di prosperità.
(b) Ma anche le non meno cruciali differenze : mentre per Marx,
una tale società dovrà sorgere dal superamento stesso
di quella logica selettiva e competitiva che è propria della società
capitalistica industriale (e, pure in modi diversi, anche di quelle a
essa precedenti…), secondo Spencer tale società sorgerà
inevitabilmente dallo svolgimento finale di tale processo, e quindi in
continuità - anziché in contrasto - con ciò
che storicamente l'avrà preceduta.
Ancora una volta, ci verrebbe da ribadire la precedente e audace definizione
del nostro autore, da noi visto come di una sorta di "Marx della borghesia",
il quale da un lato sembra ricalcare le orme di Marx - rovesciando però
dall'altro alcuni dei presupposti fondamentali del suo pensiero!
E ci sorge spontanea anche un'altra osservazione, qualora si pensi alla
fiducia nutrita ai giorni nostri dalla società occidentale (e,
prima di ttutto, proprio da quella americana) nei confronti delle
proprie tradizioni liberiste e democratiche, considerate come una sorta
di panacea per tutti i mali, ovvero come una sorta di società
ideale (potremmo dire leibnizianamente… come "il migliore dei mondi
possibili"!?…) che finirà per imporsi su tutte le altre
organizzazioni, e sulle impostazioni culturali a esse corrispondenti!
[Ma questa osservazione, pur carica di ironia, non esclude altresì
che in ciò vi sia una buona parte di ragione.]
Concludendo, anche Spencer, al pari di tutti gli altri pensatori storicistici
ottocenteschi (da Hegel a Marx a Comte…) ha sentito l'esigenza di elaborare
una propria visione idealizzata in merito all'esito finale del
divenire storico, forse per dare un senso e un valore positivo a quella
teoria evolutiva che - almeno da un punto di vista politico ed etico -
sarebbe altrimenti rimasta una semplice, e in ultima analisi arida,
concezione del divenire storico. |