ZENONE

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ZENONE SOFISTA NON DIALETTICO

I - II

Zenone di Elea si rifiutava di vedere le cose in maniera olistica, cioè globale, a 360 gradi, perché preferiva limitarsi a scomporle all'infinito, privilegiando lo spazio al tempo, al fine di dimostrare che il movimento o il divenire non esiste.

Far partire la dialettica da lui, come fece Aristotele, solo perché si serviva dei suoi astrusi ragionamenti per smontare le osservazioni critiche degli altri, non ha alcun senso. Qui siamo in presenza solo di una sofistica di tipo matematico.

L'aveva già capito Hegel perfettamente, quando nella sua Enciclopedia scriveva che "l'antinomia zenoniana è insolubile se i luoghi vengono isolati come punti spaziali, e i momenti del tempo come punti temporali; e la soluzione dell'antinomia, cioè il movimento, è da comprendere solo così, che spazio e tempo in sé sono continui, e il corpo che si muove è insieme e non è nel medesimo luogo, cioè è insieme in un altro, e così lo stesso punto del tempo è insieme e non è, cioè è un altro" (§ 298).

Hegel superò una volta per tutte il principio parmenideo di non-contraddizione, dicendo che essere e nulla coincidono nel divenire, senza alcuna reciproca esclusione. La verità non è di per sé evidente, proprio in quanto è un processo in divenire, in cui l'opposizione va assunta come elemento portante per stabilire la verità. La dialettica degli antichi greci, quando negava valore alla contraddizione, o era ingenua o era sofistica.

In effetti l'infinita divisibilità nello spazio è possibile ammetterla solo in uno spazio infinito, quello dell'universo, certamente non in quello terreno, se non in via del tutto ipotetica o virtuale, come fanno i matematici.

Tuttavia neppure nell'universo i paradossi di Zenone troverebbero applicazione (di sicuro almeno non come lui li ha formulati, quando si divertiva a stupire gli ascoltatori mostrando loro che si poteva usare il tempo in maniera finita e lo spazio in maniera infinita, sicché una cosa che sta per muoversi è destinata a rimanere ferma).

Nell'universo infatti l'infinita divisibilità degli spazi non può non venire colmata da un movimento altrettanto infinito, nel senso che gli spazi non potrebbero mai essere così infiniti (nella loro divisibilità) da rendere impossibile al movimento di percorrerli. Spazio e tempo sono sempre strettamente correlati, non sono disgiungibili, se non appunto astrattamente, come nelle fiabe o nei film di fantascienza.

Di regola vale il principio opposto a quello di Zenone, e cioè che non c'è alcuno spazio in cui la quiete sia assoluta. E che le sue dimostrazioni non abbiano alcuna vera efficacia logica è dimostrato anche dal fatto ch'egli, dopo aver portato la matematica pitagorica all'assurdo, si trova alla fine a dover negare lo stesso monismo di Parmenide, in quanto involontariamente nega l'esistenza di una qualunque unità minima, al di sotto della quale non sia possibile andare. In sostanza fa morire proprio ciò che pretende di stare fermo.

Infatti per dimostrare l'immobilismo dell'essere è costretto ad avvalersi del non-essere, cioè di un essere ipotetico, che nella realtà non esiste. Come p.es. quando dice che fra A e B vi sarà sempre uno spazio per C, sicché fra A e C vi sarà D e fra C e B vi sarà E, e così all'infinito. Le cose, finite di numero, sarebbero in realtà infinite, ma così facendo si arriva, ad un certo punto, che non si può mai stabilire alcuna verità delle cose mettendole a confronto.

Già Aristotele aveva capito che con questi ragionamenti si riduceva la fisica a una pura matematica. Zenone cioè, mentre qualcuno voleva far muovere un oggetto, sosteneva che l'oggetto stesso si creava i presupposti per non arrivare mai da nessuna parte. Quindi tanto valeva stare fermi.

Se questo ragionamento non era un'apologia dello status quo, che cos'era? Per rendere impossibile un qualunque movimento fisico finito, lo vincolava a un movimento matematico di sottrazione infinita, del tutto virtuale e inapplicabile alla realtà terrena. Come dire: se qualcuno avesse fatto un'obiezione alle leggi parmenidee, avrebbe avuto un milione di ostacoli per dimostrare un qualche loro limite.

Questo bisogno di avere certezze teoriche (l'essere autoevidente), escludendo che la realtà fenomenica possa offrirne, ha qualcosa di infantile, ed è spiegabile solo pensando che qui si ha a che fare con un ceto aristocratico, il cui potere non voleva essere messo in discussione.

Zenone 3


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015