UOMO E DONNA
Psicologia dell'umana convivenza


Bioetica Donne & Scienza
Un corpo contenitore, una mente imperfetta, un'anima tardiva:
fondamenti per una bioetica femminile.

Flavia Zucco

Il titolo è volutamente provocatorio e, come tale, riduttivo, ma nasconde una complessità, di cui do alcuni aspetti per scontati e noti a tutti. Essi sono i seguenti:

  • gli stereotipi, così platealmente enunciati nel titolo, non sono solo presenti nella cultura cattolica ma largamente diffusi nella cultura maschile. Si può tranquillamente affermare, senza tema di smentita, che la cultura cattolica li condivide proprio perché essenzialmente maschile e misogina.
  • i rapporti della religione cattolica con la scienza, anch'essi non possono che riflettersi, con le loro caratteristiche di conflittualità ed oscurantismo, nei saperi che riguardano più specificamente il genere femminile, sia come oggetto che come soggetto.

Non cercherò di coprire queste premesse di carattere generale, per motivi teorici, non essendo io di formazione strettamente umanistica, e per motivi pratici, non essendo questo lo scopo di questo testo.

Il corpo femminile come contenitore

L'uomo è la misura di tutte le cose. È questa un'affermazione (un'assunzione, un presupposto?) che appare quantomeno discutibile, ma che è, purtroppo, riconoscibile nell'evoluzione di molti saperi e che non è stata mai veramente abbandonata, malgrado l'avanzamento delle conoscenze.

Basti dire che persino alla fine degli anni ‘80, negli Stati Uniti, è stata fatta una ricerca epidemiologica sugli effetti dell'aspirina nelle malattie cardiovascolari, prendendo a campione 22.000 individui esclusivamente di sesso maschile, quando era ormai noto che esse si manifestano e si sviluppano in modi diversi nei due sessi.

Essendo il genere maschile assunto a riferimento universale, non meraviglia che la donna e il suo corpo siano stati descritti per differenza, ovviamente negativa rispetto all'uomo, come forma imperfetta di questo.

La connotazione del femminile per differenza-imperfezione appare particolarmente esaltata nel corpo femminile, inteso come contenitore rispetto alle sue funzioni riproduttive.

Secondo Galeno, gli organi genitali delle donne non sono che una forma mutilata e imperfetta di quelli maschili, che infatti sarebbero nella donna introversi, e, per questo, malamente sviluppati. Galeno, con i suoi principi della fisiologia (teoria degli umori) influenzerà tutta la medicina fino al Seicento: le donne imperfette, con i loro organi interni umidi e freddi, possono anche guastare la semenza prolifica dell'uomo. La sterilità è una malattia femminile e si conoscono molti santi a cui votarsi contro questa disgrazia. Non ne esistono, ovviamente, per la sterilità maschile, visto che questa non è nemmeno ritenuta possibile.

Ma se la donna è un essere tanto imperfetto come giustificarne la creazione? È nel XVI secolo che i medici cominciano ad avvertire le implicazioni eretiche di un'imperfezione femminile, proclamata fino all'estremo. È per questo che André Du Laurens (1646) ritiene opportuno scrivere che: "il sesso della femmina non esprime la perfezione della specie meno di quello del maschio, e la donna non deve essere definita animale occasionato, come dicono i barbari, ma creatura necessaria, istituita in primo dalla natura".

Bisogna però trovare un sostegno a questa affermazione nella natura stessa della donna: quale dunque può essere l'organo principe della sua specificità, che ne legittima il ruolo insostituibile nella natura, se non l'utero, poiché esso è il ricettacolo in cui si forma "una piccola creatura di Dio"?

Il corpo e la fisiologia della donna, dunque, si affrancano dalla immagine di imperfezione e incompiutezza ereditata dai peripatetici, per assumere l'immagine dilatata e onnicomprensiva di questo organo. La donna è madre-matrice (secondo Paracelso, che gioca sulla radice comune delle due parole), non è niente altro che questo mondo concluso: questo organo è la ragione del suo esistere.

Ma può questa creatura-organo essere considerata creatura umana?

Tale domanda ha circolato a lungo in Europa e fa pensare che sia vera la storia di un certo concilio tenuto a Macon nel 1585 in cui un vescovo avrebbe preteso che le donne non fossero comprese sotto il nome di Uomo (inteso come neutro universale: umanità).

Per quel che riguarda il corpo contenitore, non ho bisogno di ricordare che il corpo femminile, per lungo tempo, è stato presentato come puro ricettacolo, nicchia, culla, nutrimento, nella funzione vitale della riproduzione. Il contributo della donna alla formazione di un nuovo essere è stato per lungo tempo considerato esclusivamente di supporto e mantenimento, senza alcun ruolo diretto.

Nonostante gli studi di de Graff e la teoria dell'ovismo (1672) e l'individuazione delle tube di Falloppio, ancora nel 1750 Gautier-Dagoty pubblica un libro in cui sostiene, con l'aiuto delle sacre scritture, della legge salica e della morale, che solo il padre contribuisce attivamente alla creazione della prole.

L'utero assume un valore totalizzante e - significato potente misterioso di un simbolo - dal Cinquecento al Novecento la metafora sostituisce spesso la terminologia scientifica. La donna-uterina abita ancora il nostro linguaggio contemporaneo. D'altra parte per secoli l'utero (matrice-madre) viene anche considerato l'origine di tutti mali femminili: medici, moralisti, re, teologi si incontrano su questo terreno.

Il matrimonio è una delle cure. Ma la matrice è anche responsabile delle anomalie genetiche, delle malformazioni dello sviluppo e persino della nascita di una femmina, dovuta alla cattiva qualità del sangue mestruale o alla cattiva temperatura della matrice.

Tuttavia la scienza fa i suoi passi in avanti e nel Seicento famosi ostetrici difendono la loro arte e le conoscenze acquisite, contro la giustificazione teologica della sofferenza. L. Guyon (1625) ammette esplicitamente l'aborto terapeutico e offre i mezzi per praticarlo.

Nel Settecento, però, la questione della prevalenza della vita del bambino su quella della madre viene nettamente proclamata dalla chiesa, sulla base proprio delle nuove conoscenze acquisite.

Un gesuita si rifà infatti alla tecnica del parto cesareo praticato su donne ancora in vita, secondo quanto sostenuto in un trattato da F. Rousset (1581), per sostenere la necessità di questo intervento. Gli stessi medici che avevano sperimentato la tecnica di Rousset e che l'avevano abbandonata vista l'alta mortalità delle donne, si vedono costretti a smentire la validità di essa (che invece verrà ampiamente dimostrata con 1'avvento degli antibiotici e dell'anestesia). Uno di essi dichiara: "ignoro che sia mai esistita una legge cristiana o civile che ordini di martirizzare e di uccidere la madre per salvare il figlio".

Proprio in quegli anni appare il testo di embriologia sacra a cura dell'abate Cangiamila (1762).

La mente imperfetta

L'uomo come misura di tutte le cose si riflette in tutti gli studi di fisiologia e medicina. Gli studi sullo scheletro umano hanno riprodotto almeno fino al 1726 (studi di Alexander Monro) uno scheletro maschile.

Monro ha descritto per primo le parti di uno scheletro femminile, come incompleto e deviante rispetto a quello maschile. Le differenze venivano spiegate in base alla debole costituzione, alla vita sedentaria e alla funzione procreativa della donna.

Ma, ahimè, la visione più sessista dello scheletro della donna lo dobbiamo ad una donna, Marie Thiroux d'Arconville (1759), un'anatomista che per prima ha messo a confronto gli scheletri dei due sessi e ha ritenuto opportuno marcare le differenze, esagerandole. È per questo che il primo scheletro femminile, accuratamente riprodotto, appare con delle ossa pelviche abbondantemente ampie ed un cranio ridicolmente piccolo (ecco di nuovo il problema del contenitore). Inutile dire che questa studiosa pubblica col nome del suo maestro!

Il primo disegno corretto di uno scheletro femminile appare solo nel 1796 grazie al tedesco von Soemmerring. Esso viene però ignorato dalla scienza ufficiale che continua ad apprezzare le differenze femminili in termini di imperfezioni, non completo sviluppo, e considerare le meglio sviluppate ossa pelviche come una contropartita al maggiore volume cranico maschile, viste le diverse funzioni a cui sono assegnati i due soggetti.

Non meraviglia che questo cranio più piccolo contenga una mente imperfetta. Aristotele, che potrebbe apparire troppo lontano nel tempo, ma che pure ha influenzato ampiamente il pensiero filosofico dei secoli a venire, a proposito dell'anima, diceva ne La politica: "tutti posseggono le varie parti dell'anima, ma la posseggono in maniera diversa; negli schiavi non è sviluppata per nulla la parte deliberativa, la donna ce l'ha ma senza una piena autorità, mentre i bambini l'hanno in maniera incompiuta". Forse colpisce di più E. Kant, un campione dell'illuminismo, che affermava come il "meraviglioso" (bontà sua!) modo di comprendere della donne non sia fondato sulla ragione, ma sul sentimento.

Infine vale la pena di citare, per venire a tempi recentissimi, una lettera di M. Fraccaro alla rivista "Nature". In essa, con riferimento al dibattito sulla controversa questione della trasmissione per via materna dei geni del linguaggio, si esprime la sorpresa che un'idea così ovviamente errata possa tornare a galla, dopo che era stata già autorevolmente seppellita nel 1305 da Dante nel suo De vulgari eloquentia, il quale affermava che benché le sacre scritture sostenessero che la prima a parlare fosse stata una donna, era più logico pensare che fosse stato un uomo, dal momento che è impensabile che una funzione umana così rilevante possa essere derivata da una donna.

Se poi aggiungiamo a questo tipo di argomentazioni, tutte queste teorie che attribuiscono alla matrice (utero) la secrezione di fluidi venefici che, arrivando al cervello, ne determinano instabilità e alterazioni, capiamo come questa mente imperfetta non sia in grado di governare processi più grandi di lei e come tutti, ma proprio tutti, pensino di dovere dire alla donna cosa fare e come condursi nel mondo. La sua funzione è quella riproduttiva, la sua saggezza è quella di sapersi governare per svolgere i compiti di sposa e di madre.

Inutile dire che tracce di queste teorie sono presenti nella cultura contemporanea e contribuiscono a perpetuare la presenza di stereotipi anche negli ambienti scientifici, per cui le donne sarebbero meno "adatte" a certe discipline, in particolare a quelle che prevedono l'elaborazione di astrazioni complesse, o più semplicemente a quelle più strettamente tecnologiche.

L'anima tardiva

San Tommaso sosteneva nella Summa Teologica che l'animazione avveniva in tre stadi, che si completavano in circa quaranta giorni dopo il concepimento, nel caso di maschi, o in novanta giorni nel caso di femmine.

Appare dunque ovvio che, da parte di molti laici, la posizione di S. Tommaso sia stata ricordata a proposito del dibattito sull'embrione umano, riproposto nell'ambito delle nuove tecnologie riproduttive.

L'importanza dell'affermazione di una non coincidenza dell'animazione col concepimento, sta infatti nel riconoscimento di una gradualità nella formazione dell'embrione, che la Chiesa contemporanea non vuole ammettere. La posizione della Chiesa cattolica risulta in questo campo ancora più riduzionista di quella scientifica, essendo la persona umana individuata all'atto della fecondazione: il nuovo individuo, il suo essere persona (abolendo ogni differenza fra questi due termini, con grave sofferenza anche dei filosofi) viene identificato con la sua identità cellulare, se non addirittura molecolare (i due DNA che si fondono!).

Persino a noi laici occorre parlare dell'anima per dire che non si tratta di DNA, che cellule umane, vive, non sono persone.

La scienza, facendo il suo mestiere, dice sì che il nuovo essere ha inevitabilmente inizio con l'incontro di uno spermatozoo con un ovocita, ma che il suo destino è estremamente labile almeno fino a che non si verifichino alcuni eventi, in una successione estremamente accurata.

Il grottesco su questo terreno, però, non ci viene risparmiato, in un dibattito senza esclusione di colpi. Riduzionismo per riduzionismo, alcuni scienziati hanno obiettato che il DNA maschile in genere non viene trascritto fino a settantadue ore dopo la fecondazione: dovrebbe essere questa attività funzionale a decidere dell'inizio del programma del nuovo individuo. Oppure: nelle prime divisioni dello zigote a formare la morula, esiste la possibilità che di fatto le cellule si separino completamente a dare origine a due o più gemelli: in questo caso l'anima che fa? Si divide anch'essa, come lo zigote in cui era calata al momento della fecondazione?

E ancora, siccome l'85% delle blastocisti, secondo stime considerate valide dagli esperti, viene perso naturalmente prima dell'impianto nella parete uterina, dopo ogni rapporto non protetto e non seguito da gravidanza dovremmo adottare il lutto? Infine, siccome la blastocisti è costituita almeno al 90% da cellule che daranno origine agli annessi embrionali, non dovrebbe essere chiamata embrione, ma piuttosto pro-embrione, o addirittura annesso embrionale?

Persona è invece quella donna che dell'embrione deve farsi carico, una volta impiantato naturalmente o artificialmente nel suo utero. Fisiologia e psiche di questa donna saranno coinvolte profondamente in questo evento e tutta la sua vita ne può essere segnata. Ma di nuovo questo non conta: essa è un utero contenitore e in quanto tale deve assolvere la sua funzione, far sviluppare un embrione. La sua anima non vale nulla a fronte di quella caduta dal cielo all'atto del concepimento o aiutata dal medico nel caso della fecondazione in vitro.

Sembra che ci si debba di nuovo chiedere se la donna rientri nel genere umano! Non vi è traccia di rispetto per questa persona umana, a meno che non assolva il suo compito di incubatrice! La schiera dei cattolici, che così furiosamente si è opposta alla fecondazione eterologa e alle madri surrogate, propone che si adottino gli embrioni congelati, il che significa appunto operare una fecondazione eterologa e per di più in una madre surrogata: l'ipocrisia del non detto raggiunge qui vette eccelse.

Inoltre, la Chiesa farebbe bene a non sottovalutare il senso comune della gente e il valore simbolico che i suoi messaggi possono assumere nella cultura diffusa. Appare difficile che cellule e molecole possano essere comunemente riconosciute come persone, mentre invece è molto più facile che, per il nostro immaginario, diventino oggetto di simpatia (se non di emulazione) le figure delle madri surrogate, dal momento che la Madonna ci viene continuamente proposta in questa veste, che fa di essa addirittura una beata fra le donne. La sua è, per di più, una fecondazione eterologa, e la sua gravidanza è quella di un clone, come ci ha spiegato recentemente nei dettagli un cardinale colombiano, in quanto nessuno dei cromosomi di Gesù sarebbe della Madonna (di Giuseppe già si sapeva che non aveva nulla a che fare con la nascita del Cristo).

Questa non vuole essere una provocazione blasfema ma la segnalazione di una lettura possibile del messaggio ecclesiastico, da parte di una cultura semplice che a simboli e miti affida le sue identità: non si meravigli dunque la Chiesa se sono molte le donne cattoliche che ricorrono alla maternità a tutti costi, nella convinzione di non violare dogmi e sacramenti.

Conclusioni: problemi posti dalla posizione della Chiesa

La conoscenza è uno degli strumenti con cui interagiamo col mondo e con gli altri. Il terreno della ragione è solo una delle sedi di confronto, ma emozioni, sentimenti e sogni sono parte del nostro vivere e prodotto di quelle stesse funzioni superiori che caratterizzano il cervello/mente umana: non vanno ignorate. Con queste sfere di fatto confliggono non tanto le asserzioni in quanto tali (siano esse razionali o metafisiche) ma il significato simbolico che acquistano. Per questo la scienza non può essere posta a fondamento dell'etica.

In un'epoca in cui ci si affanna. da più parti, a recuperare uno spessore della vita che tecnologia e consumismo ci hanno sottratto; in un'epoca in cui sempre più forte è la richiesta di essere sottratti ad algidi programmatori e freddi calcoli economici; in un'epoca in cui credevamo di dover fare sentire la nostra voce, il bisogno di sogni, di spazi per le emozioni, a scienziati ed esperti di costi/benefici, ecco che persino a chi si occupa di fede e di anime ci tocca dire che non siamo, non vogliamo essere cellule e molecole, ma vogliamo esistere in una vita realmente data, in questo mondo, che faccia salva la nostra dignità, il nostro sentire, il nostro pensare.

Sembra, invece, che la Chiesa non solo insista in una predicazione fondamentalmente misogina, ma che, con l'avvento della scienza contemporanea, pervicacemente la persegua anche a costo di fabbricare mostruosità dogmatiche e pericolosissime semplificazioni in un'epoca che mi pare particolarmente carente di spessore spirituale, se così vogliamo chiamarlo, per farci capire.

La Madonna, così come ci viene continuamente proposta da questo papa, attraverso anche l'esaltazione di tutti quei santi e sante che al suo culto sono legati, è solo un tentativo maldestro di rivalutazione della figura femminile. In realtà la condizione umana della donna non può essere riscattata, se non le si riconosce il ruolo di persona, al di là di quello di madre, se non le si riconosce la vita di un corpo proprio, al di là di quella che potrebbe concepire. Non riceverà mai il rispetto dovuto e l'attenzione ai suoi diritti, se la sua vita non viene considerata un valore in sé.

Ma vi è un problema più serio: il riduzionismo della Chiesa rappresenta una pericolosa via di non ritorno: essa ha abdicato al suo ruolo di soggetto morale, affidando la spiritualità a molecole e cellule.

La voluta ignoranza della complessità del significato di persona umana, che porta implicitamente in sé il concetto di relazioni complesse e non solo materiali, in favore di definizioni fondate su reazioni chimiche, apre definitivamente le porte a quella irresponsabilità verso gli individui dati, che vediamo imperversare intorno a noi.

Quello che conta è la vita (mi piacerebbe averne una definizione che non sia "un dono di Dio": molecolare, cellulare, fisiologica, teleologica?). Come, quando, dove, con chi, con che cosa si vive: queste sono domande che vengono dopo.

Garantire l'instaurarsi di una vita: questo rischia di essere l'inizio e la fine delle responsabilità. Si tratta infatti di una responsabilità poco impegnativa, tranne che per le donne interessate, in quanto basta fare delle leggi che tutelino gli embrioni. È interessante, a questo proposito, notare che la Chiesa non si fida più del suo dettato dottrinale, non crede di poter contare sull'obbedienza dei suoi stessi fedeli: vuole delle leggi, come molti al giorno d'oggi. È dunque autoritaria e non più ecumenica.

Il richiamo, invece, alla complessità della persona umana, implica un confronto con la vita data, reale delle persone, e questo richiederebbe la condanna (almeno con la stessa severità ed insistenza con cui si condanna l'aborto e l'uso di embrioni umani) di delitti e affronti collettivi e individuali, che investono quotidianamente la vita di milioni di persone.

Viene da pensare che la semplificazione operata dalla Chiesa non sia solo dettata dall'ansia di arginare avanzamenti della conoscenza che rischiano di essere ingovernabili per la Chiesa stessa, e che non sia nemmeno dettata dalla difficoltà o dal rischio di impopolarità implicito nella condanna dei problemi seri del nostro tempo (non vogliamo certo l'ingerenza della Chiesa nelle leggi dello Stato, ma si è mai sentito di un'aspra battaglia tra cattolici e non sulle leggi contro la mafia, per fare un esempio?).

Viene da pensare che anche la Chiesa fatichi, in tempi di individualismo spinto, a volare alto sulle cose del mondo, a scuotere le coscienze nel profondo. In un mondo che vive di sufficienti paure, non potendo giocare sulla ragione e nemmeno sulla speranza terrena (al paradiso non crede quasi più nessuno) ha deciso di opporre mostruosità a mostruosità, in un irresponsabile gioco al massacro.

Fonte www.steppa.net

Flavia Zucco è biologa, dirigente di ricerca presso l'Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Coordinatrice di progetti europei di ricerca e membro di comitati editoriali di riviste internazionali, è esperta europea per la Commissione di valutazione di progetti. Specializzata nei meccanismi di azione di xenobiotici su colture cellulari e nella messa a punto di modelli di screening di sostanze potenzialmente tossiche, è docente di Bioetica presso l'Università della Tuscia, e Presidente dell'associazione Donne e scienza. Uno degli scopi principali dell'associazione è la promozione dell'ingresso e della carriera delle donne nella ricerca scientifica.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Uomo-Donna
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Aggiornamento: 14/12/2018