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PERCHE' FARE EDUCAZIONE SESSUALE A
SCUOLA?
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Perché la prima proposta
legislativa è stata del 1975 e da allora a livello istituzionale, cioè di
curricolo scolastico, s'è fatto ben poco. Non si è mai arrivati a una
soluzione definitiva perché non è mai stata accettata l'idea che il
docente dovesse limitarsi a "informare" su questo argomento, affrontando gli argomenti "educativi" veri e propri in termini molto
tolleranti e pluralisti. Fino ad oggi infatti l'argomento
è stato trattato o in maniera esclusivamente fisiologica dai docenti di scienze
(biologia, ecc.), oppure in maniera esclusivamente etico-religiosa dai
docenti di religione cattolica, con tutti i limiti che possono derivare da
un'educazione del genere.
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Un accordo forse oggi può dirsi raggiunto su questi punti: 1) l'educazione sessuale
può (non necessariamente deve) essere introdotta nelle scuole; 2) non può
essere una materia a se stante
(non c'è quindi valutazione); 3) non va trattata solo in maniera medica; 4)
occorre prevedere una collaborazione da parte di genitori ed esterni
(consultorio, Asl ecc.).
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In altri Paesi l'educazione sessuale è presente da molto tempo nelle scuole. Ad es. in
Svezia dal 1942; dal 1956 è obbligatoria per tutti i ragazzi dai 7 ai 19 anni;
dal 1976 s'interessa anche di etica sociale e personale. Negli USA è materia
curricolare dal 1965. Nel Canada è obbligatoria dal 1984. In Francia dal 1973,
ma solo come "informazione" (l'"educazione" è in orario extra-scolastico).
Genitori, amici o scuola?
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Resta comunque assodato che, se si richiede l'educazione sessuale nelle
scuole, significa che l'informazione che possono dare i genitori o gli amici
non è sufficiente. D'altra parte è dubbio che la vera educazione sessuale
possa essere quella che s'impara tra amici,
perché gli amici (più grandi) se possono istruire su "come si fa", non
sempre
possono "educare" a farlo nel migliore dei modi, cioè tenendo conto degli
aspetti extra-fisiologici, per i quali occorre esperienza e maturità.
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Spesso la vera educazione sessuale non è neppure quella che s'impara dai propri genitori,
sia perché questi sono troppo coinvolti emotivamente per essere liberi di fronte
ai propri figli (tendono a considerare l'età mentale dei figli molto più piccola
di quella cronologica); sia perché i figli vivono la sessualità dei genitori con
un certo disagio (tendono a sentirsi degli esclusi), per cui alla fine i figli
preferiscono non far domande ai genitori e questi sperano che i figli trovino da
soli le risposte migliori. Genitori e figli si sentiranno reciprocamente liberi
solo quando i figli cominceranno ad essere dei genitori.
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Le statistiche dicono che i giovani imparano la sessualità anzitutto
dagli amici (30%), poi dalla propria madre (20%), da libri e riviste (13%),
dal proprio padre (7%). I docenti hanno una percentuale molto bassa: 5%.
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La scuola italiana quindi è molto carente, e la difficoltà che può avere un
docente a parlare di sessualità con una gioventù che fa del sesso la propria bandiera di
libertà e autonomia, non è piccola. Bisogna rischiare tuttavia di apparire dei
retrò, se questo può servire ad entrare in comunicazione coi giovani in un campo
della loro vita così misterioso (per gli adulti) e di cui sono particolarmente
gelosi.
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I ragazzi di oggi sentono molto meno i divieti e i tabù in materia di
sessualità, da parte della famiglia e della società in genere, per cui pensano
sia un loro diritto affrontare la sessualità anticipatamente rispetto ai tempi
tradizionali delle generazioni passate.
Oggi peraltro questi giovani sono indotti ad affrontare precocemente la
sessualità anche dal fatto che a livello di mass-media si tende a fare sempre
meno differenza tra adulto e adolescente. E non solo perché si vuole che gli
adolescenti diventino adulti il più presto possibile, ma anche perché si tende a
far rimanere gli adulti il più tempo possibile nella fase dell'adolescenza. Si
vuole una sorta di via di mezzo, in cui mentre l'adolescente è a
conoscenza di molte cose un tempo riservate agli adulti, l'adulto invece deve
conservare degli atteggiamenti un po' infantili, che gli impediscano di maturare
una consapevolezza critica delle cose o di ricercare soluzioni collettive a
determinati problemi sociali.
Il problema, a questo punto, diventa quello di come far capire che la
sessualità non è una cosa che nel momento in cui si è adolescenti si può
affrontare come se si fosse degli adulti. Cioè come far capire che esiste una
fase di passaggio, connessa alla sessualità, da un certo modo di vivere la vita
a un altro, in cui si modifica il grado di responsabilità con cui gestire le
conseguenze dell'uso della sessualità.
Oggi mettere dei divieti rischia di apparire un'operazione
controproducente, sia perché le fonti di accesso alla sessualità sono diventate
molteplici, assai poco controllabili dagli adulti, sia perché gli stessi adulti
hanno creato una società in cui i divieti vengono visti negativamente. Il
divieto può essere usato solo in via transitoria, quando ancora il soggetto non
è in grado d'intendere e di volere. Con i divieti si rischia di far perdere al
giovane ogni contatto con la realtà, di costringerlo alla clandestinità (come se
fosse un drogato). I divieti hanno senso quando sono condivisi a livello di
intera società.
D'altra parte non è nemmeno possibile rifarsi ai valori di un tempo, sia
perché oggi sono oggettivamente superati, in quanto ritenuti formali o
convenzionali (come p.es. la verginità pre-matrimoniale, il rapporto sessuale
"naturale" ecc.), sia perché quando è in gioco la libertà sessuale la gioventù
non sopporta di dover accettare dei valori che non siano propri.
La soluzione sta dunque nel confronto libero e aperto, privo di pregiudizi
da ambo le parti. Bisogna confrontarsi sui valori dei giovani, verificarne il
contenuto, la praticabilità, la coerenza con la vita quotidiana.
Bisogna anche confrontarsi sulle difficoltà che le ragazze vivono in una
società chiaramente maschilista.
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