Il 29 agosto 1839 il giudice distrettuale federale,
Andrew Judson, tenne la prima udienza e deliberò che i prigionieri africani fossero
processati con l'accusa di pirateria e assassinio.
I bambini non vennero accusati, ma detenuti come
testimoni e trasferiti alla prigione di New Haven, in attesa del processo.
La vicenda interessò subito il movimento
abolizionista, che cominciò a raccogliere fondi per assumere la difesa degli imputati coi
propri rappresentanti: Theodore Joadson, Lewis Tappan e il giovane avvocato Roger Baldwin.
In settembre il giudice Judson dichiarò di non
avere giurisdizione sul caso, dato che il presunto reato si era verificato a bordo di una
nave spagnola in acque spagnole.
Nel frattempo l'incidente dell'Amistad rischiava di
creare una crisi diplomatica. Infatti il governo spagnolo desiderava riavere l'Amistad col
suo carico e chiedeva l'estradizione degli africani all'Avana, in modo che potessero
essere giudicati dalla legge spagnola ed essere così condannati a morte.
Nel gennaio del 1840 ci fu il dibattimento. I
prigionieri sopravissuti, dal giorno dell'ammunitamento, erano rimasti in 36. Cinque fece
un resoconto drammatico di come erano stati catturati e maltrattati.
L'avvocato Baldwin impostò la difesa sul piano
patrimoniale, dimostrando che gli imputati non potevano essere considerati proprietari di
nessuno, essendo stati catturati da persone libere in Africa.
Il giudice si convinse di questa tesi e dichiarò
"liberi" gli imputati. Tuttavia, su richiesta del presidente americano Martin
Van Buren, il procuratore distrettuale si appellò contro il verdetto e gli imputati
rimasero in prigione.