S. CRISTINA

 

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Prospetto di S. Cristina su via Chiaramonti

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Particolare con la cupola e lo stemma araldico di Pio VII

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La cupola all'interno.

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Particolare dell'interno.

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Giovan Battista Razzani (Cesena, 1603-1666), Madonna di Costantinopoli, i Ss. Francesco Saverio, Ignazio di Loyola e un angelo (1642). Prima del restauro.

 

 

 

Quando Pio VII (Barnaba Chiaramonti) nel 1814 ritornò dal suo esilio in Francia, volle costruire questo tempio votivo, proprio dirimpetto alla sua casa natale. L'incarico fu affidato all'architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), la cui eccezionale presenza all'inizio dell'Ottocento ha lasciato una significativa impronta nell'architettura neoclassica cesenate. In questo caso l'artista, attraverso il neopalladianesimo e certi esiti berniniani, riesce mirabilmente a ricondurre il tema del Pantheon d' Agrippa (Roma) ad una sorta di miniaturizzazione pensata in termini moderni. I’edificio del Valadier sostituiva una più antica chiesa che nel 1740 era stata ricostruita su progetto di Francesco Zondini: nel 1816 la demolizione di quest'ultima segnò l'inizio della costruzione della nuova S. Cristina, che venne consacrata solo nel 1825, dopo ritardi causati da numerose difficoltà impreviste. Resta comunque a tutt'oggi una delle poche realizzazioni che conservino ancora l'organicità e l'unità globale di interventi ideata dall'architetto (solo il campanile è posteriore).

Il tema della pianta centrale è risolto in modo geniale: da una parte attraverso la purezza neoclassica delle forme architettoniche ( il vano interno è marcato simmetricamente da otto coppie di semi-colonne ioniche binate che sostengono una trabeazione piana, su cui si eleva la cupola sferica a lacunari, coronata da un "occhio", come nel Pantheon), e dall'altra risolvendo il problema della facciata (costituita da due avancorpi collegati da un pronao dorico) la quale doveva inserirsi perfettamente nell'urbanistica di via Chiaramonti e nella continuità dell'andamento delle facciate, non contrassegnate da particolari interventi differenziati. Il bianco delle colonne e dell'architrave, sviluppato per tutta la lunghezza della facciata, il rosso dei mattoni e il verde della cupola di rame determinano infatti un efficace gioco di colori.

Anche il tabernacolo dell'altare maggiore, con la pala attribuita al pittore romano Vincenzo Camuccini (1771-1844)  S. Demetrio, S. Cristina e S. Pio V (armonicamente correlata al contesto ), fu eseguito su disegno dello stesso Valadier (oggi si conserva in sacrestia). 

L'altare di sinistra, munifico dono del devoto cesenate  Cavalier Berto Berti (come c'informano la scritta in basso e lo stemma), conserva la pala di 
Giovan Battista Razzani La Madonna di Costantinopoli, i Santi Francesco Saverio, Ignazio di Loyola e un angelo, che reca la data (1642) e la firma dell'autore. La "Madonna di Costantinopoli" ebbe un culto abbastanza diffuso nel cesenate e il titolo non fa riferimento ad un'icona precisa o ad un preciso luogo di culto: il riferimento è generico e la tradizione vuole che tale immagine sacra provenga da Costantinopoli poco prima della conquista turca (1453). In origine infatti la tela del Razzani doveva incorniciare tra i Santi questa "Madonna" (la cui immagine è da lui interpretata con libero riferimento a quella originale di cui quasi nulla si sa, benché attestata dalla presenza di ex voto).

Purtroppo i pesanti restauri di Giuseppe Biasini nel 1856 hanno in buona parte snaturato il disegno originale della tela e l'edicola dipinta che incorniciava la "Madonna" è stata sostituita con una pesante cornice lignea posta più in alto, come ha potuto determinare il recente accurato restauro portato a termine da Letizia Antoniacci.