INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE


KEN LOACH, LA LOTTA CONTINUA

AlterEdo e Ken Loach
sabato 10 luglio 2004

Corre il rischio di sembrare troppo manicheo, forse. Corre il rischio perché Ken Loach è uno che sa quello che vuole. Che ha le idee chiare, uno scopo preciso, e un'arma affilata fra le dita. È il rischio che corre chiunque si prenda la responsabilità di scelte forti, di prendere posizione. Il suo scopo è fotografare l'ingiustizia e il sopruso nei suoi contorni chiaroscurali. E la sua arma è la macchina da presa, il suo linguaggio è il cinema.

Forse, al giorno d'oggi, continuare ad essere comunisti è un lusso che si possono permettere in pochi. Ed è un rischio, appunto: quello di perdere il passo con la storia. E forse anche perdere se stessi, rinchiudersi nel passato. Ma Ken Loach è uno che ha sempre guardato avanti e da sempre racconta il presente e il passato con lo sguardo di chi non fa sconti, e che siano mulini a vento oppure mostri dall'aspetto più moderno, non fa nessuna differenza: il suo cinema va a colpire là dove ne sente il bisogno. Lotta di classe, imperialismo americano, integrazione etnica e religiosa, diritti negati. Questo è il pane quotidiano del regista inglese, questi i temi di tutta una vita passata dietro la macchina da presa, di una carriera che annovera film importanti come Riff Raff, Terra e Libertà, My name is Joe e tanti altri.

Insomma, manicheo o no, Ken Loach: cosa pensa se la definiscono un regista di classe?

Credo che si possa capire come funziona il mondo soltanto se si capisce il concetto di classe. Ritengo sia ancora valida la vecchia divisione del mondo in due, due classi contrapposte. In questo senso, nel primo dei due significati che il gioco di parole comporta, sì: accetto la definizione.

Al regista di classe sono bastati pochi giorni in Italia - ha passato il mese di luglio a Roma insieme a Ermanno Olmi e Abbas Kiarostami per girare il film a episodi Tickets - per entrare subito nel nostro clima politico. Che idea si è fatto?

Ho sentito molti parlare della necessità di cercare una via di scampo dallo spaventoso regime che governa l'Italia. Mi sento molto vicino a voi perché anche noi inglesi abbiamo un demone in casa, solo che il nostro si è fatto eleggere spacciandosi per uno di sinistra. I nostri sono due demoni diversi ma hanno in comune l'agenda: favorire la grande impresa e il grande capitale affinché diventino le priorità dell'Unione europea.

Dalla dimensione storica e universale di Terra e Libertà, film sulla guerra civile spagnola, a quella più familiare di Ae fond kiss, passando dal contestato corto del corale 11 settembre, lei ha da sempre preso di petto le questioni internazionali, ponendosi in modo critico e militante contro la politica delle destre.

Non credo che essere contro l'amministrazione americana sia da considerare una moda passeggera. È un punto irrinunciabile in questo momento storico. Essere contro la politica dell'amministrazione americana, però, non significa certo essere anti-americani, anche se loro vorrebbero far passare questo concetto. Per l'amministrazione Bush, contestare il loro operato significa attaccare e criticare un'intera nazione.

Questo (2004 ndr) è anche l'anno di Michael Moore e del suo sferzante Fahrenheit 9.11, documentario antibush che ha trionfato al festival di Cannes. Cosa ne pensa?

Michael Moore con i suoi documentari ci ha dimostrato che qualcosa si può fare, che forse il cinema può davvero cambiare le cose... Fino a poco tempo fa non lo avrei creduto. Il problema degli americani è che non ascoltano gli altri, non parlano "con" il mondo ma "al" mondo, che è cosa ben diversa. E soprattutto parlano fra di loro. Moore invece usa una lingua che loro capiscono, può essere efficace più di chiunque altro.

Abbiamo parlato dell'America e delle destre. Adesso la domanda è d'obbligo: in quale stato di salute versa la sinistra?

E' da 40 anni che discutiamo su cosa sia successo alla sinistra, ne discutiamo senza fine. Non ci potrebbe essere momento migliore di questo per rimettersi in piedi: ora che la destra, da un lato, ci ha portato ad una guerra illegittima, e dall'altro sta distruggendo i servizi pubblici essenziali. Cosa deve fare di più per suscitare una ribellione?

Nella sua Inghilterra si discute molto del dopo Blair. Il Paese dovrebbe affidarsi alla guida del suo secondo, Gordon Brown. Che speranze nutre in proposito?

Gordon Brown è un arciprivatizzatore. È un politico sulla stessa linea dell'attuale premier. Che speranze dovrei mai avere...

Il suo ultimo film, Ae fond kiss, è molto interessante e ben fatto. Ambientato a Glasgow, affronta il tema dell'integrazione religiosa post "guerra di culture" del dopo 11 settembre e dei diritti "nelle" religioni per gli immigrati di seconda generazione. Senza risparmiare colpi né all'Islam né al Cristianesimo. Che rapporto ha lei con la religione?

Personalmente non sono religioso, e quando guardo alla fede lo faccio nell'ottica dei suoi effetti sulla società e sulle famiglie. Per esempio, un problema che mi pongo spesso è quali diritti abbiano i figli di famiglie che impongono la loro religione. In passato ho tentato di esaminare il coinvolgimento delle chiese nella politica, e della Chiesa cattolica in particolare. In America latina la Chiesa ha avuto un ruolo progressista, mentre spesso, in altri paesi, è stata strumento della reazione. In Ae fond kiss mi spaventava l'idea della religione che si ingerisce nella sfera dell'educazione: cosa che trovo pericolosissima.

Nelle sue ultime pellicole si è concentrato molto nel racconto del presente, mentre in passato ha dimostrato un grande interesse per la storia. Quale delle due dimensioni temporali preferisce raccontare?

Passato e presente... le due cose sono indissolubili. Non si può comprendere il presente se non si conosce il passato. Il presente, certo, è più facile da filmare, ma nel farlo si devono percepire le radici del passato.

Stesso discorso per la dimensione spaziale. A volte decide di lasciare l'Inghilterra per andare a raccontare storie ambientate in altri luoghi: Bread and Roses in America, La canzone di Carla in Nicaragua, Terra e Libertà in Spagna durante la guerra civile. Poi però torna sempre indietro. Cosa la spinge a uscire dai confini inglesi, e cosa le dice di tornare?

E' più facile fare film nella propria lingua. Però è successo che due o tre progetti mi abbiano portato via dalla Gran Bretagna. Credo che, paradossalmente, quanto più la storia è specifica e accurata, tanto più diviene universale. E allora non importa più in quale paese sei... Abbiamo da poco rimontato Bread and Roses, che è girato e ambientato a Los Angeles. Ne abbiamo tagliato 15 minuti. Non so, avevo la sensazione di averlo girato un po' da turista...

Per concludere: tenti di fare un autoritratto. Quando lavora, come si vede: un idealista, un realista, un artista sempre in lotta, una persona "naturalmente" indignata che soffre nel prendersi molto a cuore i mali del mondo che racconta?

Non vedo me stesso quando lavoro. Mi sveglio al mattino e penso: cosa faccio oggi? Quando sto insieme alla troupe, nel mezzo di un film, vivo sempre in uno stato di ansia e panico che tengo compresso dentro di me. No, direi nessuna delle ipotesi proposte.


a cura di Edoardo Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 27/08/2015