INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE
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ROGER CORMAN, vite di cinema
Magro ed elegante, nel suo abito nero sotto i capelli grigi e lisci. Sorride impercettibilmente. Guardarlo negli occhi, impassibile e dritto come un lampione, è come fissare il ritratto di un lord inglese d’altri tempi. Chi potrebbe sospettare che dietro quell’espressione sorniona si nasconde uno dei più grandi geni del cinema horror e gotico, di un cinema cosiddetto minore. Genio, maestro, eppure quasi misconosciuto. Un mito ottuagenario, Roger Corman. Ingegnere e contemporaneamente contrabbandiere di macchine fotografiche, scrittore e regista di film culto come La piccola bottega degli orrori del 1960 (girato nel tempo record di 72 ore), produttore di oltre 130 pellicole, distributore e ambasciatore negli Usa di film di Fellini, Kurosawa, Truffaut, e scopritore di talenti come Francis Ford Coppola (giovane fonico di alcuni suoi film), Martin Scorsese (suo assistente alla regia), Jonathan Demme, Jack Nicholson, Robert De Niro, Dennis Hopper, Peter Fonda e molti altri ancora. Ma prima di ogni altra cosa: maestro indiscusso del comedy-horror e dei B-movie a zero budget, fantasioso inventore di generi ed innovatore, colosso dell’anti-sistema hollywoodiano, distruttore di schemi e scopritore di nuovi modi e mondi di fare cinema. Il 5 aprile scorso il maestro del gotico e dell’ironico ha compiuto 80 anni. 36 ore dopo, Roger Corman aveva valicato l’oceano dalla sua Detroit fino a Poggibonsi, in provincia di Siena, per una lezione di cinema. Dove lo abbiamo avvicinato...
Si è evoluto, è migliorato, ma è anche peggiorato. Migliorato sotto l’aspetto tecnico e tecnologico. Ma proprio queste innovazioni corrono spesso il rischio di diventare predominanti a scapito del contenuto, della narrativa, dei personaggi. Ma ritengo sia qualcosa di temporaneo. Ben presto credo che si imparerà ad usare al meglio le innovazioni tecniche e migliorerà anche la qualità dei film.
Dei miei film non ce n’è uno che preferisco, a cui sono più legato. Ma se devo sceglierne uno scelgo The Intruder, che ho realizzato nel ’60, oppure nel genere science-fiction L’uomo dagli occhi a raggi X. Per quanto riguarda la Storia del cinema, nominerei sicuramente La corazzata Potemkin e Citizen Kane.
La parte conscia del mio Io è da sempre attratta dal genere horror o gotico perchè da grandi spazi e opportunità per “giocare” con le immagini e le suggestioni visive. Ma penso che nel mio inconscio ci sia una parte di me che gioca o affronta o risolve così le proprie paure.
Potrei considerarmi un semi-padre o un padrino, un padrino del cinema indipendente. Però ritengo che questi artisti siano così ricchi di talento che avrebbero raggiunto il successo anche senza di me. Gli ho insegnato qualcosa, li ho seguiti e aiutati ma soltanto all’inizio della loro carriera. Ma avevano giù tutte le carte per fare grandi cose nel cinema.
Non guardo al mondo attraverso queste due sole lenti. Al mondo di colori ce ne sono tanti e forse l’unico modo per affrontare quelli scuri è l’uso dell’ironia.
Accade spesso proprio perchè chi fa arte ha sempre le antenne protratte verso l’esterno, verso il futuro, alla ricerca di tutto ciò che accade di innovativo. Un caso analogo è accaduto durante la Seconda guerra mondiale, quando il governo Usa stava lavorando alla bomba atomica ci fu uno scrittore di fantascienza che anticipò in un racconto quanto in effetti stava per accadere. Tant’è vero che subito l’Fbi indagò su quali fossero le fonti a cui si era ispirato per scrivere una storia tanto prossima alla realtà per poi scoprire che era stato solo frutto della sua immaginazione, senza spie o informatori dal Governo.
Homecoming è il migliore esempio di come si possa parlare di politica attraverso il cinema horror. Conosco molto bene il film, Joe è venuto a parlarmene prima di iniziare a lavorarci e ho capito subito che era un’idea geniale. Non solo tornano per votare contro Bush, ma tornano soprattutto per terrorizzare e tormentare l’amministrazione... non si sarebbe potuto esprimere meglio di così.
Un regista deve conoscere il più possibile di ciò che racconta. Ed io non avevo mai provato l’Lsd prima di allora, ma avevo solo fumato marijuana. Dovevo innanzitutto entrare in sintonia con il personaggio, e soprattutto dovevo capire cosa andare a creare visivamente, cos’era un trip. L’esperienza psichedelica è stata talmente enorme che mi sono reso conto di poterne mostrare cinematograficamente soltanto una parte. La compagnia di distribuzione era molto preoccupata che il film fosse interpretato come “a favore” dell’Lsd – ma io non volevo essere né a favore né contro – che ritennero opportuno inserire alla fine un messaggio che scacciasse ogni dubbio. (Le riprese sono state effettuate da Martina Manescalchi, la nostra Dellamorte e Dellamore. Le fotografie dell'intervista di AlterEdo a Roger Corman e di Martina itenta a realizzare il documento video, sono state scattate da Tiziano Bindi. Un ringraziamento ad entrambi e un ricordo della bellissima giornata) |
a cura di Edoardo
Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)