INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE
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MARCO BELLOCCHIO, L'ORA DI NON RELIGIONE
Questo non lo so. Questo passaggio non sono in grado di dimostrarlo. Sicuramente però, questo procedere per ellissi è molto più evidente in quest’ultimo film che non ne L’ora di religione in cui ci sono delle libertà che però sono in qualche modo contenute in una struttura drammaturgicamente più classica. Qui è come se ogni scena, ogni sequenza, sfuggisse alla precedente...
Esatto. Come se non volesse finire proprio per mandare avanti un discorso che riguarda tutto il film e che comunque non chiude il film, ma rimane aperto... Questa struttura naturalmente è stata fortemente accentuata nel montaggio, mentre la sceneggiatura era stata scritta in modo più lineare, e le sequenze erano più “una accanto all’altra”. Nella lavorazione si è tagliato molto, si sono tagliate parole, si sono tagliate anche scene, e si sono come dire incastrate maggiormente, il più possibile, le une nelle altre. Di qui questo andamento ad onda come diceva prima lei, che è poi diventata una caratteristica formale del film.
Prima di tutto la sua libertà come capacità di muoversi. La libertà è una conquista, lo sappiamo. E lui capisce, dapprima solo intuisce, che deve innanzitutto allontanarsi da una situazione statica e soffocante. E poi quando deve conoscere questa donna di cui gli hanno parlato, ecco lì comincia una conquista della libertà. Una conquista che come nelle fiabe passa dall’affrontare delle prove, deve scontrarsi con qualcuno, deve difenderla questa cosa. E in questo senso, in questo percorso, lui potrebbe arrivare alla fine non solo a conquistare una propria libertà, ma a ritrovare un’energia, una vitalità e un entusiasmo rispetto proprio al suo essere artista. Perchè secondo me solo questo percorso può restituirgli una... chiamiamola pure leggerezza, una nuova fantasia.
Mentre ne L’ora di religione quello sulla laicità era un discorso che aveva un suo obbiettivo che era, diciamo, svelare l’ipocrisia di un complotto che veniva ordito contro di lui ma che anche minacciava suo figlio. Qui invece il discorso sulla laicità è di tipo generale: non contro il matrimonio religioso, ma contro un certo tipo di conformismo, addirittura conformismo laico, nell’ambito della sinistra, con cui si scontra il protagonista. La laicità è proprio contro una certa cultura dominante che è cattolica e razionale al tempo stesso...
Esatto. E che è indefinita. Mentre ne L’ora di religione l’obiettivo era più preciso, c’erano come dei nemici, come dei cattivi.
No, no... Io vedo, dal mio punto di vista, che la partita è tutta aperta, se vogliamo usare un termine calcistico. Però, vedo un’Italia disorientata, smarrita, divisa in due. Parlando di laicità, questa non c’è, in termini generali. C’è una cultura dominante che tende assolutamente a sottovalutare, a considerare niente, e anche in qualche modo a subire, se non apertamente ad accettare – questo è un dato di realtà – questa situazione, quasi come se il discorso sulla laicità fosse qualcosa di superfluo, superato. Però, se per tutta la mia vita ho cercato di essere coerente rispetto alla cose in cui credevo, continuerò ad esserlo. Poi vedremo.
La sinistra è smarrita, soffre di poca identità. Nel film si contrappongono due figure di regista, uno con una forte identità e un altro con una forte non-identità, il regista di matrimoni appunto. Così nella politica: nella sinistra vedo un pensiero vecchio.
Quella espressione, che si è rivelata così fortunata, è nata da una sorta di automatismo surrealista. Non nasce piena di significati, come molti hanno pensato, i significati sono venuti dopo.
Ciò che mi accomuna con i personaggi di Castellitto, ne Il regista di matrimoni e ne L’ora di religione è il senso di libertà e la convinzione che per la libertà vale la pena spendersi. E mi accomuna anche allo stesso Sergio, pur nelle nostre profonde ma feconde diversità.
Questo è un film in cui non c’è omogeneità di ispirazione. Mi ritrovo un po’ in tutti e tre i registi, Elica, Smamma, che si finge morto, e anche nel regista di matrimoni.
Tanto. Tanto che non basterebbe una vita per enumerare tutto. Ma il punto secondo me è che è necessario ricostruire la propria identità applicandosi, come artista, alle cose concrete – e di qui l’Altare della Patria e i Promessi sposi – abbandonandosi alla fantasia. E una volta che l’hai ricostruita, tu puoi andare dove vuoi. Libero. |
a cura di Edoardo
Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)