INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE
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GIANNI AMELIO, IL PREZZO DELLA DIGNITA' DEL LAVORO
Testimone, Gianni Amelio. Testimone sentimentalmente coinvolto della più grande e sfrenata corsa alla produzione dell’era della globalizzazione. Testimone di una Cina profondamente cambiata dai sogni giovanili della Rivoluzione culturale. Quello che esce da Venezia, e che è approdato nelle sale cinematografiche, è un film-testimonianza, una rilettura dell’idea di progresso pasoliniana, e anche una storia di sentimenti e di caparbietà. La stella che non c’è segna il ritorno del regista sul suo vecchio terreno di scontro, quello del sociale, del confronto tra culture. Un viaggio nella Cina industriale, ma anche nella Cina che resiste come terra dagli sconfinati eterogenei spazi. Ma soprattutto nella Cina dei cinesi, tra la gente, in mezzo alle loro lotte quotidiane. (Ascolta l'intervista: 1, 2)
Non ho pensato a tutte queste cose quando ho deciso di andare a fare un film in Cina. Ho pensato a tutt’altro. Ho pensato a un italiano, Vincenzo Buonavolontà, che aveva bisogno di allontanarsi dall’Italia. Per tante ragioni... perchè l’aria nel nostro paese, come forse in tutto l’Occidente, è diventata leggermente irrespirabile per uno che voglia fare le cose per bene. Ho un po’ l’impressione – come ripete spesso nel film Vincenzo – che ci siano un po’ troppi profittatori, troppi cialtroni. E non è solo un’impressione. A un certo punto si dice “tu vorresti l’Italia senza gli italiani” e lui risponde “non pretendo tanto”, però, insomma, mi piacerebbe che ci fosse una mentalità e un modo di sentire diverso. Io sono andato in Cina per cercare questo modo diverso di sentire.
Penso di sì. Non ne sono sicuro. Ma se non l’ho trovato io lo ha trovato Vincenzo Buonavolontà, il protagonista del mio film. Credo che l’esigenza fosse quella di ricominciare la vita in un posto vergine o comunque in un posto che tu hai considerato importante per la tua formazione, che è stato un mito per la tua giovinezza – come è stato per noi tutti – come la Cina della Rivoluzione culturale. Si sente che Vincenzo Buonavolontà è uno che ne sa di Cina. Cita il compagno Deng, anche con una certa ironia, ma è uno che ha vissuto determinate cose. Se va in Cina è perchè gli sta un po’ stretto l’Occidente. Ovviamente ci va anche per fare una cosa che sente necessaria, indispensabile, cioè portare la centralina modificata per l’altoforno e salvare le vite degli operai. Però questa cosa non si fa solamente per un interesse di fabbrica o di bottega, per un motivo squisitamente tecnico. Si fa anche perchè dentro uno ha bisogno di ricominciare quello che si è interrotto. Lui in Italia ha chiuso con un lavoro trentennale.
Credo che tu abbia ragione ma non le faccio con intenzione queste cose. Non è che mi metto a tavolino e dico “adesso devo fare questo e quest’altro”, no. Mi va di raccontare una storia...
Il lavoro, la perdita del lavoro. Ovviamente lo sento come tutti quanti noi. È il tema dei temi. Una vita senza il lavoro e soprattutto senza l’impegno all’interno del lavoro, è una vita di crisi diciamo. Tra Occidente e Cina ci sono aspetti che si somigliano, che sono la parte emergente dell’iceberg, perchè anche in Cina si avverte la corsa al profitto, anche in Cina il capitalismo è sfrenato, anche in Cina, in modo anche più violento, i valori sono diventati quello che sappiamo: esiste solo la produzione. Ma quanto costa tutto questo? Non a livello tecnico ma al livello della dignità della persona, di sopravvivenza? Io ritengo che in Cina questo sia il vero problema: si sacrifica la dignità della persona, i bisogni reali dell’uomo, ad una corsa che non si sa dove porterà. Sicuramente – io sono ottimista e amo molto i cinesi – se ne accorgeranno in tempo e faranno una marcia indietro anche abbastanza sensibile. Perchè ormai credo che il mondo non può andare verso la direzione che la Cina mostra di avere oggi, quella di essere una grande potenza dove il liberismo economico è addirittura controproducente...
Certo, anche con due piedi di argilla che lo fanno precipitare dopo due secondi. Perchè a questo sviluppo – cosiddetto sviluppo – corrisponde un imprigionamento dell’uomo, dell’individuo.
I cognomi se si mettono nei film devono essere una specie di programma. Io credo nella persona che vuole fare fino in fondo le cose in cui crede, anche scalando una montagna se è necessario. Non pretendo che succeda tutti i giorni. Ma per quanto mi riguarda, io vorrei farlo. Sergio Castellitto pure, credo. E Vincenzo Buonavolontà, che è un po’ la somma di me e di Sergio, la incarna sullo schermo in maniera molto chiara e molto diretta.
Le identiche sensazioni perchè le abbiamo scoperte insieme. Perchè la sceneggiatura era molto elaborata, anche ben scritta, però poi quello che si vede nel film è la mia storia di cinese, perchè anch’io a un certo punto sono diventato anche cinese.
Sì, però questo non implica per forza un fatto negativo. Per lui in quel momento implica un fatto negativo, ma per me no. Perchè per esempio io vorrei una Cina con i cinesi, non una Cina senza i cinesi, come si adombra. Perchè io metto i cinesi prima della Cina. Magari non mi piace la Cina ma mi piacciono i cinesi. |
a cura di Edoardo
Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)