INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE
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RUCHI NARAIN, Spartiacque fra il Gange e l'Occidente
Gli argini sono ormai rotti? Oriente e Occidente, generazioni del nuovo millennio e generazioni dei padri e dei nonni, tradizione e modernità, cinema e telenovelas... Cosa succede alle care e vecchie dighe che tenevano i fiumi del mondo separati gli uni dagli altri? Vogliamo negarle tutte? Personalmente mi auguro che alcuni fiumi continuino a rimanere ben distanti e separati. Fra quelli citati, beh, sicuramente l'argine fra cinema e telenovelas farebbe bene a rimanere ben saldo dove sta. Ad un festival di cinema indiano ho scorto l'opera prima di una giovane regista della regione del Quatar di nome Ruchi Narain. Il film si chiama Kal, un mezzo melò e mezzo thriller con influenze televisive (quasi da telenovela), ambientato nella Bombay "bene" della ricchezza e delle multinazionali, frutto dello sguardo sull'India e sul presente delle nuove generazioni che guardano ad occidente e che vedono il mondo in divenire come una fusione di culture tradizionali e modernità. Uno strano film, suscettibile di negativa recensione per demeriti intrinseci, ma pur sempre interessante sotto alcuni punti di vista. Interessante soprattutto si è dimostrata lei, Ruchi Narain, l'autrice. Donna, giovane, non "figlia" dell'ambiente bene dell'India cinematografica, praticamente un'outsider a tutti gli effetti, anche perché priva di qualsiasi mezzo di finanziamento per il suo lavoro di regista. E soprattutto molto vitale in questo suo nuovo approccio culturale all'insegna dell'abbattimento di tutte le dighe. Tutti elementi che fanno di Ruchi un soggetto estremamente meritevole di attenzione...
Ho dovuto lavorare sodo, farmi largo sgomitando in un ambiente clientelare dove non c'è posto per chi non fa già parte del sistema, per chi non è figlio di qualcuno, molto più che in America dove questo accade ma in misura molto minore. La gavetta è stata lunga e faticosa, ma mi è servita per farmi conoscere e arrivare a farmi notare dalle persone giuste. Essere donna, giovane, senza la possibilità di attingere ai fondi per il cinema, sono tutti elementi estremamente penalizzanti per chi come me vuol fare questo lavoro. Ma l'elemento più penalizzante di tutti è essere nata fuori dalla grande famiglia di Bollywood, che è un circolo chiuso.
Sono molto vicina a questo nuovo mondo che si è affacciato, quello del grande boom economico, delle giovani generazioni rampanti di famiglie ricche, ma allo stesso tempo anche ad un altro, più povero, dove la gente dorme all'addiaccio, perché la mia famiglia viene dal Quatar, non da Mumbai. Quindi mi è difficile collocarmi in una specifica categoria: faccio vedere mondo per come lo conosco, come lo vedo per la mia esperienza. Voglio parlare con le persone a tu per tu. C'è la tendenza a fare film in cui i personaggi sono sempre meno abbienti rispetto allo spettatore medio, così da provocare in lui un sentimento di compassione e di malessere per condizioni sociali degradanti. Però esistono milioni di persone come me in India che, pur non appartenendo all'alta borghesia, non sono nemmeno poveri. Una sorta di classe media sempre più diffusa a cui il cinema pensa poco. E trovo giusto fare cinema anche per queste persone.
Cerco di elevare il cinema popolare alla dignità di quello d'autore e allo stesso tempo di portare lo stile del film di qualità sul piano popolare e di grande pubblico. Il pubblico deve poter riflettere su ciò che vede e allo stesso tempo su se stesso, senza tuttavia annoiarsi e senza mettersi a livello dei film a grosso budget in stile pop-corn.
Se il mondo è diventato piccolo e la cultura globale, se gli stili di vita si sono uniformati, ve ne siete accorti voi a Firenze, come a New York o noi a Mumbai. Anche noi abbiamo avuto l'esplosione del cinema iraniano come voi, qualche anno fa. Quindi i confini culturali hanno smesso di essere legati alla geografia, agli Stati, mentre sono rimasti quelli relativi agli stili di vita. L'incontro fra le culture che ha preso piede nelle nostre come nelle vostre città, è ancora lontano invece nelle periferie e nelle campagne, indiane ma anche nei paesini della Toscana. Ciò che mi interessa è raccontare storie di persone immerse nel nostro tempo, quindi sempre più culture che si incrociano e che si influenzano a vicenda. Nelle mie intenzioni future, per esempio, c'è di raccontare l'epopea degli immigrati indiani e cinesi che hanno costruito le grandi ferrovie nel West americano. |
a cura di Edoardo
Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)