INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE
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ROBERTO FAENZA, Alla luce del sole
Don Puglisi aveva capito una verità fondamentale: per combattere la mafia bisogna partire dal basso, dalle fondamenta, cioè dai giovani che sono la realtà dove la mafia pesca per creare la propria manovalanza militare e i propri quadri dirigenti. Luca Zingaretti (interprete di don Puglisi) (Interviste Zingaretti. Faenza prima parte. Faenza seconda parte. Faenza terza parte) "Raccontiamo, tramandiamo la memoria. Perché per i giovani tante cose che noi diamo per scontate, scontate non sono". Luca Zingaretti e il cinema che resiste, si interroga, si batte: "In questi anni c'è stato e c'è un tentativo di rileggere la storia con molte forzature, anche se non voglio permettermi di dare lezioni in quanto non sono uno storico. Penso comunque che esistano dei valori unitari, fondamenti che debbano essere patrimonio di tutti, e non solo di una parte: qualcosa di comune intorno alla quale trovare un sentimento di appartenenza, come la Costituzione. Mi piacerebbe che film che hanno un forte portato anche etico sviluppassero e suscitassero questo sentimento di appartenenza". Luca Zingaretti e la memoria: "Mi sento un uomo che crede che la memoria abbia una funzione vitale nella vita sociale di un Paese ma anche nella vita di un individuo. Oggi mi sembra che la memoria come valore sia un po' vessato, ma noi siamo quello che siamo in virtù di quello che siamo stati, e come popolo, da un punto di vista storico, e come individui". Luca Zingaretti, la storia e i suoi personaggi: "Quando uno ha la fortuna di misurarsi con un personaggio realmente esistito in un recente passato, ha la possibilità di documentarsi non solo sui libri ma anche direttamente dalle persone che lo hanno conosciuto. Per quanto un libro possa essere scritto bene, ti racconta più che altro le azioni di una persona, non tanto il pensiero, le sensazioni, che possono essere ricavate da chi gli ha vissuto accanto". Luca Zingaretti ha dato il suo volto a Don Puglisi, prete antimafia ucciso dai fratelli Graviano nel 1992. E con Alla luce del sole di Roberto Faenza ha riportato alla luce la memoria di un piccolo grande eroe della storia recente italiana: "Volevo dare la parola ad un uomo che ha avuto in vita un sacco di cose da dire ma al quale non è stata offerta l'opportunità di dirle perché il suo lavoro è stato interrotto brutalmente dall'assassinio. Il cinema ha naturalmente questa vocazione, questa grande potenzialità, di poter ridare la parola a chi aveva veramente qualcosa da esprimere, in un mondo tra l'altro dove c'è un sacco di gente che parla e non ha niente da dire, soprattutto in televisione e sui grandi giornali. Poi l'elemento più forte della vita di questo parroco non è tanto lavorare contro la mafia, perché Puglisi non era un prete anti-mafia, era un uomo che lavorava nell'ombra, che costruiva giorno per giorno come una formica qualcosa di molto importante. Era un uomo che lavorava per costruire un mondo migliore: un mondo dove esiste la giustizia, esiste la verità, la possibilità per le persone di lavorare, per i giovani di avere un futuro. In questo mondo migliore non c'era posto per la mafia. E la mafia ha risposto premendo il grilletto proprio contro di lui". Luca Zingaretti e Roberto Faenza: la verità della politica e la politica della verità. "Abbiamo realizzato parallelamente al film un documentario per la televisione: è un documentario agghiacciante nel quale si vedono ragazzi che non solo inneggiano alla mafia ma sostengono posizioni aberranti tipo che Totò Riina è una brava persona mentre Falcone e Borsellino sono due delinquenti perché toglievano ai loro genitori la possibilità di sfamarli. Un atteggiamento moralistico farebbe vedere questi ragazzi come degli scellerati, però se uno indaga più a fondo si rende conto che a questi ragazzi non è concessa alternativa: perché nessuno gli dà da mangiare, nessuno gli dà speranze di lavoro se non la criminalità organizzata. In questo senso c'è una responsabilità dello Stato, delle istituzioni, della politica, ma anche una responsabilità di tutti noi, perché non possiamo delegare qualcosa che dobbiamo fare noi come individui. La vera tragedia di uomini come don Puglisi è quella di lasciarli soli e responsabilizzati a fare quello che noi non facciamo. Non possono da soli. Perché muoiono Falcone, Borsellino, don Puglisi? Perché sono rimasti soli, perché non abbiamo dato a loro quel piccolo che ognuno di noi dovrebbe contribuire a dare". Luca Zingaretti, Roberto Faenza e il coraggio del cinema: "Il cinema è fatto per lo più da uomini coraggiosi, perché fare film oggi è un'impresa disperata. Quando una forma di espressione come il cinema ha coraggio deve per forza rappresentare degli uomini di coraggio. Puglisi è un uomo di coraggio e quindi è bello che ci siano persone che cercano di portare in vita un eroe in un Paese dove gli eroi diventano tali solo quando li ammazzano. Tutti quelli che dicono che non bisogna parlare di mafia perché fa male all'Italia compiono dei misfatti, perché l'unico modo di combattere la mafia, come dice il procuratore Grasso, è parlare di mafia, non far finta che non ci sia. Poi non bisogna anche dimenticare che c'è in questo paese una collusione fra poteri mafiosi e poteri politici che sarebbe ridicolo tacerla. È evidente che nel momento in cui certi personaggi, legati al potere politico, vengono esposti all'opinione pubblica, quelli che li appoggiano reagiscono per contrasto e diventano "nemici" quelli che sono i veri nemici della mafia. È un costume scellerato del potere politico". "Il grande errore dei media è quello di non dare attenzione a quelli che sono dei veri eroi... noi diamo attenzione alle sorelle Lecciso, è sconcertante. Poi ci sono persone che danno la loro vita e nessuno ne parla. È sconcertante che lo Stato spenda miliardi tutti i giorni per educare i nostri giovani nelle scuole, poi questi tornano a casa e lo Stato spende altrettanti miliardi per diseducarli con dei programmi televisivi aberranti”. E infine, Luca Zingaretti, Roberto Faenza e la mafia: "La situazione è peggiorata ora rispetto agli anni delle stragi e di don Puglisi. Sono diventati così potenti che non hanno più bisogno neanche di sparare. Sono entrati a fondo nella società, nell'industria, negli appalti, nella collusione con certi poteri, più di prima. Nel '93 quando Palermo era militarizzata, anche il più oscuro uomo politico aveva la scorta. Invece questo piccolo parroco che viveva nel cuore del peggio del potere mafioso, Brancaccio, dove i fratelli Graviano erano boss incontrastati, nessuno si è preoccupato di proteggerlo. Questa è una delle cose sconcertanti. Perché i Graviano sono così importanti? Da una parte sono il braccio industriale della mafia, dall'altra sono quelli che proteggevano il covo di Brusca, e poi sono quelli che hanno fornito gli esplosivi a tutte le stragi fino al '93: Capaci, Borsellino, i Georgofili, Milano e Roma. Perché loro avevano le miniere. Sono due uomini chiave: la disgrazia di Puglisi è stata trovarsi proprio loro di fronte, il potere para-industriale e se vuoi militare dei Corleonesi. Non era mai accaduto che la mafia si fosse così tanto prodigata per uccidere un prete, se non preti che erano collusi con la mafia stessa". |
a cura di Edoardo
Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)