I termini Futurismo e Futurista hanno assunto oggi un significato generico e l’uso comune li applica indifferentemente a un’architettura, a un mobile, a un oggetto. Ma nel momento in cui il termine Futurismo nacque dalla fertile inventiva di Marinetti, esso avevo un significato e un contenuto preciso e designava un movimento culturale dal programma ben definito.

A differenza di altri gruppi e movimenti artistici moderni, come l’Impressionismo, il Fauvismo, il Cubismo che avevano accettato o adottato la definizione loro attribuita dalla critica, spesso poco benevola, il Futurismo si è battezzato da sé e ha diffuso attivamente e con ogni mezzo le proprie idee.

Il movimento ebbe il suo animatore in Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), poeta e narratore di duplice cultura, italiana e francese, e buon conoscitore delle scuole poetiche di fine Ottocento, in particolare del Simbolismo, alla cui volontà di rinnovamento fu assai sensibile.

Quando nel 1909 Marinetti redige il primo manifesto del Futurismo, pubblicato sul "Figaro" del 20 febbraio, il poeta ha al suo attivo un certo numero di raccolte in italiano e in francese e dirige a Milano la rivista di impronta simbolista "Poesia".

In quel Manifesto Marinetti espone un programma violentemente polemico, di integrale rinnovamento della cultura dominante, sulla base di nuovi principi, coerenti con la vita moderna e la società industriale.

In particolare l’arte dovrà esaltare il dinamismo, la velocità, l’energia e l’azione umana, in ogni campo; dovrà sfuggire alla museificazione per rinnovarsi continuamente nei temi e nelle tecniche; dovrà incidere profondamente nel tessuto sociale; dovrà provocare, scuotere, usare violenza psichica e anche fisica (si pensi, ad es., alle movimentate conclusioni delle serate futuriste).

Nel corso dell’anno 1909 Marinetti entra in contatto con un gruppo di giovani pittori italiani pronti a elaborare e a praticare in pittura l’idea futurista; essi sono: Umberto Boccioni (1882-1916), Giacomo Balla (1871-1958), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947) e Gino Severini (1883-1966), i quali, nel corso del 1910, aderiscono al movimento e pubblicano il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista.

Il gruppo incomincia a organizzare spettacoli di teatro e di poesia, esposizioni di pittura e di scultura; la più importante, quella che lancerà il Futurismo sulla scena internazionale, si apre nel 1912 a Parigi, alla Galleria Bernheim-Jeune, col titolo Les peintres futuristes italiens; verrà in seguito presentata a Londra, Berlino, Amsterdam, L’Aia, Monaco di Baviera e in America.

Il pittore Severini, che per alcuni anni aveva abitato a Parigi, contribuisce a stabilire un legame, destinato a colorirsi di toni polemici, tra cubisti parigini e futuristi; anche Guillaume Apollinaire, sempre attento alle novità, s'interessa a loro.

Negli anni tra il 1909 e il 1915 il Futurismo vive una vita attivissima e tempestosa, costellata da una serie di prese di posizione teoriche o manifesti, sia nel campo letterario sia in quello delle arti figurative: nel 1912 viene pubblicato il Manifesto della scultura futurista, nel 1914 il Manifesto dell’architettura futurista, firmato da Antonio Sant’Elia (1888-1916), grande architetto e urbanista, e nel 1915 il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla e Fortunato Depero (1892-1960), per non citare che alcuni tra gli scritti programmatici del periodo. Nel 1913 Marinetti intraprende un viaggio a Mosca, suscitandovi grande interesse e rinsaldando il legame con i circoli dell’avanguardia russa.

Il primo conflitto mondiale nel quale l’Italia interviene nel 1915, non interrompe immediatamente l’attività comune del gruppo; ma la morte in guerra di Boccioni e di Sant’Elia contribuirà ad affrettare un’evoluzione che già veniva delineandosi; alcuni artisti  si accosteranno all’esperienza metafisica come Carrà, altri confluiranno in Novecento, il movimento artistico che alla conclusione della guerra si affermerà come ritorno all’ordine, raccogliendo l’adesione di alcune personalità già attive nell’ambito futurista, come Sironi e Severini, Rosai, Martini e Morandi, oppure daranno vita al cosiddetto secondo Futurismo.

Ma se il Futurismo ripiega verso nuove tendenze o rivive in fenomeni di minore rilievo, come l’aeropittura, il suo valore rivoluzionario e la sua azione di svecchiamento della cultura italiana non vanno disconosciuti e la sua fine come movimento coerente non significa il totale abbandono dei suoi obiettivi, alcuni dei quali saranno all’origine dell’esperienza dadaista.

Quel che colpisce nel Futurismo italiano è la sovrabbondanza dei testi programmatici, fenomeno che ha il suo equivalente soltanto nell’avanguardia russa, da Malevic a Larionov; e il carattere violentemente polemico e provocatorio dei testi stessi, nei quali la volontà di rottura è manifestata con toni esagitati e perentori.

Quali sono le idee-forza che animano i testi futuristi? Anzitutto il Futurismo è rifiuto della storia, rifiuto "di-tutto-ciò-che-precede", e quindi è un modo di guardare al futuro, cancellando, con la storia, le tradizioni dell’accademia lontana e recente: forse si potrebbe dire che il futurismo rappresenta uno sviluppo dinamico dell'impressionismo e soprattutto del neoimpressionismo.

Il Futurismo italiano è portatore di una tale carica distruttiva, di una volontà di ricostruire ex-novo, che si può riscontrare, in quell'epoca, solo nelle avanguardie russe. Tra le ragioni di questo comportamento di una certa importanza fu la coscienza del provincialismo della cultura e dell’arte ottocentesca italiana, rimaste ai margini dei grandi movimenti di pensiero europei.

Ferma nell’ammirazione di un passato grandioso, trasformata dal turismo in un museo un po' polveroso, l’Italia del tempo dei Futuristi, che è anche l’Italia di Benedetto Croce e di Pirandello, vuole entrare di forza nella cultura europea, con una propria originalità.

Marinetti e i suoi amici non ritengono che l’estetismo decadente di D’Annunzio o la politica megalomane di Crispi possano svolgere questa funzione: con intolleranza e con una disposizione di spirito non aliena da totalitarismo - alcuni dei futuristi saranno sostenitori della politica interventista e aderiranno poi al fascismo - i futuristi intendono imporsi a qualunque costo.

E non si tratta soltanto di respingere gli stili e le forme, le tecniche tradizionali, ma anche e soprattutto i contenuti dell'arte e della cultura in generale: il futurismo tenderà infatti ad esaltare enormemente il mondo moderno, con le sue città, le industrie, le sue macchine. Famosa è la frase di Marinetti sull’automobile, "più bella della Vittoria di Samotracia".

Il macchinismo e l’ansia della velocità che hanno mutato la vita dell’uomo, il suo ambiente, le sue abitudini, sono i nuovi miti futuristi. Nell’impeto rivoluzionario che lo induce a prendere in considerazione le più varie manifestazioni della vita e della cultura, che lo spinge a rifiutare ogni categoria precostituita sta, insieme, il limite del Futurismo e il suo incontestabile valore: limite in quanto i propositi futuristi a confronto con la pluralità degli obiettivi appariranno a volte ingenuamente generici; valore in quanto la pluralità degli obiettivi stabilisce una interdipendenza, uno sconfinamento tra i diversi campi d’azione, del pensiero e dell’arte, che sarà motivo ricorrente nelle avanguardie del Novecento.

Per quanto riguarda il rinnovamento del linguaggio figurativo, appare stimolo fondamentale la ricerca della rappresentazione del movimento, dell’energia dinamica, attraverso l’evidenziazione di linee-forza, l’indagine dei rapporti tra oggetto e spazio nella simultaneità dei moti; e se la scomposizione della forma e il geometrismo possono accostare i futuristi ai cubisti, l’uso del colore li distingue fondamentalmente: nei primi è vivace, puro, esuberante, di discendenza neoimpressionista, nei secondi sobrio, tendente al monocromo.

Le immagini successive di una forma in movimento sono sperimentalmente evidenziate nella loro sequenza nel famoso Dinamismo di un cane al guinzaglio (New York, Collezione Goodyear) e in Bambina che corre sul balcone (Milano, Galleria d’Arte Moderna, Raccolta Grassi) di Balla o rielaborate in una visione soggettiva nella Sintesi plastica dei movimenti di una donna (Grenoble, Musée de Peinture et de Sculpture) di Russolo, o ancora nella splendida Danzatrice in blu (collezione privata) o in Danza dell’orso al Moulin Rouge (Parigi, Musée National d’Art Moderne), entrambe di Severini, e di Quel che mi ha detto il tram (Milano, Collezione Bergamini) o in Cavallo e cavaliere (collezione privata) di Carrà, o ancora di Spazzola ridente (collezione privata) di Balla.

La sintesi drammatica è finalizzata all’espressione drammatica nei Funerali dell’anarchico Galli di Carrà (New York, Museum of Modern Art) e alla rappresentazione della vitalità cosmica, dell’energia che penetra lo spazio e la materia di Mercurio che passa davanti al sole visto da un cannocchiale di Balla (Milano, collezione privata).

La Manifestazione interventista di Carrà (raccolta privata d’Arte Moderna), come altri collages futuristi, rivela l’intenzione di una reale e simbolica rottura del linguaggio plastico tradizionale, anche nella scelta del mezzo espressivo.

Ma la volontà innovatrice del Futurismo si esprime nel modo più possente e coerente nell’attività di Boccioni, concentrata nel breve volgere degli anni tra il 1910 e il 1916, tutta tesa a scoprire del vitalismo futurista i risvolti più profondi, cosmici e drammatici.

La liberazione delle energie dell’oggetto nello spazio secondo precise linee di forza si esprime nelle forme energiche e tese della plastica di Boccioni, mentre la lucidità della ricerca si arricchisce di una gamma infinita di registri di sensibilità in opere in cui domina l’emozione lirica, l’ebbrezza di una vitalità universale come in Rissa in galleria (Milano, Pinacoteca di Brera, Collezione Jesi), La città che sale (New York, Museum of Modern Art), Le forze di una strada (Basilea, collezione privata), La risata (New York, Museum of Modern Art); o nelle quali un’atmosfera emotiva è ricreata con i mezzi purissimi del colore, della forma e della linea la cui direzione era fissata con un determinato scopo drammatico, come ben si vede nella serie degli Stati d’animo 1 2 3 (Milano, Galleria d’Arte Moderna).

Più legati alla tradizione sono i ritratti che lasciano spazio a contenuti umani e psicologici (Materia, raccolta privata d’Arte Moderna; Sintesi plastica di figura seduta, Ritratto del maestro Busoni, entrambi a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna)


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 13/05/2015