ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


L'EVERSIVO GROSZ

PREMESSA

Quando si parla di George Grosz si parla di "Nuova Oggettività", cioè della "realtà nuda e cruda" quale venne emergendo nella Germania del 1915-20, allorché un gruppo di artisti e di critici d'arte cominciò a sostenere che l'Espressionismo tedesco era morto.

L'asserzione, già presente per la prima volta nel manifesto dadaista del 1918, si era formalizzata in un saggio di W. Hausenstein del 1920, che aveva saputo cogliere la novità nelle opere di Otto Dix, Max Beckmann, Rudolf Schlichter e George Grosz (i maggiori della nuova corrente pittorica), i quali, dopo essersi arruolati come volontari nella prima guerra mondiale, convinti di vivere un'esperienza entusiasmante e rigeneratrice (alla Nietzsche, per intendersi), ne erano usciti completamente sconvolti.

La loro critica della società borghese diventò durissima. Non volendo perdersi in fantasie astratte, in nostalgici ritorni al passato o in vaneggiamenti per un futuro migliore, concentrarono la loro attenzione alla realtà presente, ai fatti, ai dati reali, agli oggetti, senza fare sconti a nessuno.

Il termine "Nuova Oggettività", spesso accompagnato a quello di "Realismo magico", appare per la prima volta nel 1925, come titolo a una mostra organizzata da G. F. Hartlaub a Mannheim, in opposizione a correnti come "Blue Rider" e "Die Brücke".

BIOGRAFIA

George Grosz (nome d'arte di Georg Ehrenfried Gross) era nato a Berlino nel 1893 e aveva studiato all'Accademia di Dresda (è allievo di Richard Müller) e alla Scuola di Arti decorative di Berlino (è allievo di Emil Orlik), mostrando subito un ottimo talento come caricaturista. Era stata la madre ad avviarlo alla carriera artistica.

Nel 1913 soggiornò a Parigi, dove entrò in contatto con le avanguardie del cubismo e del futurismo, che lo influenzarono notevolmente, e dove poté ammirare da vicino le opere di Francisco Goya, di Honorè Daumier e di Henri de Toulouse-Lautrec.

Arruolatosi volontario nell'esercito durante la prima guerra mondiale, viene congedato nel 1915, dopo pochi mesi, per gravi disturbi nervosi.

Tornato alla pittura, tra il 1915 e il 1917 la sua riduzione grafica del segno si radicalizzò per esprimere il franamento morale seguito alla disfatta prussiana: su tale stile Grosz basò la produzione degli anni seguenti, caratterizzati dall’adesione al movimento dada berlinese (introdotto a Berlino da Zurigo nel 1918) e da posizioni politiche rivoluzionarie.

Prima di darsi alla politica attiva, negli anni 1916-18, aveva dipinto due suoi capolavori: Metropolis (Berlino), opera pervasa di un'apocalittica atmosfera, e Il funerale. Dedicato a Oskar Panizza, allegoria dell'umanità impazzita e corrotta dal male. A partire dal 1918 i suoi soggetti preferiti sono i reduci mutilati, gli approfittatori (fornitori di grano e grandi produttori d'armi, come Krupp), i personaggi ambigui della Repubblica di Weimar.

Con un album di disegni erotico-scandalosi dimostra una totale disinibizione nei confronti dei gusti della borghesia e del mercato dell'arte. La sua tecnica caricaturale, dal tratto quasi infantile, evitava qualunque compiacimento accademico e ciò resterà una costante per tutta la sua produzione artistica,

Nella Germania post-bellica lo sfacelo era totale (durante la guerra solo di fame erano morte 750mila persone) e gravissima l'incapacità politica di porvi rimedio. Sull'onda della rivoluzione russa, Grosz aderisce alla Lega spartachista con cui tenta un'insurrezione a Berlino nel 1919. La durissima repressione subita (vi morirono la Luxemburg e Liebknecht) e l'arresto non fiaccarono affatto il suo animo, ma anzi lo indussero ad aderire nello stesso anno al Partito Comunista di Germania.

Rimase coi comunisti sino al 1923, impegnandosi come artista in tre riviste politico-satiriche di ispirazione dadaista: "Der Gegner" (1919-24), "Die Pleite" (1919-24) e "Der blutige Ernst" (1919), quest'ultime due fondate da lui. Collabora anche con l'editore Malik, presso cui pubblica numerose cartelle di disegni, arrivando ad attaccare ripetutamente la figura del kaiser. Le sue vignette - dirà con orgoglio - erano "disegnate con la punta del coltello".

Grosz ha modo di sfoggiare la sua critica corrosiva nel corso della prima mostra dadaista del 1920, a Berlino, in cui appende al soffitto un pupazzo con le sembianze di un soldato tedesco e la testa di un maiale, Le istituzioni lo denunciano per oltraggio all'onore del Reich e lo condannano a pagare un'ammenda. A partire da quell'anno fu più volte denunciato e processato per incitamento all’odio di classe, oltraggio al pudore, vilipendio alla religione e ingiurie contro le forze armate.

Il disgusto di Grosz verso la borghesia corrotta è ben visibile là dove dipinge il mondo notturno dei caffè, dei music-hall, dell'alcolismo, della prostituzione, dell'avidità e dello sfruttamento, sullo sfondo di una città fredda e impersonale. Non risparmia nessuno: politici, industriali, clero, insegnanti... tutti ugualmente responsabili, secondo lui, dell'entrata in guerra della Germania, della sua disfatta, dei disastri della Repubblica di Weimar e della progressiva ascesa del nazismo. Anche il popolo viene accusato d'essere "una mandria di vitelli facilmente influenzabili, a cui non piace altro che scegliersi i propri macellai". L'unica speranza la vedeva negli artisti e li spronava a uscire allo scoperto, impegnandosi politicamente.

Nel 1920 (lo stesso anno del matrimonio con Eva Peter) Grosz, insieme ad Hausmann e Heartfeld, organizza nella galleria di Otto Burchard a Berlino la prima mostra Dada, dove figurano anche lavori di Max Ernst e Otto Dix. Del dadaismo gli piaceva il linguaggio satirico e dissacrante, che usava per attaccare il militarismo, il nazionalismo, l'ideologia borghese.

Tuttavia cercava anche d'imporsi secondo un proprio stile, più duro e spigoloso, avente per soggetto persone misere, prostitute, ubriachi, assassini, soldati feriti, che gli permettevano di esercitare una violenta critica sociale nei confronti dell'avidità dei ceti dirigenti e di volgari uomini d’affari, nascosta sotto la maschera della rispettabilità. Lo storico dell'arte Franz Roh dirà nel 1925 in uno dei suoi testi più famosi, Post-espressionismo. Realismo magico. Problemi della nuova pittura europea, che i nuovi pittori anti-borghesi della Germania volevano restare fedeli alla realtà, mostrandone le ipocrisie, la corruzione e i vizi.

Grosz scriverà che "l'oggettività e la chiarezza del disegno ingegneristico sono un modello migliore che non l'essere loquaci senza controllo sulla cabala, la metafisica o l'estasi dei santi". E i fatti gli daranno ragione, poiché i suoi lavori sapranno anticipare i disastri del nazional-socialismo.

Nel 1925 il movimento della "Nuova Oggettività" ufficializza la propria presenza con una mostra a Mannheim. A partire da questa data e per circa un decennio Grosz darà il meglio di sé: Scena di strada, I pilastri della società, Circe, Strada di Berlino... La denuncia sociale e l'evidente impegno politico che i nazisti, una volta giunti al potere, non ci mettono molto a considerare Grosz un "artista degenerato".

Quando, nel 1933, gli fu offerta una cattedra a New York, colse l'occasione per lasciare la Germania, insieme alla moglie e ai figli (otterrà la cittadinanza americana nel 1938).

La produzione del periodo americano è però meno incisiva, nonostante i ritorni, in chiave dadaista e surrealista, alla grafia violenta e spietata di un tempo. Si avvicinerà alla pop-art ma attenuando gli aspetti più scopertamente politici della sua arte, pur avendo assistito allo sfacelo della seconda guerra mondiale.

Nel 1958 tornò a vivere in Germania. L'anno dopo, l'ultimo della sua vita, viene nominato membro dell'Accademia di Belle Arti di Berlino. Muore in modo alquanto singolare: di notte, dopo una sbronza con amici, di ritorno a casa, invece della porta d'ingresso aprì quella della cantina. La rovinosa caduta per le scale gli sarà fatale.

Il critico d'arte G. C. Argan dirà che Grosz è stato il primo a scoprire nell'autoritarismo politico, nell'avidità di potere, nella corsa alla ricchezza, i sintomi della nevrosi, di una pericolosa e mortale follia.

OPERE

Metropolis (Berlino) - 1916-17
Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Con le sue strade affollate, i grattacieli, la velocità e la simultaneità degli eventi, la città ha uno stile che ricorda quello dei futuristi italiani, ma mentre questi esaltano la vita dinamica e ogni forma di progresso tecnologico, qui invece Grosz giudica negativamente le folle che abitano i grandi centri urbani.
L'individuo è spersonalizzato, mero ingranaggio al servizio di potentati economici e politici. Pur essendoci tanti personaggi, sono tutti uguali nella loro alienazione.
I colori sono cupi e violenti perché l'atmosfera apocalittica di una moderna Babilonia deve suscitare un senso d'angoscia. La borghesia tedesca è vista in maniera duramente critica, senza alcuna possibilità di riscatto.
Il dipinto anticipa di alcuni decenni il celebre film di Fritz Lang.

G. Grosz, Metropolis (Berlino) - 1916-17 - Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Il funerale. Dedicato a Oskar Panizza - 1917-18
Staatsgalerie, Stoccarda

E' un'allegoria dell'umanità impazzita e corrotta dal male. Gli stessi edifici sembrano sul punto di crollare sulla folla esagitata.
Al centro si nota la bara, su cui siede uno scheletro ubriaco.
A destra un giovane vomita le illusioni della sua vita.
In primo piano un prete solleva le braccia e tiene in mano un bianco crocifisso, con cui tenta di placare i tre esseri mostruosi e deformi davanti a lui: alcolismo, sifilide e peste.

G. Grosz, Il funerale. Dedicato a Oskar Panizza - 1917-18 - Staatsgalerie, Stoccarda

I pilastri della società - 1926
Neue Nationalgalerie, Berlino

Il titolo si ispira all'omonima commedia di H. Ibsen.
In primo piano un avvocato militante di un'associazione corporativa filo-nazista: è senza orecchie e ha una cicatrice in volto a causa di un duello. Tra le mani ha un boccale di birra e una spada, e dalla sua testa esce un soldato a cavallo (militarismo nazista).
A sinistra un giornalista somigliante ad Alfred Hugenberg, detto "il ragno": i suoi giornali sono sporchi di sangue, in testa il vaso da notte indica la sua scarsa obiettività.
A destra un deputato socialista, dal cui capo esce merda, mostra lo slogan "Il socialismo è lavoro".
Sullo sfondo alcuni militari e un palazzo in fiamme, simbolo della violenza nazista, mentre un sacerdote dà la sua benedizione con gli occhi chiusi, per non vedere ciò che succede.

G. Grosz, I pilastri della società - 1926 - Neue Nationalgalerie, Berlino

Fonti

SitiWeb


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019