ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA |
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Giovanni Cappelli: l'ultima intervista in Giovanni Cappelli (1923-94), Mondo contemporaneo e cuore antico, Comuni di Cesena e Cesenatico 1999 * * * In occasione della mostra tenuta da Giovanni Cappelli nella galleria Palmieri
di Busto Arsizio, il pittore concesse l'intervista che qui si riporta al critico
d'arte Ettore Ceriani. L'intervista è del 4 marzo 1994, ossia del giorno prima
del malore che portò alla sua scomparsa. E' apparsa nelle pagine Arte del
settimanale "Lombardia Oggi" il 13 marzo seguente. a.d.g. Il testamento di Cappelli "C'eravamo caparbiamente scontrati anni fa, usando la veemenza delle
parole... (noi) attratti dalle visioni impossibili dell'astratto informale, lui
saldamente ancorato alle necessità di rappresentazione del registro figurale.
Glielo ricordiamo, quindici anni dopo, proprio mentre sta per essere inaugurata
una mostra che, nella pienezza motivazionale che lo contraddistingue, riassume
gli ultimi vent'anni del suo intenso percorso artistico. Non ci sono più battaglie da combattere? "Ce ne sono ancora, ma sono più sottili, più ambigue. Il progressivo logoramento delle ideologie ha spostato il campo del confronto. Prima lo scontro era frontale, diffuso, pubblico, in quanto si nutriva anche di politica. Ora è più interiorizzato, tende a individualizzarsi e quindi si fa meno eclatante sotto l'aspetto visivo. L’arte non può però essere responsabile dei destini del mondo; si limita a testimoniare certe vicende o alcune sensazioni, dà l'allarme. Lei è sempre stato un pittore impegnato nella denuncia della condizione umana, con inflessioni di tipo sociale. Ritiene che l'arte abbia ancora bisogno di motivare i propri contenuti? "Oggi è addirittura più importante di prima, anche se il discorso si è fatto sotterraneo, più nascosto. C'è maggior silenzio e più profondità nella denuncia proprio perché è diventata più personale. Tocca l'uomo nella sua essenza ancor prima che nei rapporti. Del resto, nella società attuale esistono le nuove povertà, la ghettizzazione, la solitudine, l'emarginazione culturale dovuta al mancato aggiornamento tecnologico, ai linguaggi preclusivi come, ad esempio, quello dei computers. La pittura raccoglie questo malessere, lo evidenzia. Di fronte alle nuove urgenze, non ha più senso agitare le bandiere rosse. Occorre recuperare i valori che l'uomo porta con sé, capire il senso della sua presenza, della vita. E questo va cercato soprattutto in noi stessi, quasi in contrapposizione con le sirene che cantano fuori. La sua pittura è ancora attuale? “Il mio far pittura è sempre stato presente e onesto perché ha sempre tentato
di guardare nel profondo dell'animo umano, di vedere una continuità di valori al
di là degli avvenimenti e dei comportamenti. L’artista non deve far cronaca ma
solo avvertire il disagio e le attese che sono nella società. Nell'arte, quella
vera, l'aspetto cronistico è superato dall'esperienza personale che ne
rappresenta la parte più poetica e misteriosa. La figura umana è centrale nella sua opera, ma è lacerata, sofferente. Forse non ammette la bellezza, intesa anche come sintonia con se stessi e con l'esterno. "La bellezza è un concetto della Classicità. Molto idealizzato. La realtà
però è più dolente. Subentra la nostra educazione culturale che viene dopo il
Neoclassicismo ed il Cristianesimo. L’ha illustrato bene Ragghianti nel libro
"La fine della Classicità". La donna cosa rappresenta nella sua pittura? “E’ il legame con la madre, la natura che ci genera, è l'inizio e la fine, cioè la vita. L'offesa che le si fa è quindi universale, assoluta. Però anche la donna non manca mai di una sua nobiltà, di una persistente dignità. Ferita, offesa; mai doma, mai definitivamente sconfitta. Nelle sue ultime tele sembra si sia fermato a riflettere su se stesso... "Sì, è così. Nella vita ci sono dei momenti nel quali si è portati a guardare un po' indietro, quasi a voler misurarsi con se stessi. Poi si riparte, magari con altre motivazioni o con altre intenzioni o sentimenti. Per me questa occasione è stata la malattia. Da allora, la mia pittura si è arricchita di simboli. Nei miei quadri è tuttora in corso un serrato confronto fra la realtà, cioè quello che sono io al momento, e il mio vissuto che ritorna sotto forma di ricordi, di simboli. Mi sembra comunque che complessivamente non appesantiscano l'equilibrio compositivo né affievoliscano l'efficacia espressiva dei miei quadri. Quale consiglio a un ipotetico giovane artista? “Professionalità, coerenza, correttezza verso il pubblico. E poi grande coraggio per cercare in se stessi sino a trovare i convincimenti più intimi e profondi, siano essi legati alla forza della ragione o alle percezioni della speranza. Indipendentemente dal registro, non c'è arte quando non c'è umanesimo." A cura di Ettore Ceriani
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