PAUL KLEE: UNA RICOGNIZIONE


4. TEMI: L'ARCAISMO

Ne ho già accennato parlando della scuola viennese – in particolare di Worringer - e del cambiamento di forma-colore nelle famose tessere di Klee. Qui posso dare solo qualche suggestione, sia per le difficoltà dell'argomento sia perché si tratta di una ricerca ancora aperta.

L'interrogativo è il seguente: in che misura ed al di là di certe somiglianze i segni di Klee richiamano volutamente le astrazioni arcaiche, i segni e i grafismi del periodo geometrico della storia dell'arte, quando la figura veniva rappresentata in modo stilizzato e prevaleva l'ornamento geometrizzante?

Dal punto di vista neurologico la cosa è chiara, il riconoscimento dei volti è svolto da un'area specializzata del cervello che non viene attivata di fronte ad una rappresentazione non figurativa. La percezione della forma è invece diffusa su diverse aree. Ma quale relazione c'è tra l'astrattogeometrico dell'antichità e quello moderno? Questo è, per l'appunto, un tema affascinante e ancora aperto. Alcuni, come Dorfles, sostengono che non è risolvibile. Altri parlano di scacco immanente ad ogni ermeneutica dell'arcaico, nel senso di una impossibilità di comprensione. (1)

Per me il problema è ancora da indagare a lungo e forse potrà essere proprio la neuroestetica ad aiutarci nel processo di comprensione.

Klee, in consonanza con le tendenze del tempo, va alla ricerca del primitivo, del più semplice, delle sensazioni originarie, dell'ingenuità e purezza del tratto. Il geometrico arcaico dipende forse da come l'umanità del tempo interrogava e interpretava il mondo, dal suo modo di simbolizzarlo? Poiché ancora non sappiamo in quale rapporto stanno le singole aree cerebrali con l'immagine unificata che si forma nel cervello, una riposta è del tutto prematura. Ma dobbiamo guardarci dal comporre un'equazione troppo semplice tra primitivo = infantile: si tratta di un vecchio e superato modo di vedere la questione, di derivazione ottocentesca.

L'arcaismo dei segni che appaiono in Klee avrebbe a che fare con una ricostruzione a ritroso della storia della sensibilità umana, dove - ovviamente – il prima non è meno complesso del dopo. All'origine, sostiene Wilhem Worringer, parlando del decorativismo come di un campo che più di altri dimostra le sue tesi, "l'uomo non trasferì nell'arte l'organismo vegetale in sé ma la sua legge strutturale[…] così alle origini l'ornamento vegetale non riproduce propriamente la pianta, ma la regolarità della sua struttura esterna". E porta a dimostrazione una lunga serie di esempi che sarebbe fuori luogo riprodurre qui.

C'è poi, secondo l'autore, il passaggio dalla fase astratta (ossia geometrica) a quella empatica, cioè ad una rappresentazione mimeticofigurativa del mondo. Non importa qui analizzare le ragioni avanzate da Worringer per tale passaggio, basterà osservare che la sua generalizzazione non funziona con l'arte primitiva.

Piuttosto, si può azzardare un'ipotesi, da proporre con tutte le cautele del caso: una fase astratto - geometrizzante, certamente mai esclusiva e tuttavia prevalente, si ha nelle fasi in cui grandi rivolgimenti tecnico-sociali e culturali obbligano l'umanità a reinterpretare il mondo, quando vecchie certezze e antichi valori vengono rimessi in questione.

Ora, il geometrizzante-astratto dell'età arcaica greca, ma anche di altre aree, entra in scena in quasi perfetta coincidenza con l'ingresso nell'età del ferro (e con l'introduzione dell'uso del tornio per vasi e della ripresa su scala più ampia dei traffici mediterranei), tutte cose (anche se non sono le sole) che producono un profondo rivoluzionamento politico, sociale e culturale e che obbligano gli uomini del tempo a ricostruire il modo di vedere il mondo.

Come non pensare che anche l'esplosione dell'astrattismo, figurativo o meno, entra in scena nel Novecento in coincidenza con una rivoluzione tecnologica senza precedenti nella storia, che ha spiazzato tutti i nostri consolidati modi di pensare? (2)

Tornando ad un'interpretazione più tradizionale, si può dire che Klee esprime una compresenza di questi due aspetti (cioè di arcaismo e di modernismo), quasi che nello sforzo di ricostruzione di un universo possibile non volesse privarsi dell'uso di tutti gli strumenti che gli permettono di emulare l'evoluzione della sensibilità umana. Oppure, possiamo pensare che Klee sceglie i motivi geometrizzanti, arcaizzanti, astratti – se vogliamo – perché "la ricerca dell'eterno, dell'assoluto - per Worringer fine ultimo di ogni arte - è più chiara nella tendenza astratta". [Venditti, s.d.]

In realtà, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un'operazione a base psicologica. Infatti, l'arte astratta può anche essere interpretata come sforzo neurologico di analisi dei componenti primari del mondo, ma in Klee questa scelta si associa a raffigurazioni che, riproducendo il graffitismo neolitico e dell'età del bronzo, vogliono proprio rappresentare il ritorno ad una visione primigenia del mondo.

Le oscillazioni tra le rappresentazioni organica dell'ellenismo e l'influenza orientale astratta, costituiranno – dopo l'estetica antica - la sostanza dell'arte bizantina. Ed è qui che si innesta il ricupero che Klee fa del mosaico bizantino, pochi anni dopo una sua visita a Ravenna nel 1926, raggiungendo la più alta capacità di integrazione tra segno e colore. Qui le tessere diventano mosaicizzanti, e il segno di adagia su di esse o le attraversa dispiegando su due sole dimensioni la realtà, come nel capolavoro, Ad Parnassum del 1932.

Le tessere si compongono di più minuti riquadri, come se Klee cercasse di raggiungere un livello sottostante della realtà, fatto solo di vibrazioni cromatiche; l'accostamento dei colori si compone in un'infinita pazienza e minuzia di gradazioni; i segni grafici raggiungono l'essenziale del suggerimento accennato eppure chiarissimo; l'equilibrio della composizione raggiunge la perfezione, impaginata com'è in un impianto in cui è obbligatorio rilevare la disciplina razionale dell'esperienza del Bauhaus.

Ma qui c'è anche un'eco di Klimt e della secessione viennese, come a chiudere il cerchio che dall'antichità giunge alla modernità. Per me, questo quadro rappresenta il più alto tentativo di sintesi della ricerca estetica di Klee.


(1) Così ad esempio in G. Carchia e R. Salizzoni, Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino, 1980, citati in G. Nuccitelli, Origine dell’arte e arte delle origini, Torino, 2003 (torna su)

(2) Con molta prudenza nel tirarne conclusioni affrettate, si confrontino i graffiti rupestri dal neolitico all'età del ferro con i grafismi di Klee. (torna su)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 27/08/2015