PAUL KLEE: UNA RICOGNIZIONE |
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1. FORMAZIONE E CRONOLOGIA FINO ALLA TUNISIA Sebbene svizzero, la patria culturale e di adozione di Paul Klee è stata la Germania. Ai suoi inizi è fortemente influenzato dal grafismo di Beardsley, però spogliato dalla tendenza al sublime. Klee rimane ben ancorato alla terra, dorato di ironia e con tendenze alla desacralizzazione. [Barilli, 2002] Dal 1898 ai primi del Novecento la sua produzione è quasi esclusivamente grafica. La cifra prevalente è quella del grottesco, dell'ironico e del tragicomico, come evidente derivazione dalla tradizione nordica di Bruegel e Bosch. Un riferimento che Klee, tra ritorni e ripensamenti, non abbandonerà mai davvero e che riprenderà in modo esplicito nell'ultima parte della sua vita. Vedremo tra poco come questo taglio stilistico fosse fortemente ancorato anche alla sua idea di condizione umana. Klee assimila anche il Jugendstil e la cifra elegante ed aerea del suo disegno; la tendenza ad un fitomorfismo immaginario rimarrà una costante della sua arte. La sua formazione fu piuttosto vasta comprendendo la musica, la grafica e la letteratura. Nel 1901 compì il classico viaggio di istruzione artistica in Italia, ma rimase abbastanza freddo nei confronti dell'arte classica [Pirani, 1990]. Scriverà di una "dolorosa presa di coscienza della distanza ormai invalicabile dall'ideale classico". Klee rappresenta anche in questo una delle voci più alte del Novecento che testimonia un'irrimediabile rottura del secolo con la tradizione.
Un tentativo straordinario che pochi hanno in seguito emulato (in Italia penso ad una figura come Ranuccio Bianchi Bandinelli, con Organicità e astrazione, e agli studi in corso di Renato Barilli, limitatamente alla tarda antichità), rinchiudendosi piuttosto in uno specialismo povero di interconnessioni e ben deciso a non avventurarsi nei grandi affreschi storici. Lo spirituale nell'arte di Kandinskij, altra opera fondamentale dell'astrattismo, vede la luce nel 1912, quando già si era consolidato il rapporto di amicizia e di reciproca stima con Klee. Per quanto quest'ultimo si guarderà bene dal seguire il russo sulla strada del suo esasperato spiritualismo. Intanto, nel 1911, Klee era uscito dall'isolamento artistico in cui si era mantenuto fino ad allora, entrando in rapporto con Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), il movimento fondato da Augusto Macke, Vassily Kandinskij e Franz Marc, che si proponeva "di organizzare e sostenere tutte le tendenze artistiche che consideravano – superando gli elementi figurativi ancora impliciti nell'espressionismo – la sfera dell'arte come nettamente distinta da quella della natura". [Pirani, 1995] Semplificazione dell'immagine e accrescimento degli stimoli emotivi dati dal quadro erano l'obbiettivo artistico del movimento. Klee partecipò alla seconda esposizione promossa dal movimento, assieme a Picasso, Vlaminck, Derain, Malevich e ad altri. Nel 1913 Klee soggiornò di nuovo a Parigi, dove strinse rapporti con i cubisti e, in particolare con Delaunay, che nella storia dell'arte rappresenta una specie di crocevia dei movimenti artistici del tempo, tra cubismo orfico e futurismo, tra correnti razionaliste e spiritualismo dell'ambiente tedesco e olandese. Con Delaunay, Klee "scopre la potenza emotiva e fantastica della luce, il ritmo e il movimento dell'immagine ottenuta attraverso i contrasti simultanei dei colori" [Pirani, 1995]. Vedremo più avanti l'influenza di Cézanne su di lui. Ma in quello stesso anno, a Monaco, scoprì i futuristi e se ne entusiasmò, soprattutto di Carlo Carrà. Nei Diari ne sintetizzò così l'estetica: "Quando si apre una finestra entra in camera tutto il rumore della strada, il movimento e l'oggettività delle cose fuori […] La potenza della strada, la vita, l'ambizione, la paura che si possono osservare nella città, il senso di oppressione che il baccano provoca". Come si può rilevare dal commento, Klee introdusse però un senso di ansia nella visione della città moderna, ben al di qua dell'acritica esaltazione futurista. Quel che dovette affascinare Klee, fu il tentativo di praticare una pittura totale, in grado di rappresentare emozioni, ricordi, ciò che si vede e ciò che si sente. I due dipinti Pali della luce, del 1913 e Piccolo paesaggio con aria di pioggia, sempre del 1913, testimoniano di queste influenze, dove Klee non rinuncia comunque ad una rappresentazione della natura. Nel 1914 si recò finalmente Tunisia, per un breve soggiorno, e lì realizzò la più importante svolta della sua vita artistica. L'acquerello Hammamet con Moschea segna il punto di passaggio, contemporaneo a quello compiuto da Piet Mondrian, e cioè la riduzione della realtà ai suoi tasselli primari, costitutivi originari, il cui insieme deve restituire a chi guarda il senso del paesaggio, della luce, della storia, della relazione tra umanità che vi abita e ambiente. Ma, al contrario di Mondrian, Klee non si ridurrà mai ai soli colori primari e ad un geometrismo lineare. Il colore e la luce del deserto si infiltrano ovunque, condizionano gli stessi colori dei giardini, delle moschee, dei teli stesi ad asciugare, delle case. La mia impressione è che i riquadri cromatici di Klee siano una derivazione dei piani poligonali in cui i cubisti scomponevano la figura con l'intenzione di rappresentarla dai diversi punti di vista possibili. Ma in Klee questi piani multipli si trasformano in tessere, ossia non in un modo di vedere ma in un tentativo di scomposizione della realtà primaria su un piano bidimensionale, come vedremo meglio tra poco. Una specie di rumore di fondo dell'universo che si materializza nelle sfumature cromatiche e nell'ambiente. Più in là nel tempo, queste tessere si ripresenteranno nella pittura di Klee con un'intenzione arcaizzante. Del resto, come osserva S. Zeki, "nuove forme, consistenti per lo più di linee, quadrati e rettangoli, sono meravigliosamente adatte a stimolare alcune delle cellule della corteccia visiva". E questo perché la loro caratteristica è di avere immagazzinato con l'esperienza la forma astratta delle forme, che possiamo considerare una specie di idea preesistente dentro di noi quando osserviamo un'opera d'arte. "Il vedere – osserva Richard Gregory, altro noto neuroscienziato, autore di numerosi studi sul cervello e sulla visione – implica sempre l'esistenza di un'ipotesi nel cervello". Tuttavia, Klee è ben lontano, nonostante i soggetti rappresentati, da qualsiasi suggestione vedutistica. La serie dei dipinti tunisini si dovrebbero quasi osservare come in pianta: è il punto di vista topografico quello che lo affascina (dov'è questa cosa in rapporto all'altra? E in rapporto all'insieme?) Per questo sono necessarie la costruzione di una topografia rigorosa e una ricerca continua dei rapporti tra i colori e le linee dove il trapassare degli uni negli altri è dato dallo sfumare delle tonalità. Insomma, cosa gli dà la Tunisia? Gli suggerisce il senso degli oggetti in cui geometrismo della forma e colore definiscono il mondo: la luce si irradia dall'interno delle cose, dei riquadri, delle figure stilizzate, quando ci sono, creando impressioni e associazioni percettive policrome. Il tentativo è quello di risalire alle strutture primarie della vita dando loro una rappresentazione diretta, come una musica, scavalcando il visibile tradizionale, cercando di collocarsi in un mondo parallelo ma non meno vero di quello che frequentiamo abitualmente. L'esperienza tunisina lo libera dal problema del colore che lo aveva impegnato fino ad allora e gli fa scrivere nei suoi Diari: "Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell'ora felice: io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore." In realtà, la luce e i colori tunisini fanno da innesco, da catalizzatori di precedenti predisposizioni alle qualità costruttive del colore. Ma è la Tunisia che gli permette di prendere la strada di un naturalismo parallelo: non la rappresentazione del pulsare nervoso della vita moderna, ma dell'origine del mondo. |